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L’autore si dichiara disponibile a regolare eventuali spettanze,
per l’utilizzo di alcune immagini riportate in questo volume,
qualora fossero coperte da copyright.
Indice
Prefazione…………………………………………..……..…4
Armonie universali……………………………………..……7
- Lode al tempo………………………………………………….
- Tra i riflessi della realtà……………………………………..
- I frattali di Pollock…………………………………………….
- L’Essere e il Nulla…………………………………………….
- Dal nulla al tutto………………………………………………
- Dimensioni parallele e strani sogni………………………
- Tra scienza e fede……………………………………………..
- Surrealismo simbolico………………………………………..
- Il linguaggio della natura…………………………………….
- Sulla nascita della vita………………………………..………
Umano, troppo umano…………………………….….….…36
- Sull’operato del genere umano………………………………
- Dal pensiero binario a quello analogico…………………..
- Amarsi………………………………………………………..…
- Estetica dell’esperienza……………………………………….
- Tra Bene e Male………………………………………………..
- Beata gioventù…………………………………………..……..
- Qualità umane…………………………………………..……..
- Al di là dell’ego………………………………………..………
- Il sapere umano, nell’era di Internet………………………..
- La barca degli ignoranti………………………………..……..
- Dare e ricevere, in amore…………………………………….
- L’anima gemella………………………………………..………
- Bastardi senza cuore………………………………………….
- Pedagogia genitoriale………………………………..………..
- Sul futuro dell’uomo……………………………………………
- Ideologie e democrazia……………………………….………..
- Sull’invidia……………………………………………………
- Nessuno è indispensabile……………………………………
- I rischi della vita……………………………………………..
- Il muro dell’odio………………………………….………….
- Tempi moderni…………………………………….…………
- Il senso della vita……………………………………………..
- Scelte e probabilità………………………………..…………
- Antiche emozioni…………………………………..…………
- La democrazia delle idee……………………………..…….
- Il buon maestro………………………………………..………
- Il vagabondo…………………………………………..………
- La strategia vincente………………………………..……….
- Sull’integrazione sociale……………………………..……..
- Volontà indomabili……………………………………..……
- Mondi possibili………………………………………………..
- Il mondo dei “vincenti”……………………………………..
- Eterna giovinezza…………………………………………….
- Tecnologia e salute…………………………………………..
- Complessità superflue……………………………….………
- L’evoluzione delle idee……………………..……………….
- Doni propizi……………………………………...……………
- Gente povera e povera gente………………………………..
- La vera ricerca………………………………………………..
- Piaceri vitali…………………………………………….……..
- Il valore dei libri………………………………………………
- Verità temporali……………………………………………….
- Il buon politico………………………………….……………..
- Qualità innate……………………………………….…………
- Le idee imperfette………………………………….………….
- Verità istintuali………………………………………………..
- Tra illusione e verità………………………………………….
- Tra sesso e amore……………………………………………..
- Sull’onestà……………………………………………………...
- Il valore dell’esperienza………………………………………
Oltre natura…………………………………………………78
- Conservazione informazionale………………………….…..
- Fantasticando sui fenomeni Psi……………………….……
- Emozioni artificiali……………………………………..…….
- Autoinformazione e Sincronicità……………………..…….
- Informazione e forze fondamentali…………………………
- Rinormalizzare conviene………………………………..…..
Appendice………………………………………………….110
Bibliografia……………………………………………………125
Prefazione
Per i miei lettori più affezionati, ovvero per coloro che dal 2006 ad
oggi, hanno seguito il mio “percorso evolutivo” nel campo della
divulgazione scientifica (attraverso la lettura dei miei libri o dei
numerosi articoli che ho riportato in questi anni sul web), quest’opera
rappresenterà sicuramente una sorta di “fuori programma”, qualcosa
di inatteso rispetto alle loro, credo, usuali aspettative di lettura. Posso
solo sperare, che se di sorpresa si tratta (nonostante il titolo stesso
lasci già presagire a grandi linee il contenuto), essa potrà comunque
rivelarsi piacevole a leggersi e ricca di spunti di riflessione, che spero
assai facilmente sia possibile trarre fra gli innumerevoli argomenti
(di ogni genere, complessità e natura) esposti tra le pagine di questa
breve ma essenziale raccolta di riflessioni personali (ornate quasi
sempre da famose ed importanti citazioni, scaturite dalle menti più
geniali della storia contemporanea, che hanno avuto modo di operare e
lasciare un segno indelebile del loro passaggio, in ogni ambito
dell’attività umana). Le mie riflessioni (idee, teorie, ipotesi e
speculazioni varie), spazieranno dunque dalla chimica alla biologia,
dalla sociologia alla politica (…passando per l’antropologia), dall’arte
alle scienze cognitive (…passando per l’intelligenza artificiale), dalla
psicologia transpersonale alla fisica quantistica (…passando per la
filosofia), e così via, in un susseguirsi di idee, ipotesi e concetti del
tutto decontestualizzati, rispetto a qualsivoglia linea argomentativa di
base, presente in quasi tutti i libri di divulgazione scientifica, ma
palesemente e volutamente assente in questo volume. Tra tali
pensieri ad alto “potenziale soggettivo” (atti a svelare il mio “lato
umano”), ho inserito anche alcuni articoli ed interviste (alcuni a
carattere prettamente scientifico, altri un po’ meno), che non ebbi mai
modo di inserire nei miei precedenti libri, poiché difficilmente
collocabili all’interno di determinate linee argomentative. Al lettore,
viene quindi lasciata la libertà di sfogliare il libro in qualsiasi punto,
ed iniziare a leggere ciò che desidera; senza il timore di perdere quel
classico “filo logico conduttore” che lega solitamente l’inizio e la fine
di ogni libro. Come disse John F. Kennedy : “Troppo spesso godiamo
della comodità di avere un'opinione senza sentirci scomodati a
riflettere”; ebbene tra le pagine di questo libro non vi è alcun modo di
accedere a tale comodità, poiché nulla viene dato per certo, per
scontato, ma tutto è rivestito da un alone si soggettività che cerca in
tutti i modi di districarsi e trovare qualche spiraglio di luce tra le
infinite ramificazioni di una verità assoluta, che a loro volta ricoprono
pesantemente quelle poche mezze verità che ci è permesso di
conoscere (e il più delle volte soltanto a livello intuitivo). Lungi dalla
presunzione di voler impartire qualche “lezione di vita” ai lettori più
“esigenti”, affido questi miei pensieri a tutti coloro che vorranno
aprire le proprie menti verso una migliore conoscenza di sé stessi e del
mondo in cui viviamo, non attraverso le mie idee e considerazioni
personali, ma attraverso ciò che essi stessi saranno in grado di cogliere
ed elaborare con il proprio intelletto e le proprie capacità associative,
tra gli innumerevoli spunti di riflessione presenti in quest’opera.
Fausto Intilla,
Cadenazzo, 4 novembre 2013
Honey
Tra sogno e realtà,
spicco un salto nell’infinito;
occhi verde mare,
mi accompagnano nell’eternità.
Ipnosi e magia, luce e colori,
l’odore di un respiro, poi un sussulto;
una scossa di piacere, baci e sapori,
nel regno dell’incanto e dell’occulto.
Capelli sottili e leggeri,
su guance tiepide e invitanti;
sensualità sublime, un incantevole profilo,
dove svaniscono i miei pensieri.
Saggezza e serenità interiore,
che il tempo ci ha donato;
un sentimento forte e incontrastato,
ci avvolge nel suo candore.
Il tempo scorre, ma al contrario,
eterna giovinezza vuole il volto dell’amore;
una voce dolce sgorga dal silenzio, millenario,
eterno, impercettibile, lato immortale dell’amore.
Fausto Intilla
Armonie universali
"Il vasto ciclo della vita stellare gli trasportò la mente stanca fuori fino
al suo confine, poi dentro fino al suo centro, e una musica lontana lo
accompagnava all'esterno e all'interno. Quale musica? La musica si
avvicinava e lui ricordò le parole, le parole del frammento di Shelley sulla
luna vagante solitaria, pallida per il lungo tedio. Le stelle cominciarono a
sgretolarsi e una nube di fine polvere stellare cadde attraverso lo spazio".
James Joyce
Lode al tempo
E il bambino chiese a suo padre: “Papà, è possibile riuscire in qualche
modo a rallentare il tempo e dunque a vivere più a lungo?”; e il padre:
“Ma certamente, basta sposarsi presto e mettere al mondo dei figli”. Il
figlio: “Ma come, mi prendi in giro?”. Il padre: “No. Vedi, dal
momento che avrai una famiglia, oltre ai ricordi delle tue esperienze,
dovrai aggiungere alla tua memoria anche quelli relativi alle
esperienze di tua moglie e dei tuoi figli; che si susseguiranno nel
tempo. Ad una certa età quindi, la tua mente conterrà una quantità di
ricordi nettamente maggiore, rispetto a quella che conterrebbe se
rimanessi solo. Più alta sarà la quantità di ricordi, relativi ad un
medesimo lasso di tempo oggettivo, e più lungo esso ci apparirà. Tale
percezione ovviamente, sarà del tutto soggettiva”.
Il figlio: “E se io non avessi l’ intenzione di sposarmi e di avere dei
figli?”. Il padre: ”Bè, se l’obiettivo è sempre quello di allungare la
propria vita, puoi sempre iniziare a girare il mondo …o a collezionare
conquiste amorose …o a fare entrambe le cose, se ci riesci”.
Il figlio: “Ma alla fine la durata del tempo reale non muterebbe;
sarebbe solo la mia percezione, come tu dici ‘del tutto soggettiva’, a
farmelo apparire/percepire più esteso”. Il padre: “E secondo te, qual’ è
il più importante, il tempo reale/oggettivo …o quello soggettivo?”
Il figlio: “Forse lo sono entrambi, non può essere?”. Il padre: “Sì
…forse lo sono entrambi; anche se i più ‘romantici’ ritengono che sia
quello soggettivo, a contare di più. Vivere senza aver mai nulla di
importante da dire, o da fare, è comunque un buon modo per dare
meno importanza al tempo oggettivo e darne di più a quello
soggettivo”.
Tra i riflessi della realtà
A sei mesi di vita compresi la differenza tra un corpo solido ed uno
liquido; a tre anni pensavo che il mondo fosse fatto solo di materia
allo stato solido oppure liquido. A sei anni qualcuno mi fece osservare
che esiste anche la materia allo stato gassoso (seppur invisibile ad
occhio nudo, in molti casi). A otto anni scoprii che esiste qualcosa di
totalmente invisibile, in grado di scaldare gli ...oggetti, chiamato
calore. A dodici anni qualcuno mi fece osservare che per produrre
calore ci vuole energia; senza tuttavia spiegarmi che cos’è l’energia.
Malgrado ciò, a sedici anni scoprii che tutta la materia, non è altro che
una forma complessa di energia; ma ancora non mi era chiaro cosa
fosse l’energia. Qualche anno dopo capii che forse, l’energia, altro
non è che una forma complessa d’informazione. A tal punto illusione
e realtà fisica, nella mia mente, smisero di essere considerate come
due cose ben distinte …e scoprii la leggerezza.
A volte mi chiedo quali sono o quali potrebbero essere i benefici (per
un pensatore o per i suoi eventuali seguaci) di lunghe ed intense
riflessioni sul senso della vita, sul perché dell’Universo al posto del
nulla, sul concetto di libero arbitrio (determinismo laplaciano o
indeterminismo? Rispettivamente, per intenderci, Bohm o Bohr?)1
,
sulle differenze tra due parametri di giudizio, bene e male, tipicamente
umani (…troppo umani), quando a prevalere è quella sensazione che
tutto il “pensabile” (perlomeno in ambito filosofico), sia già stato
pensato e descritto anche nel migliore dei modi, dalle menti più
eccelse che l’umanità abbia mai conosciuto. Forse è solo un modo
come un altro per tenere allenata la mente, in mancanza di altre
attività più pratiche e costruttive. Se così non fosse (ovvero se in molti
casi lo scopo fosse quello di giungere ad altre “grandi verità”), allora
significherebbe che non vi è proprio alcun limite, all’esuberanza e alla
vanità umana. Ma forse è bene ricordare ciò che disse lo zio Albert, in
risposta ad una lettera ricevuta da un tale che gli sottopose due quesiti:
in primo luogo, gli chiese se riconosceva di avere qualche debito verso
la filosofia speculativa; in secondo luogo, gli domandò, in termini
piuttosto sconnessi, se condivideva la propria convinzione che,
considerate le ultime ricerche sullo spazio, sul tempo, sulla causalità e
sui limiti dell’Universo, la filosofia speculativa aveva ormai perduto
ogni utilità o se invece ritenesse, secondo l’affermazione dello
scienziato R.C.Tolman, che “la filosofia è il sistematico uso sbagliato
di una terminologia inventata appositamente per tale scopo”. Ebbene
1
Si veda la nota d’approfondimento riportata in Appendice.
queste furono le parole con cui Einstein formulò la sua risposta: “La
filosofia è come una madre che ha dato alla luce tutte le altre scienze,
dotandole di caratteristiche diverse. Quindi, sebbene nuda e povera
non merita il nostro disprezzo; dobbiamo invece sperare che una
parte del suo ideale donchisciottesco sopravviva nei figli, impedendo
loro di cadere nel filisteismo”.
Non sono poche le volte in cui riporto alcuni miei pensieri e
considerazioni, nell’ambito delle “amicizie a distanza” (virtuali mi
sembra una gran brutta parola, spersonalizzante e irrispettosa nei
confronti delle altrui identità), su vari forum e social network presenti
in Internet. La riflessione riportata poc’anzi, non fu esente da tale
destino e qualcuno mi fece subito osservare che “a furia di
esuberanza e vanità, almeno non crediamo più che i fulmini li mandi
Zeus”. La mia cara amica Cinzia Turnaturi invece (con la quale nel
2007 ebbi modo di discutere sull’interazione tra meditazione e
retrocausalità, nonché di riportare il frutto delle nostre speculazioni in
uno degli ultimi capitoli del mio libro “Verso una nuova scienza di
confine”), puntualizzò che “le domande esistenziali (il senso della
vita, l'Universo al posto del nulla, il libero arbitrio, etc.) non hanno
risposte scientifiche, bensì solo filosofiche. E le risposte filosofiche
non possono accontentare tutti; ognuno ha la sua risposta filosofica e
potrebbe non accontentarsi di quella di un altro (anche se proveniente
da una mente eccelsa). E una persona dotata di intelligenza primaria,
cioè di intelligenza propria, quella non derivante dalla cultura (quella
derivante dalla cultura io la chiamo intelligenza secondaria), terrà
conto delle risposte altrui ma non potrà fare a meno di avere anche
delle sue risposte”.
Dunque a rigor di logica possiamo dedurre che anche la vanità e
l'esuberanza umana (oltre alla curiosità e alla competizione per la
"verità"), siano qualità positive degli esseri umani; se queste sono utili
(esuberanza e vanità) al progresso in determinati ambiti della sfera
umana. Ricordando però che la curiosità e la competizione per la
"verità", possono altresì poggiare sulla modestia e sul riconoscimento
dell'altrui operato (ancora oggi molte leggi di Newton vengono
riconosciute valide per rappresentare determinati fenomeni della
macro realtà fisica), per evolvere verso orizzonti più lontani. Un
pizzico di vanità ed esuberanza vanno sempre bene dunque, ma non se
lo scopo è quello di gettare un colpo di spugna sulle idee del passato,
per creare dei nuovi, bellissimi ed attraenti ...castelli di carta.
Ma le risposte a cui faceva riferimento Cinzia, a suo parere, sono di
carattere esistenziale, non scientifico (tentando così di porre una linea
di separazione tra scienza e filosofia). Le risposte scientifiche, per la
mia amica Cinzia, “sono di pertinenza degli scienziati, dei ricercatori
e per smontarle ci vogliono altrettante prove scientifiche.
Limitandomi alle sole risposte esistenziali raramente esse sono dettate
da vanità ed esuberanza, a meno che non ci si debba scrivere un libro
per arricchire il proprio ego e le proprie tasche; le risposte
esistenziali nascono dal desiderio di dare un senso alla vita e dalla
paura della fine di tutto. Questa non mi pare vanità ma, piuttosto,
insicurezza e non conoscenza di se stessi”.
Ma le bastò riflettere un attimino sul fatto che io, parlando del
concetto di libero arbitrio, citai Niels Bohr e David Bohm (allo scopo
di sottintendere le due versioni descrittive del concetto di realtà
fisica2
), per ricredersi ed affermare che “scienza e filosofia sono
inscindibili”. Ma l’ultima parola l’ebbe colui che iniziò la discussione:
“Da umanista scientificamente consapevole, non riesco a concepire
un pensiero filosofico plausibile se non è fondato sulle conoscenze
scientifiche dell'epoca in cui venne formulato. Questo, secondo me, è
il discrimine tra i "filosofi" e i vanitosi parolai di tutti i tempi. Se poi,
a posteriori, tali tesi, vengono superate da ulteriori sviluppi della
conoscenza, si verifica puntualmente che quelle dei vanitosi parolai
scompaiono (o peggio, continuano ad intralciare il lungo cammino
della conoscenza) e quelle dei veri filosofi, oltre a essere servite come
fondamento della successiva evoluzione culturale, continuano ad
essere valide negli ambiti a cui si riferivano”.
Da tutto ciò, giungiamo inevitabilmente alla conclusione che si tratta
di argomenti che danno origine a discussioni sempre “sul filo del
rasoio”, tutt’altro che semplici da affrontare.
Fortunatamente, ad essere cibo per i vermi sono soltanto i nostri corpi,
non le nostre idee; l’importante è riuscire a tramandarle, di
generazione in generazione, attraverso la scrittura e il linguaggio
simbolico della matematica. Ma ciò solitamente avviene in modo
naturale (nel corso dei secoli), senza troppi sforzi e sacrifici da parte
dei tutori del sapere umano; poiché come intuì Planck più di mezzo
secolo fa: “Una nuova verità scientifica non trionfa perché i suoi
oppositori si convincono e vedono la luce, quanto piuttosto perché
alla fine muoiono, e nasce una nuova generazione a cui i nuovi
concetti diventano familiari”.
L’uomo dispone di un enorme potenziale di ingegno e creatività, in
gran parte utilizzato per fini nobili atti alla conservazione e al
2
La prima (Bohr) basata sull’Interpretazione di Copenaghen (dunque fondata sul
principio di indeterminazione di Heisenberg) e l’altra (Bohm), basata sull’ipotesi
delle “variabili nascoste”.
progresso della nostra civiltà; ma non dobbiamo però dimenticare che
egli, per dirla con Tagore, “ha un fondo d’energia che non è tutta
occupata per la conservazione” e che “questa eccedenza cerca il suo
sfogo nella creazione dell’arte, perché la civiltà dell’uomo è stata
costruita sopra questa eccedenza”. Anche l’arte dunque, espressa in
tutte le sue forme attraverso le opere di architetti, scultori, romanzieri,
attori, pittori, musicisti e via dicendo, rappresenta una componente
essenziale del cammino dell’uomo verso nuovi orizzonti,
prevalentemente sociali e culturali. A volte però in essa (nell’arte) è
possibile scoprire, attraverso determinate analisi scientifiche e
matematiche, quel tassello mancante, quel ponte di collegamento con
il mondo più freddo e razionale della scienza; ma non è affatto facile
individuare questi legami, spesso così sottili da restare nascosti anche
per secoli, o addirittura millenni. Ma quando viene superato questo
scoglio, le sorprese più grandi le abbiamo nel momento in cui
scopriamo che è la nostra stessa natura, il nostro mondo psichico, a
scegliere (spesso inconsciamente) quelle regole fisiche e matematiche
che ci portano verso determinati gusti o preferenze, nel campo
dell’arte (in ogni sua forma ed espressione). La scienza a volte quindi
si nutre dell’arte, come l’arte a sua volta può nutrirsi di scienza. Per
dirla con Enrico Bellone: "La conoscenza è un bricolage, e le forme
della conoscenza non si esauriscono nella scienza, ma si estendono ad
ogni manifestazione culturale (…). Il cervello di un essere umano non
è un cronista, ma è un generatore di innovazioni che debbono poi
sottostare al tribunale della selezione".
Se un giorno dunque riusciremo a colonizzare Marte (e magari anche
a terraformarlo3
) o addirittura a compiere viaggi interstellari
(ammesso che in futuro riusciremo, attraverso una tecnologia che oggi
possiamo solo sognare, a modificare la struttura stessa dello spazio-
tempo, “accorciando” così le distanze; l’unico modo per poter
compiere dei viaggi oggi impensabili, in tempi ragionevoli per un
essere umano), ciò ovviamente lo dovremo quasi esclusivamente al
progresso scientifico e tecnologico; ma il cammino di coloro, tra
ricercatori e scienziati, che apporteranno i loro contributi in
quest’avventura senza fine, sarà sempre allietato e supportato
dall’operato di milioni di persone sparse un po’ ovunque nel mondo,
che hanno fatto dell’arte una propria ragione di vita.
In uno dei suoi numerosi e fortunati libri, “L’Universo come opera
d’arte”, John D. Barrow osservò che: “È bene rendersi conto che
determinate idee sull’origine della risposta estetica verrebbero
3
Si veda la nota d’approfondimento riportata in Appendice.
ritenute profondamente eretiche da molti critici dell’arte, ai quali
piace credere che l’apprezzamento artistico sia immune dall’analisi
scientifica. Ma si consideri da quanto tempo apprezziamo il ruolo
delle strutture matematiche nell’ambito dell’estetica. Ricorriamo a
forme particolari o motivi simmetrici quando desideriamo enfatizzare
queste armonie matematiche soggiacenti. La nostra conoscenza del
comportamento della luce, o della percezione dei colori, che è stata
resa possibile dagli studi compiuti dai fisici, viene sfruttata appieno
per creare immagini che risultano attraenti e piacevoli all’occhio. È
lecito sospettare che la nostra attrazione verso questi schemi
geometrici e ottici sia legata alla facilità con la quale il cervello è in
grado di creare corrispondenti modelli mentali, e all’ampiezza con
cui essi sono rappresentati nel mondo naturale in situazioni nelle
quali la loro individuazione verrà ricompensata. Alla prospettiva
biologica fornita dall’evoluzione per adattamento vanno aggiunti
questi importanti aspetti matematici e ottici dell’estetica. Ciò
contribuisce a chiarire l’attrazione che proviamo per i simboli
nell’arte, e rivela perché ci si possa avvalere di particolari immagini
per evocare risposte emotive. L’arte non sarebbe un’attività umana
universale se non esistessero risposte e risonanze emotive universali
che essa può cogliere”.
I frattali di Pollock
L'artista sciamano. È questo il soprannome di cui si avvalse il
"cowboy mancato" che nacque a Cody, nel Wyoming (Stati Uniti), il
28 gennaio del 1912 e che rispondeva al nome di Jackson Pollock; un
soprannome che l'artista-pittore ricevette all'inizio degli anni quaranta,
proprio nel periodo in cui stava per uscire, grazie all'aiuto di un
giovane psicanalista junghiano (Joseph Henderson), dall'infausto
tunnel dell'alcoolismo, in cui era precipitato verso la metà degli anni
trenta.
L'apice della notorietà e del successo economico, Pollock, finché
rimase in vita, si può dire che non lo raggiunse mai. Egli comunque
rivelò tutto il suo talento dopo la prima metà degli anni quaranta.
Infatti correva l'anno 1946, quando in una fattoria di Long Island
(New York), in un granaio adibito a studio, iniziò ad "esplorare" la
tecnica pittorica da egli stesso definita dello "sgocciolamento"; una
tecnica di cui egli stesso poté vantare la paternità e che ancor oggi è
strettamente legata al nome del grande artista americano (considerato
quasi una leggenda, un mito che, per divenire tale, dovette prima
lasciare questo mondo, proprio nello stesso modo in cui lo lasciò
James Dean). La sera dell'undici agosto 1956, Pollock perse il
controllo della sua spider uscendo di strada; catapultato fuori
dall'abitacolo, si schiantò contro un albero, ponendo fine ad una
carriera fra le più straordinarie nella storia dell'arte moderna.
Nel 1999, un docente di fisica dell'Università dell'Oregon (Stati Uniti),
di nome Richard P. Taylor, riuscì a dimostrare che con determinate
analisi al computer, nei famosi dipinti di Pollock in cui venne usata la
tecnica dello "sgocciolamento", è possibile rilevare la presenza di
schemi frattali. Con queste parole Richard P.Taylor spiegava nel suo
articolo come iniziarono le sue ricerche: “Il primo passo nelle nostre
ricerche è stato la scansione al computer di un dipinto di Pollock;
l'immagine così ottenuta è stata poi ricoperta con un reticolo generato
al computer di celle quadrate tutte uguali. Analizzando quali celle
fossero occupate dallo schema dipinto e quali vuote, siamo riusciti a
determinare le qualità statistiche dello schema. Inoltre, riducendo la
dimensione delle celle, lo si poteva esaminare a un ingrandimento
maggiore. Abbiamo così potuto analizzare tutti gli elementi del
dipinto, dalle più piccole macchioline di colore fino a quelle delle
dimensioni di un metro. Sorprendentemente, abbiamo trovato che gli
schemi sono frattali, e lo sono sull'intero intervallo dimensionale
scelto, ai cui estremi stanno due valori che differiscono di un fattore
dimensionale superiore a 1000. Riassumendo, è possibile affermare
che Jackson Pollock dipingeva frattali 25 anni prima della loro
scoperta nei fenomeni naturali”.
La geometria frattale è stata sviluppata negli anni sessanta e settanta a
partire dagli studi sulla complessità di Benoît Mandelbrot. Il termine
frattale deriva dal latino fractus (spezzato), per indicare la natura
irregolare di queste forme. L'analisi del comportamento caotico si basa
sulla teoria matematica dei frattali: un frattale è quindi una struttura
geometrica irregolare che può essere suddivisa in elementi, ciascuno
dei quali riproduce approssimativamente l'intero oggetto (proprietà di
auto-somiglianza). Inoltre, ogni frattale è caratterizzato dalla
dimensione frattale definita come la capacità del frattale stesso a
riempire lo spazio in cui è immerso. I risultati raggiunti dalla teoria
frattale sono, però, difficilmente applicabili a quei sistemi che non
possiedono dei modelli matematici. Molte figure frattali possono
essere generate con procedure matematiche d'iterazione nel piano
complesso. I frattali matematici sicuramente più conosciuti, sono i
famosi insiemi di Julia.
La base dell'insieme di Julia è la semplice applicazione: z → z2
+ c ;
dove z è una variabile complessa4
e “c” è una costante complessa. La
procedura iterativa consiste nel prendere un punto qualunque nel
piano complesso, elevarlo al quadrato, aggiungere la costante c,
elevare di nuovo il risultato al quadrato, aggiungere un'altra volta c, e
così via. Per ogni scelta del valore iniziale di z, si otterranno risultati
diversi. In alcuni casi z assumerà valori sempre crescenti, fuggendo
verso l'infinito quando si procede nelle iterazioni; mentre in altri casi z
continuerà ad assumere valori finiti. L'insieme di Julia è l'insieme di
quei valori di z, ovvero di quei punti nello spazio complesso, che non
vanno all'infinito per effetto dell'iterazione.
Una versione dell’insieme di Julia
4
Eulero, il matematico più prolifico di tutti i tempi, nel suo "Trattato di Algebra",
disse: «Tutte le espressioni come √−1, √−2, etc., sono di conseguenza numeri
impossibili o immaginari, poiché rappresentano radici di quantità negative; e di
questi numeri possiamo invero affermare che non sono né zero, né sono maggiori di
zero, né minori di zero, il che li rende necessariamente immaginari o impossibili».
In seguito, nel diciannovesimo secolo, un altro geniale matematico che rispondeva al
nome di Carl Friedrich Gauss, dichiarò che: «Si può assegnare un'obbiettiva
esistenza alle quantità immaginarie». Gauss, rendendosi conto che , com'è ovvio,
sulla retta numerica non c'è posto per i numeri immaginari, ebbe la geniale idea di
disporli su un'asse perpendicolare passante per il punto zero, creando così un sistema
di coordinate cartesiane. In questo sistema tutti i numeri reali giacciono sull' "asse
reale", mentre tutti i numeri immaginari stanno sull' "asse immaginario". La radice
quadrata di -1 è detta "unità immaginaria", ed è simboleggiata dalla lettera "i"; e
poiché la radice quadrata di un numero negativo può sempre essere espressa come
√−ܽ	 = √−1	 . Ma se √ܽ = i √ܽ , ne consegue che tutti i numeri immaginari si
possono disporre sull'asse immaginario come multipli di i. Grazie a questo
ingegnoso espediente, Gauss creò uno spazio in cui ospitare non solo i numeri
immaginari, ma anche tutte le possibili combinazioni di numeri reali e immaginari,
come ad esempio (2 + i ) , (5 - 2i ) e così via. Tali combinazioni sono dette "numeri
complessi" e sono rappresentate da punti nel "piano complesso", cioè nel piano su
cui giacciono l'asse reale e quello immaginario. In generale, ogni numero complesso
può essere scritto nella forma: z = x + iy (dove x è detta la "parte reale" e y la "parte
immaginaria").
Stando agli studi e alle ricerche di Taylor, si arriva alla conclusione
che Pollock partiva dipingendo piccole "isole" localizzate di traiettorie
sulla tela. Il fatto interessante è che alcuni andamenti naturali iniziano
proprio con piccole nucleazioni. In seguito egli dipingeva traiettorie
più lunghe ed estese che univano le isole, sommergendole
gradualmente in una densa rete frattale di pigmento. Questo stadio del
dipinto formava uno strato di riferimento, che guidava l'artista nelle
successive fasi di pittura. Durante il processo di collegamento, la
complessità del dipinto (ovvero il suo valore di D5
), aumentava su una
scala temporale inferiore a un minuto. Dopo questa fase rapida,
Pollock faceva una pausa, per tornare sulla tela solo in seguito. In un
periodo che variava da due giorni a sei mesi, depositava ulteriori strati
di traiettorie di differenti colori sopra lo strato di riferimento.
Essenzialmente, egli procedeva raffinando man mano la complessità
dello strato di riferimento. Una volta terminato il dipinto, Pollock
cercava di esaltarne al massimo il carattere frattale, rimovendo le zone
più esterne in cui la qualità del frattale si deteriorava.
Durante le sue ricerche, Taylor giunse inoltre ad un'altra interessante
conclusione: il valore di D nelle opere di Pollock aumentò nel corso
del decennio in cui egli dipinse con la tecnica dello sgocciolamento,
passando da 1,12 nel 1945 a 1,7 nel 1952 (fino a raggiungere 1,9 in un
dipinto che l'autore distrusse). Taylor osservò che: «I frattali più
intricati, con alti valori di D, catturano l'attenzione degli osservatori
più efficacemente dei rilassanti frattali con valori intermedi, e
potrebbero essere risultati attraenti per l'artista».
Indagando sulle preferenze visive delle persone, in relazione agli
schemi frattali, Clifford A. Pickover del T. J. Watson Research Center
dell'IBM, utilizzando frattali generati al computer per diversi valori di
D, ha osservato che le persone arruolate per le ricerche tendevano a
preferire frattali con un valore di 1,8. Parallelamente, generando
frattali con un metodo differente, Deborah J. Aks e Julien C. Sprott
dell'Università del Wisconsin-Madison hanno rilevato che il valore
preferito sarebbe pari a 1,3. Ciò che ovviamente si evince da questi
primi esperimenti è che tale discrepanza stia ad indicare che nessun
5
Una caratteristica fondamentale di un frattale è la sua "dimensione frattale",
indicata con la lettera "D". Per le forme euclidee, la dimensione è un concetto
semplice, descritto da valori interi. Per una linea continua, che non contiene frattali,
D equivale a 1 ; per un'area completamente riempita, il valore è 2. Per uno schema
frattale, tuttavia, la ripetizione della struttura fa sì che la linea occupi un'area. D
assume quindi un valore intermedio tra 1 e 2 (man mano che la complessità e la
ricchezza della struttura da ripetere aumentano, il valore si muove velocemente
verso 2).
valore di D sia preferito a tutti gli altri e che la qualità estetica dei
frattali dipenda in realtà da come essi vengono generati. Nonostante
queste "prime evidenze", Taylor rimase comunque dell'idea che,
citando le sue stesse parole: «un valore di D universalmente preferito
esista realmente».
Jackson Pollock, opera Number One (1949),
smalto e vernice d’alluminio su tela, 160 cm x 259 cm,
The Museum of Contemporary Art, Los Angeles (USA).
Egli si dedicò quindi ad altri esperimenti, usufruendo della
collaborazione di un gruppo di psicologi, esperti nelle interazioni tra
psiche e percezione visiva. Insieme a questo gruppo di esperti, egli
impostò le sue ricerche su tre categorie fondamentali di frattali:
naturali (come alberi, montagne, nubi, ecc.), matematici (simulazioni
computerizzate) e prodotti manualmente (parti dei dipinti di Pollock).
Nei test di percezione visiva, i partecipanti espressero una preferenza
per valori di D che oscillavano tra 1,3 e 1,5 a prescindere dall'origine
degli schemi. Durante i suoi esperimenti, Taylor scoprì che i test di
percezione e valutazione visiva eseguiti sui partecipanti procuravano
inoltre un effetto sulla condizione fisiologica dell'osservatore.
Come egli stesso puntualizzò: «Utilizzando prove di conduttanza della
pelle per misurare i livelli di stress, abbiamo trovato che valori
intermedi di D sono in grado di mettere gli osservatori a loro agio»,
aggiungendo: «Certamente, queste indagini sono solo all'inizio e i
risultati sono parziali; tuttavia è interessante notare che molti degli
schemi frattali naturali intorno a noi hanno valori di D nello stesso
intervallo: le nubi, per esempio, hanno valori di D di 1,3».
A distanza di circa tre lustri dalle ricerche di Richard P. Taylor, non
sembrano esserci stati (da parte di altri ricercatori) ulteriori "risvolti
positivi" o "conferme" di altro genere in relazione ad una sorta di
"dimensione frattale universalmente preferita" da noi comuni mortali.
In ogni caso, se quest'ultima esistesse realmente, non dimostrerebbe
nient’altro che l'eterna e perfetta armonia che sussiste tra il mondo
interiore degli esseri umani e tutti gli altri elementi del Creato.
“Quando il mondo cessa di essere il luogo dei nostri desideri e
speranze personali, quando l’affrontiamo come uomini liberi,
osservandolo con ammirazione, curiosità e attenzione, entriamo nel
regno dell’arte e della scienza. Se usiamo il linguaggio della logica
per descrivere quel che vediamo e sentiamo, allora ci impegniamo in
una ricerca scientifica. Se lo comunichiamo attraverso forme le cui
connessioni non sono accessibili al pensiero cosciente, ma vengono
percepite mediante l’intuito e l’ingegno, allora entriamo nel campo
dell’arte. Elemento comune alle due esperienze è quella appassionata
dedizione a ciò che trascende la volontà e gli interessi personali”.
Albert Einstein
L’Essere e il Nulla
I due alieni, Aleph ed Alem, si spinsero con la loro astronave sino ai
“confini dell’Universo”, e ad un certo punto entrarono in uno spazio ai
loro occhi assai misterioso. Tutto, attorno alla loro astronave, era
pervaso da un bianco candido che si estendeva in ogni direzione; ma
siccome non vi era alcun oggetto, pianeta o altro corpo celeste da
poter osservare, non era neppure possibile stabilire in che modo ed
entro quali distanze, lo spazio si estendeva attorno a loro. Potevano
solo supporre che tale condizione dello spazio in cui si trovavano,
avesse un’estensione infinita. La percezione del movimento non era
possibile per due semplici motivi: la totale assenza di gravità e la
totale assenza di oggetti cosmici (sparsi un po’ ovunque), in grado di
dar loro il senso dell’estensione dello spazio. I due alieni, dopo
qualche minuto, iniziarono ad esporre i loro pensieri:
“E così abbiamo scoperto che vi è il nulla al di fuori dell’Universo;
dunque esso, probabilmente, non è infinito come abbiamo sempre
creduto. Bene, bene, bene …dunque è la luce bianca il colore del
nulla”.
“Luce? E cosa ti fa credere che si tratti proprio di luce? La luce è
composta da fotoni; la presenza di onde elettromagnetiche non
rappresenta di certo il nulla! Io avevo sempre creduto che fosse il
nero assai cupo e profondo, il colore del nulla”.
“E se la percezione del colore fosse solo il frutto della nostra
immaginazione? D'altronde stiamo parlando del nulla …ammesso che
sia realmente il nulla, ciò che stiamo osservando”.
“No, non stiamo osservando il nulla …il nulla dovrebbe essere fatto
solo di buio pesto!”
“Ne sei proprio convinto?”
“Ma certamente!”
“In ogni caso noi stiamo osservando qualcosa, ovvero uno spazio
vuoto, a prescindere dal colore che esso abbia; ne sono certo perché
gli strumenti di bordo non rilevano alcuna radiazione esterna
all’astronave, di alcun tipo. Persino il rilevatore di particelle virtuali,
non rileva nulla; e ciò è molto strano, poiché teoricamente non
potrebbe esistere alcuno spazio, vuoto di campo. Ah! …no, un
momento, sta cominciando a rilevarle proprio in questo momento!"
“Già, ma lo spazio che stiamo osservando ha un’estensione, almeno
in tre dimensioni; altrimenti noi non potremmo osservarlo; anzi,
saremmo scomparsi entrambi in un battito di ciglia! E i nostri corpi si
sarebbero trasformati in pura energia!”
“Pura energia? …e dove avrebbe dovuto confluire tale energia, in
assenza di uno spazio atto a contenerla?”
“Probabilmente in un’altra dimensione”.
“Già, ma pur sempre in un altro spazio, magari a sei dimensioni, atto
a contenerla. Non c’è spazio senza energia e non c’è energia senza
spazio. Sostituisci il termine energia con campo, e la frase sarà
sempre la stessa”.
“Dunque, se il nulla è semplicemente assenza di spazio ed energia,
ciò significa che tale condizione o sistema di riferimento, non
ammette osservatori nel suo interno?”
“Esattamente! Ma la domanda fondamentale comunque è questa: Il
nulla, può ammettere degli osservatori al suo esterno?”
“Ma cosa stai dicendo? Ragiona! L’assenza di spazio, ovvero il nulla,
non può essere tangente ad alcun tipo di spazio; una condizione non
ammette l’altra e viceversa. O si ha un’assenza di spazio, ovvero il
nulla senza alcuna estensione (e in tal caso l’intero Universo non
esisterebbe nemmeno), oppure si ha uno spazio con un’estensione
necessariamente infinita. L’Universo quindi deve essere per forza di
cose infinito! E in ultima analisi quindi, ciò che stiamo osservando
non può essere il nulla!”
“Ma se il nulla non ha un’estensione, esso può essere presente sotto
forma di infinite parti nello spazio in cui viviamo…o mi sbaglio?”
“Anche se potrà sembrarti strano, ti sbagli; una condizione non
ammette l’altra, ricordalo. Nel momento in cui pronunciamo la parola
nulla, abbiamo già creato una particella di Informazione, che a sua
volta avrà già definito un determinato spazio, il quale logicamente
avrà un’estensione. La stessa cosa accade se proviamo ad
immaginarlo, il nulla; in tal caso la nostra mente produrrà una
particella di Informazione, che ovviamente andrà anch’essa a definire
uno spazio con una propria estensione, anche se infinitamente piccolo
e dunque non osservabile”.
“Ma allora anche la nostra immaginazione è in grado di creare la
Realtà?”
“Esattamente! Ricordalo sempre: il nulla non ammette osservatori, né
al suo interno e neppure al suo esterno. Esso esiste solo se non provi
ad immaginarlo, se non provi a descriverlo, se non provi a
quantificarlo. Se dall’Universo scomparissero tutte le entità pensanti
(biologiche o non biologiche), in grado di immaginare il nulla, forse
esso inghiottirebbe tutto in un solo istante. Ma considerando il fatto
che l’Universo esiste da molto prima della comparsa di tutte le forme
di vita pensanti , sia sulla Terra che su altri pianeti di altre galassie,
ciò significa che da qualche parte, in una dimensione a noi
sconosciuta, un’Entità Pensante debba aver immaginato il nulla, e da
quella piccola particella di Informazione che ne è scaturita, si sia in
seguito originato l’intero Universo. D’altronde, l’incontro tra una
particella di Informazione e il nulla assoluto, è una condizione
insostenibile. Per cui tutto viene inesorabilmente trasformato in
Informazione, attraverso un Big Bang, dove spazio e tempo vengono
creati in un solo istante (continuando ad estendersi all’infinito, senza
alcuna sosta, senza alcuna contrazione; il nulla d’altronde non lo
consentirebbe). In questo preciso istante, ai confini dell’Universo,
della materia continua a crearsi dal nulla. Secondo dopo secondo,
l’Universo continua ad espandersi, e continuerà a farlo per un tempo
infinito. L’Entità Pensante lo ha creato immaginando semplicemente
il nulla, ma poi non poteva che perderne il controllo”.
Dal nulla al tutto
Immaginiamo una sfera e consideriamo che tale sfera rappresenti il
nostro Universo. Ora immaginiamo che tale sfera rimanga stabile,
ovvero che non si espandi ma che neppure si contragga. Abbiamo
appena immaginato un Universo statico. Ora ipotizziamo che al di
fuori di tale sfera vi sia il nulla, inteso come totale assenza di spazio,
tempo ed energia (sappiamo, in base alle leggi della meccanica
quantistica, che non può esistere uno spazio “vuoto di campo”6
, ma
proviamo ugualmente ad immaginarlo). Possiamo tracciare dunque
una linea di confine tra il nulla assoluto ed uno spazio-tempo ricco
d’informazione ed energia (in qualsivoglia stato essa venga
considerata)? Si possono scindere, concretamente, le due cose?
Possono coesistere, distintamente, l’una e l’altra; ovvero “toccarsi”
senza però fondersi a vicenda? La risposta è estremamente intuitiva,
ed è indubbiamente …no!
Può dunque esistere un Universo statico? Ebbene la risposta ancora
una volta è no! Risultano dunque essere del tutto ovvie due cose: che
l’Universo deve necessariamente essere costantemente in espansione e
che l’unica fonte primaria di materia ed energia, è proprio il nulla! Il
che nega implicitamente un’ipotesi secolare nella storia
dell’astrofisica: la morte termica dell’Universo, dopo un periodo di
tempo …”infinitamente lungo”; questo poiché è proprio dalla costante
creazione di materia ed energia dal nulla, che nascono nuove galassie,
stelle e pianeti (per ogni stella che muore, ne nascono altre mille
molto più longeve e splendenti)! Tali considerazioni reggono anche
nell'ipotesi di un Universo infinito. Proprio perché il concetto di
infinito, implica un processo "in divenire", non è possibile immaginare
un Universo statico, e dunque finito, dove al di fuori di esso, vi sia
un’assoluta assenza di spazio, tempo ed energia!
“Una caratteristica dello stato di vuoto è che esso dovrebbe essere
elettricamente neutro; non dovrebbe anzi avere né carica elettrica né
alcuna delle altre cariche la cui conservazione è prevista dalla fisica
delle particelle quantistiche. Infatti, se il vuoto possedesse in una
quantità totale diversa da zero, una di queste cariche soggette a leggi
di conservazione assolute, non se ne potrebbero mai eliminare tutte le
6
Nel vuoto quantistico sono presenti fluttuazioni quanto-meccaniche che lo rendono
un ribollire di coppie di particelle virtuali; queste, protette dal principio di
indeterminazione di Heisenberg, nascono e si annichiliscono in continuazione. Le
particelle sono dette virtuali perché normalmente non producono effetti fisici; in uno
spazio limitato, tuttavia, vi sono delle grandezze misurabili. Secondo il principio di
indeterminazione di Heisenberg, energia e tempo, al pari di altre due grandezze
fisiche come posizione e velocità, non possono essere misurate con un'accuratezza
infinita. Se lo spazio vuoto non avesse alcuna forma di energia, generata da forze (o
meglio da campi) di alcun tipo (né gravitazionale né elettromagnetica), di una
particella che si trovasse nello spazio vuoto sarebbe possibile determinarne velocità
ed energia (in tal caso entrambe nulle), con un errore pari a zero; in violazione
dunque del principio di indeterminazione. Il che porta ad ipotizzare l'esistenza di
fluttuazioni quantistiche nello spazio vuoto, che generano una quantità minima di
indeterminazione.
particelle portatrici di tale carica. Se dunque definiamo il vuoto come
lo stato nel quale tutte le grandezze fisiche che si conservano sono
nulle, scopriamo che, sorprendentemente, tutto l’Universo potrebbe
essere equivalente al nulla. La prima reazione a questa congettura è
che debba sicuramente trattarsi di un’assurdità, perché l’Universo
intero è tutto, non nulla. Tuttavia, se analizziamo da vicino tale
congettura, ci rendiamo conto che effettivamente l’Universo potrebbe
essere equivalente ad uno stato di non-essere, e che quindi il nostro
Universo potrebbe aver avuto origine dal vuoto”.
Heinz R.Pagels
Dimensioni parallele e strani sogni
L’alieno lo prese per mano e gli disse: “Vieni, non avere paura, ti
accompagnerò in un’altra dimensione”. L’essere umano accettò
l’invito e salì con l’alieno sull’astronave. Pochi istanti dopo si
ritrovarono entrambi in un posto incantevole, ma palesemente non
terrestre. Scesero insieme dalla nave spaziale e l’essere umano
cominciò a guardarsi attorno, tentando di toccare con le mani gli
oggetti ad egli circostanti. Subito notò con grande stupore, che le sue
mani, così come il resto del suo corpo, passavano attraverso gli oggetti
come se questi fossero degli ologrammi, delle entità evanescenti; e
dunque non vi era modo di toccare o afferrare proprio nulla. L’umano
a quel punto si rivolse all’alieno: “Ma dove mi hai portato? Non
capisco, com’è possibile che io riesca a camminare, in un posto
simile…” e iniziò a premere le sue dita sulle sue braccia, per essere
sicuro di avere ancora una “consistenza solida”; dopo essersene
accertato, esclamò: “Ma sono sempre lo stesso, la mia consistenza non
è cambiata! Ho ancora un corpo solido!...e allora come mai non
sprofondo?...la mia densità è molto più alta rispetto a tutto ciò che mi
circonda, è molto strano tutto ciò”.
A quel punto intervenne l’alieno: “Sprofondare? E in cosa o dove,
dovresti sprofondare? Qui non esiste la forza di gravità, ma solo la
forza di volontà. Prova a pensare di conficcare il tuo piede destro nel
suolo su cui stai camminando”.
L’essere umano provò a fare ciò che gli era stato chiesto e ancora una
volta con suo grande stupore, scoprì che era possibile, solo con la
propria forza del pensiero, continuare a camminare su di un suolo
evanescente, oppure immergervisi dentro! Ma ad un tratto l’alieno
interruppe quel suo stato mentale che oscillava costantemente tra la
gioia, lo sconcerto e l’euforia, rivolgendosi ad egli con le seguenti
parole: “E se ora io ti dicessi che tu in realtà sei morto e tutto ciò non
è reale, mi crederesti?”. L’umano, quasi stizzito e con tono deciso
rispose: “Ma no ovviamente! Mi ci hai portato tu qui; come faccio ad
essere morto?”
Al che l’alieno rispose: “E se invece ti avessi portato qui a tua
insaputa, magari prelevandoti nel cuore della notte, durante il sonno,
e poi qui qualcuno ti avesse detto che in realtà sei morto?”. L’umano
si prese un attimo per riflettere e poi disse: “Bè, non ci avrei creduto
ugualmente e avrei sicuramente pensato che stessi sognando. Però la
cosa francamente mi spaventa, perché quel sogno avrebbe potuto
continuare per moltissimo tempo, e io non avrei mai potuto
accorgermi di nulla”. L’alieno abbozzò un sorriso e disse: “Già, non
avresti potuto mai accorgerti di nulla, a meno che io ad un certo
punto, non ti avessi riportato sulla Terra. Ma se ti fossi risvegliato
lentamente nel letto in cui dormi abitualmente, a cosa avresti creduto,
ad un sogno, o ad un evento reale?”. L’umano a tal punto si strinse
nelle spalle e mestamente rispose: “Senza alcun indizio su cui poter
riflettere, probabilmente avrei pensato di essermi finalmente
risvegliato da un brutto sogno”.
Tra scienza e fede
Consideriamo un ipotetico Dio che abbia creato l’Universo. Tale Dio
non avrebbe potuto originarsi per “puro caso” dal nulla, mantenendo il
punto di vista di coloro che credono in un Dio creatore; visto che per
tali signori il “puro caso” non potrà mai portare a delle forme
d’intelligenza primaria, che abbiano oltretutto origine dal nulla
assoluto, ovvero da un ipotetico spazio “vuoto di campo” (che da un
punto di vista fisico-quantistico, come ho già spiegato nella
precedente nota a piè pagina, non può esistere)7
. Per cui la domanda
7
Nel suo libro “Da zero a infinito”, John D. Barrow spiega che: “È senz’altro
possibile che lo stato dell’Universo in cui ci troviamo sia quello di un vuoto
temporaneamente stabile (detto anche “falso vuoto”). Invece di essere al
pianterreno del paesaggio del vuoto, potremmo cioè essere ad un piano superiore,
in uno stato che è stabile solo per un certo periodo di tempo. Tale periodo è
abbastanza lungo, poiché l’Universo sembra caratterizzato dalle stesse leggi
generali e proprietà da circa quattordici miliardi di anni. Ma un giorno le cose
potrebbero cambiare in modo fulmineo, senza il minimo preavviso. (…) La piccola
spinta necessaria potrebbe essere fornita da eventi di altissima energia che hanno
luogo nell’Universo. Se delle collisioni tra stelle o buchi neri generassero raggi
cosmici di energia sufficientemente elevata, questi potrebbero essere in grado di
innescare la transizione a un nuovo vuoto in una regione dello spazio. Saranno le
proprietà del nuovo vuoto a determinare ciò che accade dopo. Potremmo
sorge spontanea: “Chi ha creato questo Dio creatore?”; forse un altro
Dio la cui intelligenza è ancora più grande del nostro “Dio creatore”?
Se la risposta è sì (e deve per forza essere affermativa, perché per tali
signori, i creazionisti, dalla “pura casualità” non può originarsi alcuna
forma d’intelligenza primaria), allora dobbiamo considerare una serie
infinita di dei; in cui l’n-Dio disponga di un’intelligenza infinitamente
grande e la cui Informazione va oltre ogni nostra possibile
immaginazione (già che ci siamo possiamo andare anche a ripescare
l’ipotesi di Cantor sugli infiniti e adattarla a tale contesto surreale
…per non dire assurdo, irrazionale). Vi sembra plausibile tutto ciò?
Se vogliamo quindi credere a tutti i costi in un “Dio creatore”,
quest’ultimo con estrema probabilità dovrà essersi originato per “puro
caso” dal nulla assoluto; ovvero da un ipotetico spazio “vuoto di
campo” (la cui esistenza è teoricamente impossibile, per le leggi della
fisica). Ma se dalla “mera casualità” possono nascere addirittura gli
dei, com’è possibile che da essa non sia potuto nascere anche l’intero
Universo, gli ammassi di galassie, il nostro Sole, la Terra, i primi
organismi monocellulari ed infine l’uomo?
Credo che qualsiasi persona che si ritenga realmente saggia, nella vita
dovrebbe essere “credatea” (ovvero, né atea e né credente); nell’unica
accezione seguente del termine: persona perennemente indecisa
sull’esistenza o meno di Dio.
Considerando l’assoluta indecidibilità e indimostrabilità dell’esistenza
di Dio, credo che una persona che si ritenga profondamente saggia,
debba necessariamente essere agnostica. Per Socrate la saggezza
consisteva nel "sapere di non sapere"; ebbene il pensiero di un
agnostico (che se ne guarda bene dal prender posizioni sulla questione
dell'esistenza di Dio), non rappresenta dunque tale saggezza? Chi
sostiene, basandosi esclusivamente sul proprio intuito, l’esistenza di
Dio, si situa esattamente sullo stesso piano di chi sostiene, basandosi
anch’egli prevalentemente sul proprio intuito, la sua non esistenza. Su
una questione indecidibile e indimostrabile come quella dell’esistenza
di Dio, il dubbio a mio avviso non dovrebbe far protendere verso l’una
o l’altra scelta; dal momento in cui tale scelta, una volta compiuta, non
porta ad alcun cambiamento significativo sul piano dei valori umani
(visto che a tale scopo basterebbe semplicemente educare intere
civiltà, attraverso alcune regole comportamentali che prevedano il
rispetto del prossimo e di sé stessi). Anche in assenza di Dio, una sana
educazione comportamentale ed una sana giustizia (basate entrambe
improvvisamente trovarci a cadere in uno stato di vuoto in cui tutte le particelle
hanno massa zero e si comportano come radiazione, nel qual caso scompariremmo
senza preavviso in un lampo di luce!”.
sul buon senso comune, che prende forma principalmente dal nostro
istinto di conservazione), sono a mio parere più che sufficienti a
garantire un determinato equilibrio tra i cittadini di una nazione o di
uno Stato. Se l’intuito delle menti più eccelse della storia
contemporanea, le ha portate a fidarsi degli assiomi di scelta, ciò è
dovuto al fatto che per poter progredire nel campo della matematica (a
sua volta connessa alle scienze fisiche e alle sue applicazioni
tecnologiche), non era possibile evitare questo “atto di fede”! Ma un
atto di fede nel campo della matematica, può portare l’uomo verso
altri orizzonti scientifici e tecnologici (migliorando in molti casi le sue
condizioni e aspettative di vita; basti pensare al progresso in ambito
medico e farmaceutico), mentre la fede in Dio, non modifica in alcun
modo la realtà del mondo in cui viviamo (…lasciandola in molti casi
localmente, dove essa prevale, immutata per secoli). Persino alla
persona più intelligente di questo mondo è concesso di credere in Dio
(o di non crederci affatto); il che dimostra, a mio avviso, che saggezza
ed intelligenza non sempre vanno di pari passo.
Concludo questa breve riflessione con due citazioni apparentemente
assai lontane tra loro, con l’unico scopo di voler sottolineare (forse
anche in modo assai goffo e banale, ma poco importa), quanto lo zio
Albert molti anni fa ebbe a dire: “La fisica e la psicologia
rappresentano solo due tentativi diversi di unificare le nostre
esperienze mediante il pensiero sistematico”.
“Dio è negli atomi; una sovrapposizione, se vi piace. O se anche non
vi piace, è così che si chiama. Una sovrapposizione è simile a Dio per
il fatto che l’ente quantistico, occupando un certo numero di stati
differenti simultaneamente, può trovarsi in ogni luogo allo stesso
tempo. Una sovrapposizione è una sorta di immanenza. Senza le
sovrapposizioni, gli oggetti quantistici semplicemente si
schianterebbero l’uno nell’altro e la materia solida non potrebbe
esistere”.
Philip Kerr
“Per me Dio è da un lato un mistero che non va svelato, a cui devo
attribuire soltanto una caratteristica, e cioè il suo esistere in forma di
un particolare fenomeno psichico che io percepisco come numinoso, e
che non posso ricondurre ad alcuna causa abbastanza evidente insita
nel mio campo d’esperienza. D’altro lato Dio è un’immagine verbale,
un predicato o un mitologema che si fonda su presupposti archetipici
che dal canto loro stanno alla base della struttura psichica, in quanto
forme di rappresentazione degli istinti. Come gli istinti, anche le
forme di rappresentazione hanno una certa autonomia che permette
loro di affermarsi in certi casi contro le aspettative razionali della
coscienza (da qui deriva in un certo senso la loro numinosità)”.
Carl Gustav Jung
Opera di Fausto Intilla, Sostanzialità Eterna,
olio su tela, 60 x 80, 1988.
Surrealismo simbolico
E il vecchio saggio disse al suo discepolo: “Nella vita tutto è simbolo;
occorre saper leggere tra le righe degli eventi, per poter scorgere i
momenti più salienti che hanno caratterizzato il proprio passato o che
caratterizzeranno il proprio futuro, e dar loro così un senso, un
significato profondo”. Il giovane discepolo, sentito ciò, andò in un
giardino pieno di rose e ne recise una non ancora sbocciata. Con
questa rosa tra le mani, si recò dalla sua amata. Giunto a destinazione,
gliela porse e le fece un sorriso, senza proferire alcuna parola. Ella
ricambiò il sorriso e lo ringraziò. Poco dopo, egli lasciò la sua amata e
si incamminò verso un altro luogo, pensando: “Se la prossima volta
che la incontrerò la rosa sarà sbocciata, significa che il suo amore
nei miei confronti è sincero e cristallino; se invece la ritroverò ancora
chiusa, il significato sarà esattamente l’opposto”.
Il linguaggio della natura
Se è vero che 'il libro della Natura è scritto in linguaggio matematico',
l'uomo non ha fatto nient'altro che scoprire, attraverso il susseguirsi
dei secoli (e dei millenni), modi sempre più evoluti e variegati di
utilizzare la matematica, per cercare di dare un aspetto via via più
'convincente' alla realtà fisica in cui vive. La matematica è una
dimensione insita nel DNA umano, che si è evoluta parallelamente
all'evoluzione dell'uomo; le scienze (filosofia inclusa, poiché richiede
una certa logica), sono dunque una conseguenza di tale dimensione
presente in ogni luogo dell'Universo. Una dimensione di cui tutti gli
esseri viventi più evoluti possono beneficiare (siano essi appartenenti
al pianeta Terra, oppure no).
“Nonostante la loro lontananza dall'esperienza dei sensi, noi abbiamo
un qualcosa simile a una percezione anche degli oggetti della teoria
degli insiemi, come si può vedere dal fatto che gli assiomi stessi ci
forzano a considerarli veri. Non vedo motivo perché dovremmo avere
una fiducia minore in questo tipo di percezione, vale a dire
l'intuizione matematica, piuttosto che nella percezione sensoriale, che
ci induce a costruire teorie fisiche e aspettarci che future sensazioni
sensoriali si accordino ad esse”.
Kurt Gödel
"Come nel caso dello Zen, dove la verità oltrepassa i limiti delle
parole, così anche in matematica la verità è superiore ai sistemi
formali incompleti. Così come i koan dello Zen rivelano i vincoli
imposti al pensiero dalle parole (così che il linguaggio stesso diventa
una barriera per la comprensione), nello stesso modo anche il
teorema di Gödel ha stabilito l'esistenza di verità matematiche che
giacciono al di là della comprensione dei sistemi formali. Le
proposizioni della matematica non possono essere circoscritte
attraverso i sistemi formali: ci saranno sempre delle verità
matematiche che si collocano al di fuori".
Douglas Richard Hofstadter
Sulla nascita della vita
La scienza purtroppo finora non è ancora riuscita a dare una
definizione chiara e completa del concetto di "vita"; ossia, ciò che non
si è ancora riusciti a capire è il motivo per cui determinate forme
complesse di energia (stabili) diano origine a delle entità biologiche (o
meglio sarebbe dire: si presentino sotto forma di entità biologiche),
mentre altre no (da ora in avanti l’acronimo EB, starà a significare:
"Entità Biologica"). Ebbene, qui di seguito esporrò su tale argomento
una brevissima teoria prettamente personale e a carattere altamente
speculativo, che si propone principalmente di porre in un altro punto
focale e quindi in un'altra ottica di idee, i concetti con cui vengono
definite le parole "vita" ed "anima". Inizierò quindi con suddividere le
varie forme di energia presenti in natura in tre principali modelli
tipologici, definiti in base alle caratteristiche di stato dell'energia che
vien presa in considerazione. Otteniamo così tre distinte classi
energetiche che ho denominato nel seguente modo:
a) Energia primaria: è rappresentata da forme complesse di
energia (stabili), inattive e di durata più o meno illimitata
(difficilmente degradabili in natura e di durata illimitata in
assenza di agenti atmosferici, ossia nello spazio). In questa
classe rientrano quindi tutti quei corpi che vengono
comunemente definiti inerti.
b) Energia secondaria: è rappresentata da forme complesse di
energia (stabili), attive (EB), che possono restare tali (attive),
unicamente assorbendo continuamente energia e formando
quindi un sistema o ciclo di scambio energetico. Il fattore
tempo in questo caso altera le funzionalità dell'EB intesa come
mezzo di scambio energetico. L'EB diventa inattiva (ossia non
assorbe più energia) e facilmente degradabile, quando si
interrompe (per cause naturali o artificiali) il ciclo energetico
confinato nella natura dell'EB (cyclus mater) oppure il ciclo
energetico definito dall'EB e l'ambiente ad essa circostante
(ciclo sistemico o primario). In termini popolari, tale fenomeno
è in sintesi descritto dalla parola “morte” (in tal caso relativa
ad un intero organismo vivente; molto più complesso dunque
di una singola cellula o di alcuni gruppi di cellule). La fase di
degradazione dell'EB inizia dapprima con la cessazione
dell'attività cinetica dell'intera entità (ovviamente se si tratta di
un'EB appartenente al regno "animale"; il perché ho messo tra
virgolette il termine animale lo capirete quando in seguito
scoprirete quanto siano sottili e difficili da stabilire, quando si
analizzano le caratteristiche di entità microscopiche, i confini
tra regno animale e regno vegetale), e poi con la graduale
cessazione dell'attività di scambio energetico di tutti gli
elementi (molecole organiche) che la costituiscono.
c) Energia terziaria: è rappresentata dal calore e da altre forme di
energia dispersiva.
Ora, la domanda da un milione di euro è la seguente: "Da cosa nasce
l'attività cinetica di un'entità biologica?"
Ebbene, per stabilirlo, occorre innanzitutto prendere in considerazione
i seguenti aspetti della natura, descrivibili in termini fisici: alcuni
elementi (Carbonio, Idrogeno, Ossigeno, Azoto; tra cui l'elemento
principale è il Carbonio, poiché è sempre presente in qualsiasi
molecola organica), combinandosi tra loro danno origine a dei
composti o molecole organiche che, a dipendenza del numero degli
elementi di cui sono formati, vengono denominati binari, ternari o
quaternari. Due composti, anche se formati entrambi dallo stesso tipo
di elementi ed hanno quindi la stessa formula grezza, possono differire
notevolmente l'uno dall'altro a causa di una loro differente formula di
struttura (tale fenomeno è detto isomeria di struttura ed è dovuto ad
una differente unione degli atomi fra loro) oppure a causa di una
diversa posizione occupata da qualche atomo o gruppi atomici
(isomeria di posizione). Qualsiasi molecola organica, per poter
"sopravvivere", deve costantemente assorbire energia dall'ambiente ad
essa circostante, per poi immetterla nuovamente in tale ambiente,
sotto forma di calore ed altre forme di energia.
Durante questa fase o ciclo energetico, la molecola in questione
presenta delle oscillazioni infinitamente piccole (attività cinetica),
dovute al costante scambio energetico tra la molecola stessa e
l'ambiente ad essa circostante. Qualsiasi molecola organica (o entità
biologica) è quindi concepibile come un mezzo di scambio energetico.
(In realtà tutti i composti di natura inorganica sono costituiti da atomi
in costante vibrazione, e si potrebbero quindi anch'essi concepire
come dei mezzi di scambio energetico, solo che, anche combinandosi
tra loro in infiniti schemi, avranno sempre una potenzialità di scambio
energetico estremamente bassa e quindi non potranno mai in ogni caso
manifestare neppure la più misera attività cinetica). In tale ottica di
idee, occorre quindi considerare il Carbonio, come un elemento dotato
di un'alta PSE (da ora in avanti l’acronimo PSE, starà ad indicare la
“potenzialità di scambio energetico” di un elemento).
Tale elemento, combinandosi con altri elementi (H,O,N), molto
probabilmente anch'essi dotati di una certa PSE, accresce
notevolmente la sua PSE dando origine al fenomeno dell'attività
cinetica (oscillazioni), più o meno impercettibile, delle molecole
organiche. La PSE delle molecole organiche cresce in modo
esponenziale, quando queste ultime si combinano tra loro formando
composti organici costituiti da milioni di molecole.
Ora resta comunque il seguente enigma: perché alcuni "milioni" di
molecole organiche danno origine per esempio ad un batterio (ossia a
una entità biologica autorganizzantesi), mentre altri "milioni" di
molecole danno origine a delle comuni cellule vegetali?
Una risposta potrebbe essere la seguente: quando la PSE di un
determinato composto organico cresce oltre un certo limite, innesca
in tale composto un'attività cinetica così elevata da riuscire a
provocare al suo interno una sorta di reazione in cui tutti i circuiti
molecolari (definiti da determinate reazioni chimiche di
scomposizione degli elementi), si uniscono secondo determinati
schemi e danno quindi origine ad una sorta di "intelligenza", il cui
principale scopo è quello di coordinare l'attività cinetica dell'intero
composto organico, al fine di ottenere un determinato modello di
auto-organizzazione energetica, all'insegna del più basso spreco di
energia. Ecco forse come nascono i batteri e tante altre entità
biologiche "pensanti"8
; ecco forse come nasce la vita animale. Di una
8
Durante l’estate del 2010, da uno studio eseguito da alcuni ricercatori polacchi, si è
scoperto che anche le piante immagazzinano informazioni, e sono capaci di
rispondere ad esse. Il risultato delle ricerche, riportato dalla BBC il 14 Luglio del
2010 e pubblicato online su Plant Cell, dimostra infatti che le piante hanno un
cosa l'uomo può sicuramente vantarsi, ossia di essere il più complesso
mezzo di scambio energetico presente sulla Terra.
Il biofisico americano Stuart Kaufmann ha cercato di dare un
contenuto concreto all'idea che la vita nasca mediante l'auto-
organizzazione (concentrandosi su un fenomeno chimico noto come
autocatalisi). Le idee di Kauffman sono state esposte brillantemente da
Paul Davies nel suo libro: "Da dove viene la vita" (Mondadori,
Milano, 2000). Il famoso fisico australiano, a pag.153 del libro in
questione, inizia a ricordare al lettore che: «un catalizzatore è un tipo
di molecola che promuove una reazione tra altre molecole senza
esserne alterata». Prosegue poi nella descrizione dettagliata delle
ipotesi di Kauffman:
“Immaginiamo quindi un brodo primordiale che vede svolgersi
contemporaneamente numerose reazioni diverse, in cui complesse
molecole organiche si creano e si distruggono, combinandosi con
altre molecole o scindendosi in frammenti. C'è una vasta e intricata
serie di reazioni in atto; se vogliamo, un ecosistema chimico.
Supponiamo ora che in questo brodo ribollente alcune molecole si
trovino a giocare un duplice ruolo: da un lato che entrino in
determinate reazioni chimiche come reagenti o come prodotti,
dall'altra che partecipino a reazioni diverse quali catalizzatori. In tal
caso può succedere che la presenza di una molecola M abbia l'effetto
di catalizzare la stessa sequenza di reazioni che porta alla produzione
di M. La sua esistenza accelera quindi la creazione di altre copie
della stessa molecola; da qui il termine autocatalisi. Quando si
sistema di comunicazione interno che agisce pressappoco come quello nervoso
centrale negli animali: ricevuto un impulso, l’informazione in entrata genera una
serie di eventi a catena tali da produrre reazioni successive in tutto il “corpo”. I
ricercatori hanno messo a fuoco il comportamento di una Arabidopsis Thaliana
sottoposta in piccola parte a raggi di luce, constatando in essa una reazione diffusa e
non limitata alle foglie esposte. Una volta sottratta alla luce hanno poi verificato la
persistenza di tale effetto, a conferma dell’avvenuta costruzione di una memoria a
breve termine della pianta stessa, "capace di ricordare i diversi eccessi di luce e
utilizzare questa informazione per migliorare di conseguenza, ad esempio, il proprio
sistema immunitario”. Il “ricordo” ha inoltre valore sia in termini qualitativi che
quantitativi; a seconda del tipo di esposizione le reazioni chimiche di difesa della
pianta si sono infatti rivelate diverse. Il sistema di comunicazione interno che
permette tutto questo agisce tramite particolari cellule, presenti in tutti i tipi di
pianta, per mezzo di impulsi elettrici: nulla di particolarmente nuovo, se non in
potenza.
verifica tale processo, si instaura un ciclo di retroazioni sempre più
intenso, generando una rete di reazioni che si autorinforza”.
Le analogie con la mia teoria sulla PSE (potenzialità di scambio
energetico) di determinati elementi risultano a questo punto evidenti.
Premetto comunque di aver scoperto solo di recente le ipotesi-teorie di
Kauffman; cosa che ovviamente non ha potuto far altro che
"rallegrarmi" e rendermi di conseguenza più "convinto" su tutto ciò
che da tempo vado affermando sull'origine della vita. Tornando ora
alle ipotesi di Kauffman, sempre nella stessa pagina Davies si pone la
domanda: «Che cosa succede a questo punto?» Ecco la sua risposta:
“Quando la varietà di molecole nella rete è sufficiente, il sistema
varca una soglia critica. Kauffman prevede un brusco salto in un
gigantesco ciclo autocatalitico, un processo di auto-organizzazione
simile all'improvvisa transizione da un liquido omogeneo alle
particelle di convezione9
. Questo ciclo più elevato, e molto più
complesso, è una forma elementare di metabolismo, cioè l'insieme di
processi chimici organizzati del tipo immaginato da Oparin e Dyson
come contenuto delle loro vescicole. Il tutto avviene senza il
coinvolgimento di particolari molecole di RNA e senza bisogno di un
apparato genetico; gli acidi nucleici arriveranno più tardi”.
Interessanti sono inoltre queste sue altre considerazioni:
“Se Kauffman è sulla strada giusta, forse la vita è la conseguenza non
di una particolare chimica organica, ma delle leggi matematiche
universali che governano il comportamento di tutti i sistemi
complessi, indipendentemente dalla loro composizione”.
Egli però fa osservare che esiste in questo tipo di approccio un
problema di fondo, di natura concettuale:
“La vita in realtà non è un esempio di auto-organizzazione. La vita è
organizzazione specificata, cioè diretta geneticamente. Gli organismi
seguono le istruzioni codificate nel loro DNA, o RNA. Le particelle di
convezione si formano spontaneamente per auto-organizzazione; non
esiste un gene specifico. La fonte dell'ordine in questo caso non è
codificata in un software, ma si può individuare nelle condizioni
9
Secondo Kauffman, le particelle di convezione sarebbero quelle predisposte allo
scambio di energia in un sistema termodinamico, e il loro ordine sarebbe imposto
esternamente, dall'ambiente che circonda il sistema. Al contrario, l'ordine delle
cellule viventi deriva dal loro controllo interno, dai propri geni, situati in una
microscopica molecola racchiusa nelle profondità del sistema, che trasmette
chimicamente le sue istruzioni all'esterno. Anche se l'ambiente, nel caso di una
cellula, è in grado di influenzare la stessa attraverso la sua membrana, rimane
comunque il fatto che i caratteri fondamentali di un organismo sono determinati
principalmente dai suoi geni.
dell'ambiente con cui è a contatto il liquido. È il flusso di calore ed
entropia attraverso i suoi confini che promuove l'auto-organizzazione,
e sono la forma, le dimensioni e la natura di questi confini a
determinare i dettagli dell'aspetto delle cellule. In altre parole,
l'ordine di una particella di convezione è imposto esternamente
dall'ambiente che circonda il sistema”.
È alquanto curioso osservare come quest'ultima frase di Paul Davies
presenterebbe delle strette analogie con la teoria di Herbert Simon
sull'organizzazione dei "sistemi umani", qualora si sostituissero le
parole "particella di convezione" con la parola "individuo": «L'ordine
di un individuo è imposto esternamente, dall'ambiente che circonda il
sistema». Un concetto che il famoso Herbert Simon espresse
comunque con altre parole, molto più significative: «Un uomo,
considerato come sistema soggetto di comportamento, è piuttosto
semplice. L'apparente complessità del suo comportamento nel tempo è
in larga misura un riflesso della complessità dell'ambiente in cui si
trova». Davies nel suo libro sottolinea che:
“Finora la teoria dell'auto-organizzazione non ha dato indicazioni su
come sarebbe avvenuto il passaggio tra l'organizzazione spontanea (o
autoindotta) e il complesso sistema genetico basato sull'informazione,
tipico dei viventi. Una spiegazione di tale avvicendamento genetico
non può limitarsi a rendere conto dell'origine, in uno stadio
successivo, degli acidi nucleici e del loro stretto interagire con le
proteine. Non basta sapere in quale modo siano nate queste
gigantesche molecole o come abbiano incominciato ad interagire.
Bisogna chiarire anche come è venuto alla luce il software del
sistema; anzi, dobbiamo capire in che modo il concetto stesso di
controllo mediante un software è stato scoperto dalla natura (...). In
assenza di un nuovo principio di auto-organizzazione che induca la
produzione di una complessità di tipo algoritmico, una parte
essenziale della storia della biogenesi resta inesplicabile”.
Ed io a questo punto aggiungerei: una sorta di "algoritmo della
natura", la cui caratteristica principale è quella di stabilire un ciclo
termodinamico all'insegna del più basso spreco di energia (in
relazione ovviamente ad ogni entità biologica). Un algoritmo che forse
è presente nel nostro Universo sin dalla notte dei tempi, ma che non
siamo ancora riusciti a scoprire.
Ma a questo punto occorre che io concluda queste mie riflessioni con
una dovuta e necessaria autocritica; soprattutto a causa di numerose
critiche tutt'altro che positive (ricevute da alcuni colleghi di lavoro con
specializzazione in biochimica e biologia molecolare), sul concetto di
“potenzialità di scambio energetico”, che io ho relazionato ad alcuni
elementi della materia organica, ipotizzando il Carbonio come miglior
candidato nell'espletare un simile "comportamento" a livello atomico-
nucleare. Le critiche che queste persone hanno avanzato nei miei
confronti, si basano su un dato di fatto che in biochimica è stato ormai
appurato da tempo immemorabile (e che ovviamente anche io do per
scontato), ovvero: Il Fosforo e lo Zolfo (anch'essi inclusi, oltre
all'Ossigeno, l'Idrogeno, l'Azoto e il Carbonio, nella "classe
principale" degli elementi della materia organica), per certi versi si
possono definire analoghi rispettivamente all'Azoto e all'Ossigeno,
solo che si trovano nella terza riga del sistema periodico.
Gli atomi di questa riga tendono a completare l'ottetto di elettroni,
come quelli della seconda riga, ma la formazione dell'ottetto non
satura il guscio più esterno, il terzo. Quindi gli atomi della terza riga
hanno a disposizione i cinque orbitali 3d del terzo guscio, che possono
contenere altre cinque paia di elettroni. Questa capacità di formare
ulteriori legami permette al Fosforo (P) e allo Zolfo (S) di svolgere un
ruolo essenziale nei sistemi biologici. Ma il fatto più rilevante in tale
contesto, ovvero quello che ha dato adito alle critiche che sono state
mosse nei miei confronti, rimane comunque il seguente: l'azione di
gran lunga più importante svolta da questi elementi consiste nel
fungere da agenti per il trasferimento di energia e di gruppi atomici
nelle reazioni chimiche.
La maggior parte delle reazioni di produzione di energia e di
trasferimento di gruppi è dovuta ai fosfati organici, in particolare
all'ATP (adenosintrifosfato), ma anche lo Zolfo forma tre tipi di
molecole con legami ad "alta energia", che possono fornire energia
alle reazioni biochimiche. La molecola di ATP rimane quindi la
principale fonte di energia per le reazioni biochimiche nelle cellule.
Le molecole di ATP vengono sintetizzate usando l'energia liberata
dall'ossidazione di composti quali gli zuccheri. In esse l'energia viene
immagazzinata nei legami "fosforici", nel senso che rompendo questi
legami si libera energia che può essere usata per sviluppare altre
reazioni. I tre motivi che rendono unici lo Zolfo e il Fosforo per
reazioni di trasferimento di energia e di gruppi atomici sono i
seguenti:
a) questi elementi formano legami più aperti, e di solito più deboli, dei
loro congeneri situati sulla seconda riga della tavola periodica degli
elementi (questa proprietà induce un'instabilità che facilita le reazioni
di scambio);
b) hanno orbitali 3d che permettono loro di avere valenza maggiore di
quattro;
c) conservano la capacità di formare legami multipli, proprietà
condivisa solo da Carbonio, Azoto e Ossigeno (quest'ultima proprietà
aumenta enormemente la varietà dei mutamenti che possono
prodursi).
Tutte queste considerazioni o assunti, che io ovviamente condivido nel
modo più assoluto, non vanno comunque ad intaccare (a mio avviso)
le mie ipotesi sulla “potenzialità di scambio energetico” di un
elemento quale il Carbonio, che ho ritenuto essere più elevata rispetto
ad altri elementi appartenenti alla prima classe-categoria della materia
organica. L'errore, che in tale contesto è assai facile commettere, è
quello di uguagliare il concetto di "potenzialità di scambio energetico"
con quello di "quantità reale-effettiva di scambio energetico" (legata
come abbiamo visto principalmente agli elementi Fosforo e Zolfo).
Infatti, un elemento potrebbe avere una potenzialità di scambio
energetico più bassa, rispetto ad un altro elemento, ma essere in grado
comunque di trasferire, rispetto a quest'ultimo, molta più energia.
Tutto ovviamente dipende dai legami che possono stabilirsi o meno tra
i diversi elementi presi in considerazione. L'effettiva “potenzialità di
scambio energetico” di un elemento potrà quindi espletarsi solo in
determinate condizioni di interazione con altri elementi; in assenza di
queste condizioni, tale potenzialità rimarrebbe quasi sicuramente
nascosta agli occhi di qualsiasi osservatore. La “potenzialità di
scambio energetico” di un elemento non è quindi un fenomeno che si
possa misurare in base alle interazioni stabilite con altri elementi,
poiché dipende essenzialmente dalla natura intrinseca dell'elemento
considerato. Anche se queste mie ultime considerazioni potranno
apparire a molti lettori, poco o del tutto insensate, ritengo comunque
che debbano essere valutate ugualmente con attenzione (come
occorrerebbe fare per qualsiasi altra nuova ipotesi o teoria, in qualsiasi
contesto scientifico).
Infine, vorrei concludere questa mia lunga riflessione con qualche
considerazione sul rapporto tra PSE e stabilità nucleare. Se è vero che
la "potenzialità di scambio energetico" non è misurabile in base alle
interazioni stabilite con altri elementi (poiché dipende essenzialmente
dalla natura intrinseca dell'elemento considerato), forse una strada per
avvicinarsi alla comprensione di questo enigma è porre la PSE in
relazione con un dato di fatto assai importante nel campo della fisica
nucleare, ovvero: la forza nucleare (per i nuclei leggeri) permette di
raggiungere la massima stabilità se il numero dei neutroni è all'incirca
uguale al numero dei protoni.
Ora, come ben sappiamo, gli elementi come il Carbonio, l'Azoto e
l'Ossigeno rispondono a questa caratteristica. Ciò che ancora non sono
riuscito a risolvere-intravedere è il possibile rapporto, la relazione, che
sussiste tra la mia idea-ipotesi di "potenzialità di scambio energetico"
e i diversi "valori" di stabilità nucleare di determinati elementi (con
"valori" intendo dei semplici rapporti matematici inerenti al calcolo
delle probabilità). Il punto è che, a mio avviso, la "potenzialità di
scambio energetico" di un elemento non è da ricercarsi
fondamentalmente ad un livello atomico-molecolare, bensì ad un
livello molto più profondo, ossia nucleare. Tale potenzialità potrebbe
essere intesa come una sorta di "trasposizione" dell'"indice di stabilità
nucleare", definibile esclusivamente in termini di probabilità
matematiche, e non come quantità esatta di energia trasferita in un
determinato contesto atomico-molecolare. La tentazione sarebbe
quella di affermare che maggiore è l'indice di stabilità nucleare di un
elemento, più alta è la potenzialità di scambio energetico dello stesso;
ma non dispongo di alcun riscontro sperimentale che possa
dimostrarlo.
“Guardando verso il cielo”, Parco delle sculture, Mosca (Russia).
Nel caso di un' interazione tra il nucleo atomico di un elemento, e il
nucleo di un altro elemento (o più elementi), in condizioni del tutto
eccezionali, la PSE si può espletare nella sua forma "grezza", ovvero
con dei risvolti che lascino intravedere-intuire il valore della probabile
PSE dell'elemento preso in considerazione. In taluni casi quindi,
sarebbe possibile, con tale procedimento, arrivare a "stimare" un
valore su quella che in teoria, dovrebbe essere la reale PSE di un
elemento (pur rimanendo comunque nel contesto delle probabilità). La
grande difficoltà sta appunto nell'ideare un esperimento (atto a
dimostrare appunto l'esistenza della PSE, da me ipotizzata), in cui
l'elemento da osservare rimanga del tutto isolato da ciò che lo
circonda (le misurazioni verrebbero quindi eseguite sui valori o
quantità, di determinate oscillazioni quantistiche; e non su dei veri e
propri trasferimenti di informazione-energia). Credo comunque che in
futuro, grazie alle nuove scoperte nel campo della Computazione
Quantistica, esperimenti di questo tipo potranno essere
tranquillamente realizzati.
Umano, troppo umano
“Non dobbiamo pretendere di capire il mondo solo con
l'intelligenza: lo conosciamo, nella stessa misura, attraverso
il sentimento. Quindi il giudizio dell'intelligenza è,
nel migliore dei casi, soltanto metà della verità”.
Carl Gustav Jung
Sull’operato del genere umano
L'importanza dell'intero operato umano va sempre rapportata a
determinati intervalli di tempo (siano essi secoli oppure millenni); ciò
è fondamentale per poter parlare di importanza o valore delle idee,
nella storia dell'uomo. Ma nel momento in cui confrontiamo ogni
scoperta scientifica, ogni cambiamento sociale o culturale, oppure
ogni naturale (poiché frutto dell'evoluzione) cambiamento di
paradigma rispetto a tutto ciò che siamo abituati a definire attraverso
la nostra soggettiva/collettiva percezione della realtà delle cose, con
l'eternità del tempo, ci accorgiamo inevitabilmente di quanto ogni cosa
sia dannatamente ...relativa, inconsistente, fugace, inutile ed insensata.
Cercare a tutti i costi di provare a dare un senso a tutto ciò che
fondamentalmente non ha alcun senso, se confrontato con l’eternità
del tempo, non aiuta di certo nessuno, nella ricerca della verità; anzi,
porta solo alla disperazione o alla follia, nel peggiore dei casi. La
soluzione migliore sta semplicemente nel trovare un modo per
ingannare il tempo con il corpo e la mente, occupandoci di mezze
verità, affinché esso [il tempo] non ci permetta di soffermarci troppo a
riflettere sulla sua eterna giovinezza …e sulla sua spietata incuranza
per tutto ciò che accade nell’Universo.
“Ma che diavolo è questo scatolone metallico con un’imboccatura
superiore e due fori laterali?”.
“È un Relativizzatore Automatico. Dall’alto si inseriscono i libri di
ogni genere letterario, ed esso, in base alla loro importanza
informazionale li seleziona. Dal foro laterale destro escono i volumi
triturati ritenuti di scarso valore informazionale, mentre dal foro
laterale opposto escono i volumi intatti ritenuti ad alto valore
informazionale; ovvero quelli talmente importanti, di cui l’umanità
non può fare assolutamente a meno. Però ho notato che non funziona
correttamente. Ho inserito l’intera enciclopedia britannica, e l’ha
triturata tutta, un volume dopo l’altro; stessa sorte è toccata alla
Divina Commedia. Poi ho inserito il trattato di Feynman
sull’elettrodinamica quantistica e ha fatto altrettanto; idem per quello
di Einstein sulla Relatività Ristretta e Generale …persino il trattato di
Gödel sui teoremi d’incompletezza ha triturato! Proprio non capisco
dove possa stare il problema; mah…”.
“Mmm …lasciami dare un’occhiata a quest’aggeggio …ah! Forse ho
capito, si tratta della manopola che fissa il limite temporale per la
valutazione dei testi; l’hai posizionata su Infinito! È normale dunque
che ti abbia triturato tutto; ti conviene posizionarla su 3000 d.C., la
prossima volta che intendi usarlo”.
Dal pensiero binario a quello analogico
Qui di seguito, ho riportato le parti essenziali di una lunga e piacevole
conversazione che ebbi non molti anni fa (2009) con l’amica Cinzia
Turnaturi10
, in cui cercai di esporre in modo assai succinto e quindi
senza troppe perifrasi, le mie idee e previsioni futuristiche sui vari
cambiamenti sociali, culturali e neurobiologici, che a mio avviso
dovrebbero interessare l’intera civiltà umana nei millenni a venire.
Non vengono tuttavia prese in considerazione, in tale contesto
speculativo, previsioni inerenti a specifiche teorie fisico-matematiche
e relative applicazioni in ambito tecnologico.
10
Cinzia Turnaturi lavora attualmente al Policlinico Universitario A.Gemelli di
Roma, ed ha contribuito alla stesura di uno degli ultimi capitoli del libro: “Verso
una nuova scienza di confine”, di Fausto Intilla.
C.T.: “Fausto, nel tuo libro Dio=mc2
(precisamente nei capitoli
‘Denarius Nummus’ e ‘Le equazioni dell’evoluzione’), parli di una
sorta di evoluzione dell'uomo, in correlazione al denaro, al potere e al
grado di libertà di cui ogni essere umano dispone in minore o maggior
misura, rispetto ai suoi simili. Possiamo approfondire la correlazione
che c’è, semmai ci fosse, tra l’evoluzione scientifica e tecnologica, e il
livello spirituale (o morale) dell’uomo in generale? Quali fattori
entrano in gioco?”
F.I.: “Innanzitutto, potremmo cominciare a definire tre fattori
fondamentali, che in tale contesto entrano in causa. I primi due sono i
seguenti: Il ‘Livello di complessità della sfera Politico-Economico-
Scientifico-Tecnologica’ (da ora in avanti definito con l’acronimo:
LC-PEST) dell’intera civiltà umana, e come secondo fattore,
‘L’influenza del denaro sulla mente umana’. Quest’ultimo, ne chiama
in causa un terzo, che io ho denominato semplicemente: “Fattore
biologico-evolutivo”, proprio della nostra specie. Ora, se andiamo ad
analizzare il secondo fattore (ossia: ‘L’influenza del denaro sulla
mente umana’), scopriamo che esso dipende essenzialmente da un
determinato ‘Fattore biologico-evolutivo’, in grado di modificare in
meglio, col passare dei secoli e dei millenni, la nostra capacità di
pensare secondo schemi analogici (creando così le basi di un
‘altruismo assoluto’).
Fatta questa premessa, giungiamo inevitabilmente alla seguente
conclusione: Finché il nostro pensiero continuerà a viaggiare
prevalentemente attraverso degli schemi binari, qualsiasi forma di
spiritualità perderebbe di ‘purezza’, volendola ‘applicare’ a tutti i
costi ad un comportamento standard, stereotipato, tipico di ogni essere
umano che viva rapportandosi quotidianamente con gli schemi classici
(binari) di qualsiasi rete sociale; questo poiché tale forma di
spiritualità, verrebbe costantemente intaccata da una natura ...’troppo
umana’. La vera spiritualità umana, nascerà solo quando saremo
biologicamente pronti ad accoglierla; ovvero quando la nostra mente
inizierà a funzionare prevalentemente seguendo degli schemi
analogici. Attraverso una modalità di elaborazione dell’Informazione,
che si avvalga principalmente di algoritmi e modelli che trascendono
l’attuale tipologia di stampo binario del pensiero umano, cambierà il
nostro modo di pensare e quindi di interpretare la realtà che ci
circonda. Solo in quel momento la nostra specie comincerà ad andare
contro il principio di Gause, e solo in quel momento quindi,
inizieremo a convivere serenamente gli uni con gli altri; ma occorrerà
aspettare ancora un po' di millenni, affinché ciò accada”.
C.T.: “Mi puoi spiegare brevemente la differenza tra pensiero binario
e pensiero analogico? Perché quest'ultimo dovrebbe influenzare
positivamente la spiritualità? E infine, che cos'è il principio di
Gause?”
F.I.: “Con ‘pensiero binario’ si intende una modalità di pensare-
ragionare, prevalentemente con schemi assai semplici, basati soltanto
su pochi elementi di discernimento (se non è nero è bianco, se non è
tuo è suo, e via dicendo). Mentre con ‘pensiero analogico’, si intende
una modalità di pensare-ragionare, con algoritmi molto più complessi,
basati su molteplici elementi di discernimento. In quanto al ‘Principio
di Gause’, esso afferma che qualora due specie competano tra loro per
le stesse limitate risorse, in situazioni in cui sono entrambe presenti,
una delle due sarà più capace di sfruttare o controllare l’accesso a
queste risorse e, alla fine, eliminerà l’altra.
Si tratta di un principio che in biologia evoluzionistica è applicabile
solo tra diverse specie animali; ma nel caso della specie umana, non
possiamo di certo dubitare del fatto che esso sia presente anche tra i
diversi popoli che la compongono. Basti pensare a come l’uomo di
‘razza’ bianca nord-occidentale, sia in grado di manipolare a proprio
vantaggio (ossia per il proprio profitto) il comportamento di molte
popolazioni, su vastissime aree di ogni continente terrestre; sfruttando
così la manodopera indigena e organizzando talvolta, quando è
’necessario’, delle guerre locali a scadenza indeterminata.
Si consideri inoltre che il fenomeno dell’esclusione competitiva
umana (ovvero il ‘Principio di Gause’ adattato alla specie umana), è
semplicemente un’attitudine comportamentale condizionata da una
serie di impulsi neurogenetici di antico stampo. Quando questi impulsi
scemeranno col passare dei millenni, tale fenomeno tenderà a
scomparire. E a quel punto non vi sarà più alcun motivo di
preoccuparsi di quanto sarebbero realmente limitate le risorse sulla
Terra per una popolazione che dovesse superare i dieci miliardi di
individui, perché grazie al benessere globale, intere popolazioni
umane tenderanno ad avere un tasso d’incremento demografico
pressoché nullo.
E dopo questa piccola digressione sul ‘Principio di Gause’, vorrei
tornare ancora un attimino sui miei passi, e riprendere il concetto di
pensiero analogico. Ebbene un pensiero analogico, è in grado di
‘aprirci gli occhi’ su tutti i potenziali vantaggi che potremmo trarre gli
uni dagli altri, adottando un comportamento sociale di profondo
altruismo (in cui tutti sono tenuti a comportarsi altruisticamente ...ma
proprio tutti). D'altronde tale comportamento non è ciò che tutte le
religioni del mondo continuano a professare da duemila anni a questa
parte? Ma nessuno potrà mai capire le Upanishad dell'Induismo (per
fare un esempio), se è in grado di vedere solo il bianco e il nero in
tutto ciò che lo circonda (tralasciando tutte le altre sfumature); la
nostra mente deve quindi necessariamente evolvere, deve imparare a
ragionare secondo schemi olistici, analogici. Ecco allora che a tal
punto il nostro lato spirituale nascerebbe spontaneamente, senza
alcuno sforzo o sacrificio, perché sarebbe la nostra stessa natura ad
obbligarci ad adottarlo, ad usufruirne. Gli illuminati (nel senso
spirituale del termine) oggi hanno vita difficile, perché il tessuto
sociale mondiale in cui si trovano, non permette loro di integrarsi. Al
massimo possono formare delle comunità, che a loro volta resteranno
sempre escluse dal resto del mondo”.
C.T.: “Come vedi la correlazione tra il ‘Livello di complessità della
sfera PEST’ (LC-PEST) e il passaggio del pensiero umano da ‘sistema
binario’ a ‘sistema analogico’? Affinché avvenga questo passaggio,
come deve evolvere il ‘Fattore biologico-evolutivo’?”.
F.I.: “Il ‘Fattore biologico-evolutivo’ deve certamente evolvere a
favore di una maggiore intelligenza, che sia a sua volta caratterizzata
da un sistema di elaborazione dell'Informazione di tipo analogico.
Dovrà quindi nascere una nuova forma di intelligenza, molto più
intuitiva che razionale, affinché possa scemare l’influenza del denaro
sull'uomo. Il punto è che, con l'aumentare della capacità di
elaborazione dell'informazione in forma analogica, aumenta anche il
‘Livello di complessità della sfera PEST’ (LC-PEST), e oltretutto in
misura molto maggiore (se consideriamo degli intervalli di tempo di
poche centinaia di anni). Per cui siamo destinati a commettere ‘errori’
di ogni tipo, in qualsiasi sfera dell'attività umana, sino alla fine dei
nostri giorni (ovvero sino alla nostra estinzione come specie). Col
passare dei secoli commetteremo sicuramente meno errori volontari,
ma ciò non rappresenterà alcuna garanzia per la nostra specie, contro
una potenziale estinzione prematura”.
C.T.: “Ma in ultima analisi, per intenderci, la “Complessità della sfera
PEST’ (C-PEST), in che modo deve evolvere, affinché il pensiero
umano possa passare da ‘sistema binario’ a ‘sistema analogico’?
Deve aumentare, oppure deve diminuire?”.
F.I.: “La ‘Complessità della sfera PEST’, non può in alcun modo
influenzare la nostra potenzialità biologico-evolutiva di pensare o
meno in termini analogici. Sono due discorsi separati, sembra un
paradosso ma è così. Questi due fattori sono costretti ad interagire tra
loro, ma la loro evoluzione non dipende l'una dall'altra. La
‘Complessità della sfera PEST’, potrebbe accrescere in modo
esponenziale (come tra l'altro è accaduto in quest'ultimo secolo appena
trascorso da circa tre lustri) anche senza un sostanziale incremento del
‘Fattore biologico-evolutivo’; anzi, è quasi la norma, visto che il
progresso scientifico è dovuto essenzialmente alla sperimentazione e
al caso, e che bastano a volte pochi ‘lampi di genio’ della durata di
qualche minuto, a farlo evolvere (Einstein girava sempre con un lapis
e un taccuino, per non lasciarsi mai sfuggire questi ‘lampi di genio’, o
super intuizioni). Da un ‘lampo di genio’, poi nascono le strade più
razionali e di tipo binario per poter continuare ad approfondire
determinati discorsi o studi scientifici; per cui usiamo formule
matematiche per poter modellare le nostre idee, per poter dar loro una
forma ben chiara e ...razionalmente accettabile. Oggi il pensiero
analogico ci appare solo in forme assai effimere, con ‘lampi di genio’
circoscritti e di cui la natura fa dono solo a poche persone, ma un
domani le cose potrebbero cambiare”.
C.T.: “Per te quindi, il pensiero analogico è favorito semplicemente da
una costante evoluzione del ‘Fattore biologico-evolutivo’, se ho ben
capito. Un percorso che dovrà avvenire naturalmente, quindi. Ma
secondo te, c’è qualcosa che l'uomo potrebbe fare, per stimolare il
pensiero analogico? Ovvero per cercare di farlo in qualche modo
emergere?”.
F.I.: “Il percorso deve avvenire in modo naturale, affinché l'intera
umanità possa godere dei suoi ‘frutti’. Il pensiero analogico è favorito
semplicemente da una costante evoluzione del ‘Fattore biologico-
evolutivo’; un percorso quindi che dovrà avvenire in modo del tutto
naturale. Lo si può stimolare con la meditazione, ma ugualmente non
diverrebbe mai la caratteristica principale del nostro modo di pensare.
Finché tutti non saremo pronti, e quindi neurobiologicamente diversi
da come siamo attualmente, il mondo non cambierà mai in meglio”.
C.T.: “Dal mio punto di vista, credo comunque che il passaggio da
‘pensiero binario’ a ‘pensiero analogico’, non potrà essere dato da
un’evoluzione del “Fattore biologico-evolutivo”; poiché una tale
Pensieri. Confessioni di una mente in libertà.
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  • 1. Immagine di copertina tratta dal web (http://www.bajona.com). L’autore si dichiara disponibile a regolare eventuali spettanze, per l’utilizzo di alcune immagini riportate in questo volume, qualora fossero coperte da copyright.
  • 2. Indice Prefazione…………………………………………..……..…4 Armonie universali……………………………………..……7 - Lode al tempo…………………………………………………. - Tra i riflessi della realtà…………………………………….. - I frattali di Pollock……………………………………………. - L’Essere e il Nulla……………………………………………. - Dal nulla al tutto……………………………………………… - Dimensioni parallele e strani sogni……………………… - Tra scienza e fede…………………………………………….. - Surrealismo simbolico……………………………………….. - Il linguaggio della natura……………………………………. - Sulla nascita della vita………………………………..……… Umano, troppo umano…………………………….….….…36 - Sull’operato del genere umano……………………………… - Dal pensiero binario a quello analogico………………….. - Amarsi………………………………………………………..… - Estetica dell’esperienza………………………………………. - Tra Bene e Male……………………………………………….. - Beata gioventù…………………………………………..…….. - Qualità umane…………………………………………..…….. - Al di là dell’ego………………………………………..……… - Il sapere umano, nell’era di Internet……………………….. - La barca degli ignoranti………………………………..…….. - Dare e ricevere, in amore……………………………………. - L’anima gemella………………………………………..……… - Bastardi senza cuore…………………………………………. - Pedagogia genitoriale………………………………..……….. - Sul futuro dell’uomo…………………………………………… - Ideologie e democrazia……………………………….……….. - Sull’invidia…………………………………………………… - Nessuno è indispensabile…………………………………… - I rischi della vita…………………………………………….. - Il muro dell’odio………………………………….…………. - Tempi moderni…………………………………….………… - Il senso della vita……………………………………………..
  • 3. - Scelte e probabilità………………………………..………… - Antiche emozioni…………………………………..………… - La democrazia delle idee……………………………..……. - Il buon maestro………………………………………..……… - Il vagabondo…………………………………………..……… - La strategia vincente………………………………..………. - Sull’integrazione sociale……………………………..…….. - Volontà indomabili……………………………………..…… - Mondi possibili……………………………………………….. - Il mondo dei “vincenti”…………………………………….. - Eterna giovinezza……………………………………………. - Tecnologia e salute………………………………………….. - Complessità superflue……………………………….……… - L’evoluzione delle idee……………………..………………. - Doni propizi……………………………………...…………… - Gente povera e povera gente……………………………….. - La vera ricerca……………………………………………….. - Piaceri vitali…………………………………………….…….. - Il valore dei libri……………………………………………… - Verità temporali………………………………………………. - Il buon politico………………………………….…………….. - Qualità innate……………………………………….………… - Le idee imperfette………………………………….…………. - Verità istintuali……………………………………………….. - Tra illusione e verità…………………………………………. - Tra sesso e amore…………………………………………….. - Sull’onestà……………………………………………………... - Il valore dell’esperienza……………………………………… Oltre natura…………………………………………………78 - Conservazione informazionale………………………….….. - Fantasticando sui fenomeni Psi……………………….…… - Emozioni artificiali……………………………………..……. - Autoinformazione e Sincronicità……………………..……. - Informazione e forze fondamentali………………………… - Rinormalizzare conviene………………………………..….. Appendice………………………………………………….110 Bibliografia……………………………………………………125
  • 4. Prefazione Per i miei lettori più affezionati, ovvero per coloro che dal 2006 ad oggi, hanno seguito il mio “percorso evolutivo” nel campo della divulgazione scientifica (attraverso la lettura dei miei libri o dei numerosi articoli che ho riportato in questi anni sul web), quest’opera rappresenterà sicuramente una sorta di “fuori programma”, qualcosa di inatteso rispetto alle loro, credo, usuali aspettative di lettura. Posso solo sperare, che se di sorpresa si tratta (nonostante il titolo stesso lasci già presagire a grandi linee il contenuto), essa potrà comunque rivelarsi piacevole a leggersi e ricca di spunti di riflessione, che spero assai facilmente sia possibile trarre fra gli innumerevoli argomenti (di ogni genere, complessità e natura) esposti tra le pagine di questa breve ma essenziale raccolta di riflessioni personali (ornate quasi sempre da famose ed importanti citazioni, scaturite dalle menti più geniali della storia contemporanea, che hanno avuto modo di operare e lasciare un segno indelebile del loro passaggio, in ogni ambito dell’attività umana). Le mie riflessioni (idee, teorie, ipotesi e speculazioni varie), spazieranno dunque dalla chimica alla biologia, dalla sociologia alla politica (…passando per l’antropologia), dall’arte alle scienze cognitive (…passando per l’intelligenza artificiale), dalla psicologia transpersonale alla fisica quantistica (…passando per la filosofia), e così via, in un susseguirsi di idee, ipotesi e concetti del tutto decontestualizzati, rispetto a qualsivoglia linea argomentativa di base, presente in quasi tutti i libri di divulgazione scientifica, ma palesemente e volutamente assente in questo volume. Tra tali pensieri ad alto “potenziale soggettivo” (atti a svelare il mio “lato umano”), ho inserito anche alcuni articoli ed interviste (alcuni a carattere prettamente scientifico, altri un po’ meno), che non ebbi mai modo di inserire nei miei precedenti libri, poiché difficilmente collocabili all’interno di determinate linee argomentative. Al lettore, viene quindi lasciata la libertà di sfogliare il libro in qualsiasi punto, ed iniziare a leggere ciò che desidera; senza il timore di perdere quel classico “filo logico conduttore” che lega solitamente l’inizio e la fine di ogni libro. Come disse John F. Kennedy : “Troppo spesso godiamo della comodità di avere un'opinione senza sentirci scomodati a riflettere”; ebbene tra le pagine di questo libro non vi è alcun modo di accedere a tale comodità, poiché nulla viene dato per certo, per
  • 5. scontato, ma tutto è rivestito da un alone si soggettività che cerca in tutti i modi di districarsi e trovare qualche spiraglio di luce tra le infinite ramificazioni di una verità assoluta, che a loro volta ricoprono pesantemente quelle poche mezze verità che ci è permesso di conoscere (e il più delle volte soltanto a livello intuitivo). Lungi dalla presunzione di voler impartire qualche “lezione di vita” ai lettori più “esigenti”, affido questi miei pensieri a tutti coloro che vorranno aprire le proprie menti verso una migliore conoscenza di sé stessi e del mondo in cui viviamo, non attraverso le mie idee e considerazioni personali, ma attraverso ciò che essi stessi saranno in grado di cogliere ed elaborare con il proprio intelletto e le proprie capacità associative, tra gli innumerevoli spunti di riflessione presenti in quest’opera. Fausto Intilla, Cadenazzo, 4 novembre 2013
  • 6. Honey Tra sogno e realtà, spicco un salto nell’infinito; occhi verde mare, mi accompagnano nell’eternità. Ipnosi e magia, luce e colori, l’odore di un respiro, poi un sussulto; una scossa di piacere, baci e sapori, nel regno dell’incanto e dell’occulto. Capelli sottili e leggeri, su guance tiepide e invitanti; sensualità sublime, un incantevole profilo, dove svaniscono i miei pensieri. Saggezza e serenità interiore, che il tempo ci ha donato; un sentimento forte e incontrastato, ci avvolge nel suo candore. Il tempo scorre, ma al contrario, eterna giovinezza vuole il volto dell’amore; una voce dolce sgorga dal silenzio, millenario, eterno, impercettibile, lato immortale dell’amore. Fausto Intilla
  • 7. Armonie universali "Il vasto ciclo della vita stellare gli trasportò la mente stanca fuori fino al suo confine, poi dentro fino al suo centro, e una musica lontana lo accompagnava all'esterno e all'interno. Quale musica? La musica si avvicinava e lui ricordò le parole, le parole del frammento di Shelley sulla luna vagante solitaria, pallida per il lungo tedio. Le stelle cominciarono a sgretolarsi e una nube di fine polvere stellare cadde attraverso lo spazio". James Joyce Lode al tempo E il bambino chiese a suo padre: “Papà, è possibile riuscire in qualche modo a rallentare il tempo e dunque a vivere più a lungo?”; e il padre: “Ma certamente, basta sposarsi presto e mettere al mondo dei figli”. Il figlio: “Ma come, mi prendi in giro?”. Il padre: “No. Vedi, dal momento che avrai una famiglia, oltre ai ricordi delle tue esperienze, dovrai aggiungere alla tua memoria anche quelli relativi alle esperienze di tua moglie e dei tuoi figli; che si susseguiranno nel tempo. Ad una certa età quindi, la tua mente conterrà una quantità di ricordi nettamente maggiore, rispetto a quella che conterrebbe se rimanessi solo. Più alta sarà la quantità di ricordi, relativi ad un medesimo lasso di tempo oggettivo, e più lungo esso ci apparirà. Tale percezione ovviamente, sarà del tutto soggettiva”. Il figlio: “E se io non avessi l’ intenzione di sposarmi e di avere dei figli?”. Il padre: ”Bè, se l’obiettivo è sempre quello di allungare la propria vita, puoi sempre iniziare a girare il mondo …o a collezionare conquiste amorose …o a fare entrambe le cose, se ci riesci”. Il figlio: “Ma alla fine la durata del tempo reale non muterebbe; sarebbe solo la mia percezione, come tu dici ‘del tutto soggettiva’, a farmelo apparire/percepire più esteso”. Il padre: “E secondo te, qual’ è il più importante, il tempo reale/oggettivo …o quello soggettivo?” Il figlio: “Forse lo sono entrambi, non può essere?”. Il padre: “Sì …forse lo sono entrambi; anche se i più ‘romantici’ ritengono che sia quello soggettivo, a contare di più. Vivere senza aver mai nulla di importante da dire, o da fare, è comunque un buon modo per dare meno importanza al tempo oggettivo e darne di più a quello soggettivo”.
  • 8. Tra i riflessi della realtà A sei mesi di vita compresi la differenza tra un corpo solido ed uno liquido; a tre anni pensavo che il mondo fosse fatto solo di materia allo stato solido oppure liquido. A sei anni qualcuno mi fece osservare che esiste anche la materia allo stato gassoso (seppur invisibile ad occhio nudo, in molti casi). A otto anni scoprii che esiste qualcosa di totalmente invisibile, in grado di scaldare gli ...oggetti, chiamato calore. A dodici anni qualcuno mi fece osservare che per produrre calore ci vuole energia; senza tuttavia spiegarmi che cos’è l’energia. Malgrado ciò, a sedici anni scoprii che tutta la materia, non è altro che una forma complessa di energia; ma ancora non mi era chiaro cosa fosse l’energia. Qualche anno dopo capii che forse, l’energia, altro non è che una forma complessa d’informazione. A tal punto illusione e realtà fisica, nella mia mente, smisero di essere considerate come due cose ben distinte …e scoprii la leggerezza. A volte mi chiedo quali sono o quali potrebbero essere i benefici (per un pensatore o per i suoi eventuali seguaci) di lunghe ed intense riflessioni sul senso della vita, sul perché dell’Universo al posto del nulla, sul concetto di libero arbitrio (determinismo laplaciano o indeterminismo? Rispettivamente, per intenderci, Bohm o Bohr?)1 , sulle differenze tra due parametri di giudizio, bene e male, tipicamente umani (…troppo umani), quando a prevalere è quella sensazione che tutto il “pensabile” (perlomeno in ambito filosofico), sia già stato pensato e descritto anche nel migliore dei modi, dalle menti più eccelse che l’umanità abbia mai conosciuto. Forse è solo un modo come un altro per tenere allenata la mente, in mancanza di altre attività più pratiche e costruttive. Se così non fosse (ovvero se in molti casi lo scopo fosse quello di giungere ad altre “grandi verità”), allora significherebbe che non vi è proprio alcun limite, all’esuberanza e alla vanità umana. Ma forse è bene ricordare ciò che disse lo zio Albert, in risposta ad una lettera ricevuta da un tale che gli sottopose due quesiti: in primo luogo, gli chiese se riconosceva di avere qualche debito verso la filosofia speculativa; in secondo luogo, gli domandò, in termini piuttosto sconnessi, se condivideva la propria convinzione che, considerate le ultime ricerche sullo spazio, sul tempo, sulla causalità e sui limiti dell’Universo, la filosofia speculativa aveva ormai perduto ogni utilità o se invece ritenesse, secondo l’affermazione dello scienziato R.C.Tolman, che “la filosofia è il sistematico uso sbagliato di una terminologia inventata appositamente per tale scopo”. Ebbene 1 Si veda la nota d’approfondimento riportata in Appendice.
  • 9. queste furono le parole con cui Einstein formulò la sua risposta: “La filosofia è come una madre che ha dato alla luce tutte le altre scienze, dotandole di caratteristiche diverse. Quindi, sebbene nuda e povera non merita il nostro disprezzo; dobbiamo invece sperare che una parte del suo ideale donchisciottesco sopravviva nei figli, impedendo loro di cadere nel filisteismo”. Non sono poche le volte in cui riporto alcuni miei pensieri e considerazioni, nell’ambito delle “amicizie a distanza” (virtuali mi sembra una gran brutta parola, spersonalizzante e irrispettosa nei confronti delle altrui identità), su vari forum e social network presenti in Internet. La riflessione riportata poc’anzi, non fu esente da tale destino e qualcuno mi fece subito osservare che “a furia di esuberanza e vanità, almeno non crediamo più che i fulmini li mandi Zeus”. La mia cara amica Cinzia Turnaturi invece (con la quale nel 2007 ebbi modo di discutere sull’interazione tra meditazione e retrocausalità, nonché di riportare il frutto delle nostre speculazioni in uno degli ultimi capitoli del mio libro “Verso una nuova scienza di confine”), puntualizzò che “le domande esistenziali (il senso della vita, l'Universo al posto del nulla, il libero arbitrio, etc.) non hanno risposte scientifiche, bensì solo filosofiche. E le risposte filosofiche non possono accontentare tutti; ognuno ha la sua risposta filosofica e potrebbe non accontentarsi di quella di un altro (anche se proveniente da una mente eccelsa). E una persona dotata di intelligenza primaria, cioè di intelligenza propria, quella non derivante dalla cultura (quella derivante dalla cultura io la chiamo intelligenza secondaria), terrà conto delle risposte altrui ma non potrà fare a meno di avere anche delle sue risposte”. Dunque a rigor di logica possiamo dedurre che anche la vanità e l'esuberanza umana (oltre alla curiosità e alla competizione per la "verità"), siano qualità positive degli esseri umani; se queste sono utili (esuberanza e vanità) al progresso in determinati ambiti della sfera umana. Ricordando però che la curiosità e la competizione per la "verità", possono altresì poggiare sulla modestia e sul riconoscimento dell'altrui operato (ancora oggi molte leggi di Newton vengono riconosciute valide per rappresentare determinati fenomeni della macro realtà fisica), per evolvere verso orizzonti più lontani. Un pizzico di vanità ed esuberanza vanno sempre bene dunque, ma non se lo scopo è quello di gettare un colpo di spugna sulle idee del passato, per creare dei nuovi, bellissimi ed attraenti ...castelli di carta. Ma le risposte a cui faceva riferimento Cinzia, a suo parere, sono di carattere esistenziale, non scientifico (tentando così di porre una linea di separazione tra scienza e filosofia). Le risposte scientifiche, per la
  • 10. mia amica Cinzia, “sono di pertinenza degli scienziati, dei ricercatori e per smontarle ci vogliono altrettante prove scientifiche. Limitandomi alle sole risposte esistenziali raramente esse sono dettate da vanità ed esuberanza, a meno che non ci si debba scrivere un libro per arricchire il proprio ego e le proprie tasche; le risposte esistenziali nascono dal desiderio di dare un senso alla vita e dalla paura della fine di tutto. Questa non mi pare vanità ma, piuttosto, insicurezza e non conoscenza di se stessi”. Ma le bastò riflettere un attimino sul fatto che io, parlando del concetto di libero arbitrio, citai Niels Bohr e David Bohm (allo scopo di sottintendere le due versioni descrittive del concetto di realtà fisica2 ), per ricredersi ed affermare che “scienza e filosofia sono inscindibili”. Ma l’ultima parola l’ebbe colui che iniziò la discussione: “Da umanista scientificamente consapevole, non riesco a concepire un pensiero filosofico plausibile se non è fondato sulle conoscenze scientifiche dell'epoca in cui venne formulato. Questo, secondo me, è il discrimine tra i "filosofi" e i vanitosi parolai di tutti i tempi. Se poi, a posteriori, tali tesi, vengono superate da ulteriori sviluppi della conoscenza, si verifica puntualmente che quelle dei vanitosi parolai scompaiono (o peggio, continuano ad intralciare il lungo cammino della conoscenza) e quelle dei veri filosofi, oltre a essere servite come fondamento della successiva evoluzione culturale, continuano ad essere valide negli ambiti a cui si riferivano”. Da tutto ciò, giungiamo inevitabilmente alla conclusione che si tratta di argomenti che danno origine a discussioni sempre “sul filo del rasoio”, tutt’altro che semplici da affrontare. Fortunatamente, ad essere cibo per i vermi sono soltanto i nostri corpi, non le nostre idee; l’importante è riuscire a tramandarle, di generazione in generazione, attraverso la scrittura e il linguaggio simbolico della matematica. Ma ciò solitamente avviene in modo naturale (nel corso dei secoli), senza troppi sforzi e sacrifici da parte dei tutori del sapere umano; poiché come intuì Planck più di mezzo secolo fa: “Una nuova verità scientifica non trionfa perché i suoi oppositori si convincono e vedono la luce, quanto piuttosto perché alla fine muoiono, e nasce una nuova generazione a cui i nuovi concetti diventano familiari”. L’uomo dispone di un enorme potenziale di ingegno e creatività, in gran parte utilizzato per fini nobili atti alla conservazione e al 2 La prima (Bohr) basata sull’Interpretazione di Copenaghen (dunque fondata sul principio di indeterminazione di Heisenberg) e l’altra (Bohm), basata sull’ipotesi delle “variabili nascoste”.
  • 11. progresso della nostra civiltà; ma non dobbiamo però dimenticare che egli, per dirla con Tagore, “ha un fondo d’energia che non è tutta occupata per la conservazione” e che “questa eccedenza cerca il suo sfogo nella creazione dell’arte, perché la civiltà dell’uomo è stata costruita sopra questa eccedenza”. Anche l’arte dunque, espressa in tutte le sue forme attraverso le opere di architetti, scultori, romanzieri, attori, pittori, musicisti e via dicendo, rappresenta una componente essenziale del cammino dell’uomo verso nuovi orizzonti, prevalentemente sociali e culturali. A volte però in essa (nell’arte) è possibile scoprire, attraverso determinate analisi scientifiche e matematiche, quel tassello mancante, quel ponte di collegamento con il mondo più freddo e razionale della scienza; ma non è affatto facile individuare questi legami, spesso così sottili da restare nascosti anche per secoli, o addirittura millenni. Ma quando viene superato questo scoglio, le sorprese più grandi le abbiamo nel momento in cui scopriamo che è la nostra stessa natura, il nostro mondo psichico, a scegliere (spesso inconsciamente) quelle regole fisiche e matematiche che ci portano verso determinati gusti o preferenze, nel campo dell’arte (in ogni sua forma ed espressione). La scienza a volte quindi si nutre dell’arte, come l’arte a sua volta può nutrirsi di scienza. Per dirla con Enrico Bellone: "La conoscenza è un bricolage, e le forme della conoscenza non si esauriscono nella scienza, ma si estendono ad ogni manifestazione culturale (…). Il cervello di un essere umano non è un cronista, ma è un generatore di innovazioni che debbono poi sottostare al tribunale della selezione". Se un giorno dunque riusciremo a colonizzare Marte (e magari anche a terraformarlo3 ) o addirittura a compiere viaggi interstellari (ammesso che in futuro riusciremo, attraverso una tecnologia che oggi possiamo solo sognare, a modificare la struttura stessa dello spazio- tempo, “accorciando” così le distanze; l’unico modo per poter compiere dei viaggi oggi impensabili, in tempi ragionevoli per un essere umano), ciò ovviamente lo dovremo quasi esclusivamente al progresso scientifico e tecnologico; ma il cammino di coloro, tra ricercatori e scienziati, che apporteranno i loro contributi in quest’avventura senza fine, sarà sempre allietato e supportato dall’operato di milioni di persone sparse un po’ ovunque nel mondo, che hanno fatto dell’arte una propria ragione di vita. In uno dei suoi numerosi e fortunati libri, “L’Universo come opera d’arte”, John D. Barrow osservò che: “È bene rendersi conto che determinate idee sull’origine della risposta estetica verrebbero 3 Si veda la nota d’approfondimento riportata in Appendice.
  • 12. ritenute profondamente eretiche da molti critici dell’arte, ai quali piace credere che l’apprezzamento artistico sia immune dall’analisi scientifica. Ma si consideri da quanto tempo apprezziamo il ruolo delle strutture matematiche nell’ambito dell’estetica. Ricorriamo a forme particolari o motivi simmetrici quando desideriamo enfatizzare queste armonie matematiche soggiacenti. La nostra conoscenza del comportamento della luce, o della percezione dei colori, che è stata resa possibile dagli studi compiuti dai fisici, viene sfruttata appieno per creare immagini che risultano attraenti e piacevoli all’occhio. È lecito sospettare che la nostra attrazione verso questi schemi geometrici e ottici sia legata alla facilità con la quale il cervello è in grado di creare corrispondenti modelli mentali, e all’ampiezza con cui essi sono rappresentati nel mondo naturale in situazioni nelle quali la loro individuazione verrà ricompensata. Alla prospettiva biologica fornita dall’evoluzione per adattamento vanno aggiunti questi importanti aspetti matematici e ottici dell’estetica. Ciò contribuisce a chiarire l’attrazione che proviamo per i simboli nell’arte, e rivela perché ci si possa avvalere di particolari immagini per evocare risposte emotive. L’arte non sarebbe un’attività umana universale se non esistessero risposte e risonanze emotive universali che essa può cogliere”. I frattali di Pollock L'artista sciamano. È questo il soprannome di cui si avvalse il "cowboy mancato" che nacque a Cody, nel Wyoming (Stati Uniti), il 28 gennaio del 1912 e che rispondeva al nome di Jackson Pollock; un soprannome che l'artista-pittore ricevette all'inizio degli anni quaranta, proprio nel periodo in cui stava per uscire, grazie all'aiuto di un giovane psicanalista junghiano (Joseph Henderson), dall'infausto tunnel dell'alcoolismo, in cui era precipitato verso la metà degli anni trenta. L'apice della notorietà e del successo economico, Pollock, finché rimase in vita, si può dire che non lo raggiunse mai. Egli comunque rivelò tutto il suo talento dopo la prima metà degli anni quaranta. Infatti correva l'anno 1946, quando in una fattoria di Long Island (New York), in un granaio adibito a studio, iniziò ad "esplorare" la tecnica pittorica da egli stesso definita dello "sgocciolamento"; una tecnica di cui egli stesso poté vantare la paternità e che ancor oggi è strettamente legata al nome del grande artista americano (considerato quasi una leggenda, un mito che, per divenire tale, dovette prima lasciare questo mondo, proprio nello stesso modo in cui lo lasciò
  • 13. James Dean). La sera dell'undici agosto 1956, Pollock perse il controllo della sua spider uscendo di strada; catapultato fuori dall'abitacolo, si schiantò contro un albero, ponendo fine ad una carriera fra le più straordinarie nella storia dell'arte moderna. Nel 1999, un docente di fisica dell'Università dell'Oregon (Stati Uniti), di nome Richard P. Taylor, riuscì a dimostrare che con determinate analisi al computer, nei famosi dipinti di Pollock in cui venne usata la tecnica dello "sgocciolamento", è possibile rilevare la presenza di schemi frattali. Con queste parole Richard P.Taylor spiegava nel suo articolo come iniziarono le sue ricerche: “Il primo passo nelle nostre ricerche è stato la scansione al computer di un dipinto di Pollock; l'immagine così ottenuta è stata poi ricoperta con un reticolo generato al computer di celle quadrate tutte uguali. Analizzando quali celle fossero occupate dallo schema dipinto e quali vuote, siamo riusciti a determinare le qualità statistiche dello schema. Inoltre, riducendo la dimensione delle celle, lo si poteva esaminare a un ingrandimento maggiore. Abbiamo così potuto analizzare tutti gli elementi del dipinto, dalle più piccole macchioline di colore fino a quelle delle dimensioni di un metro. Sorprendentemente, abbiamo trovato che gli schemi sono frattali, e lo sono sull'intero intervallo dimensionale scelto, ai cui estremi stanno due valori che differiscono di un fattore dimensionale superiore a 1000. Riassumendo, è possibile affermare che Jackson Pollock dipingeva frattali 25 anni prima della loro scoperta nei fenomeni naturali”. La geometria frattale è stata sviluppata negli anni sessanta e settanta a partire dagli studi sulla complessità di Benoît Mandelbrot. Il termine frattale deriva dal latino fractus (spezzato), per indicare la natura irregolare di queste forme. L'analisi del comportamento caotico si basa sulla teoria matematica dei frattali: un frattale è quindi una struttura geometrica irregolare che può essere suddivisa in elementi, ciascuno dei quali riproduce approssimativamente l'intero oggetto (proprietà di auto-somiglianza). Inoltre, ogni frattale è caratterizzato dalla dimensione frattale definita come la capacità del frattale stesso a riempire lo spazio in cui è immerso. I risultati raggiunti dalla teoria frattale sono, però, difficilmente applicabili a quei sistemi che non possiedono dei modelli matematici. Molte figure frattali possono essere generate con procedure matematiche d'iterazione nel piano complesso. I frattali matematici sicuramente più conosciuti, sono i famosi insiemi di Julia.
  • 14. La base dell'insieme di Julia è la semplice applicazione: z → z2 + c ; dove z è una variabile complessa4 e “c” è una costante complessa. La procedura iterativa consiste nel prendere un punto qualunque nel piano complesso, elevarlo al quadrato, aggiungere la costante c, elevare di nuovo il risultato al quadrato, aggiungere un'altra volta c, e così via. Per ogni scelta del valore iniziale di z, si otterranno risultati diversi. In alcuni casi z assumerà valori sempre crescenti, fuggendo verso l'infinito quando si procede nelle iterazioni; mentre in altri casi z continuerà ad assumere valori finiti. L'insieme di Julia è l'insieme di quei valori di z, ovvero di quei punti nello spazio complesso, che non vanno all'infinito per effetto dell'iterazione. Una versione dell’insieme di Julia 4 Eulero, il matematico più prolifico di tutti i tempi, nel suo "Trattato di Algebra", disse: «Tutte le espressioni come √−1, √−2, etc., sono di conseguenza numeri impossibili o immaginari, poiché rappresentano radici di quantità negative; e di questi numeri possiamo invero affermare che non sono né zero, né sono maggiori di zero, né minori di zero, il che li rende necessariamente immaginari o impossibili». In seguito, nel diciannovesimo secolo, un altro geniale matematico che rispondeva al nome di Carl Friedrich Gauss, dichiarò che: «Si può assegnare un'obbiettiva esistenza alle quantità immaginarie». Gauss, rendendosi conto che , com'è ovvio, sulla retta numerica non c'è posto per i numeri immaginari, ebbe la geniale idea di disporli su un'asse perpendicolare passante per il punto zero, creando così un sistema di coordinate cartesiane. In questo sistema tutti i numeri reali giacciono sull' "asse reale", mentre tutti i numeri immaginari stanno sull' "asse immaginario". La radice quadrata di -1 è detta "unità immaginaria", ed è simboleggiata dalla lettera "i"; e poiché la radice quadrata di un numero negativo può sempre essere espressa come √−ܽ = √−1 . Ma se √ܽ = i √ܽ , ne consegue che tutti i numeri immaginari si possono disporre sull'asse immaginario come multipli di i. Grazie a questo ingegnoso espediente, Gauss creò uno spazio in cui ospitare non solo i numeri immaginari, ma anche tutte le possibili combinazioni di numeri reali e immaginari, come ad esempio (2 + i ) , (5 - 2i ) e così via. Tali combinazioni sono dette "numeri complessi" e sono rappresentate da punti nel "piano complesso", cioè nel piano su cui giacciono l'asse reale e quello immaginario. In generale, ogni numero complesso può essere scritto nella forma: z = x + iy (dove x è detta la "parte reale" e y la "parte immaginaria").
  • 15. Stando agli studi e alle ricerche di Taylor, si arriva alla conclusione che Pollock partiva dipingendo piccole "isole" localizzate di traiettorie sulla tela. Il fatto interessante è che alcuni andamenti naturali iniziano proprio con piccole nucleazioni. In seguito egli dipingeva traiettorie più lunghe ed estese che univano le isole, sommergendole gradualmente in una densa rete frattale di pigmento. Questo stadio del dipinto formava uno strato di riferimento, che guidava l'artista nelle successive fasi di pittura. Durante il processo di collegamento, la complessità del dipinto (ovvero il suo valore di D5 ), aumentava su una scala temporale inferiore a un minuto. Dopo questa fase rapida, Pollock faceva una pausa, per tornare sulla tela solo in seguito. In un periodo che variava da due giorni a sei mesi, depositava ulteriori strati di traiettorie di differenti colori sopra lo strato di riferimento. Essenzialmente, egli procedeva raffinando man mano la complessità dello strato di riferimento. Una volta terminato il dipinto, Pollock cercava di esaltarne al massimo il carattere frattale, rimovendo le zone più esterne in cui la qualità del frattale si deteriorava. Durante le sue ricerche, Taylor giunse inoltre ad un'altra interessante conclusione: il valore di D nelle opere di Pollock aumentò nel corso del decennio in cui egli dipinse con la tecnica dello sgocciolamento, passando da 1,12 nel 1945 a 1,7 nel 1952 (fino a raggiungere 1,9 in un dipinto che l'autore distrusse). Taylor osservò che: «I frattali più intricati, con alti valori di D, catturano l'attenzione degli osservatori più efficacemente dei rilassanti frattali con valori intermedi, e potrebbero essere risultati attraenti per l'artista». Indagando sulle preferenze visive delle persone, in relazione agli schemi frattali, Clifford A. Pickover del T. J. Watson Research Center dell'IBM, utilizzando frattali generati al computer per diversi valori di D, ha osservato che le persone arruolate per le ricerche tendevano a preferire frattali con un valore di 1,8. Parallelamente, generando frattali con un metodo differente, Deborah J. Aks e Julien C. Sprott dell'Università del Wisconsin-Madison hanno rilevato che il valore preferito sarebbe pari a 1,3. Ciò che ovviamente si evince da questi primi esperimenti è che tale discrepanza stia ad indicare che nessun 5 Una caratteristica fondamentale di un frattale è la sua "dimensione frattale", indicata con la lettera "D". Per le forme euclidee, la dimensione è un concetto semplice, descritto da valori interi. Per una linea continua, che non contiene frattali, D equivale a 1 ; per un'area completamente riempita, il valore è 2. Per uno schema frattale, tuttavia, la ripetizione della struttura fa sì che la linea occupi un'area. D assume quindi un valore intermedio tra 1 e 2 (man mano che la complessità e la ricchezza della struttura da ripetere aumentano, il valore si muove velocemente verso 2).
  • 16. valore di D sia preferito a tutti gli altri e che la qualità estetica dei frattali dipenda in realtà da come essi vengono generati. Nonostante queste "prime evidenze", Taylor rimase comunque dell'idea che, citando le sue stesse parole: «un valore di D universalmente preferito esista realmente». Jackson Pollock, opera Number One (1949), smalto e vernice d’alluminio su tela, 160 cm x 259 cm, The Museum of Contemporary Art, Los Angeles (USA). Egli si dedicò quindi ad altri esperimenti, usufruendo della collaborazione di un gruppo di psicologi, esperti nelle interazioni tra psiche e percezione visiva. Insieme a questo gruppo di esperti, egli impostò le sue ricerche su tre categorie fondamentali di frattali: naturali (come alberi, montagne, nubi, ecc.), matematici (simulazioni computerizzate) e prodotti manualmente (parti dei dipinti di Pollock). Nei test di percezione visiva, i partecipanti espressero una preferenza per valori di D che oscillavano tra 1,3 e 1,5 a prescindere dall'origine degli schemi. Durante i suoi esperimenti, Taylor scoprì che i test di percezione e valutazione visiva eseguiti sui partecipanti procuravano inoltre un effetto sulla condizione fisiologica dell'osservatore. Come egli stesso puntualizzò: «Utilizzando prove di conduttanza della pelle per misurare i livelli di stress, abbiamo trovato che valori intermedi di D sono in grado di mettere gli osservatori a loro agio», aggiungendo: «Certamente, queste indagini sono solo all'inizio e i risultati sono parziali; tuttavia è interessante notare che molti degli schemi frattali naturali intorno a noi hanno valori di D nello stesso intervallo: le nubi, per esempio, hanno valori di D di 1,3».
  • 17. A distanza di circa tre lustri dalle ricerche di Richard P. Taylor, non sembrano esserci stati (da parte di altri ricercatori) ulteriori "risvolti positivi" o "conferme" di altro genere in relazione ad una sorta di "dimensione frattale universalmente preferita" da noi comuni mortali. In ogni caso, se quest'ultima esistesse realmente, non dimostrerebbe nient’altro che l'eterna e perfetta armonia che sussiste tra il mondo interiore degli esseri umani e tutti gli altri elementi del Creato. “Quando il mondo cessa di essere il luogo dei nostri desideri e speranze personali, quando l’affrontiamo come uomini liberi, osservandolo con ammirazione, curiosità e attenzione, entriamo nel regno dell’arte e della scienza. Se usiamo il linguaggio della logica per descrivere quel che vediamo e sentiamo, allora ci impegniamo in una ricerca scientifica. Se lo comunichiamo attraverso forme le cui connessioni non sono accessibili al pensiero cosciente, ma vengono percepite mediante l’intuito e l’ingegno, allora entriamo nel campo dell’arte. Elemento comune alle due esperienze è quella appassionata dedizione a ciò che trascende la volontà e gli interessi personali”. Albert Einstein L’Essere e il Nulla I due alieni, Aleph ed Alem, si spinsero con la loro astronave sino ai “confini dell’Universo”, e ad un certo punto entrarono in uno spazio ai loro occhi assai misterioso. Tutto, attorno alla loro astronave, era pervaso da un bianco candido che si estendeva in ogni direzione; ma siccome non vi era alcun oggetto, pianeta o altro corpo celeste da poter osservare, non era neppure possibile stabilire in che modo ed entro quali distanze, lo spazio si estendeva attorno a loro. Potevano solo supporre che tale condizione dello spazio in cui si trovavano, avesse un’estensione infinita. La percezione del movimento non era possibile per due semplici motivi: la totale assenza di gravità e la totale assenza di oggetti cosmici (sparsi un po’ ovunque), in grado di dar loro il senso dell’estensione dello spazio. I due alieni, dopo qualche minuto, iniziarono ad esporre i loro pensieri: “E così abbiamo scoperto che vi è il nulla al di fuori dell’Universo; dunque esso, probabilmente, non è infinito come abbiamo sempre creduto. Bene, bene, bene …dunque è la luce bianca il colore del nulla”. “Luce? E cosa ti fa credere che si tratti proprio di luce? La luce è composta da fotoni; la presenza di onde elettromagnetiche non
  • 18. rappresenta di certo il nulla! Io avevo sempre creduto che fosse il nero assai cupo e profondo, il colore del nulla”. “E se la percezione del colore fosse solo il frutto della nostra immaginazione? D'altronde stiamo parlando del nulla …ammesso che sia realmente il nulla, ciò che stiamo osservando”. “No, non stiamo osservando il nulla …il nulla dovrebbe essere fatto solo di buio pesto!” “Ne sei proprio convinto?” “Ma certamente!” “In ogni caso noi stiamo osservando qualcosa, ovvero uno spazio vuoto, a prescindere dal colore che esso abbia; ne sono certo perché gli strumenti di bordo non rilevano alcuna radiazione esterna all’astronave, di alcun tipo. Persino il rilevatore di particelle virtuali, non rileva nulla; e ciò è molto strano, poiché teoricamente non potrebbe esistere alcuno spazio, vuoto di campo. Ah! …no, un momento, sta cominciando a rilevarle proprio in questo momento!" “Già, ma lo spazio che stiamo osservando ha un’estensione, almeno in tre dimensioni; altrimenti noi non potremmo osservarlo; anzi, saremmo scomparsi entrambi in un battito di ciglia! E i nostri corpi si sarebbero trasformati in pura energia!” “Pura energia? …e dove avrebbe dovuto confluire tale energia, in assenza di uno spazio atto a contenerla?” “Probabilmente in un’altra dimensione”. “Già, ma pur sempre in un altro spazio, magari a sei dimensioni, atto a contenerla. Non c’è spazio senza energia e non c’è energia senza spazio. Sostituisci il termine energia con campo, e la frase sarà sempre la stessa”. “Dunque, se il nulla è semplicemente assenza di spazio ed energia, ciò significa che tale condizione o sistema di riferimento, non ammette osservatori nel suo interno?” “Esattamente! Ma la domanda fondamentale comunque è questa: Il nulla, può ammettere degli osservatori al suo esterno?” “Ma cosa stai dicendo? Ragiona! L’assenza di spazio, ovvero il nulla, non può essere tangente ad alcun tipo di spazio; una condizione non ammette l’altra e viceversa. O si ha un’assenza di spazio, ovvero il nulla senza alcuna estensione (e in tal caso l’intero Universo non esisterebbe nemmeno), oppure si ha uno spazio con un’estensione necessariamente infinita. L’Universo quindi deve essere per forza di cose infinito! E in ultima analisi quindi, ciò che stiamo osservando non può essere il nulla!” “Ma se il nulla non ha un’estensione, esso può essere presente sotto forma di infinite parti nello spazio in cui viviamo…o mi sbaglio?”
  • 19. “Anche se potrà sembrarti strano, ti sbagli; una condizione non ammette l’altra, ricordalo. Nel momento in cui pronunciamo la parola nulla, abbiamo già creato una particella di Informazione, che a sua volta avrà già definito un determinato spazio, il quale logicamente avrà un’estensione. La stessa cosa accade se proviamo ad immaginarlo, il nulla; in tal caso la nostra mente produrrà una particella di Informazione, che ovviamente andrà anch’essa a definire uno spazio con una propria estensione, anche se infinitamente piccolo e dunque non osservabile”. “Ma allora anche la nostra immaginazione è in grado di creare la Realtà?” “Esattamente! Ricordalo sempre: il nulla non ammette osservatori, né al suo interno e neppure al suo esterno. Esso esiste solo se non provi ad immaginarlo, se non provi a descriverlo, se non provi a quantificarlo. Se dall’Universo scomparissero tutte le entità pensanti (biologiche o non biologiche), in grado di immaginare il nulla, forse esso inghiottirebbe tutto in un solo istante. Ma considerando il fatto che l’Universo esiste da molto prima della comparsa di tutte le forme di vita pensanti , sia sulla Terra che su altri pianeti di altre galassie, ciò significa che da qualche parte, in una dimensione a noi sconosciuta, un’Entità Pensante debba aver immaginato il nulla, e da quella piccola particella di Informazione che ne è scaturita, si sia in seguito originato l’intero Universo. D’altronde, l’incontro tra una particella di Informazione e il nulla assoluto, è una condizione insostenibile. Per cui tutto viene inesorabilmente trasformato in Informazione, attraverso un Big Bang, dove spazio e tempo vengono creati in un solo istante (continuando ad estendersi all’infinito, senza alcuna sosta, senza alcuna contrazione; il nulla d’altronde non lo consentirebbe). In questo preciso istante, ai confini dell’Universo, della materia continua a crearsi dal nulla. Secondo dopo secondo, l’Universo continua ad espandersi, e continuerà a farlo per un tempo infinito. L’Entità Pensante lo ha creato immaginando semplicemente il nulla, ma poi non poteva che perderne il controllo”. Dal nulla al tutto Immaginiamo una sfera e consideriamo che tale sfera rappresenti il nostro Universo. Ora immaginiamo che tale sfera rimanga stabile, ovvero che non si espandi ma che neppure si contragga. Abbiamo appena immaginato un Universo statico. Ora ipotizziamo che al di fuori di tale sfera vi sia il nulla, inteso come totale assenza di spazio, tempo ed energia (sappiamo, in base alle leggi della meccanica
  • 20. quantistica, che non può esistere uno spazio “vuoto di campo”6 , ma proviamo ugualmente ad immaginarlo). Possiamo tracciare dunque una linea di confine tra il nulla assoluto ed uno spazio-tempo ricco d’informazione ed energia (in qualsivoglia stato essa venga considerata)? Si possono scindere, concretamente, le due cose? Possono coesistere, distintamente, l’una e l’altra; ovvero “toccarsi” senza però fondersi a vicenda? La risposta è estremamente intuitiva, ed è indubbiamente …no! Può dunque esistere un Universo statico? Ebbene la risposta ancora una volta è no! Risultano dunque essere del tutto ovvie due cose: che l’Universo deve necessariamente essere costantemente in espansione e che l’unica fonte primaria di materia ed energia, è proprio il nulla! Il che nega implicitamente un’ipotesi secolare nella storia dell’astrofisica: la morte termica dell’Universo, dopo un periodo di tempo …”infinitamente lungo”; questo poiché è proprio dalla costante creazione di materia ed energia dal nulla, che nascono nuove galassie, stelle e pianeti (per ogni stella che muore, ne nascono altre mille molto più longeve e splendenti)! Tali considerazioni reggono anche nell'ipotesi di un Universo infinito. Proprio perché il concetto di infinito, implica un processo "in divenire", non è possibile immaginare un Universo statico, e dunque finito, dove al di fuori di esso, vi sia un’assoluta assenza di spazio, tempo ed energia! “Una caratteristica dello stato di vuoto è che esso dovrebbe essere elettricamente neutro; non dovrebbe anzi avere né carica elettrica né alcuna delle altre cariche la cui conservazione è prevista dalla fisica delle particelle quantistiche. Infatti, se il vuoto possedesse in una quantità totale diversa da zero, una di queste cariche soggette a leggi di conservazione assolute, non se ne potrebbero mai eliminare tutte le 6 Nel vuoto quantistico sono presenti fluttuazioni quanto-meccaniche che lo rendono un ribollire di coppie di particelle virtuali; queste, protette dal principio di indeterminazione di Heisenberg, nascono e si annichiliscono in continuazione. Le particelle sono dette virtuali perché normalmente non producono effetti fisici; in uno spazio limitato, tuttavia, vi sono delle grandezze misurabili. Secondo il principio di indeterminazione di Heisenberg, energia e tempo, al pari di altre due grandezze fisiche come posizione e velocità, non possono essere misurate con un'accuratezza infinita. Se lo spazio vuoto non avesse alcuna forma di energia, generata da forze (o meglio da campi) di alcun tipo (né gravitazionale né elettromagnetica), di una particella che si trovasse nello spazio vuoto sarebbe possibile determinarne velocità ed energia (in tal caso entrambe nulle), con un errore pari a zero; in violazione dunque del principio di indeterminazione. Il che porta ad ipotizzare l'esistenza di fluttuazioni quantistiche nello spazio vuoto, che generano una quantità minima di indeterminazione.
  • 21. particelle portatrici di tale carica. Se dunque definiamo il vuoto come lo stato nel quale tutte le grandezze fisiche che si conservano sono nulle, scopriamo che, sorprendentemente, tutto l’Universo potrebbe essere equivalente al nulla. La prima reazione a questa congettura è che debba sicuramente trattarsi di un’assurdità, perché l’Universo intero è tutto, non nulla. Tuttavia, se analizziamo da vicino tale congettura, ci rendiamo conto che effettivamente l’Universo potrebbe essere equivalente ad uno stato di non-essere, e che quindi il nostro Universo potrebbe aver avuto origine dal vuoto”. Heinz R.Pagels Dimensioni parallele e strani sogni L’alieno lo prese per mano e gli disse: “Vieni, non avere paura, ti accompagnerò in un’altra dimensione”. L’essere umano accettò l’invito e salì con l’alieno sull’astronave. Pochi istanti dopo si ritrovarono entrambi in un posto incantevole, ma palesemente non terrestre. Scesero insieme dalla nave spaziale e l’essere umano cominciò a guardarsi attorno, tentando di toccare con le mani gli oggetti ad egli circostanti. Subito notò con grande stupore, che le sue mani, così come il resto del suo corpo, passavano attraverso gli oggetti come se questi fossero degli ologrammi, delle entità evanescenti; e dunque non vi era modo di toccare o afferrare proprio nulla. L’umano a quel punto si rivolse all’alieno: “Ma dove mi hai portato? Non capisco, com’è possibile che io riesca a camminare, in un posto simile…” e iniziò a premere le sue dita sulle sue braccia, per essere sicuro di avere ancora una “consistenza solida”; dopo essersene accertato, esclamò: “Ma sono sempre lo stesso, la mia consistenza non è cambiata! Ho ancora un corpo solido!...e allora come mai non sprofondo?...la mia densità è molto più alta rispetto a tutto ciò che mi circonda, è molto strano tutto ciò”. A quel punto intervenne l’alieno: “Sprofondare? E in cosa o dove, dovresti sprofondare? Qui non esiste la forza di gravità, ma solo la forza di volontà. Prova a pensare di conficcare il tuo piede destro nel suolo su cui stai camminando”. L’essere umano provò a fare ciò che gli era stato chiesto e ancora una volta con suo grande stupore, scoprì che era possibile, solo con la propria forza del pensiero, continuare a camminare su di un suolo evanescente, oppure immergervisi dentro! Ma ad un tratto l’alieno interruppe quel suo stato mentale che oscillava costantemente tra la gioia, lo sconcerto e l’euforia, rivolgendosi ad egli con le seguenti
  • 22. parole: “E se ora io ti dicessi che tu in realtà sei morto e tutto ciò non è reale, mi crederesti?”. L’umano, quasi stizzito e con tono deciso rispose: “Ma no ovviamente! Mi ci hai portato tu qui; come faccio ad essere morto?” Al che l’alieno rispose: “E se invece ti avessi portato qui a tua insaputa, magari prelevandoti nel cuore della notte, durante il sonno, e poi qui qualcuno ti avesse detto che in realtà sei morto?”. L’umano si prese un attimo per riflettere e poi disse: “Bè, non ci avrei creduto ugualmente e avrei sicuramente pensato che stessi sognando. Però la cosa francamente mi spaventa, perché quel sogno avrebbe potuto continuare per moltissimo tempo, e io non avrei mai potuto accorgermi di nulla”. L’alieno abbozzò un sorriso e disse: “Già, non avresti potuto mai accorgerti di nulla, a meno che io ad un certo punto, non ti avessi riportato sulla Terra. Ma se ti fossi risvegliato lentamente nel letto in cui dormi abitualmente, a cosa avresti creduto, ad un sogno, o ad un evento reale?”. L’umano a tal punto si strinse nelle spalle e mestamente rispose: “Senza alcun indizio su cui poter riflettere, probabilmente avrei pensato di essermi finalmente risvegliato da un brutto sogno”. Tra scienza e fede Consideriamo un ipotetico Dio che abbia creato l’Universo. Tale Dio non avrebbe potuto originarsi per “puro caso” dal nulla, mantenendo il punto di vista di coloro che credono in un Dio creatore; visto che per tali signori il “puro caso” non potrà mai portare a delle forme d’intelligenza primaria, che abbiano oltretutto origine dal nulla assoluto, ovvero da un ipotetico spazio “vuoto di campo” (che da un punto di vista fisico-quantistico, come ho già spiegato nella precedente nota a piè pagina, non può esistere)7 . Per cui la domanda 7 Nel suo libro “Da zero a infinito”, John D. Barrow spiega che: “È senz’altro possibile che lo stato dell’Universo in cui ci troviamo sia quello di un vuoto temporaneamente stabile (detto anche “falso vuoto”). Invece di essere al pianterreno del paesaggio del vuoto, potremmo cioè essere ad un piano superiore, in uno stato che è stabile solo per un certo periodo di tempo. Tale periodo è abbastanza lungo, poiché l’Universo sembra caratterizzato dalle stesse leggi generali e proprietà da circa quattordici miliardi di anni. Ma un giorno le cose potrebbero cambiare in modo fulmineo, senza il minimo preavviso. (…) La piccola spinta necessaria potrebbe essere fornita da eventi di altissima energia che hanno luogo nell’Universo. Se delle collisioni tra stelle o buchi neri generassero raggi cosmici di energia sufficientemente elevata, questi potrebbero essere in grado di innescare la transizione a un nuovo vuoto in una regione dello spazio. Saranno le proprietà del nuovo vuoto a determinare ciò che accade dopo. Potremmo
  • 23. sorge spontanea: “Chi ha creato questo Dio creatore?”; forse un altro Dio la cui intelligenza è ancora più grande del nostro “Dio creatore”? Se la risposta è sì (e deve per forza essere affermativa, perché per tali signori, i creazionisti, dalla “pura casualità” non può originarsi alcuna forma d’intelligenza primaria), allora dobbiamo considerare una serie infinita di dei; in cui l’n-Dio disponga di un’intelligenza infinitamente grande e la cui Informazione va oltre ogni nostra possibile immaginazione (già che ci siamo possiamo andare anche a ripescare l’ipotesi di Cantor sugli infiniti e adattarla a tale contesto surreale …per non dire assurdo, irrazionale). Vi sembra plausibile tutto ciò? Se vogliamo quindi credere a tutti i costi in un “Dio creatore”, quest’ultimo con estrema probabilità dovrà essersi originato per “puro caso” dal nulla assoluto; ovvero da un ipotetico spazio “vuoto di campo” (la cui esistenza è teoricamente impossibile, per le leggi della fisica). Ma se dalla “mera casualità” possono nascere addirittura gli dei, com’è possibile che da essa non sia potuto nascere anche l’intero Universo, gli ammassi di galassie, il nostro Sole, la Terra, i primi organismi monocellulari ed infine l’uomo? Credo che qualsiasi persona che si ritenga realmente saggia, nella vita dovrebbe essere “credatea” (ovvero, né atea e né credente); nell’unica accezione seguente del termine: persona perennemente indecisa sull’esistenza o meno di Dio. Considerando l’assoluta indecidibilità e indimostrabilità dell’esistenza di Dio, credo che una persona che si ritenga profondamente saggia, debba necessariamente essere agnostica. Per Socrate la saggezza consisteva nel "sapere di non sapere"; ebbene il pensiero di un agnostico (che se ne guarda bene dal prender posizioni sulla questione dell'esistenza di Dio), non rappresenta dunque tale saggezza? Chi sostiene, basandosi esclusivamente sul proprio intuito, l’esistenza di Dio, si situa esattamente sullo stesso piano di chi sostiene, basandosi anch’egli prevalentemente sul proprio intuito, la sua non esistenza. Su una questione indecidibile e indimostrabile come quella dell’esistenza di Dio, il dubbio a mio avviso non dovrebbe far protendere verso l’una o l’altra scelta; dal momento in cui tale scelta, una volta compiuta, non porta ad alcun cambiamento significativo sul piano dei valori umani (visto che a tale scopo basterebbe semplicemente educare intere civiltà, attraverso alcune regole comportamentali che prevedano il rispetto del prossimo e di sé stessi). Anche in assenza di Dio, una sana educazione comportamentale ed una sana giustizia (basate entrambe improvvisamente trovarci a cadere in uno stato di vuoto in cui tutte le particelle hanno massa zero e si comportano come radiazione, nel qual caso scompariremmo senza preavviso in un lampo di luce!”.
  • 24. sul buon senso comune, che prende forma principalmente dal nostro istinto di conservazione), sono a mio parere più che sufficienti a garantire un determinato equilibrio tra i cittadini di una nazione o di uno Stato. Se l’intuito delle menti più eccelse della storia contemporanea, le ha portate a fidarsi degli assiomi di scelta, ciò è dovuto al fatto che per poter progredire nel campo della matematica (a sua volta connessa alle scienze fisiche e alle sue applicazioni tecnologiche), non era possibile evitare questo “atto di fede”! Ma un atto di fede nel campo della matematica, può portare l’uomo verso altri orizzonti scientifici e tecnologici (migliorando in molti casi le sue condizioni e aspettative di vita; basti pensare al progresso in ambito medico e farmaceutico), mentre la fede in Dio, non modifica in alcun modo la realtà del mondo in cui viviamo (…lasciandola in molti casi localmente, dove essa prevale, immutata per secoli). Persino alla persona più intelligente di questo mondo è concesso di credere in Dio (o di non crederci affatto); il che dimostra, a mio avviso, che saggezza ed intelligenza non sempre vanno di pari passo. Concludo questa breve riflessione con due citazioni apparentemente assai lontane tra loro, con l’unico scopo di voler sottolineare (forse anche in modo assai goffo e banale, ma poco importa), quanto lo zio Albert molti anni fa ebbe a dire: “La fisica e la psicologia rappresentano solo due tentativi diversi di unificare le nostre esperienze mediante il pensiero sistematico”. “Dio è negli atomi; una sovrapposizione, se vi piace. O se anche non vi piace, è così che si chiama. Una sovrapposizione è simile a Dio per il fatto che l’ente quantistico, occupando un certo numero di stati differenti simultaneamente, può trovarsi in ogni luogo allo stesso tempo. Una sovrapposizione è una sorta di immanenza. Senza le sovrapposizioni, gli oggetti quantistici semplicemente si schianterebbero l’uno nell’altro e la materia solida non potrebbe esistere”. Philip Kerr “Per me Dio è da un lato un mistero che non va svelato, a cui devo attribuire soltanto una caratteristica, e cioè il suo esistere in forma di un particolare fenomeno psichico che io percepisco come numinoso, e che non posso ricondurre ad alcuna causa abbastanza evidente insita nel mio campo d’esperienza. D’altro lato Dio è un’immagine verbale, un predicato o un mitologema che si fonda su presupposti archetipici che dal canto loro stanno alla base della struttura psichica, in quanto forme di rappresentazione degli istinti. Come gli istinti, anche le
  • 25. forme di rappresentazione hanno una certa autonomia che permette loro di affermarsi in certi casi contro le aspettative razionali della coscienza (da qui deriva in un certo senso la loro numinosità)”. Carl Gustav Jung Opera di Fausto Intilla, Sostanzialità Eterna, olio su tela, 60 x 80, 1988.
  • 26. Surrealismo simbolico E il vecchio saggio disse al suo discepolo: “Nella vita tutto è simbolo; occorre saper leggere tra le righe degli eventi, per poter scorgere i momenti più salienti che hanno caratterizzato il proprio passato o che caratterizzeranno il proprio futuro, e dar loro così un senso, un significato profondo”. Il giovane discepolo, sentito ciò, andò in un giardino pieno di rose e ne recise una non ancora sbocciata. Con questa rosa tra le mani, si recò dalla sua amata. Giunto a destinazione, gliela porse e le fece un sorriso, senza proferire alcuna parola. Ella ricambiò il sorriso e lo ringraziò. Poco dopo, egli lasciò la sua amata e si incamminò verso un altro luogo, pensando: “Se la prossima volta che la incontrerò la rosa sarà sbocciata, significa che il suo amore nei miei confronti è sincero e cristallino; se invece la ritroverò ancora chiusa, il significato sarà esattamente l’opposto”. Il linguaggio della natura Se è vero che 'il libro della Natura è scritto in linguaggio matematico', l'uomo non ha fatto nient'altro che scoprire, attraverso il susseguirsi dei secoli (e dei millenni), modi sempre più evoluti e variegati di utilizzare la matematica, per cercare di dare un aspetto via via più 'convincente' alla realtà fisica in cui vive. La matematica è una dimensione insita nel DNA umano, che si è evoluta parallelamente all'evoluzione dell'uomo; le scienze (filosofia inclusa, poiché richiede una certa logica), sono dunque una conseguenza di tale dimensione presente in ogni luogo dell'Universo. Una dimensione di cui tutti gli esseri viventi più evoluti possono beneficiare (siano essi appartenenti al pianeta Terra, oppure no). “Nonostante la loro lontananza dall'esperienza dei sensi, noi abbiamo un qualcosa simile a una percezione anche degli oggetti della teoria degli insiemi, come si può vedere dal fatto che gli assiomi stessi ci forzano a considerarli veri. Non vedo motivo perché dovremmo avere una fiducia minore in questo tipo di percezione, vale a dire l'intuizione matematica, piuttosto che nella percezione sensoriale, che ci induce a costruire teorie fisiche e aspettarci che future sensazioni sensoriali si accordino ad esse”. Kurt Gödel
  • 27. "Come nel caso dello Zen, dove la verità oltrepassa i limiti delle parole, così anche in matematica la verità è superiore ai sistemi formali incompleti. Così come i koan dello Zen rivelano i vincoli imposti al pensiero dalle parole (così che il linguaggio stesso diventa una barriera per la comprensione), nello stesso modo anche il teorema di Gödel ha stabilito l'esistenza di verità matematiche che giacciono al di là della comprensione dei sistemi formali. Le proposizioni della matematica non possono essere circoscritte attraverso i sistemi formali: ci saranno sempre delle verità matematiche che si collocano al di fuori". Douglas Richard Hofstadter Sulla nascita della vita La scienza purtroppo finora non è ancora riuscita a dare una definizione chiara e completa del concetto di "vita"; ossia, ciò che non si è ancora riusciti a capire è il motivo per cui determinate forme complesse di energia (stabili) diano origine a delle entità biologiche (o meglio sarebbe dire: si presentino sotto forma di entità biologiche), mentre altre no (da ora in avanti l’acronimo EB, starà a significare: "Entità Biologica"). Ebbene, qui di seguito esporrò su tale argomento una brevissima teoria prettamente personale e a carattere altamente speculativo, che si propone principalmente di porre in un altro punto focale e quindi in un'altra ottica di idee, i concetti con cui vengono definite le parole "vita" ed "anima". Inizierò quindi con suddividere le varie forme di energia presenti in natura in tre principali modelli tipologici, definiti in base alle caratteristiche di stato dell'energia che vien presa in considerazione. Otteniamo così tre distinte classi energetiche che ho denominato nel seguente modo: a) Energia primaria: è rappresentata da forme complesse di energia (stabili), inattive e di durata più o meno illimitata (difficilmente degradabili in natura e di durata illimitata in assenza di agenti atmosferici, ossia nello spazio). In questa classe rientrano quindi tutti quei corpi che vengono comunemente definiti inerti. b) Energia secondaria: è rappresentata da forme complesse di energia (stabili), attive (EB), che possono restare tali (attive), unicamente assorbendo continuamente energia e formando quindi un sistema o ciclo di scambio energetico. Il fattore
  • 28. tempo in questo caso altera le funzionalità dell'EB intesa come mezzo di scambio energetico. L'EB diventa inattiva (ossia non assorbe più energia) e facilmente degradabile, quando si interrompe (per cause naturali o artificiali) il ciclo energetico confinato nella natura dell'EB (cyclus mater) oppure il ciclo energetico definito dall'EB e l'ambiente ad essa circostante (ciclo sistemico o primario). In termini popolari, tale fenomeno è in sintesi descritto dalla parola “morte” (in tal caso relativa ad un intero organismo vivente; molto più complesso dunque di una singola cellula o di alcuni gruppi di cellule). La fase di degradazione dell'EB inizia dapprima con la cessazione dell'attività cinetica dell'intera entità (ovviamente se si tratta di un'EB appartenente al regno "animale"; il perché ho messo tra virgolette il termine animale lo capirete quando in seguito scoprirete quanto siano sottili e difficili da stabilire, quando si analizzano le caratteristiche di entità microscopiche, i confini tra regno animale e regno vegetale), e poi con la graduale cessazione dell'attività di scambio energetico di tutti gli elementi (molecole organiche) che la costituiscono. c) Energia terziaria: è rappresentata dal calore e da altre forme di energia dispersiva. Ora, la domanda da un milione di euro è la seguente: "Da cosa nasce l'attività cinetica di un'entità biologica?" Ebbene, per stabilirlo, occorre innanzitutto prendere in considerazione i seguenti aspetti della natura, descrivibili in termini fisici: alcuni elementi (Carbonio, Idrogeno, Ossigeno, Azoto; tra cui l'elemento principale è il Carbonio, poiché è sempre presente in qualsiasi molecola organica), combinandosi tra loro danno origine a dei composti o molecole organiche che, a dipendenza del numero degli elementi di cui sono formati, vengono denominati binari, ternari o quaternari. Due composti, anche se formati entrambi dallo stesso tipo di elementi ed hanno quindi la stessa formula grezza, possono differire notevolmente l'uno dall'altro a causa di una loro differente formula di struttura (tale fenomeno è detto isomeria di struttura ed è dovuto ad una differente unione degli atomi fra loro) oppure a causa di una diversa posizione occupata da qualche atomo o gruppi atomici (isomeria di posizione). Qualsiasi molecola organica, per poter "sopravvivere", deve costantemente assorbire energia dall'ambiente ad essa circostante, per poi immetterla nuovamente in tale ambiente, sotto forma di calore ed altre forme di energia.
  • 29. Durante questa fase o ciclo energetico, la molecola in questione presenta delle oscillazioni infinitamente piccole (attività cinetica), dovute al costante scambio energetico tra la molecola stessa e l'ambiente ad essa circostante. Qualsiasi molecola organica (o entità biologica) è quindi concepibile come un mezzo di scambio energetico. (In realtà tutti i composti di natura inorganica sono costituiti da atomi in costante vibrazione, e si potrebbero quindi anch'essi concepire come dei mezzi di scambio energetico, solo che, anche combinandosi tra loro in infiniti schemi, avranno sempre una potenzialità di scambio energetico estremamente bassa e quindi non potranno mai in ogni caso manifestare neppure la più misera attività cinetica). In tale ottica di idee, occorre quindi considerare il Carbonio, come un elemento dotato di un'alta PSE (da ora in avanti l’acronimo PSE, starà ad indicare la “potenzialità di scambio energetico” di un elemento). Tale elemento, combinandosi con altri elementi (H,O,N), molto probabilmente anch'essi dotati di una certa PSE, accresce notevolmente la sua PSE dando origine al fenomeno dell'attività cinetica (oscillazioni), più o meno impercettibile, delle molecole organiche. La PSE delle molecole organiche cresce in modo esponenziale, quando queste ultime si combinano tra loro formando composti organici costituiti da milioni di molecole. Ora resta comunque il seguente enigma: perché alcuni "milioni" di molecole organiche danno origine per esempio ad un batterio (ossia a una entità biologica autorganizzantesi), mentre altri "milioni" di molecole danno origine a delle comuni cellule vegetali? Una risposta potrebbe essere la seguente: quando la PSE di un determinato composto organico cresce oltre un certo limite, innesca in tale composto un'attività cinetica così elevata da riuscire a provocare al suo interno una sorta di reazione in cui tutti i circuiti molecolari (definiti da determinate reazioni chimiche di scomposizione degli elementi), si uniscono secondo determinati schemi e danno quindi origine ad una sorta di "intelligenza", il cui principale scopo è quello di coordinare l'attività cinetica dell'intero composto organico, al fine di ottenere un determinato modello di auto-organizzazione energetica, all'insegna del più basso spreco di energia. Ecco forse come nascono i batteri e tante altre entità biologiche "pensanti"8 ; ecco forse come nasce la vita animale. Di una 8 Durante l’estate del 2010, da uno studio eseguito da alcuni ricercatori polacchi, si è scoperto che anche le piante immagazzinano informazioni, e sono capaci di rispondere ad esse. Il risultato delle ricerche, riportato dalla BBC il 14 Luglio del 2010 e pubblicato online su Plant Cell, dimostra infatti che le piante hanno un
  • 30. cosa l'uomo può sicuramente vantarsi, ossia di essere il più complesso mezzo di scambio energetico presente sulla Terra. Il biofisico americano Stuart Kaufmann ha cercato di dare un contenuto concreto all'idea che la vita nasca mediante l'auto- organizzazione (concentrandosi su un fenomeno chimico noto come autocatalisi). Le idee di Kauffman sono state esposte brillantemente da Paul Davies nel suo libro: "Da dove viene la vita" (Mondadori, Milano, 2000). Il famoso fisico australiano, a pag.153 del libro in questione, inizia a ricordare al lettore che: «un catalizzatore è un tipo di molecola che promuove una reazione tra altre molecole senza esserne alterata». Prosegue poi nella descrizione dettagliata delle ipotesi di Kauffman: “Immaginiamo quindi un brodo primordiale che vede svolgersi contemporaneamente numerose reazioni diverse, in cui complesse molecole organiche si creano e si distruggono, combinandosi con altre molecole o scindendosi in frammenti. C'è una vasta e intricata serie di reazioni in atto; se vogliamo, un ecosistema chimico. Supponiamo ora che in questo brodo ribollente alcune molecole si trovino a giocare un duplice ruolo: da un lato che entrino in determinate reazioni chimiche come reagenti o come prodotti, dall'altra che partecipino a reazioni diverse quali catalizzatori. In tal caso può succedere che la presenza di una molecola M abbia l'effetto di catalizzare la stessa sequenza di reazioni che porta alla produzione di M. La sua esistenza accelera quindi la creazione di altre copie della stessa molecola; da qui il termine autocatalisi. Quando si sistema di comunicazione interno che agisce pressappoco come quello nervoso centrale negli animali: ricevuto un impulso, l’informazione in entrata genera una serie di eventi a catena tali da produrre reazioni successive in tutto il “corpo”. I ricercatori hanno messo a fuoco il comportamento di una Arabidopsis Thaliana sottoposta in piccola parte a raggi di luce, constatando in essa una reazione diffusa e non limitata alle foglie esposte. Una volta sottratta alla luce hanno poi verificato la persistenza di tale effetto, a conferma dell’avvenuta costruzione di una memoria a breve termine della pianta stessa, "capace di ricordare i diversi eccessi di luce e utilizzare questa informazione per migliorare di conseguenza, ad esempio, il proprio sistema immunitario”. Il “ricordo” ha inoltre valore sia in termini qualitativi che quantitativi; a seconda del tipo di esposizione le reazioni chimiche di difesa della pianta si sono infatti rivelate diverse. Il sistema di comunicazione interno che permette tutto questo agisce tramite particolari cellule, presenti in tutti i tipi di pianta, per mezzo di impulsi elettrici: nulla di particolarmente nuovo, se non in potenza.
  • 31. verifica tale processo, si instaura un ciclo di retroazioni sempre più intenso, generando una rete di reazioni che si autorinforza”. Le analogie con la mia teoria sulla PSE (potenzialità di scambio energetico) di determinati elementi risultano a questo punto evidenti. Premetto comunque di aver scoperto solo di recente le ipotesi-teorie di Kauffman; cosa che ovviamente non ha potuto far altro che "rallegrarmi" e rendermi di conseguenza più "convinto" su tutto ciò che da tempo vado affermando sull'origine della vita. Tornando ora alle ipotesi di Kauffman, sempre nella stessa pagina Davies si pone la domanda: «Che cosa succede a questo punto?» Ecco la sua risposta: “Quando la varietà di molecole nella rete è sufficiente, il sistema varca una soglia critica. Kauffman prevede un brusco salto in un gigantesco ciclo autocatalitico, un processo di auto-organizzazione simile all'improvvisa transizione da un liquido omogeneo alle particelle di convezione9 . Questo ciclo più elevato, e molto più complesso, è una forma elementare di metabolismo, cioè l'insieme di processi chimici organizzati del tipo immaginato da Oparin e Dyson come contenuto delle loro vescicole. Il tutto avviene senza il coinvolgimento di particolari molecole di RNA e senza bisogno di un apparato genetico; gli acidi nucleici arriveranno più tardi”. Interessanti sono inoltre queste sue altre considerazioni: “Se Kauffman è sulla strada giusta, forse la vita è la conseguenza non di una particolare chimica organica, ma delle leggi matematiche universali che governano il comportamento di tutti i sistemi complessi, indipendentemente dalla loro composizione”. Egli però fa osservare che esiste in questo tipo di approccio un problema di fondo, di natura concettuale: “La vita in realtà non è un esempio di auto-organizzazione. La vita è organizzazione specificata, cioè diretta geneticamente. Gli organismi seguono le istruzioni codificate nel loro DNA, o RNA. Le particelle di convezione si formano spontaneamente per auto-organizzazione; non esiste un gene specifico. La fonte dell'ordine in questo caso non è codificata in un software, ma si può individuare nelle condizioni 9 Secondo Kauffman, le particelle di convezione sarebbero quelle predisposte allo scambio di energia in un sistema termodinamico, e il loro ordine sarebbe imposto esternamente, dall'ambiente che circonda il sistema. Al contrario, l'ordine delle cellule viventi deriva dal loro controllo interno, dai propri geni, situati in una microscopica molecola racchiusa nelle profondità del sistema, che trasmette chimicamente le sue istruzioni all'esterno. Anche se l'ambiente, nel caso di una cellula, è in grado di influenzare la stessa attraverso la sua membrana, rimane comunque il fatto che i caratteri fondamentali di un organismo sono determinati principalmente dai suoi geni.
  • 32. dell'ambiente con cui è a contatto il liquido. È il flusso di calore ed entropia attraverso i suoi confini che promuove l'auto-organizzazione, e sono la forma, le dimensioni e la natura di questi confini a determinare i dettagli dell'aspetto delle cellule. In altre parole, l'ordine di una particella di convezione è imposto esternamente dall'ambiente che circonda il sistema”. È alquanto curioso osservare come quest'ultima frase di Paul Davies presenterebbe delle strette analogie con la teoria di Herbert Simon sull'organizzazione dei "sistemi umani", qualora si sostituissero le parole "particella di convezione" con la parola "individuo": «L'ordine di un individuo è imposto esternamente, dall'ambiente che circonda il sistema». Un concetto che il famoso Herbert Simon espresse comunque con altre parole, molto più significative: «Un uomo, considerato come sistema soggetto di comportamento, è piuttosto semplice. L'apparente complessità del suo comportamento nel tempo è in larga misura un riflesso della complessità dell'ambiente in cui si trova». Davies nel suo libro sottolinea che: “Finora la teoria dell'auto-organizzazione non ha dato indicazioni su come sarebbe avvenuto il passaggio tra l'organizzazione spontanea (o autoindotta) e il complesso sistema genetico basato sull'informazione, tipico dei viventi. Una spiegazione di tale avvicendamento genetico non può limitarsi a rendere conto dell'origine, in uno stadio successivo, degli acidi nucleici e del loro stretto interagire con le proteine. Non basta sapere in quale modo siano nate queste gigantesche molecole o come abbiano incominciato ad interagire. Bisogna chiarire anche come è venuto alla luce il software del sistema; anzi, dobbiamo capire in che modo il concetto stesso di controllo mediante un software è stato scoperto dalla natura (...). In assenza di un nuovo principio di auto-organizzazione che induca la produzione di una complessità di tipo algoritmico, una parte essenziale della storia della biogenesi resta inesplicabile”. Ed io a questo punto aggiungerei: una sorta di "algoritmo della natura", la cui caratteristica principale è quella di stabilire un ciclo termodinamico all'insegna del più basso spreco di energia (in relazione ovviamente ad ogni entità biologica). Un algoritmo che forse è presente nel nostro Universo sin dalla notte dei tempi, ma che non siamo ancora riusciti a scoprire. Ma a questo punto occorre che io concluda queste mie riflessioni con una dovuta e necessaria autocritica; soprattutto a causa di numerose critiche tutt'altro che positive (ricevute da alcuni colleghi di lavoro con specializzazione in biochimica e biologia molecolare), sul concetto di “potenzialità di scambio energetico”, che io ho relazionato ad alcuni
  • 33. elementi della materia organica, ipotizzando il Carbonio come miglior candidato nell'espletare un simile "comportamento" a livello atomico- nucleare. Le critiche che queste persone hanno avanzato nei miei confronti, si basano su un dato di fatto che in biochimica è stato ormai appurato da tempo immemorabile (e che ovviamente anche io do per scontato), ovvero: Il Fosforo e lo Zolfo (anch'essi inclusi, oltre all'Ossigeno, l'Idrogeno, l'Azoto e il Carbonio, nella "classe principale" degli elementi della materia organica), per certi versi si possono definire analoghi rispettivamente all'Azoto e all'Ossigeno, solo che si trovano nella terza riga del sistema periodico. Gli atomi di questa riga tendono a completare l'ottetto di elettroni, come quelli della seconda riga, ma la formazione dell'ottetto non satura il guscio più esterno, il terzo. Quindi gli atomi della terza riga hanno a disposizione i cinque orbitali 3d del terzo guscio, che possono contenere altre cinque paia di elettroni. Questa capacità di formare ulteriori legami permette al Fosforo (P) e allo Zolfo (S) di svolgere un ruolo essenziale nei sistemi biologici. Ma il fatto più rilevante in tale contesto, ovvero quello che ha dato adito alle critiche che sono state mosse nei miei confronti, rimane comunque il seguente: l'azione di gran lunga più importante svolta da questi elementi consiste nel fungere da agenti per il trasferimento di energia e di gruppi atomici nelle reazioni chimiche. La maggior parte delle reazioni di produzione di energia e di trasferimento di gruppi è dovuta ai fosfati organici, in particolare all'ATP (adenosintrifosfato), ma anche lo Zolfo forma tre tipi di molecole con legami ad "alta energia", che possono fornire energia alle reazioni biochimiche. La molecola di ATP rimane quindi la principale fonte di energia per le reazioni biochimiche nelle cellule. Le molecole di ATP vengono sintetizzate usando l'energia liberata dall'ossidazione di composti quali gli zuccheri. In esse l'energia viene immagazzinata nei legami "fosforici", nel senso che rompendo questi legami si libera energia che può essere usata per sviluppare altre reazioni. I tre motivi che rendono unici lo Zolfo e il Fosforo per reazioni di trasferimento di energia e di gruppi atomici sono i seguenti: a) questi elementi formano legami più aperti, e di solito più deboli, dei loro congeneri situati sulla seconda riga della tavola periodica degli elementi (questa proprietà induce un'instabilità che facilita le reazioni di scambio); b) hanno orbitali 3d che permettono loro di avere valenza maggiore di quattro;
  • 34. c) conservano la capacità di formare legami multipli, proprietà condivisa solo da Carbonio, Azoto e Ossigeno (quest'ultima proprietà aumenta enormemente la varietà dei mutamenti che possono prodursi). Tutte queste considerazioni o assunti, che io ovviamente condivido nel modo più assoluto, non vanno comunque ad intaccare (a mio avviso) le mie ipotesi sulla “potenzialità di scambio energetico” di un elemento quale il Carbonio, che ho ritenuto essere più elevata rispetto ad altri elementi appartenenti alla prima classe-categoria della materia organica. L'errore, che in tale contesto è assai facile commettere, è quello di uguagliare il concetto di "potenzialità di scambio energetico" con quello di "quantità reale-effettiva di scambio energetico" (legata come abbiamo visto principalmente agli elementi Fosforo e Zolfo). Infatti, un elemento potrebbe avere una potenzialità di scambio energetico più bassa, rispetto ad un altro elemento, ma essere in grado comunque di trasferire, rispetto a quest'ultimo, molta più energia. Tutto ovviamente dipende dai legami che possono stabilirsi o meno tra i diversi elementi presi in considerazione. L'effettiva “potenzialità di scambio energetico” di un elemento potrà quindi espletarsi solo in determinate condizioni di interazione con altri elementi; in assenza di queste condizioni, tale potenzialità rimarrebbe quasi sicuramente nascosta agli occhi di qualsiasi osservatore. La “potenzialità di scambio energetico” di un elemento non è quindi un fenomeno che si possa misurare in base alle interazioni stabilite con altri elementi, poiché dipende essenzialmente dalla natura intrinseca dell'elemento considerato. Anche se queste mie ultime considerazioni potranno apparire a molti lettori, poco o del tutto insensate, ritengo comunque che debbano essere valutate ugualmente con attenzione (come occorrerebbe fare per qualsiasi altra nuova ipotesi o teoria, in qualsiasi contesto scientifico). Infine, vorrei concludere questa mia lunga riflessione con qualche considerazione sul rapporto tra PSE e stabilità nucleare. Se è vero che la "potenzialità di scambio energetico" non è misurabile in base alle interazioni stabilite con altri elementi (poiché dipende essenzialmente dalla natura intrinseca dell'elemento considerato), forse una strada per avvicinarsi alla comprensione di questo enigma è porre la PSE in relazione con un dato di fatto assai importante nel campo della fisica nucleare, ovvero: la forza nucleare (per i nuclei leggeri) permette di raggiungere la massima stabilità se il numero dei neutroni è all'incirca uguale al numero dei protoni. Ora, come ben sappiamo, gli elementi come il Carbonio, l'Azoto e l'Ossigeno rispondono a questa caratteristica. Ciò che ancora non sono
  • 35. riuscito a risolvere-intravedere è il possibile rapporto, la relazione, che sussiste tra la mia idea-ipotesi di "potenzialità di scambio energetico" e i diversi "valori" di stabilità nucleare di determinati elementi (con "valori" intendo dei semplici rapporti matematici inerenti al calcolo delle probabilità). Il punto è che, a mio avviso, la "potenzialità di scambio energetico" di un elemento non è da ricercarsi fondamentalmente ad un livello atomico-molecolare, bensì ad un livello molto più profondo, ossia nucleare. Tale potenzialità potrebbe essere intesa come una sorta di "trasposizione" dell'"indice di stabilità nucleare", definibile esclusivamente in termini di probabilità matematiche, e non come quantità esatta di energia trasferita in un determinato contesto atomico-molecolare. La tentazione sarebbe quella di affermare che maggiore è l'indice di stabilità nucleare di un elemento, più alta è la potenzialità di scambio energetico dello stesso; ma non dispongo di alcun riscontro sperimentale che possa dimostrarlo. “Guardando verso il cielo”, Parco delle sculture, Mosca (Russia). Nel caso di un' interazione tra il nucleo atomico di un elemento, e il nucleo di un altro elemento (o più elementi), in condizioni del tutto eccezionali, la PSE si può espletare nella sua forma "grezza", ovvero con dei risvolti che lascino intravedere-intuire il valore della probabile PSE dell'elemento preso in considerazione. In taluni casi quindi, sarebbe possibile, con tale procedimento, arrivare a "stimare" un
  • 36. valore su quella che in teoria, dovrebbe essere la reale PSE di un elemento (pur rimanendo comunque nel contesto delle probabilità). La grande difficoltà sta appunto nell'ideare un esperimento (atto a dimostrare appunto l'esistenza della PSE, da me ipotizzata), in cui l'elemento da osservare rimanga del tutto isolato da ciò che lo circonda (le misurazioni verrebbero quindi eseguite sui valori o quantità, di determinate oscillazioni quantistiche; e non su dei veri e propri trasferimenti di informazione-energia). Credo comunque che in futuro, grazie alle nuove scoperte nel campo della Computazione Quantistica, esperimenti di questo tipo potranno essere tranquillamente realizzati. Umano, troppo umano “Non dobbiamo pretendere di capire il mondo solo con l'intelligenza: lo conosciamo, nella stessa misura, attraverso il sentimento. Quindi il giudizio dell'intelligenza è, nel migliore dei casi, soltanto metà della verità”. Carl Gustav Jung Sull’operato del genere umano L'importanza dell'intero operato umano va sempre rapportata a determinati intervalli di tempo (siano essi secoli oppure millenni); ciò è fondamentale per poter parlare di importanza o valore delle idee, nella storia dell'uomo. Ma nel momento in cui confrontiamo ogni scoperta scientifica, ogni cambiamento sociale o culturale, oppure ogni naturale (poiché frutto dell'evoluzione) cambiamento di paradigma rispetto a tutto ciò che siamo abituati a definire attraverso la nostra soggettiva/collettiva percezione della realtà delle cose, con l'eternità del tempo, ci accorgiamo inevitabilmente di quanto ogni cosa sia dannatamente ...relativa, inconsistente, fugace, inutile ed insensata. Cercare a tutti i costi di provare a dare un senso a tutto ciò che fondamentalmente non ha alcun senso, se confrontato con l’eternità del tempo, non aiuta di certo nessuno, nella ricerca della verità; anzi, porta solo alla disperazione o alla follia, nel peggiore dei casi. La soluzione migliore sta semplicemente nel trovare un modo per
  • 37. ingannare il tempo con il corpo e la mente, occupandoci di mezze verità, affinché esso [il tempo] non ci permetta di soffermarci troppo a riflettere sulla sua eterna giovinezza …e sulla sua spietata incuranza per tutto ciò che accade nell’Universo. “Ma che diavolo è questo scatolone metallico con un’imboccatura superiore e due fori laterali?”. “È un Relativizzatore Automatico. Dall’alto si inseriscono i libri di ogni genere letterario, ed esso, in base alla loro importanza informazionale li seleziona. Dal foro laterale destro escono i volumi triturati ritenuti di scarso valore informazionale, mentre dal foro laterale opposto escono i volumi intatti ritenuti ad alto valore informazionale; ovvero quelli talmente importanti, di cui l’umanità non può fare assolutamente a meno. Però ho notato che non funziona correttamente. Ho inserito l’intera enciclopedia britannica, e l’ha triturata tutta, un volume dopo l’altro; stessa sorte è toccata alla Divina Commedia. Poi ho inserito il trattato di Feynman sull’elettrodinamica quantistica e ha fatto altrettanto; idem per quello di Einstein sulla Relatività Ristretta e Generale …persino il trattato di Gödel sui teoremi d’incompletezza ha triturato! Proprio non capisco dove possa stare il problema; mah…”. “Mmm …lasciami dare un’occhiata a quest’aggeggio …ah! Forse ho capito, si tratta della manopola che fissa il limite temporale per la valutazione dei testi; l’hai posizionata su Infinito! È normale dunque che ti abbia triturato tutto; ti conviene posizionarla su 3000 d.C., la prossima volta che intendi usarlo”. Dal pensiero binario a quello analogico Qui di seguito, ho riportato le parti essenziali di una lunga e piacevole conversazione che ebbi non molti anni fa (2009) con l’amica Cinzia Turnaturi10 , in cui cercai di esporre in modo assai succinto e quindi senza troppe perifrasi, le mie idee e previsioni futuristiche sui vari cambiamenti sociali, culturali e neurobiologici, che a mio avviso dovrebbero interessare l’intera civiltà umana nei millenni a venire. Non vengono tuttavia prese in considerazione, in tale contesto speculativo, previsioni inerenti a specifiche teorie fisico-matematiche e relative applicazioni in ambito tecnologico. 10 Cinzia Turnaturi lavora attualmente al Policlinico Universitario A.Gemelli di Roma, ed ha contribuito alla stesura di uno degli ultimi capitoli del libro: “Verso una nuova scienza di confine”, di Fausto Intilla.
  • 38. C.T.: “Fausto, nel tuo libro Dio=mc2 (precisamente nei capitoli ‘Denarius Nummus’ e ‘Le equazioni dell’evoluzione’), parli di una sorta di evoluzione dell'uomo, in correlazione al denaro, al potere e al grado di libertà di cui ogni essere umano dispone in minore o maggior misura, rispetto ai suoi simili. Possiamo approfondire la correlazione che c’è, semmai ci fosse, tra l’evoluzione scientifica e tecnologica, e il livello spirituale (o morale) dell’uomo in generale? Quali fattori entrano in gioco?” F.I.: “Innanzitutto, potremmo cominciare a definire tre fattori fondamentali, che in tale contesto entrano in causa. I primi due sono i seguenti: Il ‘Livello di complessità della sfera Politico-Economico- Scientifico-Tecnologica’ (da ora in avanti definito con l’acronimo: LC-PEST) dell’intera civiltà umana, e come secondo fattore, ‘L’influenza del denaro sulla mente umana’. Quest’ultimo, ne chiama in causa un terzo, che io ho denominato semplicemente: “Fattore biologico-evolutivo”, proprio della nostra specie. Ora, se andiamo ad analizzare il secondo fattore (ossia: ‘L’influenza del denaro sulla mente umana’), scopriamo che esso dipende essenzialmente da un determinato ‘Fattore biologico-evolutivo’, in grado di modificare in meglio, col passare dei secoli e dei millenni, la nostra capacità di pensare secondo schemi analogici (creando così le basi di un ‘altruismo assoluto’). Fatta questa premessa, giungiamo inevitabilmente alla seguente conclusione: Finché il nostro pensiero continuerà a viaggiare prevalentemente attraverso degli schemi binari, qualsiasi forma di spiritualità perderebbe di ‘purezza’, volendola ‘applicare’ a tutti i costi ad un comportamento standard, stereotipato, tipico di ogni essere umano che viva rapportandosi quotidianamente con gli schemi classici (binari) di qualsiasi rete sociale; questo poiché tale forma di spiritualità, verrebbe costantemente intaccata da una natura ...’troppo umana’. La vera spiritualità umana, nascerà solo quando saremo biologicamente pronti ad accoglierla; ovvero quando la nostra mente inizierà a funzionare prevalentemente seguendo degli schemi analogici. Attraverso una modalità di elaborazione dell’Informazione, che si avvalga principalmente di algoritmi e modelli che trascendono l’attuale tipologia di stampo binario del pensiero umano, cambierà il nostro modo di pensare e quindi di interpretare la realtà che ci circonda. Solo in quel momento la nostra specie comincerà ad andare contro il principio di Gause, e solo in quel momento quindi,
  • 39. inizieremo a convivere serenamente gli uni con gli altri; ma occorrerà aspettare ancora un po' di millenni, affinché ciò accada”. C.T.: “Mi puoi spiegare brevemente la differenza tra pensiero binario e pensiero analogico? Perché quest'ultimo dovrebbe influenzare positivamente la spiritualità? E infine, che cos'è il principio di Gause?” F.I.: “Con ‘pensiero binario’ si intende una modalità di pensare- ragionare, prevalentemente con schemi assai semplici, basati soltanto su pochi elementi di discernimento (se non è nero è bianco, se non è tuo è suo, e via dicendo). Mentre con ‘pensiero analogico’, si intende una modalità di pensare-ragionare, con algoritmi molto più complessi, basati su molteplici elementi di discernimento. In quanto al ‘Principio di Gause’, esso afferma che qualora due specie competano tra loro per le stesse limitate risorse, in situazioni in cui sono entrambe presenti, una delle due sarà più capace di sfruttare o controllare l’accesso a queste risorse e, alla fine, eliminerà l’altra. Si tratta di un principio che in biologia evoluzionistica è applicabile solo tra diverse specie animali; ma nel caso della specie umana, non possiamo di certo dubitare del fatto che esso sia presente anche tra i diversi popoli che la compongono. Basti pensare a come l’uomo di ‘razza’ bianca nord-occidentale, sia in grado di manipolare a proprio vantaggio (ossia per il proprio profitto) il comportamento di molte popolazioni, su vastissime aree di ogni continente terrestre; sfruttando così la manodopera indigena e organizzando talvolta, quando è ’necessario’, delle guerre locali a scadenza indeterminata. Si consideri inoltre che il fenomeno dell’esclusione competitiva umana (ovvero il ‘Principio di Gause’ adattato alla specie umana), è semplicemente un’attitudine comportamentale condizionata da una serie di impulsi neurogenetici di antico stampo. Quando questi impulsi scemeranno col passare dei millenni, tale fenomeno tenderà a scomparire. E a quel punto non vi sarà più alcun motivo di preoccuparsi di quanto sarebbero realmente limitate le risorse sulla Terra per una popolazione che dovesse superare i dieci miliardi di individui, perché grazie al benessere globale, intere popolazioni umane tenderanno ad avere un tasso d’incremento demografico pressoché nullo. E dopo questa piccola digressione sul ‘Principio di Gause’, vorrei tornare ancora un attimino sui miei passi, e riprendere il concetto di pensiero analogico. Ebbene un pensiero analogico, è in grado di ‘aprirci gli occhi’ su tutti i potenziali vantaggi che potremmo trarre gli
  • 40. uni dagli altri, adottando un comportamento sociale di profondo altruismo (in cui tutti sono tenuti a comportarsi altruisticamente ...ma proprio tutti). D'altronde tale comportamento non è ciò che tutte le religioni del mondo continuano a professare da duemila anni a questa parte? Ma nessuno potrà mai capire le Upanishad dell'Induismo (per fare un esempio), se è in grado di vedere solo il bianco e il nero in tutto ciò che lo circonda (tralasciando tutte le altre sfumature); la nostra mente deve quindi necessariamente evolvere, deve imparare a ragionare secondo schemi olistici, analogici. Ecco allora che a tal punto il nostro lato spirituale nascerebbe spontaneamente, senza alcuno sforzo o sacrificio, perché sarebbe la nostra stessa natura ad obbligarci ad adottarlo, ad usufruirne. Gli illuminati (nel senso spirituale del termine) oggi hanno vita difficile, perché il tessuto sociale mondiale in cui si trovano, non permette loro di integrarsi. Al massimo possono formare delle comunità, che a loro volta resteranno sempre escluse dal resto del mondo”. C.T.: “Come vedi la correlazione tra il ‘Livello di complessità della sfera PEST’ (LC-PEST) e il passaggio del pensiero umano da ‘sistema binario’ a ‘sistema analogico’? Affinché avvenga questo passaggio, come deve evolvere il ‘Fattore biologico-evolutivo’?”. F.I.: “Il ‘Fattore biologico-evolutivo’ deve certamente evolvere a favore di una maggiore intelligenza, che sia a sua volta caratterizzata da un sistema di elaborazione dell'Informazione di tipo analogico. Dovrà quindi nascere una nuova forma di intelligenza, molto più intuitiva che razionale, affinché possa scemare l’influenza del denaro sull'uomo. Il punto è che, con l'aumentare della capacità di elaborazione dell'informazione in forma analogica, aumenta anche il ‘Livello di complessità della sfera PEST’ (LC-PEST), e oltretutto in misura molto maggiore (se consideriamo degli intervalli di tempo di poche centinaia di anni). Per cui siamo destinati a commettere ‘errori’ di ogni tipo, in qualsiasi sfera dell'attività umana, sino alla fine dei nostri giorni (ovvero sino alla nostra estinzione come specie). Col passare dei secoli commetteremo sicuramente meno errori volontari, ma ciò non rappresenterà alcuna garanzia per la nostra specie, contro una potenziale estinzione prematura”. C.T.: “Ma in ultima analisi, per intenderci, la “Complessità della sfera PEST’ (C-PEST), in che modo deve evolvere, affinché il pensiero umano possa passare da ‘sistema binario’ a ‘sistema analogico’? Deve aumentare, oppure deve diminuire?”.
  • 41. F.I.: “La ‘Complessità della sfera PEST’, non può in alcun modo influenzare la nostra potenzialità biologico-evolutiva di pensare o meno in termini analogici. Sono due discorsi separati, sembra un paradosso ma è così. Questi due fattori sono costretti ad interagire tra loro, ma la loro evoluzione non dipende l'una dall'altra. La ‘Complessità della sfera PEST’, potrebbe accrescere in modo esponenziale (come tra l'altro è accaduto in quest'ultimo secolo appena trascorso da circa tre lustri) anche senza un sostanziale incremento del ‘Fattore biologico-evolutivo’; anzi, è quasi la norma, visto che il progresso scientifico è dovuto essenzialmente alla sperimentazione e al caso, e che bastano a volte pochi ‘lampi di genio’ della durata di qualche minuto, a farlo evolvere (Einstein girava sempre con un lapis e un taccuino, per non lasciarsi mai sfuggire questi ‘lampi di genio’, o super intuizioni). Da un ‘lampo di genio’, poi nascono le strade più razionali e di tipo binario per poter continuare ad approfondire determinati discorsi o studi scientifici; per cui usiamo formule matematiche per poter modellare le nostre idee, per poter dar loro una forma ben chiara e ...razionalmente accettabile. Oggi il pensiero analogico ci appare solo in forme assai effimere, con ‘lampi di genio’ circoscritti e di cui la natura fa dono solo a poche persone, ma un domani le cose potrebbero cambiare”. C.T.: “Per te quindi, il pensiero analogico è favorito semplicemente da una costante evoluzione del ‘Fattore biologico-evolutivo’, se ho ben capito. Un percorso che dovrà avvenire naturalmente, quindi. Ma secondo te, c’è qualcosa che l'uomo potrebbe fare, per stimolare il pensiero analogico? Ovvero per cercare di farlo in qualche modo emergere?”. F.I.: “Il percorso deve avvenire in modo naturale, affinché l'intera umanità possa godere dei suoi ‘frutti’. Il pensiero analogico è favorito semplicemente da una costante evoluzione del ‘Fattore biologico- evolutivo’; un percorso quindi che dovrà avvenire in modo del tutto naturale. Lo si può stimolare con la meditazione, ma ugualmente non diverrebbe mai la caratteristica principale del nostro modo di pensare. Finché tutti non saremo pronti, e quindi neurobiologicamente diversi da come siamo attualmente, il mondo non cambierà mai in meglio”. C.T.: “Dal mio punto di vista, credo comunque che il passaggio da ‘pensiero binario’ a ‘pensiero analogico’, non potrà essere dato da un’evoluzione del “Fattore biologico-evolutivo”; poiché una tale