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L’abbandono di rifiuti e il littering
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Prefazione di Lorenzo Pinna
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coordinamento redazionale: Anna Satolli
progetto grafico: GrafCo3 Milano
impaginazione: Roberto Gurdo
copertina: © Jonas Tirabosco/www.igsu.ch
© 2012, Edizioni Ambiente
via Natale Battaglia 10, 20127 Milano
tel. 02.45487277, fax 02.45487333
Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta
o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico,
comprese fotocopieregistrazioni o qualsiasi supporto senza il permesso scritto
dell’editore.
ISBN 978-88-6627-091-1
Finito di stampare nel mese di dicembre 2012
presso Global Print – Gorgonzola (Milano)
Stampato in Italia – Printed in Italy
Questo libro è stampato su carta riciclata 100%
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SOMMARIO
Premessa	 12
	 di Lorenzo Pinna
Prefazione	 15
	 di Walter Ganapini
Introduzione	 17
1. cosa si abbandona	 32
2. dove e quanto si abbandona	 38
3. chi abbandona	 40
4. perché si abbandona	 43
5. l’abbandono di rifiuti ingombranti	 50
6. l’abbandono di rifiuti organizzato	 52
7. che danni causa l’abbandono 	 54
	 di rifiuti
8. che impatto ambientale causa 	 55
	 l’abbandono di rifiuti
effetti nocivi legati all’esposizione ai rifiuti	 62
i mozziconi di sigaretta	 64
marine littering	 67
i danni diretti alla fauna causati 	 68
dall’
abbandono di rifiuti
9. quanto costa l’abbandono	 69
	 di rifiuti
stima dei costi dell’abbandono in provincia 	 74
di varese
costi di pulizia per frazioni di rifiuti generati 	 77
dal littering in svizzera
costo del littering nel regno unito	 80
costo del littering in scozia	 80
costo del littering negli usa	 81
prima stima dei costi del littering in italia	 82
10. come affrontare il tema 	 84
	 dell’abbandono di rifiuti
	e del littering
11. quali norme contro l’abbandono 	 88
	 di rifiuti e il littering
le sanzioni contro l’abbandono	 89
soggetti competenti nel pattugliamento 	 94
del territorio
Guardie ecologiche volontarie	 94
Corpo forestale	 96
I guardiaparco	 97
Polizia locale	 97
Arma dei Carabinieri 	 98
12. iniziative contro il littering 	 100
	e l’abbandono di rifiuti
ecospiaggia: la raccolta differenziata 	 100
(non va) in vacanza, ministero dell’ambiente
campagna “spiagge libere”
, ministero	 101
dell’ambiente
“puliamo il mondo”
, legambiente	 102
clean up the med 	 103
sos plastica	 103
ma il mare non vale una cicca?, marevivo	 104
“i rifiuti che abbandoni prima o poi ritornano”	 105
giornata del verde pulito, regione lombardia	 105
convenzione tra la provincia di pavia 	 106
e il corpo forestale dello stato
aliga day, sardegna pulita 	 106
“puliamo la calabria”	 107
“la cicca non è chic”	 108
campagna contro i mozziconi di sigaretta 	 109
a ferrara
bando “strade pulite” della provincia 	 109
di varese
progetto “ricircola”, sila varese	 110
“busto si rifiuta”, agesp busto arsizio	 111
campagne di comunicazione igsu	 111
un codice di comportamento contro 	 113
il littering, Unione delle città svizzere
giornate insubriche del verde pulito, gruppo 	 115
di lavoro della regio insubrica
“operazione territorio pulito”
, canton ticino	 116
le iniziative dell’ufam	 117
attività dell’acsi contro il littering	 118
keep britain tidy	 118
keep america beautiful’s great american cleanup 	 119
nsw government litter prevention program 	 120
(keep australia beautiful)
“singapore litter free” campaign	 122
soho dichiara guerra alle cannucce 	 124
norme antifumo	 125
azioni specifiche di controllo del territorio	 126
Bologna: le Guardie ecologiche diventano i “vigili” dei rifiuti	 126
A Salerno ronde contro chi sporca	 126
Contro l’abbandono dei rifiuti entrano in azione gli ispettori ambientali	 127
Abbandono di rifiuti: multe durante il passaggio 	 128
a raccolta domiciliare dei rifiuti
Lamezia Terme: prime multe dopo ordinanza su abbandono di rifiuti	 128
Appostamenti in borghese contro l’abbandono dei rifiuti 	 129
Milano. Butta mozzicone di sigaretta a terra: 450 euro di multa	 129
Abbandoni i rifiuti? Il sindaco te li riporta a casa	 129
nuove “apps” contro incuria e degrado	 130
Applicazioni negli Usa	 131
Apps in altri paesi del mondo	 132
Decorourbano	 132
Rifiuti ingombranti abbandonati: il progetto “RAEEporter”	 133
Uso del crime mapping: l’esperienza della Provincia di Milano	 133
PULIamo: la app che aiuta a tenere pulita la città 	 136
iniziative di prevenzione a monte del fenomeno	 138
Riduzione delle buste di plastica (shopper)	 138
La pubblicità anonima o condominiale	 139
Le gomme da masticare	 140
Il programma “Rifiuti Zero” 141
ottimizzazione dei sistemi di igiene ambientale	 142
Il sistema integrato porta a porta per ridurre l’abbandono di rifiuti	 142
Gestione dei cestini stradali	 145
i cartelli di divieto dell’abbandono di rifiuti	 148
13. un progetto integrato contro 	 149
	 l’abbandono: “insubria pulizia
	sconfinata”
la “mappa dell’abbandono”	 152
le iniziative operative per contrastare	 156
l’abbandono
Il tavolo tecnico contro l’abbandono	 156
Comunicazione contro l’abbandono	 157
Educazione ambientale	 158
Coordinamento attività di Polizia provinciale e GEV	 160
conclusioni	 161
bibliografia	 164
ringraziamenti	 170
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premessa
La storia dell’umanità è spesso raccontata attraverso le mirabili ope-
re realizzate dalla volontà e dall’ingegno umano, trascurando però i
problemi che l’uomo ha dovuto affrontare nel suo cammino mille-
nario. Tra questi uno dei più sottovalutati è sicuramente quello dei
rifiuti.
Nella preistoria i cacciatori e raccoglitori nomadi producevano già
rifiuti ma ciò non era di fatto un problema, poiché spostandosi conti-
nuamente non c’era tempo perché questi si accumulassero. Le prime
difficoltà sono sorte invece con il passaggio delle civiltà da nomadi a
stanziali: nei primi villaggi e città, gli uomini risiedevano in grandi
concentrazioni producendo volumi consistenti di rifiuti. Per millenni
il sistema di disfarsi di questi rifiuti è stato di gettarli semplicemen-
te per strada o nei fossi, lanciandoli dalle finestre, facendo sì che si
accumulassero in prossimità di case e botteghe. Questi rifiuti erano
esclusivamente di natura organica e quindi erano causa di sviluppo di
epidemie e di cattivi odori, tanto che un puzzo costante permeava tutti
gli ambienti.
Le civiltà del passato hanno provato a più riprese a rimediare al pro-
blema dei rifiuti, prima tra tutte l’antica Roma che ha realizzato una
grande rete di acquedotti con lo scopo di approvvigionare la città di
grandi quantità di acqua pulita per allontanare rifiuti e liquami dall’ur-
be. Nel Medioevo e nel Rinascimento centinaia di leggi, editti e re-
golamenti tentavano di impedire l’accumulo di rifiuti nelle pubbliche
vie. Solo alla fine del Settecento, grazie alla Rivoluzione industriale e
alla crescita delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, l’uomo riu-
scì a bonificare le città creando efficienti sistemi idrici e introducendo
i primi rudimentali sistemi di nettezza urbana. L’idea base rimaneva
comunque quella di allontanare i rifiuti portandoli nelle campagne e
lasciando quindi alla natura il compito di “smaltirli”, compito sempre
più gravoso e ambientalmente insostenibile a causa del loro continuo
aumento. Questa crescita dei rifiuti, divenuta esponenziale nel corso
del Novecento, è stata causata dall’effetto congiunto dell’incremento
13
demografico, dall’aumento del tenore di vita e dei consumi e dall’in-
troduzione di nuovi materiali sintetici e pericolosi, caratterizzati dal
non essere biodegradabili.
Per questo negli ultimi decenni del Novecento sono stati attivati siste-
mi di gestione dei rifiuti basati sulla raccolta differenziata e sul loro
trattamento al fine di un corretto riuso, recupero e riciclaggio, trasfor-
mando i rifiuti in nuove materie prime e beni di consumo. I rifiuti,
da materiali da allontanare e dimenticare, si trasformano in risorse
preziose, grazie anche all’impegno dei cittadini che sono un anello
fondamentale del sistema di gestione perché ad essi è deputato l’im-
portante compito di dividere i rifiuti secondo le regole della raccolta
differenziata.
Quanto descritto rende incomprensibile come nelle moderne metropo-
li si possa ancora compiere l’arcaico gesto del getto dei rifiuti a terra,
che oggi si chiama littering, lordando piazze e vie o parchi come nel
Medioevo. Sembra che questo gesto, la cui origine profonda richie-
de raffinate analisi psicologiche e sociologiche, sia insito nella natura
umana e nel suo istinto, quasi da sembrare parte del suo patrimonio
genetico. Il littering a mio avviso rappresenta inoltre una cartina di
tornasole del degrado urbano e della presenza delle autorità nel pre-
sidio del territorio, ben spiegata dalla broken windows theory (“teoria
delle finestre rotte”): se in un quartiere viene rotta una finestra, e non
viene riparata, è molto probabile che ben presto altre finestre venga-
no rotte, dando così inizio a una spirale distruttiva. Allo stesso modo
lasciare che vengano gettati i rifiuti per strada rappresenta una forma
di trasgressione e di degrado che, se trascurata, genera sicuramente fe-
nomeni di emulazione. Per sconfiggere questa spirale negativa occorre
partire dal “buon esempio”, attivando iniziative che facciano percepire
ai cittadini l’importanza dell’ambiente e il suo valore per la qualità
della vita.
È proprio da questo dato che è partito il lavoro di Giorgio Ghiringhelli
che ha analizzato il fenomeno del littering e dell’abbandono dei rifiuti
sia dal punto di vista “macro”, analizzandone dimensione, importan-
za, danni derivanti, sia “micro” concentrandosi quindi sulle abitudini
14
del singolo, arrivando a tracciare un possibile percorso in cui la co-
scienza civica e l’educazione ambientale sono il perno di iniziative e
progetti concreti per prevenire e contrastarne il fenomeno.
Lorenzo Pinna
Giornalista, autore televisivo e divulgatore scientifico
prefazione
Due branche della neo-disciplina Rifiutologia mi hanno sempre attrat-
to: la Archeo/Paleo-Rifiutologia e la Psico-Rifiutologia (neologismo,
credo, coniato in questa occasione).
Le ricerche afferenti alla prima branca, da quelle sulle civiltà caverni-
cole delle Canarie per arrivare alle palafitticole/terramaricole anche in
Pianura Padana, da quelle sul Testaccio a Roma fino alle indagini sui
pozzi per rigetti esterni alle mura urbane di epoca medievale, certifi-
cano l’attitudine delle comunità umane a espellere dallo spazio dome-
stico e dal villaggio/aggregato urbano i residui delle proprie attività di
produzione e consumo, i propri rifiuti.
La seconda branca investiga i meccanismi di rimozione/occultamento,
sostanzialmente simili a quelli belluini per quanto attiene la relazione
tra animali e le loro deiezioni, che sottendono l’attitudine “espulsiva”
sopra richiamata.
Colpisce che, nel secondo decennio del primo secolo del terzo millen-
nio d.C., una persona esperta e competente come Giorgio Ghiringhel-
li debba riprendere il ragionamento relativo alle due branche citate per
fare il punto su come prevenire, ancor prima che rimediarne gli effetti
negativi sull’ambiente, il fenomeno dell’abbandono o littering di rifiu-
ti/merci a fine ciclo-vita in un ambito territoriale evoluto e organizzato
come quello lombardo-elvetico, subito sotto e subito sopra la catena
alpina, una delle aree più ricche e acculturate del Pianeta.
Se in questo ambito il problema si propone ancora, e con forza, ai
giorni nostri, allora il “gettare” trae origine in segmenti profondi del
nostro essere “uomini” ancor prima che nella nostra sedimentazione
culturale e normativa.
Sappiamo che le persone, di norma, anche nell’età contemporanea non
adottano spontaneamente letture olistiche/sistemiche del reale né amano
ragionare di ciò che è loro lontano nello spazio e nel tempo: è così che
si è potuto arrivare a sconvolgere il clima del Pianeta, adottando stili di
vita e consumo che, se generalizzati a scala globale, genererebbero un
fabbisogno di risorse che neppure tre Terre riuscirebbero a soddisfare.
16
Ancora, è così che il littering di rifiuti plastici ha portato a generare
immensi aggregati di quei materiali persistenti negli oceani, interfe-
rendo gravemente anche con le catene trofiche dell’ittiofauna e con la
biodiversità marina in generale.
Il testo di Ghiringhelli fa il punto sul fenomeno, analizza le buone
pratiche sin qui sperimentate per contenerlo e, sempre più, prevenirlo,
rendendolo anzitutto “tracciabile” e, dunque, controllabile.
È per questo, al di là della stima e dell’amicizia verso l’autore, che
sento di doverne consigliare la lettura.
Walter Ganapini
Membro onorario, Comitato scientifico,
Agenzia europea dell’ambiente
introduzione
È universalmente assodato che il valore dei beni è garantito dal rap-
porto fra la loro disponibilità e il desiderio dei soggetti-consumatori
di beneficiarne. Dalla notte dei tempi il valore di un bene è dato dal
capitale naturale e dal lavoro umano incorporato in esso, ma soprat-
tutto dalla sua scarsità relativa. Buona parte degli oggetti acquistabili
contiene parti (imballaggi, contenitori ecc.) che da intonse, belle, at-
traenti, divengono inutili, lerce, maleodoranti. Una scatola di fagioli o
un contenitore in plastica di aranciata dapprima è pulito, colorato, ver-
gine, sterile; dopo l’uso la scatola e la plastica passano a uno status di
sporco, insalubre, inutilizzabile. Se questi oggetti venissero riutilizzati
dovrebbero essere lavati, puliti e poi pronti per un altro uso, ma nel-
la maggioranza dei casi questi contenitori entreranno nel sacco o nel
bidone della raccolta dei rifiuti. Questo concetto è addirittura amplifi-
cato quando i singoli “oggetti-rifiuti” vengono a trovarsi insieme nei
contenitori per la raccolta (differenziata o no), tant’è che “nel desti-
narli alla pattumiera, ne consacriamo invece, per così dire, l’intrinseca
sporcizia; nel bidone della spazzatura avviene un rimescolamento di
tutti i nostri scarti, che rende sporco ciascuno degli oggetti conferiti,
indipendentemente dal grado di pulizia che lo caratterizzava poco pri-
ma, rendendo la nostra immondizia, seppur differenziata, qualcosa di
inaccettabile, di immondo” (Viale, 1996).
Gli scarti volontariamente o involontariamente inutilizzabili provoca-
no un danno e un ingombro finché rimangono negli spazi territoriali
privati e per questo dobbiamo sbarazzarcene appena possiamo. Ne è
dimostrazione il fatto, per esempio, che quando il sacco o il bidone
della raccolta differenziata posizionato in strada appena fuori dal-
la nostra proprietà per essere raccolto dal servizio di igiene urbana
– e quindi eliminato dalla percezione dei nostri sensi –, per motivi
vari non viene raccolto dagli addetti, esso torna a creare stress e pre-
occupazione portando talvolta gli individui a gesti inconsulti come
l’abbandono illegale del rifiuto in territori prossimi o meno prossimi
(altra strada o i boschi) il più possibile lontani dal suo spazio privato.
18
Questo comportamento si configura come “l’allontanamento com-
pulsivo del rifiuto”.
In questo senso bene e rifiuto, produzione e consumo, sono due fac-
ce spesso intercambiabili della stessa medaglia, due aspetti speculari
la cui differenziazione diviene frequentemente così blanda da portare
confusione negli attori sociali per la sua perversa ambiguità. Lo scarto
tra bene e rifiuto non può che essere ricercato attraverso motivazioni
di ordine individuale (psicologico) e collettivo (sociale), ma deve an-
che inserirsi nelle teorie e pratiche della società consumistica. Diversi
studiosi hanno definito la società consumistica come la “civiltà dello
spreco” (Viale, 1996), il “consumo istantaneo del bene”, ragionamen-
to che troviamo efficacemente condensato in Baudrillard che afferma
che “i beni dovrebbero soddisfare nell’immediato e la soddisfazio-
ne dovrebbe cessare immediatamente, non appena esaurito il tempo
necessario al consumo” (Baudrillard, 1976). Il paradosso del bene-
rifiuto è parte rilevante della nostra società delle contraddizioni.
Il rifiuto, lo scarto, si configura porzione allogena, assumendo status di
non-riconosciuto, di oggetto incontrollabile e irriconoscibile che deve
essere eliminato il più rapidamente possibile. Nel rapporto con le scorie
si articolano processi spesso schizofrenici di cesura tra pulito e sporco,
sterile e contaminato, dentro e fuori, e l’innata tensione a controllare
se stessi, la nostra natura e il corpo. La produzione su larga scala di
manufatti che hanno valore e durata sempre più effimera, l’acquisto
compulsivo, l’accelerazione tecnologica, la propaganda e la corsa infi-
nita verso l’ultimo modello, concorrono a portare verso l’obsolescenza
rapida dei beni, generando problemi di enorme portata e di difficile
controllo da parte degli stessi fautori, il genere umano. Una merce ben
progettata, ben fabbricata, che continua a lungo a svolgere la propria
funzione, è quanto di più indesiderabile si possa immaginare per il ven-
ditore. Da qui lo sviluppo di una vera scienza dell’inefficienza, della
pericolosità, dell’inaffidabilità, della rapida obsolescenza, cioè di tutti
quei caratteri che portano il consumatore a buttare via in breve tempo
una merce per sostituirla con altre che tengano in moto la grande mac-
china della produzione, delle vendite, dei profitti (Nebbia, 1990).
19
Gli oggetti che non contribuiscono alla valorizzazione del capitale
sono inutili e da eliminare rapidamente, e questo processo diviene così
una costante infinita, con l’accumulazione di grandi quantità di scarti
(Osti, 2002). Rifiuti che, nonostante le sempre più innovative tecno-
logie di smaltimento e riciclaggio, sono e saranno pressoché incon-
trollabili da parte dei loro creatori e dai loro consumatori. Gli scarti e
la sovrapproduzione sono un problema economico e gestionale per le
industrie e per le istituzioni pubbliche.
Smaltire rifiuti significa pertanto sottoporli a un trattamento che per-
metta loro di confondersi con gli elementi costitutivi delle nostra im-
magine del mondo, affidando al fuoco (incenerimento), alla costosa
ma utile tecnologia (riciclaggio), alla natura (compostaggio ma anche
il deposito finale, la discarica controllata) la loro eliminazione o mu-
tazione (Viale, 1996). La natura è costretta ad accogliere anche i rifiuti
non biodegradabili e spesso insalubri delle discariche legali e di quelle
illegali; tra queste ultime primeggia l’illegal waste dumping, ovvero
l’abbandono improprio di rifiuti nelle aree isolate urbane e nei boschi.
La massa dei rifiuti che ci circonda, non è altro che la manifestazione
di uno scarto crescente tra ciò che produciamo e ciò che consumiamo.
La dimensione produttiva è divenuta semplicemente un supporto al
meccanismo di generazione di insoddisfazione dell’individuo. Piutto-
sto che di civiltà del consumo, quella attuale può essere definita una
“civiltà dello spreco”, una “civiltà dei rifiuti”.
Il gesto del “buttar via” ha radici e ragioni antropologiche e psico-
logiche profonde, è un autentico rito di purificazione, attraverso cui
l’uomo si rigenera, abbandonando le scorie di se stesso. La società
postmoderna si è impossessata di questa fisiologica attitudine umana,
che oggi si svolge con ritmi via via crescenti, a causa del fatto che
l’insicurezza e la precarietà delle condizioni attuali spingono l’uomo
a una continua verifica della sua identità. Tale accelerazione, però,
produce una quantità di “residui” a ritmi divenuti insostenibili per l’e-
cosistema, che non è più in grado di assimilarli come in passato (Bau-
drillard, 1976). Il problema dell’enorme produzione di rifiuti non può
essere semplicemente risolto con adeguate tecnologie di smaltimento,
20
la questione è anche e soprattutto di natura culturale e strutturale. Ogni
detentore di una merce non si preoccupa del rifiuto che essa creerà una
volta che passa a un altro possessore, anzi cercherà di trasferire la
maggior parte dei rifiuti a essa collegati. È evidente che la soluzione
della questione dei rifiuti passa per quella che nel contesto attuale è
ancor meno di un’utopia e cioè la fine del capitalismo-consumismo-
rifiutismo e l’avvento di una nuova sensibilità personale e sociale che
riconsideri la posizione dell’uomo nel mondo.
La natura non produce rifiuti o meglio i suoi scarti sono inseriti nelle
catene alimentari e nei cicli biogeochimici costituendo in ogni passag-
gio nutrimento o substrato per qualche forma di vita. Per molto tempo
l’umanità, sia quella che abitava in città, sia quella che era rimasta a
coltivare i campi, non ha sentito la necessità di separare i rifiuti secon-
do la loro provenienza o in base al materiale di cui erano composti.
Se non si sapeva più cosa farsene, si pensava solo a sbarazzarsene,
cioè allontanarli da sé, dalla propria abitazione, magari limitandosi
a gettarseli alle spalle senza grandi precauzioni. Questo era possibile
perché i rifiuti umani erano del tutto simili per qualità e composizione,
e non concentrati in un unico luogo (città o discarica che sia), a quelli
naturali.
Il gesto con cui l’uomo primitivo si tirava dietro la schiena, abbando-
nandoli lungo il cammino, le ossa degli animali di cui si era nutrito e
i noccioli dei frutti appena mangiati, è ancora oggi iscritto nel nostro
codice genetico. Se invece c’era qualcosa da recuperare, quell’oggetto
veniva rimpiegato per la stessa o per un’altra funzione, con esempi,
tanto lungimiranti quanto paradossali, come le descrizioni che Goethe
ci ha lasciato nel suo “viaggio in Italia” dove ha raccontato, quasi con
ammirazione, il lavoro dei rigattieri che portavano i rifiuti, preziose
sostanze fertilizzanti, nei rigogliosi giardini periurbani. Questa abi-
tudine ha accompagnato l’uomo fino alla rivoluzione industriale e i
rifiuti sono diventati onnipresenti nel panorama delle città occidentali,
con l’eccezione dell’antichità classica romanica quando molte città
furono dotate di una rete fognaria (Viale, 2007), fino a costituire la
così detta “città pestilenziale” (Pinna, 2011) dove rifiuti e liquami,
21
con il loro carico microbico, erano causa di epidemie e di malsane
condizioni di vita.
I rifiuti sono, fin dalla notte dei tempi, lo specchio della società che
li ha prodotti ovvero un’immagine privata di illusioni, come Victor
Hugo aveva scoperto e narrato ne I Miserabili: “La fogna è la coscien-
za della città [...]. Ogni cosa ha la sua forma vera, o almeno definitiva,
poiché il mucchio di spazzature ha in suo favore di non esser bugiardo.
Vi si trova [...] il cartone e le cordicelle, l’interno come l’esterno, […].
Tutte le lordure della civiltà, una volta fuori uso, cadono in questa fos-
sa di verità alla quale mette capo l’immenso sdrucciolìo sociale, e, pur
inghiottite, si mettono in mostra [...]”. Quest’immagine già allora era
piena delle contraddizioni sociali e del tema dello spreco, argomenti
che saranno di attualità solo cent’anni più tardi.
Un altro tema ricorrente insieme a lordure e malattie è quello dell’o-
dore, del tanfo pestilenziale e mefitico che accompagna il viaggio
dell’uomo nei secoli, un silenzioso indicatore dello stato delle città
di cui ci viene data una vivida descrizione nel romanzo Il profumo
(Patrick Suskind, 1985).
A partire dal XIII secolo, cioè dalla crescita demografica delle cit-
tà, quasi tutti i comuni dell’Italia centro-settentrionale promulgarono
leggi e regolamenti nel tentativo iniziale di arginare l’accumularsi dei
rifiuti nelle vie urbane (Pinna, 2011) e successivamente di aree più
vaste, andando anche a regolamentare altri fenomeni come il lancio
di rifiuti dalle finestre e lo sputare per terra. Fino al XVIII secolo co-
munque le maggiori battaglie ingegneristiche sono state giocate nella
gestione dei rifiuti liquidi e liquami derivanti dai sistemi fognari che
potevano essere allontanati dalle aree urbane attraverso opere idrau-
liche mirabili che hanno interessato le principali città europee. Dal
secolo successivo si affaccerà il problema dei rifiuti solidi urbani an-
corché ancora prevalentemente composti di materiali “naturali” (resti
di cibo, stracci, legno e carta). Il loro accumulo nelle strade cittadine
ha causato l’avvio dei primi rudimentali sistemi di igiene urbana in cui
Londra e Parigi fanno, come spesso è accaduto nella storia, da apri-
pista delle rivoluzioni tecnologiche: a Parigi con la prima ordinanza
22
23
 Fumetto vincitore dell’“Antilittering comic contest” del 2011 organizzato dall’IGSU.
24
del 1884 che obbligava tutte le case e le botteghe a dotarsi di bidoni
metallici con coperchio per la raccolta rifiuti e a Londra con il Pubblic
Health Act del 1875 che obbligava i cittadini a usare il dustbean (sec-
chio dell’immondizia inglese), due atti che causano il definitivo decli-
no del getto dei rifiuti per strada. I rifiuti, dopo essere stati raccolti con
sistemi rudimentali di igiene urbana basati ancora sulla forza umana e
animale, erano comunque destinati a essere portati nei territori imme-
diatamente limitrofi alle città per costituire delle discariche de facto
(che oggi chiameremmo discariche incontrollate). In Italia occorrerà
aspettare il 1941 per avere una legge che codificava l’allontanamento
dei rifiuti solidi urbani dalle città (legge 20 marzo 1941, n. 366), ma
già alla fine dell’Ottocento i comuni, con una gestione in economia o
attraverso le prime “aziende municipalizzate”, avevano creato dei pri-
mi sistemi rudimentali di nettezza urbana, poco efficienti e lontani da
un sistema integrato e industriale necessario per affrontare e risolvere
il problema.
In questo quadro il gesto di buttare i rifiuti fuori dal finestrino della
propria auto o gettare una cartaccia per terra mentre si passeggia rap-
presentano un ritorno al passato che mal si inserisce nello stile di vita
urbano e “igienico” che partendo dall’Ottocento si è definitivamente
affermato, almeno nelle nazioni più evolute, nel Novecento causando
la definitiva scomparsa della “città pestilenziale”. La contropartita di
questa vittoria dell’uomo sul sudiciume è stato l’arrivo imprevisto,
con la rivoluzione industriale, delle sostanze chimiche e dei materiali
sintetici, cioè sostanze e composti non biodegradabili (per esempio
la “plastica”) che quindi la natura non assimila e non può inserire nei
propri cicli e catene alimentari. Queste nuove sostanze insieme alla
concentrazione sempre maggiore della popolazione e delle sue attività
produttive in aree ristrette e altamente urbanizzate, e l’avvio di sistemi
di consumo crescente e basati sull’usa e getta (direttamente derivanti
dall’aumento del tenore di vita, dalle innovazioni tecnologiche e dalla
riduzione del costo dei beni e delle merci), sono il motivo per cui la
gestione dei rifiuti è diventato uno dei temi ambientali più rilevanti già
nella prima metà del XX secolo.
25
Italo Calvino nelle Città invisibili del 1972 aveva descritto la città dei
consumi (ma anche dell’estraniazione dell’uomo da se stesso), spinta
al parossismo e per questo sommersa dai rifiuti. In questa città anche
il gesto di allontanare i rifiuti (gettarli alle spalle come faceva l’uomo
primitivo) non è possibile perché il mondo è stretto e perché, come
nella realtà, allontanare i rifiuti dalla propria comunità vuol dire con-
fliggere con le esigenze delle altre comunità limitrofe.
Per avere una norma moderna che passi dal concetto di “allontana e
dimentica” a quello della “gestione rifiuti” occorre aspettare il 1982,
quando l’Italia recepisce le direttive comunitarie emesse nel corso de-
gli anni Settanta (Dpr 10 settembre 1982, n. 915), con il quale incarica
le regioni di redigere Piani di gestione rifiuti volti a definire le linee
guida per la gestione rifiuti e favorire le condizioni per la realizzazione
della rete impiantistica necessaria (discariche, inceneritori e impianti
di compostaggio). A questo seguirà il “Decreto Rochi” (Dm 5 febbra-
io 1997, n. 22) che permetterà di introdurre il concetto di “gestione
integrata” basato innanzi tutto su una scala di priorità (le 4 R: ridu-
zione, riuso, riciclo e recupero) e lasciando allo smaltimento finale in
discarica il ruolo marginale destinato a ciò che non può subire alcun
diverso destino. La legge troverà attuazione operativa facendo perno
sulla raccolta differenziata, sul Catalogo europeo rifiuti per identifica-
re univocamente i rifiuti, sulla responsabilità del produttore, mediante
la creazione del sistema dei consorzi di filiera (CONAI), sul concetto
di “chi inquina paga”.
La quantità di rifiuti urbani (e industriali) che le norme sono chiamate
a regolamentare sono impressionanti e fino alla crisi economica re-
cente in continua ascesa in quasi tutti i paesi europei. I complessi pro-
blemi legati alla gestione dei rifiuti, l’insieme delle politiche volte a
gestire l’intero processo dei rifiuti dalla loro produzione fino alla loro
sorte finale, comprendendo quindi la raccolta, il trasporto, il riciclag-
gio e lo smaltimento, non devono far dimenticare che l’igiene urbana
è un’attività carica di implicazioni, oltre che economiche e ambientali,
di natura psicologica, sociale e politica. In questo quadro risulta cen-
trale il ruolo del cittadino-utente del servizio, in quanto il sistema di
26
gestione dei rifiuti urbani si basa ubiquitariamente sulla raccolta diffe-
renziata, dove ciascuno è responsabile della corretta suddivisione dei
rifiuti in base alle caratteristiche e al destino a essi assegnato, collabo-
rando quindi con il sistema pubblico che si occupa della loro raccolta.
La gestione rifiuti è quindi una silloge dei rapporti tra l’individuo e la
società (Viale, 1996).
I rifiuti sono tutto quanto risulta di scarto o avanzo alle più svariate
attività umane. La Comunità europea, con la direttiva 2008/98/Ce, re-
cepita in Italia dal Testo Unico Ambientale, li definisce “come qualsi-
asi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione
o l’obbligo di disfarsi”. L’atto di “disfarsi” va inteso indipendente-
mente dal fatto che il bene possa potenzialmente essere oggetto di
riutilizzo, diretto o previo intervento manipolativo. I rifiuti vengono
classificati, in base all’origine: in rifiuti urbani e rifiuti speciali e, in
base alle loro caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e ri-
fiuti non pericolosi.
Il piccolo rifiuto buttato in modo improprio (litter), nell’età moderna,
è per eccellenza il mozzicone di sigaretta; oltre ai mozziconi, i litter
più comuni sono i chewing gum, bottiglie e lattine, confezioni di be-
vande, pezzi di carta e di vetro, scatole vuote di sigarette, sacchetti,
avanzi di cibo, confezioni di alimenti e piccoli imballaggi in genere.
L’abbandono rifiuti (illegal waste dumping) si configura come un ille-
cito volontario compiuto da soggetti intenzionati a disfarsi dei rifiuti
in modo illegale disperdendoli nell’ambiente in luoghi non predisposti
ad accoglierli (generando così il fenomeno delle discariche abusive).
Questo fenomeno comporta che vengono abbandonati quantitativi in-
genti di rifiuti, urbani o speciali, pericolosi e non, soprattutto in aree
periferiche e naturali (BAFU, 2011).
Il fenomeno genericamente denominato “abbandono abusivo di rifiu-
ti”, può essere più precisamente definito e suddiviso in tre tipologie
specifiche (Dlgs 152/2006):
• abbandono: accumuli di rifiuti in aree pubbliche o private, costituiti
da beni, oggetti che sono in un evidente “stato di abbandono”, ovvero
lasciati con incuria e al degrado;
27
• deposito incontrollato: abbandono di rifiuti perpetuato dallo stesso
soggetto nel medesimo luogo senza autorizzazione;
• discarica abusiva: permanenza dei rifiuti in un luogo che viene uti-
lizzato per continui scarichi, anche intervallati nel tempo, di rifiuti di
diversa natura o provenienza.
A questi fenomeni si somma quello più aspecifico del littering, ovvero
l’incivile abitudine di gettare piccoli rifiuti laddove capita senza cu-
rarsi dell’ambiente, come per esempio cartacce, gomme da masticare
e mozziconi di sigaretta, o ancora quella di non raccogliere gli escre-
menti degli animali da compagnia. Questo fenomeno si è amplificato
con l’avvento di nuove abitudini alimentari, che aumentano l’impiego
di materiali e manufatti usa e getta (G. Ghiringhelli, 2008). Il littering
– dall’inglese to litter: ricoprire di rifiuti – è quindi un malcostume che
vede i rifiuti gettati o abbandonati con noncuranza nelle aree pubbliche
invece che negli appositi bidoni o cestini dell’immondizia (Johannes
Heeb, 2004). Per littering si intende l’inquinamento di strade, piazze,
parchi o mezzi di trasporto pubblici causato gettando intenzionalmen-
te o lasciando cadere rifiuti e abbandonandoli. Anche se in termini
assoluti le quantità di rifiuti lasciate sul suolo sono relativamente ri-
dotte, la maggioranza della popolazione percepisce il fenomeno come
fastidioso. Il littering compromette la qualità di vita e il senso di sicu-
rezza negli spazi pubblici, genera costi elevati per i servizi di pulizia
e nuoce all’immagine delle località. Le cause della crescente mole di
rifiuti abbandonati sono molteplici. Sempre più persone trascorrono
la pausa pranzo sul posto di lavoro o di formazione e mangiano per
strada. La conseguenza quasi inevitabile di queste nuove abitudini di
consumo, abbinate a un’accresciuta utilizzazione degli spazi pubblici,
è la presenza di una quantità maggiore di rifiuti abbandonati all’a-
perto. Un’altra tendenza accentuatasi negli ultimi anni è il boom del-
la diffusione di giornali gratuiti e della pubblicità condominiale, che
spesso vengono subito gettati o abbandonati da qualche parte durante
il tragitto. Infine, gettare sconsideratamente mozziconi di sigarette è
un fenomeno noto praticamente da sempre, che negli ultimi anni è
28
tuttavia aumentato ulteriormente, probabilmente a seguito del divieto
di fumo nei locali pubblici introdotto in molti paesi.
Il littering può essere intenzionale (abbandono di rifiuti nel suolo)
oppure effettuato senza una volontà attiva (in modo accidentale o non
volontario) come accade quando vengono gettati rifiuti dai finestri-
ni delle auto o quando si getta a terra un mozzicone di sigaretta o
una gomma da masticare. I rifiuti gettati sconsideratamente sul suolo
pubblico sono oggi un problema sociale che si riflette negativamente
sulla qualità della vita, sull’andamento dei costi di pulizia e sull’im-
magine di città e comuni cui si aggiunge il littering dalle automobili
che interessa alcuni tratti di strade urbane ed extra urbane, un feno-
meno diffuso che comporta l’accumulo di rifiuti in aree difficilmente
ripulibili (BAFU, 2011).
Il littering viene considerato come: “qualcosa nel posto sbagliato”,
“uno spreco di risorse o di materiale”, “dannoso per l’ambiente”, “sot-
tratto al riciclaggio”, “potenziale portatore di malattie e fonte di di-
sagio”, “risultato di una società consumistica e materialistica”, “atto
incivile” (Keep America Beautiful Inc., 2009).
E ancora come qualcosa di “pericoloso”, “offensivo”, “non igienico”,
“durevole nel tempo”, ma anche “abbastanza accettabile” come nel
caso di alcuni graffiti (NSW, 2010). Secondo recenti studi i soggetti
responsabili del littering causano ciò perché: “non credono che l’og-
getto buttato sia un rifiuto”, “una insufficiente pressione sociale”, “non
trovano a portata di mano il cestino/bidone”, “cestini/bidoni già pieni
di rifiuti”, “una pressoché reale assenza di sanzioni”, “ribellione so-
ciale”, “mancanza di conoscenze sugli effetti ambientali del littering”,
“presenza di altri rifiuti abbandonati”, “mancanza di informazione”.
Nonostante questa percezione di “cosa sbagliata” i cittadini intervi-
stati ritengono che il fenomeno è tollerabile in quanto la responsabi-
lità della pulizia ricade su altri (Keep America Beautiful Inc., 2009) e
perché vengono pagate tasse e tariffe per finanziare i servizi di igiene
ambientale.
Il pregiudizio ambientale determinato da tali comportamenti si tradu-
ce in danno economico poiché pone a carico della collettività un costo
29
del servizio di pulizia tanto maggiore quanto più ampio e complesso
diviene il processo produttivo destinato a rimuoverne le conseguenze.
Tra i servizi afferenti l’igiene ambientale che risentono in modo più
rilevante delle esternalità negative, quello riguardante la pulizia del-
le strade e delle aree pubbliche è sicuramente il più vulnerabile (G.
Ghiringhelli, 2010). La gestione del littering e il risanamento delle
discariche abusive comporta quindi costi supplementari rispetto alla
normale gestione dei rifiuti urbani e dell’igiene urbana. L’entità di
questi extra costi non è nota analiticamente e finora non sono state
effettuate nemmeno stime approssimative, in quanto tali costi vengo-
no ricompresi in costi generali di igiene urbana e ripianati attingendo
alle casse comunali e quindi direttamente alle tasche dei cittadini at-
traverso le imposizioni fiscali. Il littering genera quindi costi supple-
mentari diretti e indiretti, di cui si fanno carico per lo più i comuni e
gli enti che gestiscono i trasporti (BAFU, 2011). Al riguardo occorre
anche considerare che negli ultimi anni, come diretta conseguenza
del miglioramento del tenore economico della società italiana e della
maggiore disponibilità di tempo libero, si va sempre più afferman-
do l’esigenza di assicurare all’ambiente urbano (ed extraurbano) una
maggiore vivibilità. Comunemente, tale esigenza viene percepita non
solo in relazione e come conseguenza delle bellezze naturali e della
ricchezza degli elementi architettonici e di arredamento presenti nella
città, ma anche dello stato di pulizia e di decoro del centro storico e
di tutti i luoghi (anche periferici) in cui si realizzano momenti di ag-
gregazione per anziani, famiglie e giovani, per finalità culturali, ludi-
che, sportive o religiose. L’apparente entropia delle dinamiche socio-
ambientali che si verificano in ciascuna area non esclude però che vi
siano tratti fermi e comuni ai vari campioni di umanità interagenti nel
medesimo comprensorio comunale. Per tutti, infatti, esiste la neces-
sità esistenziale di rapportarsi quotidianamente ad alcune certezze: la
propria scuola, il proprio bar, il proprio negozio. Per tutti esiste l’in-
teriore bisogno di “appartenenza” e l’esigenza di sentirsi curati dalle
istituzioni prescelte per governare la città. L’incremento del fenomeno
del littering, l’accresciuta attenzione dei cittadini al decoro dei luoghi
30
di vita o soggiorno e la necessità di ottimizzare la gestione delle risor-
se pubbliche, può rendere il tema della gestione di questi extra costi
di pulizia delle aree pubbliche tutt’altro che marginale (Fondazione
ANCI Ricerche, 2010).
I rifiuti gettati nell’ambiente, oltre a comportate diversi danni di natu-
ra ambientale in senso lato (danno estetico, danno civico ecc.) provo-
cano, per le loro caratteristiche chimiche, biologiche e tossicologiche,
danni anche alla qualità dei suoli o delle acque e in ultima analisi alla
qualità della vita e alla salute umana. Ai fini della protezione dell’am-
biente e della salute sono quindi particolarmente importanti le norme
che regolano la gestione dei rifiuti, in tutte le fasi del loro ciclo di vita:
dalla produzione e immissione nell’ambiente, alla raccolta, al traspor-
to, al trattamento e allo smaltimento finale. Ognuna di queste fasi è
regolata da un apparato normativo cogente; per esempio, tra le norme
che ne regolano la produzione e immissione nell’ambiente, si ricorda
la raccolta differenziata; in fase di smaltimento finale, la legislazione
prevede pene di vario tipo per scoraggiare lo smaltimento indiscrimi-
nato dei rifiuti nell’ambiente. Ad oggi è difficile quantificare l’impatto
sulla salute umana che possono avere i rifiuti nelle varie fasi della
gestione del loro ciclo di vita. Gli studi epidemiologici sinora condotti
non permettono una chiara individuazione di pericoli né tantomeno
una stima del rischio (APAT, 2001).
L’abbandono dei rifiuti è un serio e purtroppo diffuso problema, in
grado di compromettere la qualità dell’ambiente che ci circonda e,
più nello specifico, del suolo e delle acque. Esso incide, come abbia-
mo visto, negativamente sul decoro dei luoghi e del paesaggio che ne
risulta interessato, si ripercuote considerevolmente sui costi della pu-
lizia urbana ed è di norma indice di un degrado ambientale e culturale.
Per queste ragioni, il problema deve essere affrontato in modo attivo e
continuo dalle amministrazioni preposte, e ciò sia in termini preventi-
vi, mediante lo strumento dell’informazione verso la cittadinanza, che
repressivi tramite l’applicazione delle sanzioni che l’ordinamento pre-
vede per il rispetto dei divieti previsti. Occorre quindi ancora una volta
un “approccio integrato”, in cui i diversi stakeholders (enti ai diversi
31
livelli, cittadini e aziende, associazioni ambientaliste, scuole, organi
di polizia e controllo del territorio, solo per citarne alcuni) possano
venire coinvolti per ciascun ambito di competenza per affrontare il
problema in modo corale, coordinato agendo sulle diverse leve possi-
bili (educazione/informazione, controllo/repressione e coordinamento
delle azioni di controllo e pulizia del territorio) massimizzando l’ef-
ficacia e l’efficienza delle sempre più scarse risorse disponibili. Tutti
questi sforzi appaiono paradossali se si pensa che dovrebbe essere e
basterebbe il senso civico a limitare le persone nei comportamenti che
possono recare disturbo. Ma l’educazione civica non si può imporre,
la si insegna con l’esempio, la si impara a scuola, viene imposta dal
buon senso e dalle elementari regole della convivenza civile, regole
talmente limpide e di patrimonio comune che diviene addirittura as-
surdo vederle scritte su di un cartello (The Indipendent, 2008), come
“divieto di abbandono rifiuti”.
1. cosa si abbandona
Ogni tipologia di bene o rifiuto può potenzialmente essere oggetto di
abbandono, e per questo è difficile classificare ed elencare compiuta-
mente tutte le tipologie di rifiuti che è possibile rinvenire nell’ambien-
te. Inoltre occorre considerare che le tipologie di rifiuti cambiano nel
tempo col modificarsi delle abitudini di consumo e con la disponibilità
di nuovi materiali.
Con litter si intendono tutti quei piccoli o medio-piccoli rifiuti gettati
illegalmente in spazi pubblici o privati. I più comuni sono i chewing
gum, le bottiglie e le lattine, le confezioni di bevande, i pezzi di carta e
di vetro, le scatole vuote di sigarette, i sacchetti, gli avanzi di cibo, le
confezioni di alimenti e i piccoli imballaggi in genere.
Nel 2003 l’Università di Basilea ha condotto in 5 città e 16 piazze
ad alta frequentazione un’indagine sulla tipologia di rifiuti oggetto di
abbandono. Questo studio è stato correlato alla situazione dell’Unione
Europea mediante un’altra indagine condotta nel medesimo periodo
dall’Università di Vienna in 5 città europee e in 20 piazze. Il confronto
tra le due indagini non è semplice, poiché gli obiettivi sono differenti:
lo studio di Basilea (SB) suddivide il litter in cluster relativi agli autori
del littering, mentre l’indagine di Vienna (SV) suddivide il littering in
tipologie merceologiche di rifiuti. Le frazioni dello studio di Vienna
sono state trasposte nelle 5 frazioni impiegate dallo Studio di Basilea.
La differenza è data dalle categorie di rifiuti considerate, che nel caso
dello studio di Basilea sono ridotte a 6: imballi bevande, take-away,
giornali e pubblicità, shopper, altro, rifiuti domestici. La quantità di
rifiuti (oggetti di littering) è avvenuta in pezzi e non in peso (Heeo,
2003).
I risultati dello studio di Basilea sono i seguenti:
• il 52% del littering corrisponde a scarti di alimenti da passeggio
(packaging di bevande e prodotti take-away), quasi il 24% sono gior-
nali e materiale stampato;
• il 30% dei rifiuti è stato abbandonato al suolo (littering), mentre il
70% è stato conferito correttamente nei cestini;
33
• il littering delle piazze è avvenuto nonostante la disponibilità di si-
stemi di raccolta;
• la percentuale di littering è in relazione al tipo di piazza;
• non si sono riscontrati rifiuti domestici o ingombranti.
I risultati dello studio di Vienna mostrano come:
• certe tipologie di littering molto sgradite e discusse dai cittadini,
quali le deiezioni di animali e le gomme da masticare, costituiscano
una frazione minoritaria del littering;
• il 93% del littering è fatto da oggetti di dimensione inferiori a 15 cm;
• la frazione di imballaggi era tra il 5% e il 18%;
• il littering è avvenuto nonostante una disponibilità sufficiente di si-
stemi di raccolta.
La composizione del littering è estremamente variabile in entrambe
le ricerche:
• la percentuale maggiore di scarti è dovuta al consumo di alimenti
all’aperto, pari a circa il 50% del litter, di cui la maggioranza è costi-
tuita da prodotti take-away;
• la quota (alta) di giornali e cartacei dello SB non viene confermata
dallo SV.
Le tipologie di rifiuti oggetto di littering sono state classificate e ri-
portate in molti studi, ma una classificazione più dettagliata dei rifiuti
potenzialmente oggetto di abbandono viene fornita da uno studio ef-
fettuato negli Usa (Keep America Beautiful Inc., 2009).
È possibile trarre informazioni indirette sulla composizione dei rifiuti
gettati in strada anche attraverso un’indagine merceologica del ma-
teriale di risulta dei servizi di pulizia del suolo pubblico. I risultati
riportano (ATIA, 2004):
• rifiuti ricorrenti (carte, cartoni e lattine), dovuti essenzialmente all’in-
disciplina degli utenti, che fanno pulizia e gettano i rifiuti in strada; tali
rifiuti si accumulano nelle strade in determinate ore del giorno e quasi
sempre in punti ben precisi (scuole, uffici, luoghi di ritrovo ecc.);
34
• rifiuti casuali (pacchetti vuoti di sigarette e fiammiferi, biglietti,
escrementi di animali);
• rifiuti eccezionali, intendendo come tali tutti quei materiali, in ge-
nere abbastanza voluminosi, che l’utente sporadicamente abbandona
sulla strada.
Sono stati fatti poi specifici approfondimenti su particolari tipologie
di rifiuto, come il caso dei contenitori per bevande o gli imballaggi in
genere, al fine di consentire una valutazione più appropriata dell’origi-
ne stessa del fenomeno (Keep America Beautiful Inc., 2009). Gli studi
effettuati in Irlanda consolidano i dati già illustrati (figura 1.1).
tabella 1.1 classificazione dei rifiuti oggetto
	 di abbandono
Materiale	 Tipologia di rifiuto	 Materiale	 Tipologia di rifiuto
Carta	 Sacchetti di carta	 Plastica	 Bottiglie
	 Carta da ufficio		 Flaconi
	 Giornali e inserti		 Sacchi e sacchetti
	 Riviste e libri		 Film e pellicole
	 Volantini e cartoline		 Contenitori per cibo
	 Imballaggi		 Imballaggi
	 Tovaglioli di carta		 Altri
	 Altri	Metalli	 Lattine
Vetro	 Bottiglie		 Barattoli
	 Vasi		 Posate
	 Altri		 Alluminio
Vari	 Rifiuti pericolosi		 Altri
	 Detriti stradali	 Inerti	 Materiale da demolizione
	 Tessili		 Terra
	 Mozziconi	 Organico	 Scarti di cibo
	 Altri		 Scarti verdi
Fonte: Keep America Beautiful Inc., 2009.
35
Gli studi più datati sul littering, che risalgono alla fine degli anni Ses-
santa e all’inizio degli anni Settanta, riportavano già la sua compo-
sizione media riferita alle zone residenziali e commerciali, eviden-
ziando come la percentuale dei rifiuti abbandonati corrispondesse per
il 50% alla carta, per il 20% agli imballaggi in carta, per il 12% alle
lattine per bevande e per il rimanente alle bottiglie di vetro rotte (R.N.
Clark, 1972). L’assenza della plastica e il fatto che i mozziconi di
sigaretta, sicuramente presenti, non fossero stati censiti, ci informano
sia sulla diversa composizione dei rifiuti sia sulla differente sensibilità
dei rilevatori del fenomeno.
figura 1.1 esempio di composizione del littering
	suddiviso per macro categorie
Mozziconi di sigaretta 48,06%
Scarti di pasti 30,81% Packaging 14,56%
Carta 4,00%
Varie 0,92%
Rif. pericolosi 0,72%
Plastica 0,47%
Rifiuti inerti 0,46%
Fonte: TES Consulting Engineers, 2005.
36
Una prima distinzione tra le diverse tipologie di rifiuti è tra i rifiuti
organici e quelli non organici. La caratteristica dei rifiuti organici è
che sono biodegradabili.
La biodegradabilità è la proprietà di sostanze organiche e di altri com-
posti sintetici di essere decomposti dai microorganismi, garantendo il
naturale equilibrio ecologico. Purtroppo non tutte le sostanze sono bio-
degradabili (o lo sono solo in tempi lunghissimi), per esempio la pla-
stica, e rimangono immutate in natura contribuendo all’inquinamento
del terreno. I prodotti biodegradabili, invece, se lasciati nell’ambiente
possono essere metabolizzati e quindi eliminati, sebbene i tempi di
questo processo possano essere estremamente lunghi (APAT, 2006).
I tempi di decomposizione segnalati in tabella 1.2 per i vari tipi di
rifiuto sono puramente indicativi e dipendono fortemente dalle condi-
tabella 1.2 tempi medi di degradazione di alcuni rifiuti
Prodotto	 Tempi di	 Composizione organica
	degradazione
Fazzoletti di carta	 3 mesi	 Cellulosa
Sigarette senza filtro	 3 mesi	 Cellulosa e tabacco
Torsolo di mela	 6 mesi	 Acqua, zucchero, cellulosa
Fiammiferi	 < 1 anno	 Legno e zolfo
Cerini	 > 1 anno	 Stelo con stearina o paraffina
Sigarette con filtro	 2 anni	 Acetato di cellulosa
Bucce di banana	 > 2 anni	 Acqua, zucchero, cellulosa
Giornali	 10 anni	 Cellulosa
Lattine per bibite	 Da 10 a 100 anni	 Alluminio
Accendino	 100 anni	 Plastica e metallo
Bottiglie di plastica	 Da 100 a 1.000 anni	 Polietilene e policloruro di vinile
Sacchetto di plastica	 Da 100 a 1.000 anni	 Polietilene
Polistirolo	 1.000 anni	 Stirolo polimerizzato
Carta telefonica	 1.000 anni	 Polietilene e plastica
Vetro	 4.000 anni	 Sabbia silicea e soda
Fonte: ACR, 2009.
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zioni ambientali in cui avvengono e dai fattori che la causano. Infatti,
la degradazione può essere influenzata dall’azione del sole, dell’acqua,
degli esseri viventi, dei batteri, dei funghi ecc. (ACR, 2009).
Per quanto riguarda invece la tipologia di rifiuti oggetto di abbandono
possiamo riportare i dati del sistema web-GIS “Pulizia Sconfinata”,
attraverso il quale sono state raccolte le segnalazioni di abbandono in
Provincia di Varese e a ciascuna di esse è stato abbinata una specifica
descrizione delle tipologie di rifiuti abbandonati (Provincia di Varese,
2011).
Sono i rifiuti urbani domestici a essere i più frequentemente abban-
donati (44%), seguiti da macerie e inerti da attività edile (15%), in-
gombranti da abitazioni civili (12%) e pericolosi (16%), che, rispetto
agli urbani, richiedono una procedura più onerosa per essere smaltiti
a norma di legge.
figura 1.2 rifiuti abbandonati per tipologia
Urbani da civili abitazioni/domestici
160
140
120
100
80
60
40
20
0
Fonte: Provincia di Varese, 2011; www.provincia.va.it.
Speciali non pericolosi da attività industriali
Speciali non pericolosi da costruzione/demolizione Speciali non pericolosi da manutenzione di
orti e giardini
Ingrombranti da civili abitazioni
Pericolosi (eternit, vernici ecc.) RAEE
44%
8%
15%
2%
12%
3%
16%
2. dOvE E quANTO sI ABBANdONA
Ogni luogo urbano o periferico, privato o pubblico può subire l’ab-
bandono di rifiuti. Una prima suddivisione delle aree di interesse del
fenomeno dell’abbandono dei rifiuti può essere categorizzata identifi-
cando aree urbane ed extra urbane. In Irlanda è stata effettuata analiti-
camente questa valutazione con risultati interessanti (TES Consulting
Engineers, 2005).
In studi qualitativi sono state classificate le aree prevalentemente og-
getto del fenomeno del littering (NSW, 2010), ovvero:
• aree prossimali a siti residenziali (bordi delle strade, piazze, vicoli,
o aree private non custodite ecc.);
• spiagge e aree lungo corsi d’acqua;
• aree industriali;
• posteggi per le automobili;
• zone prossimali a centri commerciali;
• parchi pubblici;
• autostrade;
• strade secondarie;
• aree rurali nei dintorni delle città.
Il piccolo rifiuto buttato in modo improprio per eccellenza è il moz-
zicone di sigaretta. Studi presentati dalla British American Tobacco
nel 2001 quantificano a 7,2 miliardi le sigarette abbandonate lungo
le strade e le campagne australiane, fino al 50% del littering totale
(Warne, 2005).
Per capire l’entità del fenomeno dal punto di vista quali-quantitativo
e della sua localizzazione prevalente si veda la figura 2.1, nella quale
è illustrata la quantità media di rifiuti da littering su una superficie di
1.000 m2
(NSW, 2010).
Negli Usa gli studi più recenti stimano che sulle nation’s roardway
vengono abbandonati ogni anno oltre 51,2 miliardi di rifiuti. Di que-
sti, il 91% ha una dimensione inferiore ai 10 cm mentre il 9% ha una
dimensione superiore. Per quanto riguarda la composizione dei rifiuti
39
si evidenzia come i resti generati dai fumatori (in primis i mozziconi
di sigaretta) siano il 37,7% dei rifiuti oggetto di abbandono, seguiti da
carta e imballaggi (Keep America Beautiful Inc., 2009).
I metodi di quantificazione sono comunque complessi e in larga parte
empirici, soprattutto quando devono definire il grado o livello di in-
tensità del fenomeno su una data area o tratto di strada. La maggior
parte degli studi si basa sull’esame di aree campione e l’esecuzione
di rilievi puntuali al fine di determinare le quantità e le tipologie dei
materiali (Keep America Beautiful Inc., 2009).
Uno studio più completo effettuato in Irlanda nel 2005 a cura del Go-
verno cerca di correlare differenti luoghi fisici o luoghi di comporta-
mento tipici del fenomeno dell’abbandono cercando di determinarne
anche il peso relativo (TES Consulting Engineers, 2005).
Centro commerciale
Spiaggia
figura 2.1 volume e numero di rifiuti medi
	 abbandonati in diverse aree
Numero oggetti
Volume
(l.)
30
25
20
15
10
5
0
Fonte: NSW, 2010.
Parco
Zona residenziale
Mercato
Posteggio
Autostrada
Zona industriale
	 20	40	60	80	
100	
120	
140	
160
3. chi abbandona
Nell’anno 2002 Keep Britain Tidy, un’associazione ambientalista pro-
motrice di campagne antilittering, ha commissionato una ricerca di
mercato sul rapporto degli adolescenti con il littering (Nelson, 2004).
Questa inchiesta andava di pari passo con una campagna contro il lit-
tering diretta ai giovani. I focus group e le interviste in profondità
effettuate a ragazzi tra i 13 e i 16 anni avevano l’obiettivo di conoscere
il loro comportamento nei confronti dell’abbandono dei rifiuti e nel
ricercare la presenza di attitudini comuni alla fascia d’età. Il lavoro
offre una serie di spunti su cui ragionare, inoltre mostra il mondo dalla
prospettiva dei minorenni.
Gli adolescenti classificano rifiuti come carte, sacchetti delle patati-
ne, bottiglie di plastica meno impattanti rispetto ad altri oggetti; sono
quindi più propensi a gettare per strada questi prodotti insieme a latti-
ne, carte di caramelle, pezzi di carta, gomme da masticare.
A differenza degli adulti, i ragazzini non hanno problemi ad ammet-
tere che buttano rifiuti per strada, soprattutto quando sono in gruppo
e non in presenza di persone di età maggiore. Lo fanno per pigrizia,
perché ci sono pochi cestini dell’immondizia o perché questi ultimi
sono sporchi o pieni. Questi comportamenti sono pressoché comuni a
tutti gli adolescenti per residenza urbana o rurale.
L’istituzione scolastica fornisce una serie di stimoli educativi e civili
che portano il giovane ragazzo a una mentalità favorevole all’ambien-
te, tuttavia queste convinzioni diventano più fragili nel momento in cui
l’adolescente si trova tra i suoi coetanei. Il littering può essere com-
parato ad altre forme di ribellione giovanile come il fumare o il bere
alcolici, che gli adolescenti non considerano come troppo dannose.
La campagna di Keep Britain Tidy del 2002 non riscosse molto suc-
cesso e per questo l’anno successivo vennero rivisti il suo indirizzo e
le sue modalità d’impostazione. Una delle ragioni degli scarsi risultati
ottenuti fu l’approccio “da adulto a giovane” con cui la campagna
venne condotta, considerata dagli adolescenti come troppo condiscen-
dente e paternalista.
41
Il dipartimento texano dei trasporti ha commissionato negli anni dei
sondaggi sull’impatto delle campagne anti-littering “Don’t Mess with
Texas” e sul rapporto dei cittadini nei confronti del littering (Texas
State, 2009).
Nell’ultima ricerca risalente al 2009 sono stati interessati 1.255 citta-
dini con età maggiore di 16 anni, rappresentativi dell’intero stato del
Texas. Per contattare questa popolazione si è utilizzato lo strumento
telefonico e internet. Nel lavoro sono stati classificati recent litterers
coloro che hanno buttato rifiuti per terra negli ultimi tre mesi, mentre
gli individui che hanno gettato oggetti in modo illecito nell’ultimo
mese sono gli active litterers. Le prime informazioni certificano la
conoscenza da parte degli intervistati della campagna statale “Don’t
Mess with Texas” e dei suoi contenuti: rispettivamente il 95% e l’82%
delle persone risponde in modo affermativo.
In comparazione con lo stesso sondaggio effettuato nel 2007, il nu-
mero dei recent litterers è sceso dal 43% al 31%. I texani che si qua-
lificano active litterers sono il 42% della popolazione intervistata; il
54% di loro dichiara di aver gettato rifiuti mentre era in auto. Quasi
il 70% della rilevazione ammette il littering almeno una volta nella
propria vita, mentre il 30% ha “accidentalmente” abbandonato rifiuti
in maniera impropria. Anche se può sembrare una contraddizione, più
di un terzo degli active litterers suggerisce l’inasprimento delle leggi
e delle sanzioni contro chi pratica il littering.
Secondo uno studio effettuato sempre dal dipartimento texano dei tra-
sporti (Texas State, 2009), il 62% dei fumatori dichiara che quando è
in auto getta mozziconi di sigaretta e altri piccoli rifiuti dal finestrino
della propria automobile; per questo comportamento i fumatori ven-
gono chiamati tobacco litterers.
Il comportamento illustrato permette di comprendere come le abitu-
dini legate a un particolare gesto quotidiano (in questo caso il getta-
re a terra il mozzicone della sigaretta) si rifletta sul comportamento
dell’individuo anche in altri contesti, per cui il gesto di buttare dei
rifiuti per terra rientra nella quotidianità e nella familiarità.
Sulle strade statunitensi è stato effettuato uno studio per identificare
42
le macro categorie di utenti responsabili del fenomeno dell’abban-
dono. È emerso quindi che il 76% del littering è operato da pedoni
(22,8%) e automobilisti (52,8%) (figura 3.1; Keep America Beautiful
Inc., 2009).
Uno studio negli Usa ha dimostrato che gli uomini hanno una pro-
pensione all’abbandono due volte superiore rispetto alle donne, che
i giovani hanno una propensione al littering due volte superiore alle
persone di oltre trent’anni e addirittura tre volte superiore a chi ha più
di 50 anni (R.N. Clark, 1972).
Centro commerciale
Spiaggia
figura 3.1 origine aggregata deL Littering
SuLLe Strade StataLi in uSa
Centro commerciale
Spiaggia
Fonte: Keep America Beautiful Inc., 2009.
Contenitori vari 1,50%
Automobilisti 52,80%
Pedoni 22,80%
Detriti 2,30%
Sconosciuti 4,10%
Perdite da veicoli 16,40%
4. perché si abbandona
Sono stati effettuati studi quantitativi sulla propensione al littering in
diverse situazioni, partendo dalla teoria deduttiva che le norme sociali
influiscono sul comportamento dei soggetti. Differenziando le norme
sociali di tipo ingiuntivo (ciò che una cultura approva o disapprova
sono esempi di normative impositive) e le norme descrittive (sono
normative che suggeriscono il comportamento appropriato che molti
soggetti seguono in un determinato momento imitando altri individui),
il risultato degli studi afferma che:
•	le norme descrittive favoriscono comportamenti pro-sociali solo in
ambienti puliti;
•	attivando norme di tipo descrittivo, il littering non diminuisce se ci
sono altri rifiuti per terra.
In uno spazio controllato con l’aumentare dei rifiuti cresce la pro-
pensione dell’individuo al littering e diminuisce il tempo di latenza
con cui il soggetto butta il rifiuto illecitamente. Tuttavia attivando
nei soggetti osservati norme ingiuntive, l’attenzione si sposta da un
comportamento antisociale a pro-sociale. Infatti i soggetti che sono
stati esposti a una maggiore coscientizzazione antilittering tendono a
sporcare meno in ambienti puliti, mentre gettano più rifiuti dov’è già
sporco. L’individuo che pratica il littering di solito sporca meno in un
ambiente pulito (Cialdini R., 1990).
In generale da questi lavori di psicologia sociale si evidenzia l’impor-
tanza di attivare norme che influenzino il comportamento umano, ma
perché poi questo tipo di norme ottengano reale efficacia l’individuo
deve considerarle importanti e interiorizzarle. Spesso le norme sociali
di tipo ingiuntivo/impositivo appaiono più efficaci nel modificare il
comportamento delle collettività verso l’antilittering.
Altri studiosi (Sibley, 2003) focalizzano la propria attenzione allo
specifico littering che avviene vicino ai cestini stradali gettacarta. Il
loro studio è stato volto a dimostrare l’efficacia di differenti tipi di
messaggio e l’attivazione di diverse tipologie di norme persuasive. In
44
particolare si vuole individuare quale classe di norma – sociale ingiun-
tiva, sociale descrittiva o personale – abbia un maggiore effetto nella
percezione dei comportamenti di littering o antilittering.
La norma personale o interiorizzante differisce da quelle sociali per-
ché essa si basa sul concetto di sé e su valori prettamente individuali.
In questo studio quantitativo sono state incrociate quattro norme (so-
ciali ingiuntive vs. sociali descrittive vs. personali vs. controllo) per
due tipologie di attivazioni (implicite vs. esplicite) che giudicano so-
cialmente una persona nell’atto dell’abbandonare un rifiuto in un luo-
go pubblico (modello 4X2).
Il disegno di ricerca prevede il posizionamento di cestini dell’immon-
dizia recanti i seguenti messaggi con attivazione esplicita:
•	norma sociale ingiuntiva: “Questo è quello che dovrebbe essere fatto
qui!”;
•	norma sociale descrittiva: “Mantieni la città pulita”;
•	norma personale: “Lasci i tuoi rifiuti in giro?”;
•	controllo: nessun messaggio applicato al cestino.
I cestini con attivazione implicita non contengono scritte ma disegni
che simboleggiano i messaggi riferiti alle norme qui sopra riportate.
I risultati ottenuti da un campione casuale di 315 cittadini della città
di Eindhoven (in Olanda) mostrano che l’attivazione di tipo esplici-
to (messaggi/slogan sui cestini gettacarta) è più efficace rispetto a
quella implicita (simboli sui cestini gettacarta). Gli effetti delle varie
tipologie di norma non sono rilevantissime nei confronti dell’atteg-
giamento del campione di cittadini osservato, anche se il dato inte-
ressante è che la norma sociale ingiuntiva pare la più efficace nel
giudizio dei cittadini. In seconda battuta risulta influente le norma
personale e, dopo il “controllo”, appare l’incisività inferiore della
norma descrittiva. Nel lavoro rimane aperta la questione se gli effetti
dell’attivazione di forti norme esplicite siano generalizzabili per di-
scentivare il littering.
Altri studi hanno affinato l’effetto di norme esplicite nei confronti di
quelle implicite secondo l’età:
45
•	oltre a praticare un basso littering, le persone oltre i 40 anni sono più
influenzabili da norme esplicite (per esempio messaggi testuali);
•	individui tra i 20 e i 40 anni risultano anch’essi sensibili all’attiva-
zione di norme esplicite;
•	le persone più giovani sono maggiormente propense al littering ri-
spetto alle altre fasce d’età, inoltre non paiono influenzabili ad alcun
tipo di attivazione normativa.
Alcuni ricercatori (Sibley, 2003) propongono un modello a due stadi
comportamentali di chi pratica il littering in luoghi pubblici: attivo e
passivo. La differenziazione tra il comportamento attivo (per esempio,
qualcuno che lascia cadere il rifiuto al suolo e continua a tranquilla-
mente camminare) e quello passivo (per esempio, qualcuno che ab-
bandona rifiuti sulla panchina dove è seduto e non lo rimuove quando
se ne va) è influenzata dall’intervallo di tempo tra il momento in cui
la spazzatura è abbandonata nell’ambiente e la mancata rimozione del
rifiuto quando si lascia il territorio.
I risultati hanno suggerito che l’inquinamento passivo è più resistente
al cambiamento, cioè si tratta di un comportamento più difficile da
modificare di quello attivo.
L’effetto di attivare e posizionare nell’ambiente messaggi e avvisi pro-
sociali volti alla pulizia ha ridotto in modo significativo la sporcizia
da sigarette del 17% (20% di riduzione nel comportamento attivo, au-
mento del 6% di quello passivo) e la sporcizia da altre fonti del 19%
(0% di cambio nel comportamento attivo in quanto i livelli di partenza
erano già minimi, riduzione del 25% di quello passivo).
Precedenti analisi di psicologia sociale affermano l’importanza degli
incentivi per dissuadere il littering da parte degli individui e il costo di
queste pratiche sostenuto dalle amministrazioni locali e statali. Risulta
quindi più economico agire su comportamenti pro-ambiente e antilit-
tering investendo sull’educazione della società.
Dal punto di vista qualitativo è possibile elencare le principali ragioni
che portano un individuo a gettare i rifiuti nell’ambiente:
•	non ci sono cestini nelle vicinanze;
46
•	imitazione del comportamento di amici;
•	non voglio i rifiuti nella mia auto e quindi li getto dal finestrino;
•	mi cadono accidentalmente piccoli rifiuti;
•	vedo dei rifiuti o zone sudice e quindi mi sembra naturale gettare i
rifiuti.
Una classificazione delle motivazioni effettuata e ordinata secondo la
rilevanza del fenomeno alla base della motivazione del littering riporta
le seguenti risultanze (Keep America Beautiful Inc., 2009):
•	temperature ambientale;
•	orario;
•	disponibilità e distanza di cestini o luoghi predisposti per ricevere
rifiuti;
•	quantità di sporcizia e rifiuti presenti;
•	aspetto fisico dell’area;
•	presenza di cartelli contro l’abbandono rifiuti;
•	presenza di persone;
•	tempo atmosferico;
•	tipo di area (rurale, urbana, sub-urbana ecc.);
•	tipo di luogo (centro cittadino, fast food ecc.).
La dimostrazione che la distanza da cestini e altre strutture previste
per accogliere i rifiuti sia un elemento discriminante per la scelta
se gettare i rifiuti emerge da osservazioni e studi specifici sul tema
(figura 4.1).
Le differenti motivazioni possono poi essere categorizzate e alcuni
studi sono riusciti a fornire una valutazione semi-quantitativa che per-
mette di raccogliere informazioni legate all’età e al contesto sociale:
•	persone sotto i 15 anni difficilmente sporcano con i rifiuti;
•	individui sotto i 25 anni gettano rifiuti più facilmente quando sono
in gruppo;
•	individui sopra i 25 anni sporcano più facilmente quando sono soli;
•	persone tra i 15 e 24 anni hanno una maggiore disposizione a gettare
rifiuti rispetto agli adulti;
47
•	il littering è influenzato dal contesto sociale;
•	donne e uomini gettano rifiuti in quasi eguale maniera, con una leg-
gera maggioranza da parte del genere maschile.
Altre ragioni per cui l’individuo elimina un rifiuto in modo improprio
sono:
•	per azione deliberata e precisa (a volte il rifiuto viene posizionato in
un luogo specifico e prescelto);
•	molti danno un differente significato alla tipologia del rifiuto;
•	la presenza di altri rifiuti abbandonati provoca comportamenti di
imitazione della devianza sociale.
Il questionario “Rifiuti al loro posto – Provincia di Varese” del 2007
somministrato ai comuni dell’omonima provincia (cui hanno rispo-
sto 79 comuni su 141) ha evidenziato molte analogie rispetto ai dati
rilevati dall’analisi della documentazione empirica dei media appena
affrontata (G. Ghiringhelli, 2008).
figura 4.1 origine aggregata del littering
	sulle strade statali in usa
Fonte: Keep America Beautiful Inc., 2009.
Propensione
al
littering
Distanza cestino in metri
35%
30%
25%
20%
15%
10%
5%
0%
0	 10	20	30	40	50	60	70	80
48
Le cause dell’abbandono dei rifiuti nel territorio sono elencate in or-
dine di importanza:
•	inciviltà/mancanza di senso civico o educazione;
•	difficoltà a individuare i colpevoli dell’abbandono;
•	elevato costo di smaltimento per alcune tipologie di rifiuto;
•	scarsa conoscenza delle modalità o dell’orario di apertura dell’isola
ecologica comunale;
•	migrazione di rifiuti da altri comuni;
•	lavoro nero;
•	aree private incustodite e isolate;
•	difficoltà ad applicare sanzioni adeguate e mancanza di controllo;
•	alta densità turistica specialmente nel fine settimana e d’estate;
•	presenza di cittadini extra comunitari e nomadi.
Innanzitutto ricompare la necessità di ristrutturare/ampliare le infor-
mazioni sulla raccolta differenziata, il problema dello smaltimento
oneroso di alcune tipologie di materiale come l’eternit, la volontà di
incrementare le sanzioni e la frustrazione nella difficoltà di individua-
re i colpevoli delle infrazioni.
Il questionario ai comuni ripetuto nel 2012 all’interno del progetto
“Insubria Pulizia Sconfinata” (Terraria Srl, 2012) attraverso un siste-
ma on-line ha fornito le risposte a due domande. La prima domanda
chiede di indicare le possibili cause del fenomeno di abbandono ri-
scontrate nel proprio territorio. Complessivamente sono state indicate
217 preferenze (era possibile segnare da 1 a 3 preferenze). Come mo-
stra la figura 4.2, le principali cause del fenomeno sono da ricondurre
alla mancanza di senso civico o educazione di cittadini e imprese/
imprenditori (24%), all’incuria e alla scarsa sensibilità sociale (18%),
alla mancanza di rispetto delle regole (15%) e all’abitudine di gettare
i rifiuti (pacchetti di sigarette ecc.) dal finestrino. Per l’11% dei casi
la motivazione è anche da ricercarsi nella scarsa visibilità delle aree
preposte al conferimento dei rifiuti.
La seconda domanda ha come oggetto gli elementi che favoriscono i
fenomeni di abbandono nel proprio territorio. Complessivamente sono
49
state indicate 67 preferenze; l’elemento principale che favorisce il fe-
nomeno è il traffico transfrontaliero tra la Svizzera e l’Italia, indicato
nel 51% dei casi; a seguire, con il 30% delle preferenze, il lavoro nero
in edilizia e nella manutenzione del verde e, con il 10%, l’insufficiente
orario di apertura dell’isola ecologica/ecocentro comunale.
figura 4.2 risposte dei comuni al questionario del
	progetto “insubria pulizia sconfinata”
30%
25%
20%
15%
10%
5%
0%
Fonte: Terraria Srl, “Insubria Pulizia Sconfinata”, 2012.
Altro
18%
2%
15%
24%
6%
1%
15%
11%
2%
0,5% 0,5%
1%
Non comprensibili e quindi non note
Aree isolate/scarsamente visibili
Aree parzialmente illuminate/mancanza di illuminazione
Aree private incustodite
Abitudine a gettare i rifiuti (pacchetti di sigarette ecc.) dal finestrino
Vandalismo
Cittadini extra-comunitari e nomadi che ignorano le regole di gestione dei rifiuti
Migrazione di rifiuti da altri comuni non dotati di isola ecologica o ecocentro comunale
Mancanza di rispetto delle regole
Scarsa conoscenza delle modalità o dell’orario di apertura dell’isola ecologica o ecocentro comunale
Incuria e scarsa sensibilità sociale
5. l’abbandono di rifiuti ingombranti
L’illegal waste dumping è l’abbandono abusivo di rifiuti di media-
grande dimensione nel territorio. Rispetto al litter la differenza si
quantifica sulla grandezza del rifiuto e – nella maggioranza dei casi
– rispetto al luogo di deposito. Riesce facile comprendere che grandi
quantitativi di materiale vengano più facilmente abbandonati in luoghi
dove lo spazio sia maggiore e i controlli minori (aree rurali, boschi,
periferie ecc.).
L’illegal waste dumping varia dai piccoli sacchetti di spazzatura nella
realtà urbana a grandi quantità di rifiuti vari (ingombranti – materassi,
lavatrici, mobili ecc. – inerti e macerie, pneumatici, bidoni, lastre di
amianto ecc.) lasciate nei boschi o in altre aree isolate.
Il Department of Environment and Conservation, Sustainability Pro-
grams Division del Governo del New South Wales australiano ha
effettuato nel 2003 una ricerca di tipo qualitativo e quantitativo sui
comportamenti e gli atteggiamenti nei confronti dell’abbandono di ri-
fiuti (Department of Environment and Climate Change NSW, 2008).
Si tratta di uno dei pochi, ma importanti, lavori specifici nel campo
dell’illegal waste dumping.
Cercando una comprensione razionale delle motivazioni dell’agire
(verstehen: esame partecipativo e interpretativo di un fenomeno so-
ciale), il disegno della ricerca interessa abitanti di case multifamiliari
residenti nello stato. La fase qualitativa è consistita nella realizzazione
di 10 focus group, mentre quella quantitativa si è basata su 600 intervi-
ste, coinvolgendo in entrambi i casi campioni di persone.
I risultati hanno offerto i seguenti dati:
•	in generale gli abitanti non considerano una questione prioritaria
l’abbandono di rifiuti;
•	diversi intervistati riconoscono che la pratica dell’abbandono di ri-
fiuti nei dintorni delle loro abitazioni avviene, ma non credono sia
totalmente illegale;
•	lo smaltimento illegale di scarti è, a volte, una facile scelta perché:
– è vista come norma sociale (intesa come una consuetudine);
51
– non vengono effettivamente applicate pene pecuniarie;
– le amministrazioni pubbliche locali provvedono puntualmente ad
asportare i rifiuti abbandonati;
•	anche se il dumping può essere percepito come sbagliato, esso non è
considerato una devianza sociale al pari di altre attività illegali;
•	il fatto che le autorità sembrino quasi accettare la situazione (rimuo-
vendo il problema, non imponendo multe, non allertando gli abitanti)
rinforza la leggerezza di percezione della questione da parte dei cit-
tadini;
•	non esistono consistenti correlazioni tra gli atteggiamenti e i com-
portamenti dei cittadini.
6. l’abbandono di rifiuti organizzato
“Ecomafia” è un neologismo coniato da Legambiente che indica quei
settori della criminalità organizzata che hanno scelto il traffico e lo
smaltimento illecito dei rifiuti, l’abusivismo edilizio e le attività di
escavazione come nuovo grande business in cui stanno acquistando
sempre maggiore peso anche i traffici clandestini di opere d’arte ru-
bate e di animali esotici. Dal 1994 l’Osservatorio nazionale ambiente
e legalità di Legambiente svolge attività di ricerca, analisi e denuncia
del fenomeno in collaborazione con tutte le forze dell’ordine (Arma
dei Carabinieri, Corpo forestale dello Stato e delle Regioni a statuto
speciale, Capitanerie di porto, Guardia di finanza, Polizia di Stato, Di-
rezione investigativa antimafia), con l’istituto di ricerche Cresme (per
quanto riguarda il capitolo relativo all’abusivismo edilizio), con i ma-
gistrati impegnati nella lotta alla criminalità ambientale e gli avvocati
dei Centri di azione giuridica di Legambiente (Legambiente, 2012).
Sono passati oltre dieci anni dalla prima ordinanza di custodia cautela-
re emessa per traffico illegale di rifiuti nel nostro paese. Era il 13 feb-
braio del 2002 e a farla scattare fu l’operazione Greenland, coordinata
dalla Procura della Repubblica di Spoleto e condotta dal Comando tu-
tela ambiente dell’Arma dei Carabinieri. Oggi, le inchieste sviluppate
grazie al delitto di “attività organizzate per il traffico illecito di rifiu-
ti” (art. 260 del Dlgs 152/2006, ex art. 53 bis del “Decreto Ronchi”)
sono diventate 191 e le ordinanze di custodia cautelare 1.199, quasi
una ogni tre giorni. Le procure che hanno indagato sono diventate
85, nelle inchieste hanno operato tutte le forze dell’ordine, dal Cor-
po forestale dello Stato alla Guardia di finanza, dalla Polizia di Stato
alla Direzione investigativa antimafia fino alle Capitanerie di porto
e all’Agenzia delle dogane. Numeri e risultati importanti, che hanno
consentito di svelare scenari inediti e di “fotografare” un fenomeno,
quello dei traffici illegali nel nostro paese e su scala internazionale (22
gli stati esteri coinvolti), che rappresenta un’autentica minaccia per
l’ambiente, la salute dei cittadini, l’economia. Basti pensare al fatto
che le aziende coinvolte nelle indagini sono state ben 666, con 3.348
53
persone denunciate. E che in un solo anno, il 2010, sono state seque-
strate oltre 2 milioni di tonnellate di rifiuti speciali e pericolosi gestiti
illegalmente. Si tratta della punta, relativa ad appena 12 inchieste su
30, di una vera e propria “montagna di veleni”.
I numeri diventano ancora più impressionanti estendendo la rileva-
zione agli ultimi dieci anni: in 89 indagini su 191, cioè meno della
metà di quelle effettuate, le forze dell’ordine hanno sequestrato più di
13 milioni e 100 mila tonnellate di rifiuti: una strada di 1.123.512 tir,
lunga più di 7 mila chilometri, (l’intera rete autostradale italiana ne
misura 7.120). Da capogiro anche il volume di affari stimato da Le-
gambiente: 3,3 miliardi di euro nel solo 2010 e ben 43 miliardi negli
ultimi dieci anni.
Sono 39 i clan mafiosi, censiti fino a oggi nei rapporti Ecomafia di
Legambiente, scoperti in attività nel ciclo illegale dei rifiuti. I risultati
investigativi raggiunti in tutte queste inchieste hanno messo in luce il
dietro le quinte della gestione illecita degli scarti, un fenomeno che si
dipana senza soluzione di continuità su tutto il territorio nazionale, e
oltre confine, scalzando il luogo comune secondo cui interesserebbe
solo il Sud. Di certo, le regioni del Sud hanno il primato della presen-
za capillare delle mafie tradizionali e molte indagini hanno mostrato
l’egemonia diretta dei clan nel traffico dei rifiuti (Legambiente, 2011).
7. che danni causa l’abbandono di rifiuti
I problemi causati dal comportamento incivile di alcuni cittadini che
abbandonano i rifiuti nell’ambiente sono di ordine igienico-sanitario
oltre che ambientale ed evidentemente anche economico. I costi per
recuperare i rifiuti abbandonati o per bonificare le discariche abusive
vanno, infatti, a sommarsi a quelli relativi alla normale attività di rac-
colta e smaltimento di rifiuti e ricadono sulla collettività. A ciò va poi
aggiunto il danno ingenerato dal degrado estetico delle strade e del
territorio in genere, particolarmente rilevante in paesi, come l’Italia e
la Svizzera, che fanno del turismo e della bellezza del suo territorio
un elemento chiave del futuro sviluppo economico (G. Ghiringhelli,
2008). È possibile riassumere i danni causati dal fenomeno dell’ab-
bandono e dal littering in queste categorie sintetiche:
•	ambientale diretto (per esempio l’inquinamento del suolo o l’ucci-
sione di qualche animale che si ciba dei rifiuti abbandonati);
•	ambientale indiretto (per esempio causato dalla trasformazione dei
rifiuti nell’ambiente);
•	sanitario (per il pericolo di sviluppo di infezioni legate alle condizio-
ni igieniche delle aree soggette ad abbandono rifiuti);
•	estetico;
•	culturale, in quanto l’abitudine a gettare i rifiuti riduce la sensibilità
dei cittadini nel rispetto dell’ambiente e della cosa pubblica in genere;
•	sicurezza (per esempio i mozziconi di sigaretta gettati nell’ambiente
possono essere causa di incendi, possono otturare i tombini stradali e
provocare allagamenti);
•	economico diretto, per i costi di rimozione e pulizia dei luoghi;
•	economico indiretto, per i problemi di immagine e gli investimenti
necessari per il controllo e prevenzione del fenomeno.
8. che impatto ambientale causa
l’abbandono di rifiuti
Da alcuni decenni, nei paesi industrializzati, le politiche sanitarie cen-
trali e locali si vanno indirizzando con sempre maggior forza sul con-
trollo dei determinanti non sanitari della salute (fattori genetici, stili di
vita, condizioni di vita e di lavoro, contesto generale socio-economico,
culturale e ambientale ecc.); nel nostro paese, già da molto tempo, tali
politiche hanno tenuto in grande considerazione i problemi connessi
alla produzione e allo smaltimento dei rifiuti.
Nelle varie fasi della gestione dei rifiuti possono verificarsi fenomeni
di rilascio nell’ambiente di sostanze chimiche sia in aria, che in suolo,
che nell’acqua, oltre che di contaminazione microbiologica, con po-
tenziali effetti dannosi sulla salute.
Ai fini della protezione dell’ambiente e della salute sono quindi par-
ticolarmente importanti le norme che regolano la gestione dei rifiuti,
in tutte le fasi del loro ciclo di vita: dalla produzione e immissione
nell’ambiente, alla raccolta, trasporto, trattamento e smaltimento fina-
le. Ognuna di queste fasi è regolata da un apparato normativo cogente;
per esempio, tra le norme che ne regolano la produzione e immissione
nell’ambiente, si ricorda la raccolta differenziata; in fase di smalti-
mento finale, la legislazione prevede pene di vario tipo per scoraggiare
lo smaltimento indiscriminato dei rifiuti nell’ambiente.
I rifiuti gettati nell’ambiente, oltre a comportate diversi danni di na-
tura ambientale in senso lato (danno estetico, danno civico ecc.) cau-
sano, per le loro caratteristiche chimiche, biologiche e tossicologiche,
danni anche sulla qualità dei suoli o delle acque e in ultima analisi
sulla qualità della vita e sulla salute umana. Ne derivano, a vari livelli,
ingenti costi economici diretti e indiretti.
Ad oggi è difficile quantificare l’impatto sulla salute umana che pos-
sono avere i rifiuti, nelle varie fasi di gestione del loro ciclo di vita. Gli
studi epidemiologici sinora condotti non permettono una chiara indi-
viduazione di pericoli né tantomeno una stima del rischio, per esem-
pio, per le popolazioni residenti in prossimità di impianti di trattamen-
56
to/smaltimento dei rifiuti (discariche o inceneritori), per la difficoltà di
raccogliere dati consistenti, statisticamente validi che tengano conto
da un lato dell’esposizione della popolazione e dall’altro degli effetti
sulla salute. Nel caso delle discariche e dei processi di trattamento e
smaltimento dei rifiuti, l’accertamento della qualità e intensità dell’e-
sposizione e la registrazione di effetti biologici è molto difficile, poi-
ché i rifiuti sono spesso miscele complesse di composti chimici, agenti
fisici e biologici, la cui tossicità potenziale può variare nel tempo e
con il mezzo di trasporto. Le caratteristiche tossicologiche di un dato
xenobiotico (termine con cui si definisce qualsiasi sostanza estranea
alla normale nutrizione dell’organismo e al suo normale metabolismo)
possono inoltre variare a seconda delle vie di esposizione, come l’i-
nalazione, l’ingestione attraverso il cibo o l’acqua potabile, il contat-
to cutaneo. Per le ragioni esposte e anche a causa dei limitati studi
condotti, non è possibile ad oggi quantificare puntualmente il “peso”
che il trattamento/smaltimento dei rifiuti ha sullo stato di contamina-
zione dei comparti ambientali, e conseguentemente il relativo impatto
sulla salute umana. Se è difficile individuare il rapporto causa effetto
rifiuti-salute per ciò che riguarda i più comuni processi di trattamento
e smaltimento, è, ad oggi, quasi impossibile valutare gli effetti del
fenomeno del littering sull’ambiente, in termini di inquinamento, e
sulla salute.
Poiché non sono disponibili pubblicazioni specifiche sull’effetto di
tutte le tipologie di rifiuti gettati nell’ambiente per le diverse condizio-
ni in cui questi vengono a trovarsi (presenza di acqua, incendi ecc.),
nel testo è utile trarre informazioni e dati tecnici e scientifici dalle
condizioni controllate, come lo smaltimento in discarica o l’incene-
rimento, in cui vengono gestiti gli stessi rifiuti che sono oggetto di
abbandono.
L’inquinamento è un’alterazione dell’ambiente, naturale o antropico,
e può essere di origine sia antropica sia naturale. Esso produce disa-
gi temporanei, patologie o danni permanenti per la vita in una data
area, e può porre la zona in disequilibrio con i cicli naturali esistenti.
L’alterazione può essere di svariata origine, chimica o fisica. È quindi
57
inquinamento tutto ciò che è nocivo per la vita o altera in maniera
significativa le caratteristiche fisico-chimiche dell’acqua, del suolo o
dell’aria, tale da cambiare la salute, la struttura e l’abbondanza delle
associazioni dei viventi o dei flussi di energia, soprattutto in merito
a ciò che non viene compensato da una reazione naturale o antropi-
ca adeguata che ne annulli gli effetti negativi totali. Tutto può essere
inquinante, a seconda delle dosi e dei modi. In teoria tutte le attività
e l’ambiente costruito dall’uomo costituiscono inquinamento dell’am-
biente naturale, in quanto interagiscono con lo stesso, mutandone la
sua conformazione originaria. La definizione di inquinamento dipen-
de dal contesto, ovvero dal sistema naturale preso in considerazione e
dal tipo di alterazioni introdotte (Odum, 1966).
L’inquinamento del suolo è l’alterazione della composizione chimica
naturale del suolo a causa dell’azione dell’uomo. Tra le fonti di in-
quinamento del suolo, sopra citate, i rifiuti hanno un peso notevole,
soprattutto per le diverse sostanze inquinanti che possono contenere
(metalli, diossine, materiali radioattivi, ceneri, scorie industriali di va-
rio tipo ecc.).
La discarica, essendo a tutti gli effetti un reattore dove materiali in
fase liquida, solida e gassosa, reagiscono dando luogo a emissioni li-
quide (percolato) e gassose (biogas), rappresenta l’ambiente più stu-
diato e più simile alla condizione dei rifiuti abbandonati nell’ambiente
(Cossu, 2005).
Nella discarica (ma in generale potremmo dire nel caso di rifiuti inter-
rati) avvengono processi di varia natura (Cossu, 2005):
•	processi fisici: per esempio la compattazione progressiva dei rifiuti;
•	processi chimico-fisici: evaporazione dell’umidità e dilavamento dei
rifiuti, con produzione di percolato;
•	processi biologici: decomposizione e mineralizzazione della sostan-
za organica. Nelle prime settimane di collocazione dei rifiuti si ha un
sufficiente grado di ossigenazione e la decomposizione è di tipo aero-
bico, successivamente è di tipo anaerobico.
Gli impatti ambientali che si originano dalle discariche (o dall’inter-
58
ramento dei rifiuti) possono essere suddivisi per comparto ambientale
interessato (aria, acqua, suolo) e per andamento dell’intensità in fun-
zione della distanza dalla fonte. Accanto a impatti di vasta scala, legati
al fatto che le discariche sono tra i più importanti produttori di gas a
effetto serra (metano e anidride carbonica) e che nelle discariche ven-
gono ancora emessi (dai manufatti di scarto che li contengono) i clo-
rofluorocarburi (CFC) messi al bando nella produzione industriale a
causa del problema del buco dell’ozono, si hanno numerosi impatti di
piccola scala, i cui effetti si risentono nel raggio di qualche chilometro.
È stato stimato che per l’interramento dei rifiuti il fattore di emissione
di composti organici volatili (COV) sia di 7.000 g/tonnellata di rifiuti
urbani (RU), che comporta una emissione complessiva di COV pari
a 424,3 migliaia di tonnellate. Quindi il 14,4% del totale dei COV
emessi nelle varie attività umane proviene dall’interramento dei RU
(APAT, 2001).
figura 8.1 ScheMa deLLe eMiSSioni di una diScarica
Fonte: Cossu, 2005.
BARRIERE
GAS (CH4
, CO2
, CFC)
PERCOLATO
GAS (aria)
RIFIUTI RIFIUTI
Emissioni incontrollate verso
l’ambiente
ACQUA
(pioggia, infiltrazioni ecc.)
59
La quantità di percolato che si produce in una discarica è legata alle
disponibilità idriche (pioggia, infiltrazioni), al tipo di compattazione
dei rifiuti, alle caratteristiche della superficie di copertura e infine alla
permeabilità della discarica e del suolo. L’evolversi delle trasforma-
zioni biologiche causa una variabilità temporale delle caratteristiche
di composizione del percolato. Tali caratteristiche dipendono princi-
palmente dalla natura del rifiuto stoccato, dalle quantità di percolato e
dall’età della discarica.
I principali inquinanti che possono essere contenuti nel percolato
sono:
•	sostanze organiche COD (chemical oxygen demand), BOD (bioche-
mical oxygen demand);
•	nutrienti (azoto, fosforo);
•	metalli pesanti.
Le discariche di rifiuti solidi urbani sono sorgenti significative di me-
tano (CH4
) e diossido di carbonio (CO2
). In aggiunta a questi due gas
sono prodotte anche minori quantità di composti organici non meta-
nici, tra i quali alcuni composti organici volatili reattivi e pericolosi.
Il metano e l’anidride carbonica sono i costituenti principali del “bio-
gas” (LFG, landfill gas) e sono prodotti durante la decomposizione
anaerobica della sostanza organica e delle proteine presenti nei rifiuti
smaltiti in discarica che vengono inizialmente trasformati in zuccheri,
poi principalmente in acido acetico e, infine, in CH4
e CO2
.
Oggi non è raro imbattersi in vecchie discariche incontrollate, di cui
si è persa memoria, gestite e chiuse prima dell’entrata in vigore dei
rispettivi regolamenti regionali (in Lombardia il riferimento era la Lr
94/1980), e della normativa di riferimento statale (Dpr 915/1982 e
Dcim del 27.07.1984). Le modalità di chiusura non prevedevano spe-
cifiche tipologie di presidi sanitario e ambientali, ma semplicemente
la posa di uno strato di terreno di coltura. Si tenga inoltre in considera-
zione che prima degli anni Ottanta non esisteva il concetto di raccolta
differenziata e la maggior parte dei comuni, per far fronte alle esigen-
za di smaltimento dei rifiuti prodotti nell’ambito del proprio territo-
60
rio, erano dotati del cosiddetto “cavo” dove venivano conferite tutte
le tipologie di rifiuti (urbani, assimilati, speciali-pericolosi e non). In
ultimo erano in uso le pratiche di conferire i rifiuti sul greto dei fiumi
in attesa che le piene li allontanassero, oppure di incenerirli senza cu-
rarsi minimamente della produzione di diossine, di idrocarburi polici-
clici aromatici (IPA) e di altre sostanze altamente tossiche, e, pratica
purtroppo ancora attuale, quella di depositarli su fondi abbandonati,
sia demaniali che statali (Cossu, 2005).
Come nel caso dei rifiuti gettati sul terreno o gli accumuli abusivi
(discariche illegali) sono state prese a riferimento e modello le analisi
e i dati ottenuti da studi sulle discariche controllate, per la combu-
stione dei rifiuti si farà riferimento ai dati ottenuti dagli impianti di
incenerimento controllato (APAT, 2001), tenendo presente che i rifiuti
bruciati in modo incontrollato, quindi a bassa temperatura e in con-
dizioni di ossigeno non stechiometrico, possono certamente produrre
livelli puntuali di inquinanti per unità di rifiuti combusta di ordini di
grandezza superiori a quelli degli impianti di incenerimento, dotati di
sistemi di filtrazione e abbattimento specifici. Per lo smaltimento dei
rifiuti urbani in impianti di incenerimento, gli inquinanti più comu-
nemente emessi in atmosfera sono: ossidi di carbonio, di azoto e di
zolfo, IPA, acido cloridrico (HCl), idrocarburi alifatici e aromatici a
basso peso molecolare. Un altro problema di emissioni in atmosfera
potenzialmente connesse con l’incenerimento dei RU è quello delle
policlorodibenzodiossine e policlorodibenzo-furani (PCDD e PCDF).
L’emissione di PCDD e PCDF (genericamente denominate diossine)
è strettamente correlabile al tipo di tecnologia adottata per gli impianti
di abbattimento (per nuove tecnologie si intende il doppio sistema di
abbattimento, sia per i gas che per le polveri; per vecchia tecnologia si
intende un unico sistema di abbattimento costituito essenzialmente da
cicloni o camera di calma) (APAT, 2001), e questo permette di soste-
nere che la combustione incontrollata dei rifiuti causa elevate produ-
zioni di emissioni di tali sostanze.
Nell’incenerimento dei RU si ha sempre produzione di acido clori-
drico, data la presenza di tanti prodotti contenenti cloro, a cominciare
61
con gli alimenti salati. Anche il PVC presente nei RU per lo 0,7-1%
del totale produce nell’incenerimento acido cloridrico. Tra gli inqui-
nanti emessi da un inceneritore di RU, tuttavia, quelli che destano
maggiore preoccupazione, dato il fattore di emissione e soprattutto la
loro tossicità, sono il piombo (Pb), il cadmio (Cd), il mercurio (Hg)
e gli idrocarburi policiclici aromatici. Da un rapporto dell’Organizza-
zione mondiale della sanità (OMS) sull’emissione di metalli pesanti e
IPA dagli inceneritori di RU risulta che gli inceneritori tradizionali di
RU possono avere un impatto significativo sulla qualità dell’aria, così
come sulla velocità di deposizione di Cd e Pb sul suolo. Viene stimato
che il Cd abbia una velocità di deposizione al suolo di 0,5-2 μg/m2
al giorno, il Pb di 40 μg/ m2
al giorno, l’Hg di <1-1 μg/ m2
al giorno
(APAT, 2001).
La contaminazione biologica, ovvero legata alla presenza di micro-
organismi potenzialmente patogeni, è un aspetto distintivo dei rifiuti
urbani per l’elevato contenuto di sostanza organica che favorisce il
loro sviluppo e dei rifiuti sanitari che sono potenzialmente infetti. Al
fine di avere dei dati di raffronto per una valutazione dei potenziali
rischi igienico sanitari dell’esposizione della popolazione al rischio
biologico/sanitario si è fatto riferimento a uno studio sull’emissione
di bioaerosol condotto dall’ISS (Istituto superiore di sanità) presso
un impianto di compostaggio. Nello studio è stato analizzato il bioa-
erosol emesso presso un impianto di trattamento di rifiuti urbani, allo
scopo di conoscere i livelli di esposizione ai microrganismi, con par-
ticolare riguardo a quelli che possono essere potenzialmente infettivi
o allergeni. In particolare si illustrano i dati raccolti nella camera di
selezione dove si trovano i rifiuti freschi prima dell’avvio al vero e
proprio processo di compostaggio (APAT, 2001). In quasi tutti i cam-
pionamenti è stata riscontrata una concentrazione abbastanza elevata
di microrganismi indicatori di contaminazione fecale (coliformi fecali
e soprattutto streptococchi fecali), mentre in nessun campione è stata
rilevata la presenza di Escherichia coli. Per quanto riguarda la concen-
trazione di stafilococchi, si può osservare che essa si mantiene piut-
tosto costante in quasi tutti i campionamenti eseguiti; in due soltanto
62
è stata riscontrata la presenza di colonie di stafilococchi con alone, le
quali, sottoposte alle successive prove di identificazione, sono risul-
tate non essere colonie di Staphylococcus aureus. Riguardo alle con-
centrazioni dei microrganismi appartenenti ai generi Pseudomonas,
Vibrio e Aeromonas, si può osservare che la loro presenza si mantiene
costante in quasi tutti i campionamenti; in alcuni prelievi l’Aeromo-
nas spp risulta addirittura assente (in circa il 40% dei campioni). Sul
genere Vibrio è stata eseguita l’enumerazione in base alla diversa pig-
mentazione delle colonie, gialle e verdi, per poter già operare all’in-
terno del genere uno screening iniziale tra specie opportuniste, specie
patogene e potenzialmente tali (APAT, 2001).
Effetti nocivi legati all’esposizione ai rifiuti
La presenza sempre più diffusa di impianti di smaltimento e tratta-
mento di rifiuti autorizzati e controllati ma, molto spesso, anche di siti
di discarica di rifiuti abusivi o illegali (dai cumuli di prodotti di scarto
delle industrie ai bidoni abbandonati in cave o affondati in specchi
d’acqua) causa allarmi e preoccupazioni per l’incremento dei rischi
per la salute delle popolazioni residenti in prossimità di tali luoghi.
Per questo motivo nel 1992 l’Agency for Toxic Substances and Di-
sease Registry degli Stati Uniti (ATSDR) ha definito sulla base delle
risultanze di numerose indagini sanitarie e valutazioni tossicologiche
un elenco di sette gruppi di condizioni patologiche (APAT, 2001) che
dovrebbero essere monitorate prioritariamente per:
•	la valutazione di potenziali rischi alla salute delle persone che vivo-
no in prossimità di tali siti;
•	la definizione di programmi e attività di ricerca applicata alla salute
umana tenendo conto delle sostanze a rischio identificate in tali siti.
La lista di sette PHCs (priority health conditions) comprende:
•	malformazioni congenite ed esiti riproduttivi negativi;
•	tumori;
•	disturbi immunologici;
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L'abbandono di rifiuti e il littering

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  • 5. SOMMARIO Premessa 12 di Lorenzo Pinna Prefazione 15 di Walter Ganapini Introduzione 17 1. cosa si abbandona 32 2. dove e quanto si abbandona 38 3. chi abbandona 40 4. perché si abbandona 43 5. l’abbandono di rifiuti ingombranti 50 6. l’abbandono di rifiuti organizzato 52 7. che danni causa l’abbandono 54 di rifiuti
  • 6. 8. che impatto ambientale causa 55 l’abbandono di rifiuti effetti nocivi legati all’esposizione ai rifiuti 62 i mozziconi di sigaretta 64 marine littering 67 i danni diretti alla fauna causati 68 dall’ abbandono di rifiuti 9. quanto costa l’abbandono 69 di rifiuti stima dei costi dell’abbandono in provincia 74 di varese costi di pulizia per frazioni di rifiuti generati 77 dal littering in svizzera costo del littering nel regno unito 80 costo del littering in scozia 80 costo del littering negli usa 81 prima stima dei costi del littering in italia 82 10. come affrontare il tema 84 dell’abbandono di rifiuti e del littering
  • 7. 11. quali norme contro l’abbandono 88 di rifiuti e il littering le sanzioni contro l’abbandono 89 soggetti competenti nel pattugliamento 94 del territorio Guardie ecologiche volontarie 94 Corpo forestale 96 I guardiaparco 97 Polizia locale 97 Arma dei Carabinieri 98 12. iniziative contro il littering 100 e l’abbandono di rifiuti ecospiaggia: la raccolta differenziata 100 (non va) in vacanza, ministero dell’ambiente campagna “spiagge libere” , ministero 101 dell’ambiente “puliamo il mondo” , legambiente 102 clean up the med 103 sos plastica 103 ma il mare non vale una cicca?, marevivo 104 “i rifiuti che abbandoni prima o poi ritornano” 105 giornata del verde pulito, regione lombardia 105
  • 8. convenzione tra la provincia di pavia 106 e il corpo forestale dello stato aliga day, sardegna pulita 106 “puliamo la calabria” 107 “la cicca non è chic” 108 campagna contro i mozziconi di sigaretta 109 a ferrara bando “strade pulite” della provincia 109 di varese progetto “ricircola”, sila varese 110 “busto si rifiuta”, agesp busto arsizio 111 campagne di comunicazione igsu 111 un codice di comportamento contro 113 il littering, Unione delle città svizzere giornate insubriche del verde pulito, gruppo 115 di lavoro della regio insubrica “operazione territorio pulito” , canton ticino 116 le iniziative dell’ufam 117 attività dell’acsi contro il littering 118 keep britain tidy 118 keep america beautiful’s great american cleanup 119
  • 9. nsw government litter prevention program 120 (keep australia beautiful) “singapore litter free” campaign 122 soho dichiara guerra alle cannucce 124 norme antifumo 125 azioni specifiche di controllo del territorio 126 Bologna: le Guardie ecologiche diventano i “vigili” dei rifiuti 126 A Salerno ronde contro chi sporca 126 Contro l’abbandono dei rifiuti entrano in azione gli ispettori ambientali 127 Abbandono di rifiuti: multe durante il passaggio 128 a raccolta domiciliare dei rifiuti Lamezia Terme: prime multe dopo ordinanza su abbandono di rifiuti 128 Appostamenti in borghese contro l’abbandono dei rifiuti 129 Milano. Butta mozzicone di sigaretta a terra: 450 euro di multa 129 Abbandoni i rifiuti? Il sindaco te li riporta a casa 129 nuove “apps” contro incuria e degrado 130 Applicazioni negli Usa 131 Apps in altri paesi del mondo 132 Decorourbano 132 Rifiuti ingombranti abbandonati: il progetto “RAEEporter” 133 Uso del crime mapping: l’esperienza della Provincia di Milano 133 PULIamo: la app che aiuta a tenere pulita la città 136 iniziative di prevenzione a monte del fenomeno 138 Riduzione delle buste di plastica (shopper) 138 La pubblicità anonima o condominiale 139
  • 10. Le gomme da masticare 140 Il programma “Rifiuti Zero” 141 ottimizzazione dei sistemi di igiene ambientale 142 Il sistema integrato porta a porta per ridurre l’abbandono di rifiuti 142 Gestione dei cestini stradali 145 i cartelli di divieto dell’abbandono di rifiuti 148 13. un progetto integrato contro 149 l’abbandono: “insubria pulizia sconfinata” la “mappa dell’abbandono” 152 le iniziative operative per contrastare 156 l’abbandono Il tavolo tecnico contro l’abbandono 156 Comunicazione contro l’abbandono 157 Educazione ambientale 158 Coordinamento attività di Polizia provinciale e GEV 160 conclusioni 161 bibliografia 164 ringraziamenti 170
  • 11.
  • 12.
  • 13. La PuBBLicazione è ProMoSSa da: ARS ambiente Srl Analisi, Ricerche e Servizi per l’Ambiente Via Carlo Noé, 45 21013 Gallarate (VA) www.arsambiente.it TerrAria Srl Strumenti informatici e progetti per l’ambiente e il territorio via Melchiorre Gioia, 132 20125 Milano www.terraria.com
  • 14. premessa La storia dell’umanità è spesso raccontata attraverso le mirabili ope- re realizzate dalla volontà e dall’ingegno umano, trascurando però i problemi che l’uomo ha dovuto affrontare nel suo cammino mille- nario. Tra questi uno dei più sottovalutati è sicuramente quello dei rifiuti. Nella preistoria i cacciatori e raccoglitori nomadi producevano già rifiuti ma ciò non era di fatto un problema, poiché spostandosi conti- nuamente non c’era tempo perché questi si accumulassero. Le prime difficoltà sono sorte invece con il passaggio delle civiltà da nomadi a stanziali: nei primi villaggi e città, gli uomini risiedevano in grandi concentrazioni producendo volumi consistenti di rifiuti. Per millenni il sistema di disfarsi di questi rifiuti è stato di gettarli semplicemen- te per strada o nei fossi, lanciandoli dalle finestre, facendo sì che si accumulassero in prossimità di case e botteghe. Questi rifiuti erano esclusivamente di natura organica e quindi erano causa di sviluppo di epidemie e di cattivi odori, tanto che un puzzo costante permeava tutti gli ambienti. Le civiltà del passato hanno provato a più riprese a rimediare al pro- blema dei rifiuti, prima tra tutte l’antica Roma che ha realizzato una grande rete di acquedotti con lo scopo di approvvigionare la città di grandi quantità di acqua pulita per allontanare rifiuti e liquami dall’ur- be. Nel Medioevo e nel Rinascimento centinaia di leggi, editti e re- golamenti tentavano di impedire l’accumulo di rifiuti nelle pubbliche vie. Solo alla fine del Settecento, grazie alla Rivoluzione industriale e alla crescita delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, l’uomo riu- scì a bonificare le città creando efficienti sistemi idrici e introducendo i primi rudimentali sistemi di nettezza urbana. L’idea base rimaneva comunque quella di allontanare i rifiuti portandoli nelle campagne e lasciando quindi alla natura il compito di “smaltirli”, compito sempre più gravoso e ambientalmente insostenibile a causa del loro continuo aumento. Questa crescita dei rifiuti, divenuta esponenziale nel corso del Novecento, è stata causata dall’effetto congiunto dell’incremento
  • 15. 13 demografico, dall’aumento del tenore di vita e dei consumi e dall’in- troduzione di nuovi materiali sintetici e pericolosi, caratterizzati dal non essere biodegradabili. Per questo negli ultimi decenni del Novecento sono stati attivati siste- mi di gestione dei rifiuti basati sulla raccolta differenziata e sul loro trattamento al fine di un corretto riuso, recupero e riciclaggio, trasfor- mando i rifiuti in nuove materie prime e beni di consumo. I rifiuti, da materiali da allontanare e dimenticare, si trasformano in risorse preziose, grazie anche all’impegno dei cittadini che sono un anello fondamentale del sistema di gestione perché ad essi è deputato l’im- portante compito di dividere i rifiuti secondo le regole della raccolta differenziata. Quanto descritto rende incomprensibile come nelle moderne metropo- li si possa ancora compiere l’arcaico gesto del getto dei rifiuti a terra, che oggi si chiama littering, lordando piazze e vie o parchi come nel Medioevo. Sembra che questo gesto, la cui origine profonda richie- de raffinate analisi psicologiche e sociologiche, sia insito nella natura umana e nel suo istinto, quasi da sembrare parte del suo patrimonio genetico. Il littering a mio avviso rappresenta inoltre una cartina di tornasole del degrado urbano e della presenza delle autorità nel pre- sidio del territorio, ben spiegata dalla broken windows theory (“teoria delle finestre rotte”): se in un quartiere viene rotta una finestra, e non viene riparata, è molto probabile che ben presto altre finestre venga- no rotte, dando così inizio a una spirale distruttiva. Allo stesso modo lasciare che vengano gettati i rifiuti per strada rappresenta una forma di trasgressione e di degrado che, se trascurata, genera sicuramente fe- nomeni di emulazione. Per sconfiggere questa spirale negativa occorre partire dal “buon esempio”, attivando iniziative che facciano percepire ai cittadini l’importanza dell’ambiente e il suo valore per la qualità della vita. È proprio da questo dato che è partito il lavoro di Giorgio Ghiringhelli che ha analizzato il fenomeno del littering e dell’abbandono dei rifiuti sia dal punto di vista “macro”, analizzandone dimensione, importan- za, danni derivanti, sia “micro” concentrandosi quindi sulle abitudini
  • 16. 14 del singolo, arrivando a tracciare un possibile percorso in cui la co- scienza civica e l’educazione ambientale sono il perno di iniziative e progetti concreti per prevenire e contrastarne il fenomeno. Lorenzo Pinna Giornalista, autore televisivo e divulgatore scientifico
  • 17. prefazione Due branche della neo-disciplina Rifiutologia mi hanno sempre attrat- to: la Archeo/Paleo-Rifiutologia e la Psico-Rifiutologia (neologismo, credo, coniato in questa occasione). Le ricerche afferenti alla prima branca, da quelle sulle civiltà caverni- cole delle Canarie per arrivare alle palafitticole/terramaricole anche in Pianura Padana, da quelle sul Testaccio a Roma fino alle indagini sui pozzi per rigetti esterni alle mura urbane di epoca medievale, certifi- cano l’attitudine delle comunità umane a espellere dallo spazio dome- stico e dal villaggio/aggregato urbano i residui delle proprie attività di produzione e consumo, i propri rifiuti. La seconda branca investiga i meccanismi di rimozione/occultamento, sostanzialmente simili a quelli belluini per quanto attiene la relazione tra animali e le loro deiezioni, che sottendono l’attitudine “espulsiva” sopra richiamata. Colpisce che, nel secondo decennio del primo secolo del terzo millen- nio d.C., una persona esperta e competente come Giorgio Ghiringhel- li debba riprendere il ragionamento relativo alle due branche citate per fare il punto su come prevenire, ancor prima che rimediarne gli effetti negativi sull’ambiente, il fenomeno dell’abbandono o littering di rifiu- ti/merci a fine ciclo-vita in un ambito territoriale evoluto e organizzato come quello lombardo-elvetico, subito sotto e subito sopra la catena alpina, una delle aree più ricche e acculturate del Pianeta. Se in questo ambito il problema si propone ancora, e con forza, ai giorni nostri, allora il “gettare” trae origine in segmenti profondi del nostro essere “uomini” ancor prima che nella nostra sedimentazione culturale e normativa. Sappiamo che le persone, di norma, anche nell’età contemporanea non adottano spontaneamente letture olistiche/sistemiche del reale né amano ragionare di ciò che è loro lontano nello spazio e nel tempo: è così che si è potuto arrivare a sconvolgere il clima del Pianeta, adottando stili di vita e consumo che, se generalizzati a scala globale, genererebbero un fabbisogno di risorse che neppure tre Terre riuscirebbero a soddisfare.
  • 18. 16 Ancora, è così che il littering di rifiuti plastici ha portato a generare immensi aggregati di quei materiali persistenti negli oceani, interfe- rendo gravemente anche con le catene trofiche dell’ittiofauna e con la biodiversità marina in generale. Il testo di Ghiringhelli fa il punto sul fenomeno, analizza le buone pratiche sin qui sperimentate per contenerlo e, sempre più, prevenirlo, rendendolo anzitutto “tracciabile” e, dunque, controllabile. È per questo, al di là della stima e dell’amicizia verso l’autore, che sento di doverne consigliare la lettura. Walter Ganapini Membro onorario, Comitato scientifico, Agenzia europea dell’ambiente
  • 19. introduzione È universalmente assodato che il valore dei beni è garantito dal rap- porto fra la loro disponibilità e il desiderio dei soggetti-consumatori di beneficiarne. Dalla notte dei tempi il valore di un bene è dato dal capitale naturale e dal lavoro umano incorporato in esso, ma soprat- tutto dalla sua scarsità relativa. Buona parte degli oggetti acquistabili contiene parti (imballaggi, contenitori ecc.) che da intonse, belle, at- traenti, divengono inutili, lerce, maleodoranti. Una scatola di fagioli o un contenitore in plastica di aranciata dapprima è pulito, colorato, ver- gine, sterile; dopo l’uso la scatola e la plastica passano a uno status di sporco, insalubre, inutilizzabile. Se questi oggetti venissero riutilizzati dovrebbero essere lavati, puliti e poi pronti per un altro uso, ma nel- la maggioranza dei casi questi contenitori entreranno nel sacco o nel bidone della raccolta dei rifiuti. Questo concetto è addirittura amplifi- cato quando i singoli “oggetti-rifiuti” vengono a trovarsi insieme nei contenitori per la raccolta (differenziata o no), tant’è che “nel desti- narli alla pattumiera, ne consacriamo invece, per così dire, l’intrinseca sporcizia; nel bidone della spazzatura avviene un rimescolamento di tutti i nostri scarti, che rende sporco ciascuno degli oggetti conferiti, indipendentemente dal grado di pulizia che lo caratterizzava poco pri- ma, rendendo la nostra immondizia, seppur differenziata, qualcosa di inaccettabile, di immondo” (Viale, 1996). Gli scarti volontariamente o involontariamente inutilizzabili provoca- no un danno e un ingombro finché rimangono negli spazi territoriali privati e per questo dobbiamo sbarazzarcene appena possiamo. Ne è dimostrazione il fatto, per esempio, che quando il sacco o il bidone della raccolta differenziata posizionato in strada appena fuori dal- la nostra proprietà per essere raccolto dal servizio di igiene urbana – e quindi eliminato dalla percezione dei nostri sensi –, per motivi vari non viene raccolto dagli addetti, esso torna a creare stress e pre- occupazione portando talvolta gli individui a gesti inconsulti come l’abbandono illegale del rifiuto in territori prossimi o meno prossimi (altra strada o i boschi) il più possibile lontani dal suo spazio privato.
  • 20. 18 Questo comportamento si configura come “l’allontanamento com- pulsivo del rifiuto”. In questo senso bene e rifiuto, produzione e consumo, sono due fac- ce spesso intercambiabili della stessa medaglia, due aspetti speculari la cui differenziazione diviene frequentemente così blanda da portare confusione negli attori sociali per la sua perversa ambiguità. Lo scarto tra bene e rifiuto non può che essere ricercato attraverso motivazioni di ordine individuale (psicologico) e collettivo (sociale), ma deve an- che inserirsi nelle teorie e pratiche della società consumistica. Diversi studiosi hanno definito la società consumistica come la “civiltà dello spreco” (Viale, 1996), il “consumo istantaneo del bene”, ragionamen- to che troviamo efficacemente condensato in Baudrillard che afferma che “i beni dovrebbero soddisfare nell’immediato e la soddisfazio- ne dovrebbe cessare immediatamente, non appena esaurito il tempo necessario al consumo” (Baudrillard, 1976). Il paradosso del bene- rifiuto è parte rilevante della nostra società delle contraddizioni. Il rifiuto, lo scarto, si configura porzione allogena, assumendo status di non-riconosciuto, di oggetto incontrollabile e irriconoscibile che deve essere eliminato il più rapidamente possibile. Nel rapporto con le scorie si articolano processi spesso schizofrenici di cesura tra pulito e sporco, sterile e contaminato, dentro e fuori, e l’innata tensione a controllare se stessi, la nostra natura e il corpo. La produzione su larga scala di manufatti che hanno valore e durata sempre più effimera, l’acquisto compulsivo, l’accelerazione tecnologica, la propaganda e la corsa infi- nita verso l’ultimo modello, concorrono a portare verso l’obsolescenza rapida dei beni, generando problemi di enorme portata e di difficile controllo da parte degli stessi fautori, il genere umano. Una merce ben progettata, ben fabbricata, che continua a lungo a svolgere la propria funzione, è quanto di più indesiderabile si possa immaginare per il ven- ditore. Da qui lo sviluppo di una vera scienza dell’inefficienza, della pericolosità, dell’inaffidabilità, della rapida obsolescenza, cioè di tutti quei caratteri che portano il consumatore a buttare via in breve tempo una merce per sostituirla con altre che tengano in moto la grande mac- china della produzione, delle vendite, dei profitti (Nebbia, 1990).
  • 21. 19 Gli oggetti che non contribuiscono alla valorizzazione del capitale sono inutili e da eliminare rapidamente, e questo processo diviene così una costante infinita, con l’accumulazione di grandi quantità di scarti (Osti, 2002). Rifiuti che, nonostante le sempre più innovative tecno- logie di smaltimento e riciclaggio, sono e saranno pressoché incon- trollabili da parte dei loro creatori e dai loro consumatori. Gli scarti e la sovrapproduzione sono un problema economico e gestionale per le industrie e per le istituzioni pubbliche. Smaltire rifiuti significa pertanto sottoporli a un trattamento che per- metta loro di confondersi con gli elementi costitutivi delle nostra im- magine del mondo, affidando al fuoco (incenerimento), alla costosa ma utile tecnologia (riciclaggio), alla natura (compostaggio ma anche il deposito finale, la discarica controllata) la loro eliminazione o mu- tazione (Viale, 1996). La natura è costretta ad accogliere anche i rifiuti non biodegradabili e spesso insalubri delle discariche legali e di quelle illegali; tra queste ultime primeggia l’illegal waste dumping, ovvero l’abbandono improprio di rifiuti nelle aree isolate urbane e nei boschi. La massa dei rifiuti che ci circonda, non è altro che la manifestazione di uno scarto crescente tra ciò che produciamo e ciò che consumiamo. La dimensione produttiva è divenuta semplicemente un supporto al meccanismo di generazione di insoddisfazione dell’individuo. Piutto- sto che di civiltà del consumo, quella attuale può essere definita una “civiltà dello spreco”, una “civiltà dei rifiuti”. Il gesto del “buttar via” ha radici e ragioni antropologiche e psico- logiche profonde, è un autentico rito di purificazione, attraverso cui l’uomo si rigenera, abbandonando le scorie di se stesso. La società postmoderna si è impossessata di questa fisiologica attitudine umana, che oggi si svolge con ritmi via via crescenti, a causa del fatto che l’insicurezza e la precarietà delle condizioni attuali spingono l’uomo a una continua verifica della sua identità. Tale accelerazione, però, produce una quantità di “residui” a ritmi divenuti insostenibili per l’e- cosistema, che non è più in grado di assimilarli come in passato (Bau- drillard, 1976). Il problema dell’enorme produzione di rifiuti non può essere semplicemente risolto con adeguate tecnologie di smaltimento,
  • 22. 20 la questione è anche e soprattutto di natura culturale e strutturale. Ogni detentore di una merce non si preoccupa del rifiuto che essa creerà una volta che passa a un altro possessore, anzi cercherà di trasferire la maggior parte dei rifiuti a essa collegati. È evidente che la soluzione della questione dei rifiuti passa per quella che nel contesto attuale è ancor meno di un’utopia e cioè la fine del capitalismo-consumismo- rifiutismo e l’avvento di una nuova sensibilità personale e sociale che riconsideri la posizione dell’uomo nel mondo. La natura non produce rifiuti o meglio i suoi scarti sono inseriti nelle catene alimentari e nei cicli biogeochimici costituendo in ogni passag- gio nutrimento o substrato per qualche forma di vita. Per molto tempo l’umanità, sia quella che abitava in città, sia quella che era rimasta a coltivare i campi, non ha sentito la necessità di separare i rifiuti secon- do la loro provenienza o in base al materiale di cui erano composti. Se non si sapeva più cosa farsene, si pensava solo a sbarazzarsene, cioè allontanarli da sé, dalla propria abitazione, magari limitandosi a gettarseli alle spalle senza grandi precauzioni. Questo era possibile perché i rifiuti umani erano del tutto simili per qualità e composizione, e non concentrati in un unico luogo (città o discarica che sia), a quelli naturali. Il gesto con cui l’uomo primitivo si tirava dietro la schiena, abbando- nandoli lungo il cammino, le ossa degli animali di cui si era nutrito e i noccioli dei frutti appena mangiati, è ancora oggi iscritto nel nostro codice genetico. Se invece c’era qualcosa da recuperare, quell’oggetto veniva rimpiegato per la stessa o per un’altra funzione, con esempi, tanto lungimiranti quanto paradossali, come le descrizioni che Goethe ci ha lasciato nel suo “viaggio in Italia” dove ha raccontato, quasi con ammirazione, il lavoro dei rigattieri che portavano i rifiuti, preziose sostanze fertilizzanti, nei rigogliosi giardini periurbani. Questa abi- tudine ha accompagnato l’uomo fino alla rivoluzione industriale e i rifiuti sono diventati onnipresenti nel panorama delle città occidentali, con l’eccezione dell’antichità classica romanica quando molte città furono dotate di una rete fognaria (Viale, 2007), fino a costituire la così detta “città pestilenziale” (Pinna, 2011) dove rifiuti e liquami,
  • 23. 21 con il loro carico microbico, erano causa di epidemie e di malsane condizioni di vita. I rifiuti sono, fin dalla notte dei tempi, lo specchio della società che li ha prodotti ovvero un’immagine privata di illusioni, come Victor Hugo aveva scoperto e narrato ne I Miserabili: “La fogna è la coscien- za della città [...]. Ogni cosa ha la sua forma vera, o almeno definitiva, poiché il mucchio di spazzature ha in suo favore di non esser bugiardo. Vi si trova [...] il cartone e le cordicelle, l’interno come l’esterno, […]. Tutte le lordure della civiltà, una volta fuori uso, cadono in questa fos- sa di verità alla quale mette capo l’immenso sdrucciolìo sociale, e, pur inghiottite, si mettono in mostra [...]”. Quest’immagine già allora era piena delle contraddizioni sociali e del tema dello spreco, argomenti che saranno di attualità solo cent’anni più tardi. Un altro tema ricorrente insieme a lordure e malattie è quello dell’o- dore, del tanfo pestilenziale e mefitico che accompagna il viaggio dell’uomo nei secoli, un silenzioso indicatore dello stato delle città di cui ci viene data una vivida descrizione nel romanzo Il profumo (Patrick Suskind, 1985). A partire dal XIII secolo, cioè dalla crescita demografica delle cit- tà, quasi tutti i comuni dell’Italia centro-settentrionale promulgarono leggi e regolamenti nel tentativo iniziale di arginare l’accumularsi dei rifiuti nelle vie urbane (Pinna, 2011) e successivamente di aree più vaste, andando anche a regolamentare altri fenomeni come il lancio di rifiuti dalle finestre e lo sputare per terra. Fino al XVIII secolo co- munque le maggiori battaglie ingegneristiche sono state giocate nella gestione dei rifiuti liquidi e liquami derivanti dai sistemi fognari che potevano essere allontanati dalle aree urbane attraverso opere idrau- liche mirabili che hanno interessato le principali città europee. Dal secolo successivo si affaccerà il problema dei rifiuti solidi urbani an- corché ancora prevalentemente composti di materiali “naturali” (resti di cibo, stracci, legno e carta). Il loro accumulo nelle strade cittadine ha causato l’avvio dei primi rudimentali sistemi di igiene urbana in cui Londra e Parigi fanno, come spesso è accaduto nella storia, da apri- pista delle rivoluzioni tecnologiche: a Parigi con la prima ordinanza
  • 24. 22
  • 25. 23  Fumetto vincitore dell’“Antilittering comic contest” del 2011 organizzato dall’IGSU.
  • 26. 24 del 1884 che obbligava tutte le case e le botteghe a dotarsi di bidoni metallici con coperchio per la raccolta rifiuti e a Londra con il Pubblic Health Act del 1875 che obbligava i cittadini a usare il dustbean (sec- chio dell’immondizia inglese), due atti che causano il definitivo decli- no del getto dei rifiuti per strada. I rifiuti, dopo essere stati raccolti con sistemi rudimentali di igiene urbana basati ancora sulla forza umana e animale, erano comunque destinati a essere portati nei territori imme- diatamente limitrofi alle città per costituire delle discariche de facto (che oggi chiameremmo discariche incontrollate). In Italia occorrerà aspettare il 1941 per avere una legge che codificava l’allontanamento dei rifiuti solidi urbani dalle città (legge 20 marzo 1941, n. 366), ma già alla fine dell’Ottocento i comuni, con una gestione in economia o attraverso le prime “aziende municipalizzate”, avevano creato dei pri- mi sistemi rudimentali di nettezza urbana, poco efficienti e lontani da un sistema integrato e industriale necessario per affrontare e risolvere il problema. In questo quadro il gesto di buttare i rifiuti fuori dal finestrino della propria auto o gettare una cartaccia per terra mentre si passeggia rap- presentano un ritorno al passato che mal si inserisce nello stile di vita urbano e “igienico” che partendo dall’Ottocento si è definitivamente affermato, almeno nelle nazioni più evolute, nel Novecento causando la definitiva scomparsa della “città pestilenziale”. La contropartita di questa vittoria dell’uomo sul sudiciume è stato l’arrivo imprevisto, con la rivoluzione industriale, delle sostanze chimiche e dei materiali sintetici, cioè sostanze e composti non biodegradabili (per esempio la “plastica”) che quindi la natura non assimila e non può inserire nei propri cicli e catene alimentari. Queste nuove sostanze insieme alla concentrazione sempre maggiore della popolazione e delle sue attività produttive in aree ristrette e altamente urbanizzate, e l’avvio di sistemi di consumo crescente e basati sull’usa e getta (direttamente derivanti dall’aumento del tenore di vita, dalle innovazioni tecnologiche e dalla riduzione del costo dei beni e delle merci), sono il motivo per cui la gestione dei rifiuti è diventato uno dei temi ambientali più rilevanti già nella prima metà del XX secolo.
  • 27. 25 Italo Calvino nelle Città invisibili del 1972 aveva descritto la città dei consumi (ma anche dell’estraniazione dell’uomo da se stesso), spinta al parossismo e per questo sommersa dai rifiuti. In questa città anche il gesto di allontanare i rifiuti (gettarli alle spalle come faceva l’uomo primitivo) non è possibile perché il mondo è stretto e perché, come nella realtà, allontanare i rifiuti dalla propria comunità vuol dire con- fliggere con le esigenze delle altre comunità limitrofe. Per avere una norma moderna che passi dal concetto di “allontana e dimentica” a quello della “gestione rifiuti” occorre aspettare il 1982, quando l’Italia recepisce le direttive comunitarie emesse nel corso de- gli anni Settanta (Dpr 10 settembre 1982, n. 915), con il quale incarica le regioni di redigere Piani di gestione rifiuti volti a definire le linee guida per la gestione rifiuti e favorire le condizioni per la realizzazione della rete impiantistica necessaria (discariche, inceneritori e impianti di compostaggio). A questo seguirà il “Decreto Rochi” (Dm 5 febbra- io 1997, n. 22) che permetterà di introdurre il concetto di “gestione integrata” basato innanzi tutto su una scala di priorità (le 4 R: ridu- zione, riuso, riciclo e recupero) e lasciando allo smaltimento finale in discarica il ruolo marginale destinato a ciò che non può subire alcun diverso destino. La legge troverà attuazione operativa facendo perno sulla raccolta differenziata, sul Catalogo europeo rifiuti per identifica- re univocamente i rifiuti, sulla responsabilità del produttore, mediante la creazione del sistema dei consorzi di filiera (CONAI), sul concetto di “chi inquina paga”. La quantità di rifiuti urbani (e industriali) che le norme sono chiamate a regolamentare sono impressionanti e fino alla crisi economica re- cente in continua ascesa in quasi tutti i paesi europei. I complessi pro- blemi legati alla gestione dei rifiuti, l’insieme delle politiche volte a gestire l’intero processo dei rifiuti dalla loro produzione fino alla loro sorte finale, comprendendo quindi la raccolta, il trasporto, il riciclag- gio e lo smaltimento, non devono far dimenticare che l’igiene urbana è un’attività carica di implicazioni, oltre che economiche e ambientali, di natura psicologica, sociale e politica. In questo quadro risulta cen- trale il ruolo del cittadino-utente del servizio, in quanto il sistema di
  • 28. 26 gestione dei rifiuti urbani si basa ubiquitariamente sulla raccolta diffe- renziata, dove ciascuno è responsabile della corretta suddivisione dei rifiuti in base alle caratteristiche e al destino a essi assegnato, collabo- rando quindi con il sistema pubblico che si occupa della loro raccolta. La gestione rifiuti è quindi una silloge dei rapporti tra l’individuo e la società (Viale, 1996). I rifiuti sono tutto quanto risulta di scarto o avanzo alle più svariate attività umane. La Comunità europea, con la direttiva 2008/98/Ce, re- cepita in Italia dal Testo Unico Ambientale, li definisce “come qualsi- asi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi”. L’atto di “disfarsi” va inteso indipendente- mente dal fatto che il bene possa potenzialmente essere oggetto di riutilizzo, diretto o previo intervento manipolativo. I rifiuti vengono classificati, in base all’origine: in rifiuti urbani e rifiuti speciali e, in base alle loro caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e ri- fiuti non pericolosi. Il piccolo rifiuto buttato in modo improprio (litter), nell’età moderna, è per eccellenza il mozzicone di sigaretta; oltre ai mozziconi, i litter più comuni sono i chewing gum, bottiglie e lattine, confezioni di be- vande, pezzi di carta e di vetro, scatole vuote di sigarette, sacchetti, avanzi di cibo, confezioni di alimenti e piccoli imballaggi in genere. L’abbandono rifiuti (illegal waste dumping) si configura come un ille- cito volontario compiuto da soggetti intenzionati a disfarsi dei rifiuti in modo illegale disperdendoli nell’ambiente in luoghi non predisposti ad accoglierli (generando così il fenomeno delle discariche abusive). Questo fenomeno comporta che vengono abbandonati quantitativi in- genti di rifiuti, urbani o speciali, pericolosi e non, soprattutto in aree periferiche e naturali (BAFU, 2011). Il fenomeno genericamente denominato “abbandono abusivo di rifiu- ti”, può essere più precisamente definito e suddiviso in tre tipologie specifiche (Dlgs 152/2006): • abbandono: accumuli di rifiuti in aree pubbliche o private, costituiti da beni, oggetti che sono in un evidente “stato di abbandono”, ovvero lasciati con incuria e al degrado;
  • 29. 27 • deposito incontrollato: abbandono di rifiuti perpetuato dallo stesso soggetto nel medesimo luogo senza autorizzazione; • discarica abusiva: permanenza dei rifiuti in un luogo che viene uti- lizzato per continui scarichi, anche intervallati nel tempo, di rifiuti di diversa natura o provenienza. A questi fenomeni si somma quello più aspecifico del littering, ovvero l’incivile abitudine di gettare piccoli rifiuti laddove capita senza cu- rarsi dell’ambiente, come per esempio cartacce, gomme da masticare e mozziconi di sigaretta, o ancora quella di non raccogliere gli escre- menti degli animali da compagnia. Questo fenomeno si è amplificato con l’avvento di nuove abitudini alimentari, che aumentano l’impiego di materiali e manufatti usa e getta (G. Ghiringhelli, 2008). Il littering – dall’inglese to litter: ricoprire di rifiuti – è quindi un malcostume che vede i rifiuti gettati o abbandonati con noncuranza nelle aree pubbliche invece che negli appositi bidoni o cestini dell’immondizia (Johannes Heeb, 2004). Per littering si intende l’inquinamento di strade, piazze, parchi o mezzi di trasporto pubblici causato gettando intenzionalmen- te o lasciando cadere rifiuti e abbandonandoli. Anche se in termini assoluti le quantità di rifiuti lasciate sul suolo sono relativamente ri- dotte, la maggioranza della popolazione percepisce il fenomeno come fastidioso. Il littering compromette la qualità di vita e il senso di sicu- rezza negli spazi pubblici, genera costi elevati per i servizi di pulizia e nuoce all’immagine delle località. Le cause della crescente mole di rifiuti abbandonati sono molteplici. Sempre più persone trascorrono la pausa pranzo sul posto di lavoro o di formazione e mangiano per strada. La conseguenza quasi inevitabile di queste nuove abitudini di consumo, abbinate a un’accresciuta utilizzazione degli spazi pubblici, è la presenza di una quantità maggiore di rifiuti abbandonati all’a- perto. Un’altra tendenza accentuatasi negli ultimi anni è il boom del- la diffusione di giornali gratuiti e della pubblicità condominiale, che spesso vengono subito gettati o abbandonati da qualche parte durante il tragitto. Infine, gettare sconsideratamente mozziconi di sigarette è un fenomeno noto praticamente da sempre, che negli ultimi anni è
  • 30. 28 tuttavia aumentato ulteriormente, probabilmente a seguito del divieto di fumo nei locali pubblici introdotto in molti paesi. Il littering può essere intenzionale (abbandono di rifiuti nel suolo) oppure effettuato senza una volontà attiva (in modo accidentale o non volontario) come accade quando vengono gettati rifiuti dai finestri- ni delle auto o quando si getta a terra un mozzicone di sigaretta o una gomma da masticare. I rifiuti gettati sconsideratamente sul suolo pubblico sono oggi un problema sociale che si riflette negativamente sulla qualità della vita, sull’andamento dei costi di pulizia e sull’im- magine di città e comuni cui si aggiunge il littering dalle automobili che interessa alcuni tratti di strade urbane ed extra urbane, un feno- meno diffuso che comporta l’accumulo di rifiuti in aree difficilmente ripulibili (BAFU, 2011). Il littering viene considerato come: “qualcosa nel posto sbagliato”, “uno spreco di risorse o di materiale”, “dannoso per l’ambiente”, “sot- tratto al riciclaggio”, “potenziale portatore di malattie e fonte di di- sagio”, “risultato di una società consumistica e materialistica”, “atto incivile” (Keep America Beautiful Inc., 2009). E ancora come qualcosa di “pericoloso”, “offensivo”, “non igienico”, “durevole nel tempo”, ma anche “abbastanza accettabile” come nel caso di alcuni graffiti (NSW, 2010). Secondo recenti studi i soggetti responsabili del littering causano ciò perché: “non credono che l’og- getto buttato sia un rifiuto”, “una insufficiente pressione sociale”, “non trovano a portata di mano il cestino/bidone”, “cestini/bidoni già pieni di rifiuti”, “una pressoché reale assenza di sanzioni”, “ribellione so- ciale”, “mancanza di conoscenze sugli effetti ambientali del littering”, “presenza di altri rifiuti abbandonati”, “mancanza di informazione”. Nonostante questa percezione di “cosa sbagliata” i cittadini intervi- stati ritengono che il fenomeno è tollerabile in quanto la responsabi- lità della pulizia ricade su altri (Keep America Beautiful Inc., 2009) e perché vengono pagate tasse e tariffe per finanziare i servizi di igiene ambientale. Il pregiudizio ambientale determinato da tali comportamenti si tradu- ce in danno economico poiché pone a carico della collettività un costo
  • 31. 29 del servizio di pulizia tanto maggiore quanto più ampio e complesso diviene il processo produttivo destinato a rimuoverne le conseguenze. Tra i servizi afferenti l’igiene ambientale che risentono in modo più rilevante delle esternalità negative, quello riguardante la pulizia del- le strade e delle aree pubbliche è sicuramente il più vulnerabile (G. Ghiringhelli, 2010). La gestione del littering e il risanamento delle discariche abusive comporta quindi costi supplementari rispetto alla normale gestione dei rifiuti urbani e dell’igiene urbana. L’entità di questi extra costi non è nota analiticamente e finora non sono state effettuate nemmeno stime approssimative, in quanto tali costi vengo- no ricompresi in costi generali di igiene urbana e ripianati attingendo alle casse comunali e quindi direttamente alle tasche dei cittadini at- traverso le imposizioni fiscali. Il littering genera quindi costi supple- mentari diretti e indiretti, di cui si fanno carico per lo più i comuni e gli enti che gestiscono i trasporti (BAFU, 2011). Al riguardo occorre anche considerare che negli ultimi anni, come diretta conseguenza del miglioramento del tenore economico della società italiana e della maggiore disponibilità di tempo libero, si va sempre più afferman- do l’esigenza di assicurare all’ambiente urbano (ed extraurbano) una maggiore vivibilità. Comunemente, tale esigenza viene percepita non solo in relazione e come conseguenza delle bellezze naturali e della ricchezza degli elementi architettonici e di arredamento presenti nella città, ma anche dello stato di pulizia e di decoro del centro storico e di tutti i luoghi (anche periferici) in cui si realizzano momenti di ag- gregazione per anziani, famiglie e giovani, per finalità culturali, ludi- che, sportive o religiose. L’apparente entropia delle dinamiche socio- ambientali che si verificano in ciascuna area non esclude però che vi siano tratti fermi e comuni ai vari campioni di umanità interagenti nel medesimo comprensorio comunale. Per tutti, infatti, esiste la neces- sità esistenziale di rapportarsi quotidianamente ad alcune certezze: la propria scuola, il proprio bar, il proprio negozio. Per tutti esiste l’in- teriore bisogno di “appartenenza” e l’esigenza di sentirsi curati dalle istituzioni prescelte per governare la città. L’incremento del fenomeno del littering, l’accresciuta attenzione dei cittadini al decoro dei luoghi
  • 32. 30 di vita o soggiorno e la necessità di ottimizzare la gestione delle risor- se pubbliche, può rendere il tema della gestione di questi extra costi di pulizia delle aree pubbliche tutt’altro che marginale (Fondazione ANCI Ricerche, 2010). I rifiuti gettati nell’ambiente, oltre a comportate diversi danni di natu- ra ambientale in senso lato (danno estetico, danno civico ecc.) provo- cano, per le loro caratteristiche chimiche, biologiche e tossicologiche, danni anche alla qualità dei suoli o delle acque e in ultima analisi alla qualità della vita e alla salute umana. Ai fini della protezione dell’am- biente e della salute sono quindi particolarmente importanti le norme che regolano la gestione dei rifiuti, in tutte le fasi del loro ciclo di vita: dalla produzione e immissione nell’ambiente, alla raccolta, al traspor- to, al trattamento e allo smaltimento finale. Ognuna di queste fasi è regolata da un apparato normativo cogente; per esempio, tra le norme che ne regolano la produzione e immissione nell’ambiente, si ricorda la raccolta differenziata; in fase di smaltimento finale, la legislazione prevede pene di vario tipo per scoraggiare lo smaltimento indiscrimi- nato dei rifiuti nell’ambiente. Ad oggi è difficile quantificare l’impatto sulla salute umana che possono avere i rifiuti nelle varie fasi della gestione del loro ciclo di vita. Gli studi epidemiologici sinora condotti non permettono una chiara individuazione di pericoli né tantomeno una stima del rischio (APAT, 2001). L’abbandono dei rifiuti è un serio e purtroppo diffuso problema, in grado di compromettere la qualità dell’ambiente che ci circonda e, più nello specifico, del suolo e delle acque. Esso incide, come abbia- mo visto, negativamente sul decoro dei luoghi e del paesaggio che ne risulta interessato, si ripercuote considerevolmente sui costi della pu- lizia urbana ed è di norma indice di un degrado ambientale e culturale. Per queste ragioni, il problema deve essere affrontato in modo attivo e continuo dalle amministrazioni preposte, e ciò sia in termini preventi- vi, mediante lo strumento dell’informazione verso la cittadinanza, che repressivi tramite l’applicazione delle sanzioni che l’ordinamento pre- vede per il rispetto dei divieti previsti. Occorre quindi ancora una volta un “approccio integrato”, in cui i diversi stakeholders (enti ai diversi
  • 33. 31 livelli, cittadini e aziende, associazioni ambientaliste, scuole, organi di polizia e controllo del territorio, solo per citarne alcuni) possano venire coinvolti per ciascun ambito di competenza per affrontare il problema in modo corale, coordinato agendo sulle diverse leve possi- bili (educazione/informazione, controllo/repressione e coordinamento delle azioni di controllo e pulizia del territorio) massimizzando l’ef- ficacia e l’efficienza delle sempre più scarse risorse disponibili. Tutti questi sforzi appaiono paradossali se si pensa che dovrebbe essere e basterebbe il senso civico a limitare le persone nei comportamenti che possono recare disturbo. Ma l’educazione civica non si può imporre, la si insegna con l’esempio, la si impara a scuola, viene imposta dal buon senso e dalle elementari regole della convivenza civile, regole talmente limpide e di patrimonio comune che diviene addirittura as- surdo vederle scritte su di un cartello (The Indipendent, 2008), come “divieto di abbandono rifiuti”.
  • 34. 1. cosa si abbandona Ogni tipologia di bene o rifiuto può potenzialmente essere oggetto di abbandono, e per questo è difficile classificare ed elencare compiuta- mente tutte le tipologie di rifiuti che è possibile rinvenire nell’ambien- te. Inoltre occorre considerare che le tipologie di rifiuti cambiano nel tempo col modificarsi delle abitudini di consumo e con la disponibilità di nuovi materiali. Con litter si intendono tutti quei piccoli o medio-piccoli rifiuti gettati illegalmente in spazi pubblici o privati. I più comuni sono i chewing gum, le bottiglie e le lattine, le confezioni di bevande, i pezzi di carta e di vetro, le scatole vuote di sigarette, i sacchetti, gli avanzi di cibo, le confezioni di alimenti e i piccoli imballaggi in genere. Nel 2003 l’Università di Basilea ha condotto in 5 città e 16 piazze ad alta frequentazione un’indagine sulla tipologia di rifiuti oggetto di abbandono. Questo studio è stato correlato alla situazione dell’Unione Europea mediante un’altra indagine condotta nel medesimo periodo dall’Università di Vienna in 5 città europee e in 20 piazze. Il confronto tra le due indagini non è semplice, poiché gli obiettivi sono differenti: lo studio di Basilea (SB) suddivide il litter in cluster relativi agli autori del littering, mentre l’indagine di Vienna (SV) suddivide il littering in tipologie merceologiche di rifiuti. Le frazioni dello studio di Vienna sono state trasposte nelle 5 frazioni impiegate dallo Studio di Basilea. La differenza è data dalle categorie di rifiuti considerate, che nel caso dello studio di Basilea sono ridotte a 6: imballi bevande, take-away, giornali e pubblicità, shopper, altro, rifiuti domestici. La quantità di rifiuti (oggetti di littering) è avvenuta in pezzi e non in peso (Heeo, 2003). I risultati dello studio di Basilea sono i seguenti: • il 52% del littering corrisponde a scarti di alimenti da passeggio (packaging di bevande e prodotti take-away), quasi il 24% sono gior- nali e materiale stampato; • il 30% dei rifiuti è stato abbandonato al suolo (littering), mentre il 70% è stato conferito correttamente nei cestini;
  • 35. 33 • il littering delle piazze è avvenuto nonostante la disponibilità di si- stemi di raccolta; • la percentuale di littering è in relazione al tipo di piazza; • non si sono riscontrati rifiuti domestici o ingombranti. I risultati dello studio di Vienna mostrano come: • certe tipologie di littering molto sgradite e discusse dai cittadini, quali le deiezioni di animali e le gomme da masticare, costituiscano una frazione minoritaria del littering; • il 93% del littering è fatto da oggetti di dimensione inferiori a 15 cm; • la frazione di imballaggi era tra il 5% e il 18%; • il littering è avvenuto nonostante una disponibilità sufficiente di si- stemi di raccolta. La composizione del littering è estremamente variabile in entrambe le ricerche: • la percentuale maggiore di scarti è dovuta al consumo di alimenti all’aperto, pari a circa il 50% del litter, di cui la maggioranza è costi- tuita da prodotti take-away; • la quota (alta) di giornali e cartacei dello SB non viene confermata dallo SV. Le tipologie di rifiuti oggetto di littering sono state classificate e ri- portate in molti studi, ma una classificazione più dettagliata dei rifiuti potenzialmente oggetto di abbandono viene fornita da uno studio ef- fettuato negli Usa (Keep America Beautiful Inc., 2009). È possibile trarre informazioni indirette sulla composizione dei rifiuti gettati in strada anche attraverso un’indagine merceologica del ma- teriale di risulta dei servizi di pulizia del suolo pubblico. I risultati riportano (ATIA, 2004): • rifiuti ricorrenti (carte, cartoni e lattine), dovuti essenzialmente all’in- disciplina degli utenti, che fanno pulizia e gettano i rifiuti in strada; tali rifiuti si accumulano nelle strade in determinate ore del giorno e quasi sempre in punti ben precisi (scuole, uffici, luoghi di ritrovo ecc.);
  • 36. 34 • rifiuti casuali (pacchetti vuoti di sigarette e fiammiferi, biglietti, escrementi di animali); • rifiuti eccezionali, intendendo come tali tutti quei materiali, in ge- nere abbastanza voluminosi, che l’utente sporadicamente abbandona sulla strada. Sono stati fatti poi specifici approfondimenti su particolari tipologie di rifiuto, come il caso dei contenitori per bevande o gli imballaggi in genere, al fine di consentire una valutazione più appropriata dell’origi- ne stessa del fenomeno (Keep America Beautiful Inc., 2009). Gli studi effettuati in Irlanda consolidano i dati già illustrati (figura 1.1). tabella 1.1 classificazione dei rifiuti oggetto di abbandono Materiale Tipologia di rifiuto Materiale Tipologia di rifiuto Carta Sacchetti di carta Plastica Bottiglie Carta da ufficio Flaconi Giornali e inserti Sacchi e sacchetti Riviste e libri Film e pellicole Volantini e cartoline Contenitori per cibo Imballaggi Imballaggi Tovaglioli di carta Altri Altri Metalli Lattine Vetro Bottiglie Barattoli Vasi Posate Altri Alluminio Vari Rifiuti pericolosi Altri Detriti stradali Inerti Materiale da demolizione Tessili Terra Mozziconi Organico Scarti di cibo Altri Scarti verdi Fonte: Keep America Beautiful Inc., 2009.
  • 37. 35 Gli studi più datati sul littering, che risalgono alla fine degli anni Ses- santa e all’inizio degli anni Settanta, riportavano già la sua compo- sizione media riferita alle zone residenziali e commerciali, eviden- ziando come la percentuale dei rifiuti abbandonati corrispondesse per il 50% alla carta, per il 20% agli imballaggi in carta, per il 12% alle lattine per bevande e per il rimanente alle bottiglie di vetro rotte (R.N. Clark, 1972). L’assenza della plastica e il fatto che i mozziconi di sigaretta, sicuramente presenti, non fossero stati censiti, ci informano sia sulla diversa composizione dei rifiuti sia sulla differente sensibilità dei rilevatori del fenomeno. figura 1.1 esempio di composizione del littering suddiviso per macro categorie Mozziconi di sigaretta 48,06% Scarti di pasti 30,81% Packaging 14,56% Carta 4,00% Varie 0,92% Rif. pericolosi 0,72% Plastica 0,47% Rifiuti inerti 0,46% Fonte: TES Consulting Engineers, 2005.
  • 38. 36 Una prima distinzione tra le diverse tipologie di rifiuti è tra i rifiuti organici e quelli non organici. La caratteristica dei rifiuti organici è che sono biodegradabili. La biodegradabilità è la proprietà di sostanze organiche e di altri com- posti sintetici di essere decomposti dai microorganismi, garantendo il naturale equilibrio ecologico. Purtroppo non tutte le sostanze sono bio- degradabili (o lo sono solo in tempi lunghissimi), per esempio la pla- stica, e rimangono immutate in natura contribuendo all’inquinamento del terreno. I prodotti biodegradabili, invece, se lasciati nell’ambiente possono essere metabolizzati e quindi eliminati, sebbene i tempi di questo processo possano essere estremamente lunghi (APAT, 2006). I tempi di decomposizione segnalati in tabella 1.2 per i vari tipi di rifiuto sono puramente indicativi e dipendono fortemente dalle condi- tabella 1.2 tempi medi di degradazione di alcuni rifiuti Prodotto Tempi di Composizione organica degradazione Fazzoletti di carta 3 mesi Cellulosa Sigarette senza filtro 3 mesi Cellulosa e tabacco Torsolo di mela 6 mesi Acqua, zucchero, cellulosa Fiammiferi < 1 anno Legno e zolfo Cerini > 1 anno Stelo con stearina o paraffina Sigarette con filtro 2 anni Acetato di cellulosa Bucce di banana > 2 anni Acqua, zucchero, cellulosa Giornali 10 anni Cellulosa Lattine per bibite Da 10 a 100 anni Alluminio Accendino 100 anni Plastica e metallo Bottiglie di plastica Da 100 a 1.000 anni Polietilene e policloruro di vinile Sacchetto di plastica Da 100 a 1.000 anni Polietilene Polistirolo 1.000 anni Stirolo polimerizzato Carta telefonica 1.000 anni Polietilene e plastica Vetro 4.000 anni Sabbia silicea e soda Fonte: ACR, 2009.
  • 39. 37 zioni ambientali in cui avvengono e dai fattori che la causano. Infatti, la degradazione può essere influenzata dall’azione del sole, dell’acqua, degli esseri viventi, dei batteri, dei funghi ecc. (ACR, 2009). Per quanto riguarda invece la tipologia di rifiuti oggetto di abbandono possiamo riportare i dati del sistema web-GIS “Pulizia Sconfinata”, attraverso il quale sono state raccolte le segnalazioni di abbandono in Provincia di Varese e a ciascuna di esse è stato abbinata una specifica descrizione delle tipologie di rifiuti abbandonati (Provincia di Varese, 2011). Sono i rifiuti urbani domestici a essere i più frequentemente abban- donati (44%), seguiti da macerie e inerti da attività edile (15%), in- gombranti da abitazioni civili (12%) e pericolosi (16%), che, rispetto agli urbani, richiedono una procedura più onerosa per essere smaltiti a norma di legge. figura 1.2 rifiuti abbandonati per tipologia Urbani da civili abitazioni/domestici 160 140 120 100 80 60 40 20 0 Fonte: Provincia di Varese, 2011; www.provincia.va.it. Speciali non pericolosi da attività industriali Speciali non pericolosi da costruzione/demolizione Speciali non pericolosi da manutenzione di orti e giardini Ingrombranti da civili abitazioni Pericolosi (eternit, vernici ecc.) RAEE 44% 8% 15% 2% 12% 3% 16%
  • 40. 2. dOvE E quANTO sI ABBANdONA Ogni luogo urbano o periferico, privato o pubblico può subire l’ab- bandono di rifiuti. Una prima suddivisione delle aree di interesse del fenomeno dell’abbandono dei rifiuti può essere categorizzata identifi- cando aree urbane ed extra urbane. In Irlanda è stata effettuata analiti- camente questa valutazione con risultati interessanti (TES Consulting Engineers, 2005). In studi qualitativi sono state classificate le aree prevalentemente og- getto del fenomeno del littering (NSW, 2010), ovvero: • aree prossimali a siti residenziali (bordi delle strade, piazze, vicoli, o aree private non custodite ecc.); • spiagge e aree lungo corsi d’acqua; • aree industriali; • posteggi per le automobili; • zone prossimali a centri commerciali; • parchi pubblici; • autostrade; • strade secondarie; • aree rurali nei dintorni delle città. Il piccolo rifiuto buttato in modo improprio per eccellenza è il moz- zicone di sigaretta. Studi presentati dalla British American Tobacco nel 2001 quantificano a 7,2 miliardi le sigarette abbandonate lungo le strade e le campagne australiane, fino al 50% del littering totale (Warne, 2005). Per capire l’entità del fenomeno dal punto di vista quali-quantitativo e della sua localizzazione prevalente si veda la figura 2.1, nella quale è illustrata la quantità media di rifiuti da littering su una superficie di 1.000 m2 (NSW, 2010). Negli Usa gli studi più recenti stimano che sulle nation’s roardway vengono abbandonati ogni anno oltre 51,2 miliardi di rifiuti. Di que- sti, il 91% ha una dimensione inferiore ai 10 cm mentre il 9% ha una dimensione superiore. Per quanto riguarda la composizione dei rifiuti
  • 41. 39 si evidenzia come i resti generati dai fumatori (in primis i mozziconi di sigaretta) siano il 37,7% dei rifiuti oggetto di abbandono, seguiti da carta e imballaggi (Keep America Beautiful Inc., 2009). I metodi di quantificazione sono comunque complessi e in larga parte empirici, soprattutto quando devono definire il grado o livello di in- tensità del fenomeno su una data area o tratto di strada. La maggior parte degli studi si basa sull’esame di aree campione e l’esecuzione di rilievi puntuali al fine di determinare le quantità e le tipologie dei materiali (Keep America Beautiful Inc., 2009). Uno studio più completo effettuato in Irlanda nel 2005 a cura del Go- verno cerca di correlare differenti luoghi fisici o luoghi di comporta- mento tipici del fenomeno dell’abbandono cercando di determinarne anche il peso relativo (TES Consulting Engineers, 2005). Centro commerciale Spiaggia figura 2.1 volume e numero di rifiuti medi abbandonati in diverse aree Numero oggetti Volume (l.) 30 25 20 15 10 5 0 Fonte: NSW, 2010. Parco Zona residenziale Mercato Posteggio Autostrada Zona industriale 20 40 60 80 100 120 140 160
  • 42. 3. chi abbandona Nell’anno 2002 Keep Britain Tidy, un’associazione ambientalista pro- motrice di campagne antilittering, ha commissionato una ricerca di mercato sul rapporto degli adolescenti con il littering (Nelson, 2004). Questa inchiesta andava di pari passo con una campagna contro il lit- tering diretta ai giovani. I focus group e le interviste in profondità effettuate a ragazzi tra i 13 e i 16 anni avevano l’obiettivo di conoscere il loro comportamento nei confronti dell’abbandono dei rifiuti e nel ricercare la presenza di attitudini comuni alla fascia d’età. Il lavoro offre una serie di spunti su cui ragionare, inoltre mostra il mondo dalla prospettiva dei minorenni. Gli adolescenti classificano rifiuti come carte, sacchetti delle patati- ne, bottiglie di plastica meno impattanti rispetto ad altri oggetti; sono quindi più propensi a gettare per strada questi prodotti insieme a latti- ne, carte di caramelle, pezzi di carta, gomme da masticare. A differenza degli adulti, i ragazzini non hanno problemi ad ammet- tere che buttano rifiuti per strada, soprattutto quando sono in gruppo e non in presenza di persone di età maggiore. Lo fanno per pigrizia, perché ci sono pochi cestini dell’immondizia o perché questi ultimi sono sporchi o pieni. Questi comportamenti sono pressoché comuni a tutti gli adolescenti per residenza urbana o rurale. L’istituzione scolastica fornisce una serie di stimoli educativi e civili che portano il giovane ragazzo a una mentalità favorevole all’ambien- te, tuttavia queste convinzioni diventano più fragili nel momento in cui l’adolescente si trova tra i suoi coetanei. Il littering può essere com- parato ad altre forme di ribellione giovanile come il fumare o il bere alcolici, che gli adolescenti non considerano come troppo dannose. La campagna di Keep Britain Tidy del 2002 non riscosse molto suc- cesso e per questo l’anno successivo vennero rivisti il suo indirizzo e le sue modalità d’impostazione. Una delle ragioni degli scarsi risultati ottenuti fu l’approccio “da adulto a giovane” con cui la campagna venne condotta, considerata dagli adolescenti come troppo condiscen- dente e paternalista.
  • 43. 41 Il dipartimento texano dei trasporti ha commissionato negli anni dei sondaggi sull’impatto delle campagne anti-littering “Don’t Mess with Texas” e sul rapporto dei cittadini nei confronti del littering (Texas State, 2009). Nell’ultima ricerca risalente al 2009 sono stati interessati 1.255 citta- dini con età maggiore di 16 anni, rappresentativi dell’intero stato del Texas. Per contattare questa popolazione si è utilizzato lo strumento telefonico e internet. Nel lavoro sono stati classificati recent litterers coloro che hanno buttato rifiuti per terra negli ultimi tre mesi, mentre gli individui che hanno gettato oggetti in modo illecito nell’ultimo mese sono gli active litterers. Le prime informazioni certificano la conoscenza da parte degli intervistati della campagna statale “Don’t Mess with Texas” e dei suoi contenuti: rispettivamente il 95% e l’82% delle persone risponde in modo affermativo. In comparazione con lo stesso sondaggio effettuato nel 2007, il nu- mero dei recent litterers è sceso dal 43% al 31%. I texani che si qua- lificano active litterers sono il 42% della popolazione intervistata; il 54% di loro dichiara di aver gettato rifiuti mentre era in auto. Quasi il 70% della rilevazione ammette il littering almeno una volta nella propria vita, mentre il 30% ha “accidentalmente” abbandonato rifiuti in maniera impropria. Anche se può sembrare una contraddizione, più di un terzo degli active litterers suggerisce l’inasprimento delle leggi e delle sanzioni contro chi pratica il littering. Secondo uno studio effettuato sempre dal dipartimento texano dei tra- sporti (Texas State, 2009), il 62% dei fumatori dichiara che quando è in auto getta mozziconi di sigaretta e altri piccoli rifiuti dal finestrino della propria automobile; per questo comportamento i fumatori ven- gono chiamati tobacco litterers. Il comportamento illustrato permette di comprendere come le abitu- dini legate a un particolare gesto quotidiano (in questo caso il getta- re a terra il mozzicone della sigaretta) si rifletta sul comportamento dell’individuo anche in altri contesti, per cui il gesto di buttare dei rifiuti per terra rientra nella quotidianità e nella familiarità. Sulle strade statunitensi è stato effettuato uno studio per identificare
  • 44. 42 le macro categorie di utenti responsabili del fenomeno dell’abban- dono. È emerso quindi che il 76% del littering è operato da pedoni (22,8%) e automobilisti (52,8%) (figura 3.1; Keep America Beautiful Inc., 2009). Uno studio negli Usa ha dimostrato che gli uomini hanno una pro- pensione all’abbandono due volte superiore rispetto alle donne, che i giovani hanno una propensione al littering due volte superiore alle persone di oltre trent’anni e addirittura tre volte superiore a chi ha più di 50 anni (R.N. Clark, 1972). Centro commerciale Spiaggia figura 3.1 origine aggregata deL Littering SuLLe Strade StataLi in uSa Centro commerciale Spiaggia Fonte: Keep America Beautiful Inc., 2009. Contenitori vari 1,50% Automobilisti 52,80% Pedoni 22,80% Detriti 2,30% Sconosciuti 4,10% Perdite da veicoli 16,40%
  • 45. 4. perché si abbandona Sono stati effettuati studi quantitativi sulla propensione al littering in diverse situazioni, partendo dalla teoria deduttiva che le norme sociali influiscono sul comportamento dei soggetti. Differenziando le norme sociali di tipo ingiuntivo (ciò che una cultura approva o disapprova sono esempi di normative impositive) e le norme descrittive (sono normative che suggeriscono il comportamento appropriato che molti soggetti seguono in un determinato momento imitando altri individui), il risultato degli studi afferma che: • le norme descrittive favoriscono comportamenti pro-sociali solo in ambienti puliti; • attivando norme di tipo descrittivo, il littering non diminuisce se ci sono altri rifiuti per terra. In uno spazio controllato con l’aumentare dei rifiuti cresce la pro- pensione dell’individuo al littering e diminuisce il tempo di latenza con cui il soggetto butta il rifiuto illecitamente. Tuttavia attivando nei soggetti osservati norme ingiuntive, l’attenzione si sposta da un comportamento antisociale a pro-sociale. Infatti i soggetti che sono stati esposti a una maggiore coscientizzazione antilittering tendono a sporcare meno in ambienti puliti, mentre gettano più rifiuti dov’è già sporco. L’individuo che pratica il littering di solito sporca meno in un ambiente pulito (Cialdini R., 1990). In generale da questi lavori di psicologia sociale si evidenzia l’impor- tanza di attivare norme che influenzino il comportamento umano, ma perché poi questo tipo di norme ottengano reale efficacia l’individuo deve considerarle importanti e interiorizzarle. Spesso le norme sociali di tipo ingiuntivo/impositivo appaiono più efficaci nel modificare il comportamento delle collettività verso l’antilittering. Altri studiosi (Sibley, 2003) focalizzano la propria attenzione allo specifico littering che avviene vicino ai cestini stradali gettacarta. Il loro studio è stato volto a dimostrare l’efficacia di differenti tipi di messaggio e l’attivazione di diverse tipologie di norme persuasive. In
  • 46. 44 particolare si vuole individuare quale classe di norma – sociale ingiun- tiva, sociale descrittiva o personale – abbia un maggiore effetto nella percezione dei comportamenti di littering o antilittering. La norma personale o interiorizzante differisce da quelle sociali per- ché essa si basa sul concetto di sé e su valori prettamente individuali. In questo studio quantitativo sono state incrociate quattro norme (so- ciali ingiuntive vs. sociali descrittive vs. personali vs. controllo) per due tipologie di attivazioni (implicite vs. esplicite) che giudicano so- cialmente una persona nell’atto dell’abbandonare un rifiuto in un luo- go pubblico (modello 4X2). Il disegno di ricerca prevede il posizionamento di cestini dell’immon- dizia recanti i seguenti messaggi con attivazione esplicita: • norma sociale ingiuntiva: “Questo è quello che dovrebbe essere fatto qui!”; • norma sociale descrittiva: “Mantieni la città pulita”; • norma personale: “Lasci i tuoi rifiuti in giro?”; • controllo: nessun messaggio applicato al cestino. I cestini con attivazione implicita non contengono scritte ma disegni che simboleggiano i messaggi riferiti alle norme qui sopra riportate. I risultati ottenuti da un campione casuale di 315 cittadini della città di Eindhoven (in Olanda) mostrano che l’attivazione di tipo esplici- to (messaggi/slogan sui cestini gettacarta) è più efficace rispetto a quella implicita (simboli sui cestini gettacarta). Gli effetti delle varie tipologie di norma non sono rilevantissime nei confronti dell’atteg- giamento del campione di cittadini osservato, anche se il dato inte- ressante è che la norma sociale ingiuntiva pare la più efficace nel giudizio dei cittadini. In seconda battuta risulta influente le norma personale e, dopo il “controllo”, appare l’incisività inferiore della norma descrittiva. Nel lavoro rimane aperta la questione se gli effetti dell’attivazione di forti norme esplicite siano generalizzabili per di- scentivare il littering. Altri studi hanno affinato l’effetto di norme esplicite nei confronti di quelle implicite secondo l’età:
  • 47. 45 • oltre a praticare un basso littering, le persone oltre i 40 anni sono più influenzabili da norme esplicite (per esempio messaggi testuali); • individui tra i 20 e i 40 anni risultano anch’essi sensibili all’attiva- zione di norme esplicite; • le persone più giovani sono maggiormente propense al littering ri- spetto alle altre fasce d’età, inoltre non paiono influenzabili ad alcun tipo di attivazione normativa. Alcuni ricercatori (Sibley, 2003) propongono un modello a due stadi comportamentali di chi pratica il littering in luoghi pubblici: attivo e passivo. La differenziazione tra il comportamento attivo (per esempio, qualcuno che lascia cadere il rifiuto al suolo e continua a tranquilla- mente camminare) e quello passivo (per esempio, qualcuno che ab- bandona rifiuti sulla panchina dove è seduto e non lo rimuove quando se ne va) è influenzata dall’intervallo di tempo tra il momento in cui la spazzatura è abbandonata nell’ambiente e la mancata rimozione del rifiuto quando si lascia il territorio. I risultati hanno suggerito che l’inquinamento passivo è più resistente al cambiamento, cioè si tratta di un comportamento più difficile da modificare di quello attivo. L’effetto di attivare e posizionare nell’ambiente messaggi e avvisi pro- sociali volti alla pulizia ha ridotto in modo significativo la sporcizia da sigarette del 17% (20% di riduzione nel comportamento attivo, au- mento del 6% di quello passivo) e la sporcizia da altre fonti del 19% (0% di cambio nel comportamento attivo in quanto i livelli di partenza erano già minimi, riduzione del 25% di quello passivo). Precedenti analisi di psicologia sociale affermano l’importanza degli incentivi per dissuadere il littering da parte degli individui e il costo di queste pratiche sostenuto dalle amministrazioni locali e statali. Risulta quindi più economico agire su comportamenti pro-ambiente e antilit- tering investendo sull’educazione della società. Dal punto di vista qualitativo è possibile elencare le principali ragioni che portano un individuo a gettare i rifiuti nell’ambiente: • non ci sono cestini nelle vicinanze;
  • 48. 46 • imitazione del comportamento di amici; • non voglio i rifiuti nella mia auto e quindi li getto dal finestrino; • mi cadono accidentalmente piccoli rifiuti; • vedo dei rifiuti o zone sudice e quindi mi sembra naturale gettare i rifiuti. Una classificazione delle motivazioni effettuata e ordinata secondo la rilevanza del fenomeno alla base della motivazione del littering riporta le seguenti risultanze (Keep America Beautiful Inc., 2009): • temperature ambientale; • orario; • disponibilità e distanza di cestini o luoghi predisposti per ricevere rifiuti; • quantità di sporcizia e rifiuti presenti; • aspetto fisico dell’area; • presenza di cartelli contro l’abbandono rifiuti; • presenza di persone; • tempo atmosferico; • tipo di area (rurale, urbana, sub-urbana ecc.); • tipo di luogo (centro cittadino, fast food ecc.). La dimostrazione che la distanza da cestini e altre strutture previste per accogliere i rifiuti sia un elemento discriminante per la scelta se gettare i rifiuti emerge da osservazioni e studi specifici sul tema (figura 4.1). Le differenti motivazioni possono poi essere categorizzate e alcuni studi sono riusciti a fornire una valutazione semi-quantitativa che per- mette di raccogliere informazioni legate all’età e al contesto sociale: • persone sotto i 15 anni difficilmente sporcano con i rifiuti; • individui sotto i 25 anni gettano rifiuti più facilmente quando sono in gruppo; • individui sopra i 25 anni sporcano più facilmente quando sono soli; • persone tra i 15 e 24 anni hanno una maggiore disposizione a gettare rifiuti rispetto agli adulti;
  • 49. 47 • il littering è influenzato dal contesto sociale; • donne e uomini gettano rifiuti in quasi eguale maniera, con una leg- gera maggioranza da parte del genere maschile. Altre ragioni per cui l’individuo elimina un rifiuto in modo improprio sono: • per azione deliberata e precisa (a volte il rifiuto viene posizionato in un luogo specifico e prescelto); • molti danno un differente significato alla tipologia del rifiuto; • la presenza di altri rifiuti abbandonati provoca comportamenti di imitazione della devianza sociale. Il questionario “Rifiuti al loro posto – Provincia di Varese” del 2007 somministrato ai comuni dell’omonima provincia (cui hanno rispo- sto 79 comuni su 141) ha evidenziato molte analogie rispetto ai dati rilevati dall’analisi della documentazione empirica dei media appena affrontata (G. Ghiringhelli, 2008). figura 4.1 origine aggregata del littering sulle strade statali in usa Fonte: Keep America Beautiful Inc., 2009. Propensione al littering Distanza cestino in metri 35% 30% 25% 20% 15% 10% 5% 0% 0 10 20 30 40 50 60 70 80
  • 50. 48 Le cause dell’abbandono dei rifiuti nel territorio sono elencate in or- dine di importanza: • inciviltà/mancanza di senso civico o educazione; • difficoltà a individuare i colpevoli dell’abbandono; • elevato costo di smaltimento per alcune tipologie di rifiuto; • scarsa conoscenza delle modalità o dell’orario di apertura dell’isola ecologica comunale; • migrazione di rifiuti da altri comuni; • lavoro nero; • aree private incustodite e isolate; • difficoltà ad applicare sanzioni adeguate e mancanza di controllo; • alta densità turistica specialmente nel fine settimana e d’estate; • presenza di cittadini extra comunitari e nomadi. Innanzitutto ricompare la necessità di ristrutturare/ampliare le infor- mazioni sulla raccolta differenziata, il problema dello smaltimento oneroso di alcune tipologie di materiale come l’eternit, la volontà di incrementare le sanzioni e la frustrazione nella difficoltà di individua- re i colpevoli delle infrazioni. Il questionario ai comuni ripetuto nel 2012 all’interno del progetto “Insubria Pulizia Sconfinata” (Terraria Srl, 2012) attraverso un siste- ma on-line ha fornito le risposte a due domande. La prima domanda chiede di indicare le possibili cause del fenomeno di abbandono ri- scontrate nel proprio territorio. Complessivamente sono state indicate 217 preferenze (era possibile segnare da 1 a 3 preferenze). Come mo- stra la figura 4.2, le principali cause del fenomeno sono da ricondurre alla mancanza di senso civico o educazione di cittadini e imprese/ imprenditori (24%), all’incuria e alla scarsa sensibilità sociale (18%), alla mancanza di rispetto delle regole (15%) e all’abitudine di gettare i rifiuti (pacchetti di sigarette ecc.) dal finestrino. Per l’11% dei casi la motivazione è anche da ricercarsi nella scarsa visibilità delle aree preposte al conferimento dei rifiuti. La seconda domanda ha come oggetto gli elementi che favoriscono i fenomeni di abbandono nel proprio territorio. Complessivamente sono
  • 51. 49 state indicate 67 preferenze; l’elemento principale che favorisce il fe- nomeno è il traffico transfrontaliero tra la Svizzera e l’Italia, indicato nel 51% dei casi; a seguire, con il 30% delle preferenze, il lavoro nero in edilizia e nella manutenzione del verde e, con il 10%, l’insufficiente orario di apertura dell’isola ecologica/ecocentro comunale. figura 4.2 risposte dei comuni al questionario del progetto “insubria pulizia sconfinata” 30% 25% 20% 15% 10% 5% 0% Fonte: Terraria Srl, “Insubria Pulizia Sconfinata”, 2012. Altro 18% 2% 15% 24% 6% 1% 15% 11% 2% 0,5% 0,5% 1% Non comprensibili e quindi non note Aree isolate/scarsamente visibili Aree parzialmente illuminate/mancanza di illuminazione Aree private incustodite Abitudine a gettare i rifiuti (pacchetti di sigarette ecc.) dal finestrino Vandalismo Cittadini extra-comunitari e nomadi che ignorano le regole di gestione dei rifiuti Migrazione di rifiuti da altri comuni non dotati di isola ecologica o ecocentro comunale Mancanza di rispetto delle regole Scarsa conoscenza delle modalità o dell’orario di apertura dell’isola ecologica o ecocentro comunale Incuria e scarsa sensibilità sociale
  • 52. 5. l’abbandono di rifiuti ingombranti L’illegal waste dumping è l’abbandono abusivo di rifiuti di media- grande dimensione nel territorio. Rispetto al litter la differenza si quantifica sulla grandezza del rifiuto e – nella maggioranza dei casi – rispetto al luogo di deposito. Riesce facile comprendere che grandi quantitativi di materiale vengano più facilmente abbandonati in luoghi dove lo spazio sia maggiore e i controlli minori (aree rurali, boschi, periferie ecc.). L’illegal waste dumping varia dai piccoli sacchetti di spazzatura nella realtà urbana a grandi quantità di rifiuti vari (ingombranti – materassi, lavatrici, mobili ecc. – inerti e macerie, pneumatici, bidoni, lastre di amianto ecc.) lasciate nei boschi o in altre aree isolate. Il Department of Environment and Conservation, Sustainability Pro- grams Division del Governo del New South Wales australiano ha effettuato nel 2003 una ricerca di tipo qualitativo e quantitativo sui comportamenti e gli atteggiamenti nei confronti dell’abbandono di ri- fiuti (Department of Environment and Climate Change NSW, 2008). Si tratta di uno dei pochi, ma importanti, lavori specifici nel campo dell’illegal waste dumping. Cercando una comprensione razionale delle motivazioni dell’agire (verstehen: esame partecipativo e interpretativo di un fenomeno so- ciale), il disegno della ricerca interessa abitanti di case multifamiliari residenti nello stato. La fase qualitativa è consistita nella realizzazione di 10 focus group, mentre quella quantitativa si è basata su 600 intervi- ste, coinvolgendo in entrambi i casi campioni di persone. I risultati hanno offerto i seguenti dati: • in generale gli abitanti non considerano una questione prioritaria l’abbandono di rifiuti; • diversi intervistati riconoscono che la pratica dell’abbandono di ri- fiuti nei dintorni delle loro abitazioni avviene, ma non credono sia totalmente illegale; • lo smaltimento illegale di scarti è, a volte, una facile scelta perché: – è vista come norma sociale (intesa come una consuetudine);
  • 53. 51 – non vengono effettivamente applicate pene pecuniarie; – le amministrazioni pubbliche locali provvedono puntualmente ad asportare i rifiuti abbandonati; • anche se il dumping può essere percepito come sbagliato, esso non è considerato una devianza sociale al pari di altre attività illegali; • il fatto che le autorità sembrino quasi accettare la situazione (rimuo- vendo il problema, non imponendo multe, non allertando gli abitanti) rinforza la leggerezza di percezione della questione da parte dei cit- tadini; • non esistono consistenti correlazioni tra gli atteggiamenti e i com- portamenti dei cittadini.
  • 54. 6. l’abbandono di rifiuti organizzato “Ecomafia” è un neologismo coniato da Legambiente che indica quei settori della criminalità organizzata che hanno scelto il traffico e lo smaltimento illecito dei rifiuti, l’abusivismo edilizio e le attività di escavazione come nuovo grande business in cui stanno acquistando sempre maggiore peso anche i traffici clandestini di opere d’arte ru- bate e di animali esotici. Dal 1994 l’Osservatorio nazionale ambiente e legalità di Legambiente svolge attività di ricerca, analisi e denuncia del fenomeno in collaborazione con tutte le forze dell’ordine (Arma dei Carabinieri, Corpo forestale dello Stato e delle Regioni a statuto speciale, Capitanerie di porto, Guardia di finanza, Polizia di Stato, Di- rezione investigativa antimafia), con l’istituto di ricerche Cresme (per quanto riguarda il capitolo relativo all’abusivismo edilizio), con i ma- gistrati impegnati nella lotta alla criminalità ambientale e gli avvocati dei Centri di azione giuridica di Legambiente (Legambiente, 2012). Sono passati oltre dieci anni dalla prima ordinanza di custodia cautela- re emessa per traffico illegale di rifiuti nel nostro paese. Era il 13 feb- braio del 2002 e a farla scattare fu l’operazione Greenland, coordinata dalla Procura della Repubblica di Spoleto e condotta dal Comando tu- tela ambiente dell’Arma dei Carabinieri. Oggi, le inchieste sviluppate grazie al delitto di “attività organizzate per il traffico illecito di rifiu- ti” (art. 260 del Dlgs 152/2006, ex art. 53 bis del “Decreto Ronchi”) sono diventate 191 e le ordinanze di custodia cautelare 1.199, quasi una ogni tre giorni. Le procure che hanno indagato sono diventate 85, nelle inchieste hanno operato tutte le forze dell’ordine, dal Cor- po forestale dello Stato alla Guardia di finanza, dalla Polizia di Stato alla Direzione investigativa antimafia fino alle Capitanerie di porto e all’Agenzia delle dogane. Numeri e risultati importanti, che hanno consentito di svelare scenari inediti e di “fotografare” un fenomeno, quello dei traffici illegali nel nostro paese e su scala internazionale (22 gli stati esteri coinvolti), che rappresenta un’autentica minaccia per l’ambiente, la salute dei cittadini, l’economia. Basti pensare al fatto che le aziende coinvolte nelle indagini sono state ben 666, con 3.348
  • 55. 53 persone denunciate. E che in un solo anno, il 2010, sono state seque- strate oltre 2 milioni di tonnellate di rifiuti speciali e pericolosi gestiti illegalmente. Si tratta della punta, relativa ad appena 12 inchieste su 30, di una vera e propria “montagna di veleni”. I numeri diventano ancora più impressionanti estendendo la rileva- zione agli ultimi dieci anni: in 89 indagini su 191, cioè meno della metà di quelle effettuate, le forze dell’ordine hanno sequestrato più di 13 milioni e 100 mila tonnellate di rifiuti: una strada di 1.123.512 tir, lunga più di 7 mila chilometri, (l’intera rete autostradale italiana ne misura 7.120). Da capogiro anche il volume di affari stimato da Le- gambiente: 3,3 miliardi di euro nel solo 2010 e ben 43 miliardi negli ultimi dieci anni. Sono 39 i clan mafiosi, censiti fino a oggi nei rapporti Ecomafia di Legambiente, scoperti in attività nel ciclo illegale dei rifiuti. I risultati investigativi raggiunti in tutte queste inchieste hanno messo in luce il dietro le quinte della gestione illecita degli scarti, un fenomeno che si dipana senza soluzione di continuità su tutto il territorio nazionale, e oltre confine, scalzando il luogo comune secondo cui interesserebbe solo il Sud. Di certo, le regioni del Sud hanno il primato della presen- za capillare delle mafie tradizionali e molte indagini hanno mostrato l’egemonia diretta dei clan nel traffico dei rifiuti (Legambiente, 2011).
  • 56. 7. che danni causa l’abbandono di rifiuti I problemi causati dal comportamento incivile di alcuni cittadini che abbandonano i rifiuti nell’ambiente sono di ordine igienico-sanitario oltre che ambientale ed evidentemente anche economico. I costi per recuperare i rifiuti abbandonati o per bonificare le discariche abusive vanno, infatti, a sommarsi a quelli relativi alla normale attività di rac- colta e smaltimento di rifiuti e ricadono sulla collettività. A ciò va poi aggiunto il danno ingenerato dal degrado estetico delle strade e del territorio in genere, particolarmente rilevante in paesi, come l’Italia e la Svizzera, che fanno del turismo e della bellezza del suo territorio un elemento chiave del futuro sviluppo economico (G. Ghiringhelli, 2008). È possibile riassumere i danni causati dal fenomeno dell’ab- bandono e dal littering in queste categorie sintetiche: • ambientale diretto (per esempio l’inquinamento del suolo o l’ucci- sione di qualche animale che si ciba dei rifiuti abbandonati); • ambientale indiretto (per esempio causato dalla trasformazione dei rifiuti nell’ambiente); • sanitario (per il pericolo di sviluppo di infezioni legate alle condizio- ni igieniche delle aree soggette ad abbandono rifiuti); • estetico; • culturale, in quanto l’abitudine a gettare i rifiuti riduce la sensibilità dei cittadini nel rispetto dell’ambiente e della cosa pubblica in genere; • sicurezza (per esempio i mozziconi di sigaretta gettati nell’ambiente possono essere causa di incendi, possono otturare i tombini stradali e provocare allagamenti); • economico diretto, per i costi di rimozione e pulizia dei luoghi; • economico indiretto, per i problemi di immagine e gli investimenti necessari per il controllo e prevenzione del fenomeno.
  • 57. 8. che impatto ambientale causa l’abbandono di rifiuti Da alcuni decenni, nei paesi industrializzati, le politiche sanitarie cen- trali e locali si vanno indirizzando con sempre maggior forza sul con- trollo dei determinanti non sanitari della salute (fattori genetici, stili di vita, condizioni di vita e di lavoro, contesto generale socio-economico, culturale e ambientale ecc.); nel nostro paese, già da molto tempo, tali politiche hanno tenuto in grande considerazione i problemi connessi alla produzione e allo smaltimento dei rifiuti. Nelle varie fasi della gestione dei rifiuti possono verificarsi fenomeni di rilascio nell’ambiente di sostanze chimiche sia in aria, che in suolo, che nell’acqua, oltre che di contaminazione microbiologica, con po- tenziali effetti dannosi sulla salute. Ai fini della protezione dell’ambiente e della salute sono quindi par- ticolarmente importanti le norme che regolano la gestione dei rifiuti, in tutte le fasi del loro ciclo di vita: dalla produzione e immissione nell’ambiente, alla raccolta, trasporto, trattamento e smaltimento fina- le. Ognuna di queste fasi è regolata da un apparato normativo cogente; per esempio, tra le norme che ne regolano la produzione e immissione nell’ambiente, si ricorda la raccolta differenziata; in fase di smalti- mento finale, la legislazione prevede pene di vario tipo per scoraggiare lo smaltimento indiscriminato dei rifiuti nell’ambiente. I rifiuti gettati nell’ambiente, oltre a comportate diversi danni di na- tura ambientale in senso lato (danno estetico, danno civico ecc.) cau- sano, per le loro caratteristiche chimiche, biologiche e tossicologiche, danni anche sulla qualità dei suoli o delle acque e in ultima analisi sulla qualità della vita e sulla salute umana. Ne derivano, a vari livelli, ingenti costi economici diretti e indiretti. Ad oggi è difficile quantificare l’impatto sulla salute umana che pos- sono avere i rifiuti, nelle varie fasi di gestione del loro ciclo di vita. Gli studi epidemiologici sinora condotti non permettono una chiara indi- viduazione di pericoli né tantomeno una stima del rischio, per esem- pio, per le popolazioni residenti in prossimità di impianti di trattamen-
  • 58. 56 to/smaltimento dei rifiuti (discariche o inceneritori), per la difficoltà di raccogliere dati consistenti, statisticamente validi che tengano conto da un lato dell’esposizione della popolazione e dall’altro degli effetti sulla salute. Nel caso delle discariche e dei processi di trattamento e smaltimento dei rifiuti, l’accertamento della qualità e intensità dell’e- sposizione e la registrazione di effetti biologici è molto difficile, poi- ché i rifiuti sono spesso miscele complesse di composti chimici, agenti fisici e biologici, la cui tossicità potenziale può variare nel tempo e con il mezzo di trasporto. Le caratteristiche tossicologiche di un dato xenobiotico (termine con cui si definisce qualsiasi sostanza estranea alla normale nutrizione dell’organismo e al suo normale metabolismo) possono inoltre variare a seconda delle vie di esposizione, come l’i- nalazione, l’ingestione attraverso il cibo o l’acqua potabile, il contat- to cutaneo. Per le ragioni esposte e anche a causa dei limitati studi condotti, non è possibile ad oggi quantificare puntualmente il “peso” che il trattamento/smaltimento dei rifiuti ha sullo stato di contamina- zione dei comparti ambientali, e conseguentemente il relativo impatto sulla salute umana. Se è difficile individuare il rapporto causa effetto rifiuti-salute per ciò che riguarda i più comuni processi di trattamento e smaltimento, è, ad oggi, quasi impossibile valutare gli effetti del fenomeno del littering sull’ambiente, in termini di inquinamento, e sulla salute. Poiché non sono disponibili pubblicazioni specifiche sull’effetto di tutte le tipologie di rifiuti gettati nell’ambiente per le diverse condizio- ni in cui questi vengono a trovarsi (presenza di acqua, incendi ecc.), nel testo è utile trarre informazioni e dati tecnici e scientifici dalle condizioni controllate, come lo smaltimento in discarica o l’incene- rimento, in cui vengono gestiti gli stessi rifiuti che sono oggetto di abbandono. L’inquinamento è un’alterazione dell’ambiente, naturale o antropico, e può essere di origine sia antropica sia naturale. Esso produce disa- gi temporanei, patologie o danni permanenti per la vita in una data area, e può porre la zona in disequilibrio con i cicli naturali esistenti. L’alterazione può essere di svariata origine, chimica o fisica. È quindi
  • 59. 57 inquinamento tutto ciò che è nocivo per la vita o altera in maniera significativa le caratteristiche fisico-chimiche dell’acqua, del suolo o dell’aria, tale da cambiare la salute, la struttura e l’abbondanza delle associazioni dei viventi o dei flussi di energia, soprattutto in merito a ciò che non viene compensato da una reazione naturale o antropi- ca adeguata che ne annulli gli effetti negativi totali. Tutto può essere inquinante, a seconda delle dosi e dei modi. In teoria tutte le attività e l’ambiente costruito dall’uomo costituiscono inquinamento dell’am- biente naturale, in quanto interagiscono con lo stesso, mutandone la sua conformazione originaria. La definizione di inquinamento dipen- de dal contesto, ovvero dal sistema naturale preso in considerazione e dal tipo di alterazioni introdotte (Odum, 1966). L’inquinamento del suolo è l’alterazione della composizione chimica naturale del suolo a causa dell’azione dell’uomo. Tra le fonti di in- quinamento del suolo, sopra citate, i rifiuti hanno un peso notevole, soprattutto per le diverse sostanze inquinanti che possono contenere (metalli, diossine, materiali radioattivi, ceneri, scorie industriali di va- rio tipo ecc.). La discarica, essendo a tutti gli effetti un reattore dove materiali in fase liquida, solida e gassosa, reagiscono dando luogo a emissioni li- quide (percolato) e gassose (biogas), rappresenta l’ambiente più stu- diato e più simile alla condizione dei rifiuti abbandonati nell’ambiente (Cossu, 2005). Nella discarica (ma in generale potremmo dire nel caso di rifiuti inter- rati) avvengono processi di varia natura (Cossu, 2005): • processi fisici: per esempio la compattazione progressiva dei rifiuti; • processi chimico-fisici: evaporazione dell’umidità e dilavamento dei rifiuti, con produzione di percolato; • processi biologici: decomposizione e mineralizzazione della sostan- za organica. Nelle prime settimane di collocazione dei rifiuti si ha un sufficiente grado di ossigenazione e la decomposizione è di tipo aero- bico, successivamente è di tipo anaerobico. Gli impatti ambientali che si originano dalle discariche (o dall’inter-
  • 60. 58 ramento dei rifiuti) possono essere suddivisi per comparto ambientale interessato (aria, acqua, suolo) e per andamento dell’intensità in fun- zione della distanza dalla fonte. Accanto a impatti di vasta scala, legati al fatto che le discariche sono tra i più importanti produttori di gas a effetto serra (metano e anidride carbonica) e che nelle discariche ven- gono ancora emessi (dai manufatti di scarto che li contengono) i clo- rofluorocarburi (CFC) messi al bando nella produzione industriale a causa del problema del buco dell’ozono, si hanno numerosi impatti di piccola scala, i cui effetti si risentono nel raggio di qualche chilometro. È stato stimato che per l’interramento dei rifiuti il fattore di emissione di composti organici volatili (COV) sia di 7.000 g/tonnellata di rifiuti urbani (RU), che comporta una emissione complessiva di COV pari a 424,3 migliaia di tonnellate. Quindi il 14,4% del totale dei COV emessi nelle varie attività umane proviene dall’interramento dei RU (APAT, 2001). figura 8.1 ScheMa deLLe eMiSSioni di una diScarica Fonte: Cossu, 2005. BARRIERE GAS (CH4 , CO2 , CFC) PERCOLATO GAS (aria) RIFIUTI RIFIUTI Emissioni incontrollate verso l’ambiente ACQUA (pioggia, infiltrazioni ecc.)
  • 61. 59 La quantità di percolato che si produce in una discarica è legata alle disponibilità idriche (pioggia, infiltrazioni), al tipo di compattazione dei rifiuti, alle caratteristiche della superficie di copertura e infine alla permeabilità della discarica e del suolo. L’evolversi delle trasforma- zioni biologiche causa una variabilità temporale delle caratteristiche di composizione del percolato. Tali caratteristiche dipendono princi- palmente dalla natura del rifiuto stoccato, dalle quantità di percolato e dall’età della discarica. I principali inquinanti che possono essere contenuti nel percolato sono: • sostanze organiche COD (chemical oxygen demand), BOD (bioche- mical oxygen demand); • nutrienti (azoto, fosforo); • metalli pesanti. Le discariche di rifiuti solidi urbani sono sorgenti significative di me- tano (CH4 ) e diossido di carbonio (CO2 ). In aggiunta a questi due gas sono prodotte anche minori quantità di composti organici non meta- nici, tra i quali alcuni composti organici volatili reattivi e pericolosi. Il metano e l’anidride carbonica sono i costituenti principali del “bio- gas” (LFG, landfill gas) e sono prodotti durante la decomposizione anaerobica della sostanza organica e delle proteine presenti nei rifiuti smaltiti in discarica che vengono inizialmente trasformati in zuccheri, poi principalmente in acido acetico e, infine, in CH4 e CO2 . Oggi non è raro imbattersi in vecchie discariche incontrollate, di cui si è persa memoria, gestite e chiuse prima dell’entrata in vigore dei rispettivi regolamenti regionali (in Lombardia il riferimento era la Lr 94/1980), e della normativa di riferimento statale (Dpr 915/1982 e Dcim del 27.07.1984). Le modalità di chiusura non prevedevano spe- cifiche tipologie di presidi sanitario e ambientali, ma semplicemente la posa di uno strato di terreno di coltura. Si tenga inoltre in considera- zione che prima degli anni Ottanta non esisteva il concetto di raccolta differenziata e la maggior parte dei comuni, per far fronte alle esigen- za di smaltimento dei rifiuti prodotti nell’ambito del proprio territo-
  • 62. 60 rio, erano dotati del cosiddetto “cavo” dove venivano conferite tutte le tipologie di rifiuti (urbani, assimilati, speciali-pericolosi e non). In ultimo erano in uso le pratiche di conferire i rifiuti sul greto dei fiumi in attesa che le piene li allontanassero, oppure di incenerirli senza cu- rarsi minimamente della produzione di diossine, di idrocarburi polici- clici aromatici (IPA) e di altre sostanze altamente tossiche, e, pratica purtroppo ancora attuale, quella di depositarli su fondi abbandonati, sia demaniali che statali (Cossu, 2005). Come nel caso dei rifiuti gettati sul terreno o gli accumuli abusivi (discariche illegali) sono state prese a riferimento e modello le analisi e i dati ottenuti da studi sulle discariche controllate, per la combu- stione dei rifiuti si farà riferimento ai dati ottenuti dagli impianti di incenerimento controllato (APAT, 2001), tenendo presente che i rifiuti bruciati in modo incontrollato, quindi a bassa temperatura e in con- dizioni di ossigeno non stechiometrico, possono certamente produrre livelli puntuali di inquinanti per unità di rifiuti combusta di ordini di grandezza superiori a quelli degli impianti di incenerimento, dotati di sistemi di filtrazione e abbattimento specifici. Per lo smaltimento dei rifiuti urbani in impianti di incenerimento, gli inquinanti più comu- nemente emessi in atmosfera sono: ossidi di carbonio, di azoto e di zolfo, IPA, acido cloridrico (HCl), idrocarburi alifatici e aromatici a basso peso molecolare. Un altro problema di emissioni in atmosfera potenzialmente connesse con l’incenerimento dei RU è quello delle policlorodibenzodiossine e policlorodibenzo-furani (PCDD e PCDF). L’emissione di PCDD e PCDF (genericamente denominate diossine) è strettamente correlabile al tipo di tecnologia adottata per gli impianti di abbattimento (per nuove tecnologie si intende il doppio sistema di abbattimento, sia per i gas che per le polveri; per vecchia tecnologia si intende un unico sistema di abbattimento costituito essenzialmente da cicloni o camera di calma) (APAT, 2001), e questo permette di soste- nere che la combustione incontrollata dei rifiuti causa elevate produ- zioni di emissioni di tali sostanze. Nell’incenerimento dei RU si ha sempre produzione di acido clori- drico, data la presenza di tanti prodotti contenenti cloro, a cominciare
  • 63. 61 con gli alimenti salati. Anche il PVC presente nei RU per lo 0,7-1% del totale produce nell’incenerimento acido cloridrico. Tra gli inqui- nanti emessi da un inceneritore di RU, tuttavia, quelli che destano maggiore preoccupazione, dato il fattore di emissione e soprattutto la loro tossicità, sono il piombo (Pb), il cadmio (Cd), il mercurio (Hg) e gli idrocarburi policiclici aromatici. Da un rapporto dell’Organizza- zione mondiale della sanità (OMS) sull’emissione di metalli pesanti e IPA dagli inceneritori di RU risulta che gli inceneritori tradizionali di RU possono avere un impatto significativo sulla qualità dell’aria, così come sulla velocità di deposizione di Cd e Pb sul suolo. Viene stimato che il Cd abbia una velocità di deposizione al suolo di 0,5-2 μg/m2 al giorno, il Pb di 40 μg/ m2 al giorno, l’Hg di <1-1 μg/ m2 al giorno (APAT, 2001). La contaminazione biologica, ovvero legata alla presenza di micro- organismi potenzialmente patogeni, è un aspetto distintivo dei rifiuti urbani per l’elevato contenuto di sostanza organica che favorisce il loro sviluppo e dei rifiuti sanitari che sono potenzialmente infetti. Al fine di avere dei dati di raffronto per una valutazione dei potenziali rischi igienico sanitari dell’esposizione della popolazione al rischio biologico/sanitario si è fatto riferimento a uno studio sull’emissione di bioaerosol condotto dall’ISS (Istituto superiore di sanità) presso un impianto di compostaggio. Nello studio è stato analizzato il bioa- erosol emesso presso un impianto di trattamento di rifiuti urbani, allo scopo di conoscere i livelli di esposizione ai microrganismi, con par- ticolare riguardo a quelli che possono essere potenzialmente infettivi o allergeni. In particolare si illustrano i dati raccolti nella camera di selezione dove si trovano i rifiuti freschi prima dell’avvio al vero e proprio processo di compostaggio (APAT, 2001). In quasi tutti i cam- pionamenti è stata riscontrata una concentrazione abbastanza elevata di microrganismi indicatori di contaminazione fecale (coliformi fecali e soprattutto streptococchi fecali), mentre in nessun campione è stata rilevata la presenza di Escherichia coli. Per quanto riguarda la concen- trazione di stafilococchi, si può osservare che essa si mantiene piut- tosto costante in quasi tutti i campionamenti eseguiti; in due soltanto
  • 64. 62 è stata riscontrata la presenza di colonie di stafilococchi con alone, le quali, sottoposte alle successive prove di identificazione, sono risul- tate non essere colonie di Staphylococcus aureus. Riguardo alle con- centrazioni dei microrganismi appartenenti ai generi Pseudomonas, Vibrio e Aeromonas, si può osservare che la loro presenza si mantiene costante in quasi tutti i campionamenti; in alcuni prelievi l’Aeromo- nas spp risulta addirittura assente (in circa il 40% dei campioni). Sul genere Vibrio è stata eseguita l’enumerazione in base alla diversa pig- mentazione delle colonie, gialle e verdi, per poter già operare all’in- terno del genere uno screening iniziale tra specie opportuniste, specie patogene e potenzialmente tali (APAT, 2001). Effetti nocivi legati all’esposizione ai rifiuti La presenza sempre più diffusa di impianti di smaltimento e tratta- mento di rifiuti autorizzati e controllati ma, molto spesso, anche di siti di discarica di rifiuti abusivi o illegali (dai cumuli di prodotti di scarto delle industrie ai bidoni abbandonati in cave o affondati in specchi d’acqua) causa allarmi e preoccupazioni per l’incremento dei rischi per la salute delle popolazioni residenti in prossimità di tali luoghi. Per questo motivo nel 1992 l’Agency for Toxic Substances and Di- sease Registry degli Stati Uniti (ATSDR) ha definito sulla base delle risultanze di numerose indagini sanitarie e valutazioni tossicologiche un elenco di sette gruppi di condizioni patologiche (APAT, 2001) che dovrebbero essere monitorate prioritariamente per: • la valutazione di potenziali rischi alla salute delle persone che vivo- no in prossimità di tali siti; • la definizione di programmi e attività di ricerca applicata alla salute umana tenendo conto delle sostanze a rischio identificate in tali siti. La lista di sette PHCs (priority health conditions) comprende: • malformazioni congenite ed esiti riproduttivi negativi; • tumori; • disturbi immunologici;