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TESINA DI STORIA DELLA PEDAGOGIA - LM
Dewey e Steiner
Modelli di “educazione nuova” comparati
Docente: Paolo Marangon
Studente: Matteo Aluigi
Anno accademico 2012/2013
1
Sommario
Introduzione ..........................................................................................2
Cap. 1 – Sulla rilevanza assegnata alla psicologia del fanciullo.............4
Cap. 2 – Sul richiamo agli interessi-bisogni del discente.......................8
Cap. 3 – Sulla creazione di uno stretto rapporto tra scuola e vita ......13
Cap. 4 – Sulla promozione di un’intelligenza operativa e pratica .......18
Brevi considerazioni finali ...................................................................23
Bibliografia ragionata .........................................................................25
2
Introduzione
«Nell’ultimo scorcio dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento si avverte una crescente
attenzione all’educazione e alla scuola: c’è una vera e propria fioritura di proposte e di esperienze. Si è
potuto parlare, al riguardo, di un “movimento di riforma pedagogica”».1
A quest’altezza storica ed in tale
contesto di “riforma pedagogica”, John Dewey (1859 – 1952) e Rudolf Steiner (1861 – 1925) «promossero
approcci educativi radicali e globali: [rispettivamente] l’educazione progressiva e le scuole Waldorf.
Ciascuno scrisse e parlò della propria filosofia [dell’educazione] e formulò modalità concrete per porre in
pratica [tali filosofie] nelle scuole».2
Ora, «nonostante in relazione a molti aspetti Dewey e Steiner
differiscano enormemente tanto a livello filosofico quanto a livello metodologico, [va tuttavia riconosciuto]
che essi condividono delle premesse comuni relativamente all’educazione».3
Il presente elaborato scritto
nasce proprio al fine di vagliare se sussistano o meno tali premesse pedagogiche comuni, pur nella diversità
delle impostazioni filosofiche e metodologiche dei due pensatori.
Più nello specifico si tratta di operare un raffronto comparativo tra i principi dell’educazione nuova (o
“educazione progressiva” nella letteratura anglofona) che animano la pedagogia di Dewey e quelli che sono
alla base della pedagogia Waldorf elaborata da Steiner. Questo raffronto si articola intorno a quelli che
vengono considerati i “quattro principali nuclei tematici” della pedagogia dell’educazione nuova – vale a
dire la “rilevanza assegnata alla psicologia del fanciullo”, il “richiamo agli interessi-bisogni” del discente, la
necessità di creare uno “stretto rapporto tra scuola e vita” e la promozione di un’“intelligenza operativa e
pratica”.4
Nella fattispecie, in merito a ciascuno di questi punti, viene preso in esame da un canto quanto
sostiene Dewey (attingendo principalmente a Il mio credo pedagogico del 1897, Scuola e società del 1899,
Come pensiamo del 1910 e Democrazia e educazione del 1916) e dall’altro quanto propone Steiner (in
diverse opere pedagogiche e trascrizioni delle varie conferenze da lui tenute sul tema dell’educazione tra il
1907 ed il 1924).5
Considerando il primo pensatore quale il vero e proprio “fondatore del movimento
dell’educazione progressiva”,6
nonché punto di riferimento emblematico e “teorico più illustre
dell’educazione nuova, data la ricchezza e il rigore filosofico del suo pensiero”,7
si esaminerà se la
pedagogia Waldorf possa o non possa essere considerata come una delle varie prospettive legate al
1
R. LANFRANCHI – J.M. PRELLEZO, Educazione, scuola e pedagogia nei solchi della storia, LAS, Roma 2008, vol. II –
Dall’illuminismo all’era della globalizzazione, p. 303.
2
J. ENSIGN, A conversation between John Dewey and Rudolf Steiner: a comparison of Waldorf and progressive
education in «Educational theory», vol. 46, no. 2 (June 1996), traduzione nostra, p. 175: «John Dewey and Rudolf
Steiner were contemporaries who each launched radical worldwide educational approaches: Progressivism and
Waldorf schools. Each wrote and spoke about his philosophy and formulated concrete ways to put it into practice in
schools».
3
Ibidem, traduzione nostra: «in many respects, Dewey and Steiner differed greatly in their philosophies and
methods, but they also shared common premises about education».
4
Cfr. G. CHIOSSO, Novecento pedagogico, La Scuola, Brescia 1997, pp. 55-6.
5
Per entrambi gli autori, le opere prese in esame abbracciano un arco di tempo piuttosto ampio in modo tale da
poter tenere conto delle considerazioni che maturarono prima, durante ed in seguito alle esperienze pedagogiche
concrete che segnarono i due pensatori – la fondazione della Laboratory school a Chicago nel 1896 (per Dewey) e
l’apertura della prima Scuola Waldorf a Stoccarda nel 1919 (per Steiner).
6
P. SORZIO, Dewey e l’educazione progressiva, Carocci, Roma 2009, p. 39.
7
F. CAMBI, Manuale di storia della pedagogia, Laterza, Roma-Bari 2003, p. 285.
3
movimento delle “scuole nuove”, analizzando (e, infine, valutando sommariamente) i punti d’incontro e di
scontro tra Steiner e Dewey a livello di premesse pedagogiche.8
Prima di entrare nel merito del presente lavoro, a conclusione di questa breve introduzione e a mo’ di
legittimazione di questo stesso testo, è opportuno soffermarsi su una considerazione, che metta in luce
l’importanza di un lavoro comparativo in campo pedagogico. Fosse anche solo per destare l’attenzione del
lettore, piuttosto che per rispondere ad eventuali critiche di ridondanza che potrebbero essere mosse ad
un lavoro del genere, è necessario ricordare che un’indagine comparativa non è semplicemente un
pleonastico bric-à-brac intellettuale: «spesso il modo migliore per rendersi conto di una determinata
modalità educativa è quello di esaminarne altre. Familiarizzare con ciò che è straniero ed estraniarsi da ciò
che è familiare sono due slogan direttivi per gli studiosi di antropologia culturale […]. Per qualsiasi persona
interessata alla comprensione e al miglioramento della scuola […], un buon punto di partenza consiste in
un’analisi delle altre tipologie di sistemi scolastici».9
8
Non è di certo inedita l’operazione di accostare l’educazione nuova alla pedagogia Waldorf in un’ottica
comparativa al fine di valutare affinità e differenze. Già un’indagine particolarmente accurata dell’Unesco si cimentava
in parte in un lavoro simile, sottolineando in ultima istanza che «nella prospettiva storica e sistematica, il lavoro
pratico delle scuole Rudolf Steiner […] mostra collegamenti particolarmente stretti con le altre tendenze della Nuova
Educazione. Ciò si mantiene ben visibile [ad esempio ed] in primo luogo per la struttura e l’organizzazione [delle
scuole steineriane]: sono imprese che mantengono la propria autonomia finanziaria e d’insegnamento e sono
caratterizzate da una tendenza educativa che mette al centro il bambino. I genitori e gli insegnanti lavorano insieme
nell’interesse dello sviluppo del bambino» (H. ULLRICH, Rudolf Steiner (1861 – 1925). Un pensatore e un riformatore
neo-romantico in «Prospettive: la rassegna trimestrale di educazione comparata», trad. it. M. Orlandi, Unesco, Parigi,
vol. XXIV, no. 3/4 (1994), pp. 560-1).
9
P. B. UHRMACHER, Uncommon schooling: a historical look at Rudolf Steiner, anthroposophy and Waldorf education
in «Curriculum inquiry», vol. 25, no. 4 (Winter 1995), traduzione nostra, p. 382: «oftentimes the best way to see one
style of education is by examining others. Making the strange familiar and the familiar strange are two guiding slogans
for cultural anthropologists […]. For anyone interested in understanding or improving public schools, one important
place to start is with the investigation of other types of school systems».
4
Cap.	1	–	Sulla	rilevanza	assegnata	
alla	psicologia	del	fanciullo
 Premessa per Dewey
L’educazione nuova prende le mosse a partire da «una critica severa […] contro la cosiddetta “scuola
tradizionale”, denunciata come scuola dello sforzo, del castigo, come scuola passiva, adultistica, centrata
sul programma, lontana dalla vita reale».10
Per dirla con Dewey, la “vecchia educazione” era caratterizzata
da «passività dell’atteggiamento, meccanico inquadramento in massa dei ragazzi, uniformità dei programmi
e del metodo […]. Il centro di gravità [era posto] fuori dal fanciullo. [Nell’educazione nuova invece si
verifica] lo spostamento del centro di gravità […]: il fanciullo diventa il sole intorno al quale girano gli
strumenti dell’educazione. Esso è il centro attorno al quale essi sono organizzati, [in modo tale che] nella
scuola la vita del fanciullo diventa lo scopo che sovrasta ogni altro […]. Deve imparare? Certamente, ma
prima deve vivere, e imparare mediante e in relazione con questa vita».11
Questa svolta puerocentrica
implica anzitutto il porre enfasi sulla psicologia del fanciullo, al fine di «promuoverne la crescita fisica,
intellettiva, affettiva e sessuale, non tanto richiamandosi ad una prestabilita concezione filosofica
dell’uomo, quanto affidandosi alle indicazioni messe a punto dagli studi di psicologia dell’età evolutiva».12
 Dewey
Dewey si fece promotore di una «concezione moderna dello spirito [o, in altri termini, della psiche
umana] come essenzialmente processo, processo di sviluppo e non oggetto immobile».13
Ai suoi occhi:
«la dottrina passata considerava lo spirito come spirito, e questo era tutto. Lo spirito era il
medesimo sempre; perché arredato dello stesso assortimento di facoltà sia nel bambino che
nell’adulto […]. Il ragazzo era un piccolo uomo e il suo spirito era un piccolo spirito, identico in
tutto a quello dell’adulto eccetto che nella misura, col suo arredamento già pronto di facoltà,
come attenzione, memoria, ecc… Ora invece noi crediamo che lo spirito sia una realtà in
sviluppo, e pertanto essenzialmente in mutamento, che presenta fasi distinte di capacità e di
interesse nei differenti periodi […]. “Prima erba, poi spiga, poi grano compiuto nella spiga” […].
[In passato] il corso di studi fu interamente, seppure inconsapevolmente, regolato dall’idea
che poiché lo spirito e le sue facoltà sono sempre gli stessi, le materie di studio dell’adulto che
ordinano logicamente fatti e principi costruiscono pure il naturale “studio” del fanciullo […]. Ne
risultò così il corso di studio tradizionale nel quale gli spiriti dell’adulto e del fanciullo erano
assolutamente identificati […]. L’intera sfera dell’universo fu divisa in sezioni chiamate studi, e
ciascuno di questi fu diviso in pezzetti, ognuno dei quali fu assegnato a un certo anno del corso
[…].
[Alla luce della svolta puerocentrica] si deve [invece] effettuare la scelta e la distribuzione del
materiale lungo il corso di studi con riguardo al contenuto adatto alle direzioni dell’attività in
un dato periodo e non a segmenti staccati di un organismo precostituito».14
10
R. LANFRANCHI – J.M. PRELLEZO, Educazione, scuola e pedagogia cit., p. 303.
11
J. DEWEY, Scuola e società in «Il mio credo pedagogico. Antologia di scritti sull’educazione», La Nuova Italia,
Firenze 1963, cap. III – La scuola e la vita del fanciullo, pp. 63-5.
12
G. CHIOSSO, Novecento pedagogico cit., p. 55.
13
J. DEWEY, Scuola e società cit., cap. IV – Psicologia dell’istruzione elementare, p. 90.
14
Ibid., pp. 90-1.
5
Assegnata tale rilevanza alla psicologia del fanciullo, in virtù di “processo” e non di “oggetto immobile”,
Dewey poteva procedere ad affrontare la “questione delle fasi dello sviluppo” e di come ci si debba
accostare a queste sotto un profilo pedagogico.
«Il primo stadio (che si riscontra nei fanciulli da circa quattro a otto anni) è caratterizzato
dall’immediatezza degl’interessi sociali e personali e dall’immediatezza con cui si effettua il
rapporto fra impressioni, idee e azioni. In questa fase c’è un’urgente e immediata necessità di
movimento per esprimersi. [Di conseguenza, si cerca di fare in modo che il ragazzo] si avvicini a
una forma sociale, in giochi, occupazioni, arti industriali in miniatura, racconti, immaginazione
pittorica e conversazione […]. Il materiale non viene presentato sotto forma di lezioni […], ma
come qualcosa che debba venire immesso nella stessa esperienza del fanciullo attraverso
attività sue proprie. [È opportuno che si dia] ad esse un rilievo tale da dominare il programma
scolastico allo scopo di mantenere l’intima connessione fra il conoscere e il fare che è così
caratteristica di questo periodo della vita del fanciullo […].
Nel secondo periodo, che va dagli otto o nove anni agli undici o dodici, lo scopo da proporsi è
quello di riconoscere e favorire il mutamento che deriva nel fanciullo dal suo senso crescente
della possibilità di risultati più duraturi e oggettivi [di contro a quelli immediati e più soggettivi
del primo periodo] e della necessità di controllare i mezzi atti a fornire la maestria necessaria
per raggiungere questi risultati. [L’adeguamento dei mezzi ai fini e la scoperta dei nessi fanno
sì che], all’identificazione personale e drammatica del fanciullo con la vita sociale studiata, che
caratterizza il periodo precedente, si aggiung[a] ora un’identificazione intellettuale, in quanto il
ragazzo si pone sul piano dei problemi che devono essere affrontati e riscopre in qualche
modo i mezzi per affrontarli. [Tanto l’esperienza intellettuale quanto quella sociale del ragazzo
si affinano alla ricerca di “risultati permanenti”, che richiedono norme e regole, come il
ragazzo può appurare in prima persona attraverso l’aspetto sperimentale e analitico degli studi
che gli si propongono – per quel che concerne l’esperienza intellettuale – e attraverso il
carattere dei giochi dei giovani di quest’età – per quanto riguarda l’esperienza sociale –].
Il terzo periodo dell’istruzione elementare sta sul limite di quella secondaria [da circa undici o
dodici anni fino a tredici o quattordici anni. Dewey lavora coi materiali di osservazioni sue e dei
suoi collaboratori nella scuola di Chicago [e], riguardo all’ultimo periodo, […] egli manca di dati
sperimentali sufficienti a consentire alcuna generalizzazione. Ciò non toglie che il filosofo
americano possa giungere ad una conclusione generale]: il ragazzo ha [ormai a quest’età] una
sufficiente conoscenza, attinta in modo assai diretto, di varie forme di realtà e di vari modi di
attività, e [quindi] si è reso abbastanza padrone dei metodi e degli strumenti di pensiero, di
indagine e di attività appropriati alle varie fasi di esperienza in modo da potersi dedicare con
profitto ad arti e studi speciali e distinti con finalità tecniche e intellettuali».15
 Premessa per Steiner
La pedagogia e, a fortiori, l’intero pensiero di Steiner prendono inevitabilmente le mosse a partire
dalla sua Weltanschauung d’impronta spiritualista – l’antroposofia. Si tratta di una «via della conoscenza
che vorrebbe condurre lo spirituale che è nell’uomo allo spirituale che è nell’universo».16
Nell’antroposofia
15
Ibid., pp. 93-100 e 104.
16
S. CHISTOLINI, La pedagogia secondo Rudolf Steiner. L’humanitas e il movimento delle Scuole Waldorf,
FrancoAngeli, Milano 2008, p. 28. In maniera più distesamente descrittiva, «l’antroposofia indica all’uomo come
giungere gradualmente dal sapere consueto (esclusivamente legato alla percezione) alla conoscenza interiormente
reale attraverso esercizi di meditazione e di concentrazione e attraverso procedimenti animici, riguardanti la volontà e
il sentimento oltre la percezione e il pensiero, che portano all’ispirazione, all’intuizione, allo hellsehen (chiara visione),
fino a cogliere l’universalità dell’essere cosmico che si manifesta nei singoli uomini in incessanti metamorfosi evolutive
e si esprime nelle vicende in cui singoli individui vengono a trovarsi» (L. ARGENTINO BUX, Rudolf Steiner in M. LAENG,
«Enciclopedia pedagogica», La Scuola, Brescia 1994, vol. VI, p. 11198).
6
l’uomo è concepito integralmente come un essere “articolato in sé come corpo, anima e spirito”;17
un
essere che «può venir compreso soltanto in connessione col cosmo. [Infatti] prima della nostra nascita
eravamo nel cosmo, e le nostre esperienze di allora si riflettono adesso in noi; quando poi avremo varcato
la porta della morte, ritorneremo nel cosmo: la nostra vita avvenire si esprime in germe in ciò che domina
ora nella nostra volontà»,18
una volontà che ci spinge verso «un’indagine scientifica [in senso
antroposofico] del mondo spirituale [affinché si possano] attivare le forze dell’uomo [corporee, animiche e
spirituali] assopite nella coscienza ordinaria e abituale perché egli possa penetrare nel mondo
soprasensibile, [che varrebbe a dire ricongiungersi al cosmo mediante una sorta di risveglio spirituale]».19
Di conseguenza, all’interno del movimento antroposofico, l’interesse per la pedagogia sorge
naturalmente e spontaneamente e non è rivolto ad «una pedagogia astratta, ma [piuttosto alla]
realizzazione pratica di un modo di vivere. Educazione e pedagogia sono per Rudolf Steiner arte, poiché
intendono far venir fuori l’elemento divino, spirituale che è nel bambino. [A tal proposito, Steiner non può
che costruire] la sua arte dell’educazione su di un’ampia e generale conoscenza dell’essere umano».20
Nelle
sue stesse parole: «se guardate spassionatamente il bambino appena disceso in questo mondo, vi
accorgerete che in lui […] lo spirito-anima non è ancora veramente congiunto alla corporeità fisica, solida. È
missione dell’educazione, intesa in senso spirituale, far incontrare armonicamente queste due parti
costitutive dell’essere umano, metterle d’accordo».21
Ne deriva che, per poter compiere la sua missione, la
pedagogia steineriana deve principiare con un “approfondimento scientifico spirituale nell’essere
dell’uomo”, che assume un valore fondante e centrale per l’intera proposta educativa: «per il problema
dell’educazione, non si avanzeranno richieste o programmi, ma verrà semplicemente descritta la natura del
bambino. Dall’essere dell’uomo in formazione risulteranno, naturalmente, gli spunti per l’educazione».22
 Steiner
Al pari di Dewey, anche Steiner fu convinto assertore di una “concezione moderna” della psiche come
“processo di sviluppo”, di contro ad un concezione statica ed astratta. Tale concetto fu persino esteso
all’intero essere dell’uomo, in quanto non la sola mente bensì lo «sviluppo [globale] del bambino e
dell’adolescente è concepito come un processo di crescita e di metamorfosi in cui le forze cosmiche
vegetative, animali ed intellettuali si sviluppano in fasi successive […], secondo il ritmo cosmico di periodi di
17
R. STEINER, L’arte dell’educazione come base di una vera conoscenza dell’uomo in «Educazione del bambino e
preparazione degli educatori», Antroposofica, Milano 1996, p. 49. Cfr. anche R. STEINER, Arte dell’educazione I –
Antropologia, Antroposofica, Milano 2009, pp. 45 e 154.
18
Ibid. p. 38.
19
L. ARGENTINO BUX, Rudolf Steiner cit., p. 11198.
20
Ibid., p. 11199.
21
R. STEINER, Arte dell’educazione I cit., pp. 21-2. Per una maggiore chiarezza concettuale relativamente al fine
ultimo della pedagogia steineriana, cfr. S. CHISTOLINI, La pedagogia secondo Rudolf Steiner cit., p. 26.
22
R. STEINER, L‘educazione del bambino dal punto di vista della scienza dello spirito in «Educazione del bambino e
preparazione degli educatori», Antroposofica, Milano 1996, p. 12. A titolo di chiarificazione per l’intera descrizione
antropologica e psicologica del bambino in senso antroposofico che seguirà, può essere utile richiamare alla mente un
paragone steineriano: «tutta la vita è come una pianta che non contiene soltanto quello che si presenta all’occhio, ma
che nasconde pure nelle sue recondite profondità anche uno stadio futuro […]. Già ora la pianta contiene
nascostamente la disposizione ad avere fiori e frutti. Però, come si potrebbe dire quale sarà l’aspetto di tali organi se
della pianta si volesse studiare soltanto quello che essa offre ora al nostro sguardo? Lo si potrà soltanto conoscendo la
natura della pianta. Anche tutta la vita umana contiene in sé disposizioni per il suo avvenire. Ma per poter dire
qualcosa di quell’avvenire occorre penetrare nella natura nascosta dell’uomo» (ibid., p. 10).
7
sette anni».23
Tuttavia, diversamente da Dewey, Steiner è critico verso le dottrine psicologiche non tanto
del passato quanto piuttosto di quelle moderne ed odierne. Causticamente, egli ritiene che:
«è vero che in moltissime scuole è stata riconosciuta la necessità di porre ogni istruzione ed
educazione su basi psicologiche, e tutti sanno che per esempio la pedagogia herbartiana […]
fondava le proprie misure educative sulla psicologia dello stesso Herbart. Ma negli ultimi
secoli, e ancora oggi, qualcosa impedì l’affermarsi di una psicologia vera e feconda […].
Chiunque oggi prenda in mano un testo di psicologia […] non vi troverà nessuna sostanza reale,
ed avrà la sensazione che gli psicologi si limitino a giocare con i concetti. Chi sviluppa oggi un
concetto esatto, chiaro, di rappresentazione, di volontà? [E non dobbiamo forse sviluppare nei
bambini il rappresentare, il sentire e il volere? Per quanti testi di psicologia o pedagogia si
possano sfogliare, non se ne ricaverà] un’idea vera di ciò che è “rappresentazione” e di ciò che
è “volontà”, perché si è del tutto trascurato […] di riallacciare […] il singolo individuo all’intero
universo. [E] solo quando si sia capaci di scorgere le relazioni del singolo uomo col cosmo
intero, si otterrà una giusta idea dell’essere umano come tale […].
Se da insegnanti facciamo nostra [una] facoltà, [per esempio quella] di operare a mezzo di
immagini [per formare la “volontà” di un bambino, almeno prima che egli abbia raggiunto il
quattordicesimo anno di età], dovremo avere continuamente il sentimento di lavorare
sull’uomo intero, di risvegliare un’eco in tutta la creatura umana».24
Posto l’accento sulla centralità della conoscenza dell’uomo, delle sue facoltà principali (rappresentare,
sentire e volere) e del loro sviluppo per l’esercizio di un’efficace azione pedagogica, Steiner poté procedere
a delineare più precisamente dei veri e propri stadi del processo di sviluppo.25
«Steiner sostenne che il bambino evolve attraverso tre stadi. Il primo lo etichettò come il
periodo dell’imitazione. Dalla nascita fino a circa sette anni, i bambini imparano grazie
all’imitazione e al fare […]. Steiner raffigurò questo primo stadio in termini di […]
organizzazione del corpo fisico. Detto altrimenti, la vita del bambino è dominata dal proprio
volere e dal proprio metabolismo. [Inoltre] Steiner ritenne che noi impariamo sfruttando
l’intero nostro corpo [e non solo la mente. Di conseguenza], in questo primo stadio di sviluppo,
imparare è un processo che permea la fisicità del bambino nella sua interezza.
Il secondo stadio ha inizio attorno ai sette anni, quando il bambino perde i denti da latte.
Secondo Steiner, la seconda dentizione che viene ad estromettere la prima rappresenta con
evidenza il corpo eterico che fuoriesce dal proprio “involucro eterico” […]. La forza eterica è ciò
che distingue i viventi dai minerali [e, per gli esseri umani], il corpo eterico diventa il portatore
del carattere, del temperamento, delle abitudini e della memoria. [Quindi] il motivo per cui gli
insegnanti Waldorf non insegnano ai bambini a leggere o a memorizzare informazioni [o a
concentrarsi su materie intellettuali] prima dei sette anni è dovuto al fatto che il corpo eterico
è ancora operativo solo in stretta connessione al corpo fisico. [Inoltre], Steiner sostenne che il
23
H. ULLRICH, Rudolf Steiner (1861 – 1925) cit., p. 558. «Nell’uomo è possibile parlare di quattro parti costitutive
della sua entità: corpo fisico, corpo eterico o vitale, corpo astrale o senziente e corpo dell’io. Anima senziente, anima
razionale, anima cosciente e anche le parti superiori della natura umana (sé spirituale, spirito vitale e uomo spirituale)
appaiono [poi] come risultati delle prime quattro parti […]. Come educatori si lavora sulle parti costitutive dell’entità
umana. Se si vuole lavorare in modo giusto, bisogna studiarne la natura. Non si deve però assolutamente pensare che
quelle parti si sviluppino nell’uomo in modo che in un momento qualsiasi della sua vita, per esempio alla nascita, siano
tutte egualmente avanzate. Il loro sviluppo avviene piuttosto nelle diverse età in modo diverso» (R. STEINER,
L‘educazione del bambino cit., p. 21).
24
R. STEINER, Arte dell’educazione I cit., pp. 28-9 e 43.
25
Gli stadi di sviluppo del bambino sono stati delineati da Steiner nel suo “primo scritto pedagogico” –
L‘educazione del bambino dal punto di vista della scienza dello spirito (1907) – e la loro trattazione è stata poi ripresa
pressoché in ogni conferenza successiva. In questa sede, per motivi di sintesi, se ne riporta un compendio chiaro ed
esaustivo tratto dalla letteratura secondaria, piuttosto che citare direttamente le parole dell’autore.
8
secondo stadio è il periodo del sentimento (feeling), del sentire [che] richiede un
insegnamento fatto di figure, immagini, ritmo [e, ancora], di fiabe, di leggende e di storie […].
Infine, il terzo stadio, che va dalla pubertà fino all’età di ventun anni, è segnata dal rilascio del
corpo astrale, il corpo della coscienza. In qualità di portatore di “dolore e piacere, di impulsi,
brame, passioni e così via”, il corpo astrale […] crea una nuova relazione tra mente e corpo. Il
pensiero ed il giudizio sono le due pietre angolari di questa fase di sviluppo […]. Ora gli
insegnanti possono ricorrere più liberamente ad astrazioni […]».26
 Annotazioni comparative conclusive
Nel porre al centro dell’opera educativa la psicologia del fanciullo ritroviamo diversi punti in comune tra
Dewey e Steiner. Entrambi si rivelano particolarmente critici verso una concezione “statica” della psiche del
bambino o dell’uomo in generale. Entrambi elaborano prospettive pedagogiche che si evolvono seguendo
passo per passo lo sviluppo del soggetto educato. Questo sviluppo, tanto per Dewey quanto per Steiner, si
articola in tre stadi: pur non essendoci accordo per quanto riguarda le età d’inizio e di fine di ciascuno degli
stadi, questi ultimi sono caratterizzati in maniera similare dai due pensatori – lo stadio iniziale è
caratterizzato dal predominio della “corporeità” mentre quello finale dalla possibilità di un esercizio pieno o
maturo del “pensiero”. Nello stadio intermedio dello sviluppo, tuttavia, compaiono constatazioni differenti:
in Dewey viene sottolineata maggiormente l’importanza delle prime “esperienze intellettuali”, in Steiner
quella del “sentimento”. La vera e propria differenza sostanziale, invece, risiede nel fatto che
«contrariamente al percorso preso da Dewey e Montessori, che hanno cercato di fondare la loro Nuova
Educazione sulle idee recenti della psicologia empirica del bambino, Steiner ha basato il suo programma
educativo interamente sulla sua antropologia spiritualistica cosmica: se vogliamo riconoscere l’essenza
dell’individuo nel suo sviluppo, dobbiamo partire da una considerazione della natura occulta dell’uomo in
quanto tale».27
Cap.	2	–	Sul	richiamo	agli	
interessi-bisogni	del	discente	
 Dewey
Dalla svolta puerocentrica, e dalla conseguente necessità di assegnare una grande rilevanza alla
psicologia del fanciullo, derivava un altro nucleo tematico fondamentale per l’educazione nuova: «per
educare in modo efficace [bisogna] appellarsi alle risorse del fanciullo e rispondere ai suoi interessi più
profondi […]. Educare significa [infatti] rispondere agli interessi (e ai bisogni) infantili».28
Tratteggiando una
vera e propria “teoria dell’interesse”, scrive Dewey:
«io credo che la questione del metodo [d’insegnamento] sia riducibile alla questione
dell’ordine dello sviluppo delle facoltà e degli interessi del fanciullo. La legge per la
presentazione e per la trattazione della materia è la legge implicita nella natura del fanciullo
medesimo [e] gli interessi sono i segni e i sintomi dello sviluppo di capacità […] Questi interessi
devono essere osservati come indici dello stato di sviluppo raggiunto dal fanciullo [poiché]
annunciano lo stadio nel quale il fanciullo sta per entrare; [poiché] solo mediante
26
P. B. UHRMACHER, Uncommon schooling cit., traduzione e corsivi nostri, pp. 389-91.
27
H. ULLRICH, Rudolf Steiner (1861 – 1925) cit., p. 558.
28
G. CHIOSSO, Novecento pedagogico cit., p. 55.
9
l’osservazione continua e sollecita degli interessi della fanciullezza è dato all’adulto di
penetrare nella vita del fanciullo. [Va comunque sottolineato che] a questi interessi non si deve
indulgere né li si devono reprimere. Reprimere un interesse significa sostituire l’adulto al
fanciullo […]; indulgere agli interessi significa sostituire ciò che è transeunte a ciò che è
permanente. L’interesse è sempre il segno di qualche potere celato; la cosa importante è di
scoprirlo».29
Proprio a partire dagli impulsi e dagli interessi dei ragazzi, facendo leva su di essi e utilizzando le
quattro forme in cui l’interesse si specifica (interesse sociale, indagativo, costruttivo e artistico), il metodo
attivo dell’educazione promuove e aiuta l’allargamento dell’esperienza dei ragazzi, la loro presa di contatto
con “un mondo più largo di realtà” sia naturale che sociale.30
Si tratta d’altronde di piani di realtà entro i
quali fin da sempre è ricompreso l’uomo; piani di realtà dai quali, proprio in funzione di tale
ricomprensione, interessi e bisogni naturali non possono che scaturire spontaneamente, allorché si
comprende che questi «termini esprimono [anzitutto] l’assorbimento dell’io in un oggetto»:31
«i cambiamenti nelle cose non sono estranei alle attività di una persona, […] la carriera e il
benessere della persona sono legati al movimento delle persone e delle cose. Interesse,
preoccupazione, significano che la persona e il mondo sono impegnati fra loro in una
situazione che si va sviluppando […].32
[Sul piano pedagogico, è necessario che la materia di studio venga presentata al bambino in
modo da] svegliarne l’interesse o di creare un senso di connessione. [Accade spesso che] i
genitori e i maestri si lamentano […] che i bambini “non vogliono ascoltare, non vogliono
capire”. [Ciò è dovuto al fatto che] le loro menti non sono sul soggetto proprio perché non li
tocca: non rientra nei loro interessi […].33
Il problema dell’istruzione è perciò quello di trovare il materiale che impegni una persona in
attività specifiche che abbiano uno scopo o un proposito per essa importante o interessante e
che consideri le cose non come strumenti di ginnastica ma come condizioni per il
raggiungimento di fini. [In questo consiste, in ultima istanza, l’inestimabile valore
dell’interesse: esso] rappresenta la forza motrice degli oggetti, siano essi percepiti o presentati
in immaginazione, in qualsiasi esperienza che abbia uno scopo.34
[Detto altrimenti], alla lunga il valore [dell’interesse consiste nel condurre] il bambino a
“pensare”, cioè a riflettere sui suoi atti e a impregnarli di scopi».35
Quest’ultimo punto è particolarmente significativo in quanto, in definitiva, per Dewey l’interesse non è
solo «una caratteristica originaria dell’apprendimento, perché attribuisce una tonalità emotiva favorevole
29
J. DEWEY, L’educazione di oggi in «Il mio credo pedagogico. Antologia di scritti sull’educazione», La Nuova Italia,
Firenze 1963, cap. I – Il mio credo pedagogico, pp. 18 e 22.
30
Cfr. J. DEWEY, Scuola e società cit., p. 74. «Teniamo presenti queste quattro forme di interessi – l’interesse per la
conversazione o comunicazione, per l’indagine e la scoperta delle cose, per la costruzione di oggetti, per l’espressione
artistica –; possiamo dire che sono le risorse naturali, il capitale non ancora investito, dal cui impiego dipende l’attiva
crescenza del fanciullo» (ibid., pp. 71-2).
31
J. DEWEY, Democrazia e educazione in «Il mio credo pedagogico. Antologia di scritti sull’educazione», La Nuova
Italia, Firenze 1963, cap. V – Interesse e disciplina, p. 108.
32
Ibid., p. 107. L’io non è qualcosa di separato dal mondo naturale e sociale. Esso è parte della realtà che si
sviluppa, ed esso esiste per promuovere e indirizzare tale sviluppo. L’interesse si spiega in virtù di questa connessione
originaria tra l’individuo e il mondo, che rende possibile l’interesse medesimo – “l’assorbimento dell’io nell’oggetto”
(cfr. ibidem). Persino etimologicamente «la parola interesse suggerisce […] ciò che vi è in mezzo, ciò che collega due
cose altrimenti distanti» (ibid., p. 109).
33
Ibid., p. 114.
34
Ibid., pp. 115 e 120.
35
Ibid., p. 114.
10
all’esperienza».36
Per Dewey l’interesse è soprattutto ciò che permette al bambino d’iniziare a “pensare”, in
quanto l’interesse, come il pensiero, «acquista la sua distinzione e la sua direzione in virtù di obiettivi e
contenuti intellettuali;37
in quanto, senza interesse (vale a dire senza curiosità, senza suggestioni e senza
ordine delle suggestioni)38
non si può muovere un solo passo verso il “pensare” (e, quindi, verso
l’individuazione di un fine, verso la riflessione sugli atti necessari a realizzarlo e verso l’esecuzione pratica di
questi atti):
«la curiosità va oltre il livello organico e sociale e diventa intellettuale nel grado in cui si
trasforma in [vero e proprio] interesse a scoprire da sé le risposte ai problemi che nascono dal
contatto con le persone e con le cose […]. Il problema cruciale di ogni educatore […] è quello di
utilizzare per propositi intellettuali la curiosità organica della esplorazione fisica e della
interrogazione verbale. Questo si può ottenere con l’interessarli a fini che sono più remoti, che
esigono la scoperta e l’intervento di atti, di oggetti e di idee intermedie. Proprio nel grado in
cui un fine distante controlla una serie di ricerche e di osservazioni e le collega assieme come
mezzi ad un fine, la curiosità assume definitivamente un carattere intellettuale [del tutto simile
e paragonabile al pensiero riflessivo]».39
 Steiner
Il “richiamo agli interessi-bisogni” del discente, centrale nella prospettiva dell’educazione nuova, è
fondamentale anche nell’ottica della pedagogia steineriana:
«chi non ha mai fatto esperienza dell’impotenza degli insegnanti allorché i loro compiti
vengono definiti da regolamenti o da richieste dei genitori? Chi non ha mai fatto esperienza
della frustrazione che si prova quando i compiti assegnati contraddicono gli interessi ed i
talenti innati del bambino (child’s innate interests and talents)? Chi non ha mai percepito o
osservato la verità secondo la quale persino gli sforzi più portentosi non raggiungono alcuno
scopo, se non sono messi in atto tenendo conto delle attitudini del bambino (child’s
aptitudes)? [Pertanto] consideriamo necessario focalizzarci sulla questione delicata relativa agli
interessi e ai doni innati del bambino (child’s innate interests and gifts) e tenerli in debita
considerazione quando si insegna […].40
Per interesse, noi intendiamo tutto ciò che riguarda come le persone esprimono i propri
desideri, come agiscono, se queste [si] sviluppano graziosamente o maldestramente – in altri
termini, tutto ciò che è legato alla vita dell’anima e alla nostra interazione con il mondo
esterno, tramite le nostre capacità e i nostri interessi (forti o deboli che siano) […].41
L’attenzione del bambino deve essere orientata verso compiti e attività coerenti con i suoi
talenti [ovvero con i suoi interessi]. I talenti devono essere ammaliati dagli oggetti esterni, [ma
bisogna fare attenzione]: non è giusto seguire la regola secondo la quale ai ragazzi dovrebbe
essere permesso di seguire i propri interessi, semplicemente perché li hanno.42
[D’altro canto,
36
P. SORZIO, Dewey e l’educazione cit., p. 41.
37
Ibidem.
38
J. DEWEY, Come pensiamo. Una riformulazione del rapporto fra il pensiero riflessivo e l’educazione, La Nuova
Italia, Firenze 1967, pt. I, cap. 3 – Le risorse native nell’educazione del pensiero, pp. 98-120.
39
Ibid., corsivi nostri, pp. 102-3.
40
R. STEINER, Interests, talents and educating children in «The education of the child and early lectures on
education», Anthroposophic press, Hudson 1996, traduzione nostra, p. 73.
41
R. STEINER, Interests, talents and education in «The education of the child and early lectures on education»,
Anthroposophic press, Hudson 1996, traduzione nostra, p. 98.
42
R. STEINER, Interests, talents and educating children cit., traduzione nostra, p. 81. Come si può notare nei
paragrafi che ivi seguono, gli interessi vanno orientati a seconda del temperamento personale del singolo – anche
Steiner, quindi, sembra essere contrario ad una “teoria lassista o spontaneista dell’interesse” proprio al pari di Dewey
(cfr. J. DEWEY, Democrazia e educazione cit., p. 109 e P. SORZIO, Dewey e l’educazione cit., p. 40).
11
però, è spregevole] se fissiamo una o un’altra determinata capacità che dovremmo sviluppare.
La giusta attitudine da adottare verso un essere umano che sta crescendo la conseguiamo
[allora] solo considerando ogni bambino individualmente e nella sua specificità».43
In ultima istanza, però, questa sottolineatura degli “interessi”, dei “talenti” e delle “attitudini del
bambino” sembrerebbe servire alla pedagogia di Steiner a scopi differenti rispetto a quelli ai quali mirava
Dewey. Quest’ultimo prestava particolare attenzione agli interessi in quanto “indici dello stato di sviluppo
raggiunto dal fanciullo”, veicoli per procedere verso un “allargamento dell’esperienza dei ragazzi” e germi
da coltivare per orientare i bambini verso il (e, successivamente, nel) “pensare”. Ma non è questo l’unico
motivo per cui l’educazione nuova fa appello agli interessi-bisogni del discente. Infatti, il fine ed il corollario
di tale appello consistono anche nella «necessità di predisporre di piani di lavoro e di sviluppo
personalizzati, [considerato che lo sforzo ad imparare del bambino va armonizzato] con le aspettative e i
bisogni profondi di [ciascun] individuo».44
È proprio su questa pista che, in vista di coniugare al meglio gli
insegnamenti in funzione degli interessi e dei bisogni di ogni singolo ragazzo, si pone la trattazione degli
interessi di Steiner – una trattazione che, si badi bene, piuttosto che confluire in una “teoria dell’interesse”,
sfocia in una “teoria della personalità”:45
«accostandoci ai bambini vediamo subito che essi sono diversi tra di loro e di questa diversità
bisogna tener conto nonostante l’insegnamento collettivo […]. Questa diversità si può
ricondurre a quattro tipi fondamentali, e il compito più importante dell’educatore e del
maestro è di conoscere veramente questi tipi fondamentali che vengono chiamati
temperamenti […]: il sanguinico, il melanconico, il flemmatico, il collerico. Riscontriamo che si
potrà sempre far rientrare in una di queste classi di temperamento l’indole caratteriologica di
ogni bambino [che ha molto a che fare con la manifestazione dell’interesse].
In senso scientifico-spirituale suddividiamo l’essere umano in io, corpo astrale, corpo eterico e
corpo fisico. Nell’uomo ideale dovrebbe naturalmente dominare fra queste quattro parti
costitutive dell’essere umano l’armonia predisposta dall’ordinamento cosmico, ma in realtà ciò
non avviene in nessuno […]. In ognuno predomina uno dei quattro elementi […]. Se predomina
particolarmente l’io […], allora [il bambino] ci appare con un temperamento malinconico.
[Questi bambini] hanno l’inclinazione a rimuginare e a stare meditabondi […]; essi non si
interessano facilmente alle impressioni esteriori [e] non si ha mai l’impressione che davvero
siano interiormente in ozio […]. Se predomina il corpo astrale, ci appare il temperamento
collerico […]. I bambini che esprimono energicamente la loro volontà con una specie di furia
sono collerici […]. Se predomina il corpo eterico, ci appare il temperamento sanguinico […]. Se
un bambino si interessa per breve tempo di un gran numero di cose e poi smette rapidamente
di interessarsene, dovremo designarlo come sanguinico […]. Se predomina il corpo fisico, ci
appare il temperamento flemmatico […]. [Se] abbiamo l’impressione che dei bambini siano
interiormente inerti, che siano come sommersi in se stessi, e che non dimostrino
partecipazione verso quanto avviene al di fuori, abbiamo a che fare con dei flemmatici […].
43
Ibid., traduzione nostra, p. 95.
44
G. CHIOSSO, Novecento pedagogico cit., p. 55.
45
Il concetto steineriano di personalità si pone «in opposizione alla ricerca psicologica contemporanea che ha
seguito una tendenza empirica: sullo sfondo della sua visione spirituale del mondo, [Steiner unisce] le forze [che si
manifestano nei ragazzi sotto forma di interessi, talenti e attitudini] con la vecchia dottrina europea dei quattro
temperamenti. Il carattere unico di uno specifico essere umano deve potersi descrivere precisamente con uno dei
quattro tipi di umori definiti da Galeno: melanconico, flemmatico, collerico e sanguinico. Ciascuno di questi quattro
temperamenti rappresenta un tipo psico-fisico completo, riconoscibile psicologicamente dal genere di stimoli cui
l’individuo è più ricettivo e, fisicamente, dalla configurazione del corpo. Steiner credeva che un temperamento
particolare fosse modellato dalla dominanza di una delle quattro forze cosmiche (fisiche, eteriche, astrali, spirituali)
[…]. Un compito importante dell’educazione è quindi armonizzare ed equilibrare le tendenze polarizzate del
temperamento» (H. ULLRICH, Rudolf Steiner (1861 – 1925) cit., p. 559).
12
[Come si può intuire, l’interesse è strettamente legato al temperamento del bambino in
quanto è attraverso il temperamento che si manifesta] tutto [l’]atteggiamento esteriore, tutto
il […] modo di essere. [È quindi necessario] che nei primi mesi del nostro insegnamento
esaminiamo i bambini sulla base di questi contrassegni [per] poter ripartire una classe in
quattro settori [e, all’atto concreto dell’insegnamento, capire] a quale gruppo ci si deve
rivolgere [per fare leva in maniera più efficace sugli interessi e le personalità specifiche, per
cercare di stimolare i singoli bambini al raggiungimento di un’armonia delle proprie parti
costitutive, attraverso opportuni interventi e rivolgimenti ai gruppi da parte degli insegnanti].46
 Annotazioni comparative conclusive
Nel richiamarsi agli interessi-bisogni del discente, Dewey e Steiner mostrano nuovamente notevoli
punti di contatto. Entrambi si mantengono entro un’ottica puerocentrica nel momento in cui fanno leva
sugli interessi e sui bisogni del bambino per attuare l’opera educativa. Così facendo, si evita una “pedagogia
basata sullo sforzo”, nella quale «l’agire è imposto e il bambino conduce un’attività a lui estranea».47
Ma,
allo stesso tempo, nessuno dei due si riversa in una “pedagogia basata sulla spontaneità”, nella quale
«l’attività di apprendimento tende a essere limitata alla durata dell’interesse».48
Piuttosto, Dewey elabora
una “teoria dell’interesse” nella quale, assecondando i diversi conati del soggetto educato, l’educatore è
poi in grado di indirizzarli verso uno scopo – tratto essenziale per la nascita stessa del “pensiero riflessivo”.
Mentre Steiner, dal canto suo, fa confluire i diversi tipi di interessi-bisogni dei discenti in una “teoria della
personalità”, attraverso la quale si apre per l’insegnante la possibilità di predisporre di “piani di lavoro e di
sviluppo personalizzati”.
46
R. STEINER, Arte dell’educazione III – Conversazioni di tirocinio e conferenze sul piano di studi, Antroposofica,
Milano 2007, pp. 9-12. Da quanto detto ne deriva che, se si entra in una scuola primaria steineriana, «l’ordine in cui gli
alunni sono messi in classe è determinato dal loro temperamento: i caratteri flemmatici e collerici si siedono nella
parte esterna con i temperamenti sanguinici e malinconici al centro. Durante la lezione, l’insegnante [può così]
indirizzarsi a turno ad ogni gruppo dando impulsi per equilibrarli» (H. ULLRICH, Rudolf Steiner (1861 – 1925) cit., p. 563).
47
P. SORZIO, Dewey e l’educazione cit., p. 40.
48
Ibidem.
13
Cap.	3	–	Sulla	creazione	di	uno	stretto	
rapporto	tra	scuola	e	vita
 Dewey
Oltre ad una svolta puerocentrica, che rende sensibile l’opera educativa verso le differenti fasi di
sviluppo del bambino e gli interessi-bisogni del discente, «un’altra peculiare caratteristica dell’educazione
nuova fu un più stretto rapporto tra scuola e vita, superando quella barriera, spesso artificiosa, che sovente
si frapponeva tra esperienze scolastiche e esperienze quotidiane».49
In breve, la scuola e l’educazione non
potevano più essere concepite come realtà allotrie nei riguardi della società. Il pensiero di Dewey è
particolarmente esemplare a tale proposito:
«io credo che ogni educazione deriva dalla partecipazione dell’individuo alla coscienza sociale
della specie […]. [Io credo che] la sola vera educazione avviene mediante lo stimolo esercitato
sulle facoltà del ragazzo da parte delle esigenze della situazione sociale nella quale esso si
trova […]. Io credo che l’individuo che deve essere educato è un individuo sociale e che la
società è un’unione organica di individui […].
Essendo l’educazione un processo sociale, la scuola è semplicemente una forma di vita di
comunità in cui sono concentrati tutti i mezzi che serviranno più efficacemente a rendere il
fanciullo partecipe dei beni ereditati dalla specie e a far uso dei suoi poteri per finalità sociali.
[Io credo che] l’educazione è, perciò, un processo di vita e non una preparazione a un vivere
futuro.
Io credo che la vita sociale del fanciullo è il fondamento della concentrazione, o della
correlazione, di tutta la sua educazione o sviluppo. La vita sociale conferisce l’unità
inconsapevole e lo sfondo di tutti i suoi sforzi e di tutte le sue realizzazioni. [Infatti io credo
che] l’educazione non può essere unificata nello studio delle scienze [né in quello della
letteratura, né in quello della storia o della geografia], poiché separata dall’attività umana la
natura stessa non è unità […].
[Infine] io credo che l’educazione è il metodo fondamentale del progresso e dell’azione sociale.
[Io credo che] l’educazione è una regola del processo mediante cui si giunge a partecipare della
consapevolezza sociale; e che l’adattamento dell’attività individuale sulla base di questa
consapevolezza sociale è il solo metodo sicuro di ricostruzione sociale».50
Riassumendo, per Dewey «l’educazione è per sua natura opera sociale, senza [per questo] nulla togliere
alla opportunità di “individualizzare” quant’è possibile l’opera educativa per adeguarla alle capacità del
singolo allo scopo di renderlo produttivo».51
Per il filosofo pragmatista americano, infatti, «individualismo e
socialismo sono tutt’uno».52
Così come il legame “io-oggetto dell’ambiente” (a partire dal quale scaturisce
l’interesse-bisogno, come si è visto nel capitolo precedente), anche il legame “individuo-società” non ha
soluzione di continuità:53
la società è “l’unione organica degli individui” e, di conseguenza, «soltanto a patto
di essere fedele al pieno svolgimento di tutti gli individui che sorgono alla vita, la società in ogni
cambiamento può essere fedele a sé stessa».54
“La società in ogni cambiamento” – questo si è detto.
49
G. CHIOSSO, Novecento pedagogico cit., pp. 55-6.
50
J. DEWEY, L’educazione di oggi cit., pp. 3-9, 10-15, 26.
51
M. LAENG, John Dewey in M. LAENG, «Enciclopedia pedagogica», La Scuola, Brescia 1994, vol. II, p. 3730.
52
J. DEWEY, Scuola e società cit., cap. II – La scuola e il progresso sociale, p. 34.
53
Cfr. P. SORZIO, Dewey e l’educazione cit., pp. 53-4.
54
J. DEWEY, Scuola e società cit., cap. II – La scuola e il progresso sociale, p. 34.
14
Proprio il tema della società in “cambiamento” consente di sottolineare un altro aspetto centrale
relativamente allo sviluppo del movimento per l’educazione nuova.
Se la scuola è intimamente legata alla società, le trasformazioni della scuola dovranno venire
giustificate da trasformazioni che siano avvenute o che si desideri recare nella vita sociale. Ne consegue che
l’educazione nuova, per avere una sua giustificazione, deve trovare il suo posto nel dinamismo sociale.55
Ora, di fatto:
«a partire dalla seconda metà del XIX secolo, le grandi trasformazioni nei processi produttivi
hanno creato nuovi ambienti umani, producendo alienazione, mobilità, perdita del controllo
sulla propria vita, ma contemporaneamente hanno aperto la possibilità di nuove relazioni
solidali per un crescente numero di persone di origini culturali molto diversificate, hanno
creato nuove opportunità per il futuro e favorito il moltiplicarsi delle esperienze artistiche.
Riconoscendo la realtà sociale, con le sue fatiche, le sue contraddizioni, le sue stratificazioni,
rompendo l’immagine della cultura funzionale ai ceti sociali privilegiati, l’educazione
progressiva trova nella molteplicità e nel pluralismo il tessuto della democrazia. Al centro
dell’attività didattica c’è l’apprendimento del metodo di problem solving [sviluppare il pensiero
riflessivo come strumento in vista della risoluzione di problemi],56
per far acquisire agli
studenti gli strumenti intellettuali e culturali per affrontare i problemi che riguardano la vita
comunitaria.
[In definitiva l’educazione nuova appare strettamente connessa alle trasformazioni sociali
sorte dopo la seconda metà del XIX secolo. Sembra dunque corroborata l’idea deweyana,
secondo la quale] la scuola va pensata in continuità con le altre sfere del vivere civile, perché
una scuola organizzata come una comunità democratica orientata allo sviluppo di un metodo
di problem solving ha ricadute significative nella società perché prepara cittadini capaci di
riflessione critica e di rompere le cristallizzazioni della vita quotidiana».57
 Steiner
Anche la pedagogia steineriana è indubbiamente una pedagogia ideata in stretta connessione con il
dinamismo sociale e i grandi mutamenti politico-economici, come quelli sorti tra la fine dell’‘800 e gli inizi
del ‘900. In particolare, dopo il primo conflitto mondiale, le grandi trasformazioni socio-politico-
economiche non erano più trascurabili a nessun livello sociale. Si rivolga l’attenzione ad un solo dato:
«il 23 aprile 1919 [e, quindi, lo stesso anno in cui fu fondata la prima scuola Waldorf], Rudolf
Steiner tenne una conferenza al deposito di tabacco della fabbrica di sigarette Waldorf-Astoria
a Stoccarda in Germania […]. L’armistizio era avvenuto l’11 novembre 1918. Le persone erano
stufe della guerra, allarmate per lo sconvolgimento sociale, preoccupate per il collasso
economico e minacciate da una possibile guerra civile in Germania […]. Steiner parlò della
necessità di decentralizzare entro lo Stato moderno tre sfere delle vita sociale – quella
spirituale (o culturale), quella politica (o legale) e quella economica. Offrendo speranza per un
nuovo ordine sociale/mondiale, Steiner voleva arrivare a sostenere che l’educazione può
giocare un ruolo importante nel modellare la società […].58
[Steiner credeva che] l’aggressività tra i popoli derivava da una confusione fra interessi politici,
economici, culturali. Al fine di evitare altri conflitti mondiali egli proponeva appunto la
55
Cfr. ibid., p. 35. «Il fatto chiaro è che la nostra vita sociale si è trasformata in modo profondo e radicale. Se la
nostra educazione deve avere qualche significato per la vita, occorre che anch’essa passi attraverso una
trasformazione altrettanto profonda» (ibid., p. 57).
56
Cfr. J. DEWEY, Come pensiamo cit., pt. I, cap. 1 – Che cos’è il pensiero?, pp. 98-120 e pt. II, cap. 7 – Analisi del
pensiero riflessivo, pp. 174-193.
57
P. SORZIO, Dewey e l’educazione cit., pp. 18-9 e 40.
58
P. B. UHRMACHER, Uncommon schooling cit., traduzione nostra, p. 383.
15
teorizzata distinzione tra i tre corpi: l’economico, il politico ed il culturale […]. Dal punto di
vista spirituale [o culturale], ciò che più rendeva frustrati gli operai, per il pensatore austriaco,
era l’inferiorità culturale, la consapevolezza di non potere accedere ad una migliore
educazione intellettuale e morale che permettesse loro una piena partecipazione sociale. Di
qui l’importanza attribuita all’elevazione degli uomini ad una vita libera spiritualmente
fondata».59
Vieppiù, oltre ad essere legata al dinamismo sociale dell’epoca in cui sorse, la prospettiva pedagogica
steineriana, al pari di quella deweyana, fa propria la necessità di superare la “barriera artificiosa tra
esperienze scolastiche e esperienze quotidiane”:
«c’è un detto: il carattere di una persona si plasma in parte con lo studio ed in parte attraverso
la vita. Ma scuola ed educazione non dovrebbero essere separate dalla vita. Piuttosto si
dovrebbe dire che il carattere di una persona sarà opportunamente plasmato quando lo studio
è anche vita.60
L’educazione deve poggiare sulla conoscenza e non su slogan quali “educate armoniosamente”
o “considerate l’individuo”. Provate ad educare armoniosamente quando non sapete dove
conducono gli interessi (interests), o provate a porre l’accento sul singolo quando non sapete
come individuare le specificità di un individuo! In ogni caso, questo è solo un aspetto
dell’educazione. Gli esseri umani non vengono al mondo esclusivamente per il loro interesse
(sake), ma anche per l’interesse dell’umanità […]. Di conseguenza, se noi vogliamo educare
coscienziosamente, dobbiamo riconoscere che non educhiamo persone solo in quanto
individui.61
[D’altro canto] l’educazione è sempre stata un interesse (concern) della società e così rimane
oggi. E così dovrà essere in futuro. Per l’educazione, pertanto, è necessario comprendere cosa
la società richiede in una determinata era».62
Tale consapevolezza sembrerebbe di primo acchito avvicinare Steiner quanto più possibile a Dewey. Ad
uno sguardo più attento, invece, si è probabilmente davanti ad uno dei punti di maggiore distacco tra i due.
L’enfasi che Steiner pone sull’umanità, al di là dell’individualità specifica del singolo, non si traduce infatti in
una concezione dell’educazione come “opera sociale” – tutt’altro!
«Compito dell’educazione [Waldorf] è quello di guidare i giovani alla conoscenza di sé,
aiutandoli nel loro sviluppo naturale, senza introdurre elementi correttivi mutuati da una
società contemporanea percepita massimamente ostile alla crescita umana più autentica.
[In Steiner] l’esaltazione dell’uomo individuo si spinge fino a voler vedere in ognuno la
possibilità di attivare processi autonomi di educazione […] e l’intervento dell’adulto educatore
deve facilitare questa progressiva capacità di essere, di essere nella e con la natura piuttosto
che fuori e contro di essa.63
59
S. CHISTOLINI, La pedagogia secondo Rudolf Steiner cit., p. 87.
60
R. STEINER, Education and spiritual science in «The education of the child and early lectures on education»,
Antroposophic press, Hudson 1996, traduzione nostra, p. 70.
61
R. STEINER, Interests, talents and educating children cit., traduzione nostra, pp. 82-3.
62
R. STEINER, A modern art of education, Antroposophic press, MA 2004, traduzione nostra, p. 18. Particolarmente
significativa la posizione di tale considerazione all’interno dell’opera citata, immediatamente precedente la
descrizione dello “sviluppo della pedagogia occidentale”. Tale sviluppo viene suddiviso in tre stadi proprio a seconda
dell’ideale educativo al cui raggiungimento miravano le società e le civiltà del passato – l’ideale del “ginnasta” nella
civiltà greca, l’ideale del “retore” dalla romanità all’Alto Medioevo e l’ideale del “dottore” dal Basso Medioevo alla
società moderna (cfr. ibid., pp. 17-50).
63
Intenzionale o meno che sia, appare qui notevole l’eco rousseauiana.
16
[In definitiva] l’uomo sociale è funzione dell’uomo individuo, da questo dipende. Di
conseguenza, quanto più moralmente giusta, bella, forte, solida è la sua formazione, tanto più
la società sarà governata da principi etici di ordine universale […] La scuola Waldorf assume
connotazioni che si giocano oltre la contingenza storico-sociale degli avvenimenti umani. Essa
appare chiaramente teleologica, più che strumentale e materialistica […]».64
Risulta evidente l’abisso che, a livello comparativo, si apre tra Steiner e Dewey, su questo punto.
Entrambe le loro prospettive pedagogiche prendono le mosse a partire da una situazione sociale
caratterizzata da un certo dinamismo, al quale occorre rispondere anche e soprattutto attraverso nuove
modalità educative. Per di più, entrambe sottolineano che non si può educare solo l’individuo, ma va
tenuto conto anche della sfera che trascende l’individualità – la società, l’umanità. Eppure per Dewey si
educa attraverso e per la società, mentre secondo Steiner si educa, peraltro soltanto in ultimo, per la
società (e non attraverso essa). La pedagogia deweyana trova il fine in sé – la “funzione sociale”, assieme
alla “funzione psicologica”, non è funzione per qualcosa ma semplicemente “processo di vita”, di “vita
attuale”.65
La pedagogia steineriana trova il fine in altro da sé; non solo la società, ma l’individuo e la
pedagogia stessa sono concepite all’ombra ed in vista di un piano spirituale più ampio.66
Ciò è riassunto in
maniera esemplare in un dialogo immaginario tra i due, del quale in questa sede non è possibile tacere la
parte forse più significativa e, in merito, più puntuale:
«DEWEY: […] Quali sono i fini della pedagogia Waldorf?
STEINER: […] “Negli ultimi sessanta o settanta anni la configurazione esteriore della vita sociale
è completamente mutata e, purtuttavia, il nostro modo di educare è rimasto lo stesso come se
nulla fosse successo”.67
La scuola Waldorf è il mio modo di reagire a questa situazione. “Il fine
principale dello scuola Waldorf è quello di educare uomini liberi che sappiano condurre la
propria vita”.68
DEWEY: Lo sviluppo al fine di soddisfare i bisogni propri di un individuo mi sembra molto più
individualistico di quanto io credo sia l’educazione. [Piuttosto] vedo come fine dell’educazione
lo sviluppo dell’individuo affinché s’attivi in quanto parte di una società e contribuisca alla
formazione continua di quella società. Il focus non risiede nello sviluppo dell’individuo come
fine, bensì nel pieno sviluppo dell’individuo in modo che possa agire nella società, così da
migliorare la società, che a sua volta migliora l’individuo.
STEINER: Ciò assomiglia molto anche alla nostra filosofia ma, in questa, tanto l’individuo
quanto la società fanno parte di un mondo spirituale ben più ampio […]. Quando un essere
libero prende il suo posto unico nell’universo, allora egli è libero di servire l’umanità, di essere
parte della società […].
64
S. CHISTOLINI, La pedagogia secondo Rudolf Steiner cit., pp. 57-8.
65
Cfr. J. DEWEY, L’educazione di oggi cit., pp. 5 e 10.
66
Una trattazione diretta dell’antroposofia (e, perciò, dell’“ampio piano spirituale” di cui si occupa Steiner) esula
dalla presente trattazione. Pertanto, basti fare presente qui che anche negli scritti pedagogici steineriani non di rado ci
s’imbatte in considerazioni che rimandano al tema della spiritualità: «quando consideriamo l’uomo nella sua totalità,
dobbiamo riconoscere in lui corpo, anima e spirito. Anzitutto nasce il corpo [che] viene accolto nella corrente
ereditaria, ne porta i segni caratteristici, ecc… L’elemento animico, nei suoi caratteri principali, è ciò che scende
dall’esistenza prenatale a congiungersi col corpo. Ma lo spirituale esiste solo come tendenza dell’uomo odierno;
nell’uomo di un lontano avvenire le cose saranno diverse. E qui, dove vogliamo mettere le basi di una pedagogia sana,
dobbiamo tenere in considerazione questa spiritualità che nell’uomo della nostra epoca di evoluzione esiste solo
come tendenza, e renderci conto di che cosa sia questa tendenza preparata in lui per un lontano avvenire» (R. STEINER,
Arte dell’educazione I cit., p. 62).
67
R. STEINER, A modern art of education cit., p. 159.
68
Ibid., p. 191.
17
DEWEY: Sembra che tu pensi all’educazione come una preparazione del bambino ad unirsi in
futuro alla società. Dal momento in cui io concepisco l’educazione come crescita e la scuola
come una comunità sociale, non sto cercando un’educazione che serva per scopi distanti, ma
piuttosto la vedo come un processo di vita. Già all’atto della nascita il bambino è parte della
società [e] l’educazione aiuta i ragazzi a sviluppare le capacità necessarie per una piena
partecipazione sociale. Le nostre differenze relativamente ai fini rispecchiano indubbiamente
le nostre differenze a livello di teorie pedagogiche. Sembra che tu metta l’accento sullo
sviluppo individuale per finalità spirituali mentre io vedo lo sviluppo individuale in termini più
dialettici, [come] una relazione di mutua interazione del bambino con la società nella scuola
[…].
STEINER: Vero, pongo l’accento sull’individuo ma, in ultima istanza, lo faccio a beneficio della
società […]. Concepisco l’educazione come un espediente per il ragazzo per sviluppare le sue
capacità interiori latenti, così che possa essere libero di apportare questi talenti alla società,
così che se ne possa creare una nuova, piuttosto che conformarsi ad un’organizzazione sociale
cristallizzata […]».69
 Annotazioni comparative conclusive
A cavallo tra XIX secolo e XX secolo, la società americana e quella europea mutano sensibilmente. Tanto
la prospettiva pedagogica deweyana quanto quella steineriana risentono della necessità di riformare la
“scuola tradizionale” in virtù delle trasformazioni sociali della loro epoca. Entrambi i pensatori, con la
propria filosofia dell’educazione, fanno aperture verso la realtà sociale oltre quella individuale. Ma come lo
fanno è forse ciò che li rende più distanti, quantomeno a livello teorico. Per Dewey l’educazione stessa
diventa “opera sociale” e la scuola un’“istituzione sociale” nella quale si realizza un processo di vita
“attuale”. Per Steiner l’educazione rimane un’arte centrata sull’“uomo individuo” e la scuola un luogo ove si
formano “uomini liberi” che, solo quando saranno tali, potranno in un “futuro” apportare il proprio
contributo alla società. Qui, probabilmente, emergono le differenze sostanziali tra lo strumentalismo di
Dewey (nei tratti del richiamo all’hic et nunc e del naturalismo che scioglie l’individuo nell’ambiente e nella
società) e l’antroposofia di Steiner (nei tratti della teleologia e dello spiritualismo che scioglie tanto
l’individuo quanto l’ambiente e la società nello spirito). Inevitabilmente, queste differenziazioni a livello
filosofico non potevano non riversarsi per certi versi anche sul piano pedagogico: «il concetto di Rudolf
Steiner di educazione non ha né un fondamento etico-filosofico (come nel caso di Kant e Herbart), né una
dimensione socio-culturale (come in Durkheim e Dewey) e nemmeno una origine psicologica empirica
(come in Claparède e Montessori). È dedotto dalla neo-mitologia antroposofica ed ha un carattere
metaforico. Alla luce della sua interpretazione del microcosmo, l’educazione prende la forma di crescita e di
metamorfosi – l’educatore è un giardiniere ed una persona che ne modella altre».70
69
J. ENSIGN, A conversation between John Dewey and Rudolf Steiner cit., traduzione nostra, pp. 176-7.
70
H. ULLRICH, Rudolf Steiner (1861 – 1925) cit., p. 559.
18
Cap.	4	–	Sulla	promozione	di	
un’intelligenza	operativa	e	pratica							
 Dewey
Una quarta caratteristica dell’educazione nuova «fu, infine, quella di considerare l’esercizio
dell’intelligenza non soltanto sul piano della riflessione teorico-astratta […], ma in termini più ampi e,
quindi, anche di intelligenza operativa e pratica, promuovendo, dunque, esercizi ed attività di tipo
manuale».71
Dewey fu probabilmente il teorico dell’educazione nuova che più di tutti si preoccupò di tale
istanza, la quale affonda le sue radici nella constatazione che «la sola disciplina che valga per noi, l’unico
ammaestramento che diventi intuizione sono quelli che son nati dalla vita stessa. Unicamente quello che
impariamo dall’esperienza, e dai libri e dai detti degli altri soltanto in quanto essi sono suffragati
dall’esperienza, non si risolve in mere parole. [L’]esperienza [è] la madre di qualsiasi disciplina degna di
questo nome».72
All’atto pratico, ciò significa che un’opera educativa può essere efficace e completa
solamente promuovendo l’esperienza diretta del ragazzo, coinvolgendo la sua intelligenza, il suo volere, la
sua persona concreta, anche fisica. Per questo:
«il punto di partenza della Laboratory School […] sono le “occupazioni”, anziché le materie di
studio. [Qui] il primo livello di attività [che vengono contemplate] ripropone agli allievi le
pratiche materiali diffuse nella vita quotidiana, come il giardinaggio, la sartoria, la
falegnameria, la cucina».73
La promozione all’interno della scuola di attività manuali nelle quali siano coinvolti i bambini con tutta
la loro persona concreta trova la propria legittimazione quantomeno in due motivazioni. La prima è, per
così dire, di tipo “storico-sociale”:
«[In passato] l’intero processo produttivo si svolgeva davanti agli occhi di tutti, dall’approntare
nella fattoria i materiali grezzi sino all’articolo confezionato. Nella pratica ogni membro della
casa aveva la sua parte nell’esecuzione del lavoro. I ragazzi, via via che crescevano in forza e
capacità, erano gradualmente iniziati ai misteri di diversi processi. Essi vi erano interessati in
modo immediato e personale e giungevano persino a prendere parte diretta al lavoro […]. Il
filare e il tessere, il segare, il macinare, il lavoro del bottaio e del maniscalco esercitavano
senza posa la loro azione educativa […]. Oggi, [invece], la concentrazione dell’industria e la
divisione del lavoro hanno praticamente eliminato le occupazioni che si svolgevano nell’ambito
della casa e del vicinato, almeno per quanto concerne gli effetti educativi […].
C’è [allora] un problema reale: come possiamo […] introdurre nella scuola qualche cosa che
rappresenta [l’]aspetto della vita [legato alle] occupazioni che esigono precise responsabilità
personali e mettono il ragazzo a contatto con le realtà fisiche della vita? Se volgiamo l’occhio
alla scuola, troviamo che una delle più singolari tendenze del presente è quella di introdurre in
essa il così detto lavoro manuale, il laboratorio e le occupazioni familiari del cucire e del
cucinare […].
[Ma bisogna prestare attenzione al reale fine dell’introduzione all’interno del sistema
scolastico del lavoro dei bambini. Il lavoro non solo] li rende svegli e attivi, anziché passivi e
ricettivi; [non solo] li rende più utili, più capaci e quindi maggiormente inclini ad aiutare in
famiglia [e] li prepara quindi in qualche modo ai doveri pratici della vita. [Soprattutto]
71
G. CHIOSSO, Novecento pedagogico cit., pp. 56.
72
J. DEWEY, Scuola e società cit., cap. II – La scuola e il progresso sociale, p. 44.
73
P. SORZIO, Dewey e l’educazione cit., p. 50.
19
dobbiamo concepire il lavoro in legno e in metallo, il tessere, il cucire, il cuocere come metodi
di vita e di apprendimento, non come insegnamenti a sé. Dobbiamo intendere il loro
significato sociale, […] operazioni con le quali si rendono familiari ai fanciulli certe primarie
necessità della vita in comune e modi mediante i quali queste esigenze sono state soddisfatte
dalla crescente penetrazione e ingegnosità dell’uomo; in breve li dobbiamo considerare
strumenti mercé i quali la scuola è destinata a diventare una forma schietta di attiva vita in
comune, anziché un luogo appartato dove si apprendono lezioni».74
La seconda motivazione che legittima l’introduzione del lavoro nella scuola è più teoretica rispetto alla
prima, ma altrettanto fondamentale. Infatti si ritiene che Dewey abbia introdotto nel curricolo della
Laboratory School le attività occupazionali «non per preparare gli allievi a un futuro lavoro materiale, ma
con lo scopo educativo di riconoscere nelle attività quotidiane l’origine della conoscenza astratta»:75
«Nella scuola […] le tipiche occupazioni, cui [il ragazzo] si dedica, sono liberate da qualsiasi
pressione economica. Lo scopo non è il valore economico dei prodotti, ma lo sviluppo della
capacità e dell’intelligenza sociale. È questa liberazione da utilità anguste […] che fa di queste
attività pratiche nella scuola delle alleate dell’arte e dei centri di scienza e di storia […].76
Soltanto in virtù delle occupazioni determinate da questo ambiente circostante l’umanità è
progredita nella storia e nella politica. Sono state queste occupazioni a promuovere
l’interpretazione intellettuale e sentimentale della natura. Mediante ciò che facciamo nel
mondo e col mondo abbiamo imparato a renderci conto del suo significato ed a misurare il suo
valore. In termini educativi questo significa che queste occupazioni nella scuola [devono
essere] centri attivi di approfondimento della conoscenza scientifica di materiali e processi
naturali; punti di partenza da cui i fanciulli sono condotti a rivivere lo svolgimento storico
dell’umanità.77
[Va, tuttavia, tenuto presente che] non vi è […] nessun potere magico di assicurare la
realizzazione di risultati intellettuali tramite la mera attività fisica o la semplice abilità manuale.
[Le attività pratiche vanno organizzate. Le occupazioni costruttive] per essere veramente
educative devono soddisfare determinate condizioni: […] quella dell’interesse, [quella] che
l’attività sia in sé stessa degna di considerazione, [quella] che il progetto nel corso del suo
sviluppo presenti problemi che svelino nuove curiosità e creino esigenze di informazione [e,
infine, quella di lasciare tempo sufficiente per lo svolgimento dell’occupazione, affinché questa
non sia] una successione di atti disordinati, ma una attività ben connessa ed ordinata […]. [Così
il bambino può acquisire abiti intellettuali a partire da attività, che siano pratiche e fondate
sulla sua diretta esperienza. Egli è infatti portato ad affrontare] problemi che devono essere
risolti attraverso la riflessione e sperimentazione personale e, [allo stesso tempo, è spronato
74
J. DEWEY, Scuola e società cit., cap. II – La scuola e il progresso sociale, pp. 37-9 e 41.
75
P. SORZIO, Dewey e l’educazione cit., p. 51. Particolarmente esplicativo l’esempio addotto a sostegno di questa
considerazione: «Dewey sottolinea che lo scopo educativo delle occupazioni è la formazione di una disposizione
intellettuale mirata a ricostruire l’origine dei saperi; ad esempio, il giardinaggio non deve essere insegnato per
preparare i futuri giardinieri, ma per consentire ai bambini di avvicinarsi ai saperi che sono emersi nella storia
dell’umanità a partire dall’attività materiale […]. Nelle attività materiali gli esseri umani incontrano problemi la cui
soluzione avviene tramite un’accurata indagine, un equilibrio di osservazioni, formulazione di ipotesi, indagine, prove
e riflessioni; è da questo processo intellettuale che nasce la conoscenza che successivamente trasforma le attività»
(ibidem).
76
J. DEWEY, Scuola e società cit., cap. II – La scuola e il progresso sociale, p. 45.
77
Ibid., p. 46. «La storia della cultura mostra che la conoscenza scientifica e le abilità tecniche dell’uomo si sono
sviluppate, specialmente nei loro primi stadi, dai problemi fondamentali della vita. L’anatomia e la fisiologia sono
venute fuori dal bisogno pratico di mantenersi attivi ed in buona salute; la geometria e la meccanica dall’esigenza di
misurare il terreno, di costruire e di fabbricare […]; l’astronomia è stata strettamente connessa con la navigazione [e
così via]» (J. DEWEY, Come pensiamo cit., pt. III, cap. 14 – L’attività e l’educazione del pensiero, p. 308).
20
all’]acquisto di definiti corpi di conoscenze capaci di condurre in seguito ad una più
specializzata conoscenza scientifica».78
Persone che abbiano maturato a scuola un’intelligenza pratico-operativa, attraverso lavori che
muovono in una stessa direzione e che vengono portati avanti con uno spirito sociale e produttivo comune,
saranno anche le persone che possono contribuire prontamente al progresso sociale e alla vita dell’umanità
in generale: «persone i cui interessi sono stati ampliati e l’intelligenza educata dal contatto colle cose e coi
fatti in occupazioni attive che avevano uno scopo (sia nel gioco o nel lavoro) saranno quelle che più
facilmente sfuggiranno alle alternative fra una conoscenza accademica e distaccata e una pratica dura,
ristretta e puramente “pratica”. Quel che maggiormente necessita per migliorare le condizioni sociali è di
organizzare l’educazione in modo che le tendenze attive naturali siano tutte impegnate nel fare qualcosa,
mentre si provvede a che l’azione richieda l’osservazione, l’acquisto dell’informazione e l’uso di
un’immaginazione costruttiva».79
 Steiner
Per certi versi, similmente a quanto venne realizzato nella Laboratory school di Chicago a livello
d’introduzione all’interno del curricolo di studi di attività che non fossero volte esclusivamente allo sviluppo
della riflessione teorico-astratta, anche «la scuola Waldorf fu puerocentrica e designata alla promozione di
una personalità integrale, senza un’enfasi unilaterale sul lato intellettuale».80
Anzitutto prese le mosse da
una critica a teorie educative tradizionali e trasmissive che ponevano al centro dell’attenzione un
insegnamento teorico ed astratto, che ritma le lezioni a suon di “definizioni”:
«[A partire da una pedagogia con una certa predisposizione] intellettualistica, ci avviciniamo al
bambino troppo intellettualisticamente, pretendiamo dal bambino, per esempio, che
apprenda concetti nettamente definiti, definizioni, come si dice. È così comodo educare e
insegnare con definizioni! Infatti i più dotati imparano a ripetere le definizioni, [mentre] quelli
che dopo un certo tempo non [sanno le sanno ripetere] vengono bocciati. È un metodo
comodo. Ma si può paragonare al metodo di un calzolaio che debba fare un paio di scarpe per
un bambino di tre anni e pretenda che a dieci le porti ancora. Le scarpe sono rimaste come
erano, ma non vanno più bene al bambino. Così è con quanto il bambino apprende. Quanto il
bambino apprende nel settimo, ottavo anno di vita, a dodici anni non si adatta più alla sua
anima».81
In secondo luogo, per ovviare l’impasse di un sistema d’insegnamento eccessivamente intellettualistico,
la scuola Waldorf si proponeva d’introdurre alcuni accorgimenti a livello di metodologia d’insegnamento –
accorgimenti che, tuttavia, non si esaurivano nel richiamo ad attività pratiche che mirassero alla
maturazione di “un’intelligenza operativa e pratica”, come invece accade nella prospettiva deweyana:
«[Al giorno d’oggi] una grande parte dello spirituale-animico rimane escluso dall’istruzione e
dall’educazione. È necessario che per mezzo di una duttilità artistica che possa crescere si
diano al bambino, in immagine, dei sentimenti, delle rappresentazioni, delle rappresentazioni
di sentimenti che possano subire metamorfosi, che per il semplice fatto che l’anima cresce
possano crescere con lei. Qui ci vuole un rapporto vivente del maestro [e] non morti concetti
pedagogici […]: quindi tutto l’insegnamento tra il settimo, ottavo anno e il quattordicesimo,
quindicesimo deve in questo modo venir compenetrato di immaginazione.82
[Come già visto
78
J. DEWEY, Come pensiamo cit., pt. III, cap. 14 – L’attività e l’educazione del pensiero, pp. 309-12.
79
J. DEWEY, Democrazia e educazione cit., cap. V – Interesse e disciplina, p. 127.
80
P. B. UHRMACHER, Uncommon schooling cit., traduzione nostra, p. 392.
81
R. STEINER, La didattica dell’insegnamento e le esigenze dell’educazione in «Educazione del bambino e
preparazione degli educatori», Antroposofica, Milano 1996, p. 81.
82
Ibidem.
21
nel primo capitolo del presente elaborato scritto, l’età che va dai sette (/otto anni) fino ai
quattordici (/quindici) anni, è caratterizzata secondo Steiner da una centralità del “corpo
eterico” e, quindi, del “sentimento”. Ora], sul corpo eterico in sviluppo agiscono in modo
giusto non concetti astratti, bensì ciò che si contempla […]: personificazioni della forza morale
e intellettuale [coi grandi] esempi della storia […], un adeguato approfondimento [simbolico e
non concettuale] dei misteri e delle bellezze della natura […], sentimento per l’arte […], ecc…83
[Steiner, al pari di Dewey, accoglie una sorta di massima pedagogica seconda la quale] quanto
più spesso iniziamo [un insegnamento] ravvivando un’attività, tanto più saremo in grado di
raggiungere un risveglio della coscienza nel bambino al quale insegniamo.84
[Ma, allo stesso
tempo, per Steiner l’“attività” in questione non è solo attività pratica, volta verso una
stimolazione ed un affinamento dell’intelligenza operativa. L’attività è anche attività del
sentire, della fantasia, dell’immaginazione – elementi che sono fondamentali per la
formazione, perlomeno all’altezza che va dai sette (/otto anni) fino ai quattordici (/quindici)
anni. E nel momento in cui ha inizio l’educazione primaria (all’incirca verso i sette anni), nella
prospettiva steineriana è proprio il momento di fare leva su questo genere di attivismo
immaginativo del bambino. Con ciò non significa che le attività pratiche, così come le intende
Dewey, siano avulse alla prospettiva pedagogica steineriana. Solamente rivestono
un’importanza centrale assieme ad altre tipologie di attività (quali l’immaginazione) e, per di
più, in età particolari del bambino – sicuramente prima che egli raggiunga i sette (/otto) anni.
Infatti, se si seguono le parole di Steiner]:
tutto ciò che il ragazzo impara nel corso dei suoi anni di scuola deve alla fine venir in qualche
modo allargato tanto da unirsi con dei fili alla vita pratica. Con ciò molte, moltissime cose che
sono asociali verrebbero rese tanto sociali che in noi sarebbe almeno messa la base di una
comprensione anche per quanto più tardi non deve riguardare direttamente la nostra
professione».85
Ricapitolando, nella scuola Waldorf:
«si vuole modellare la personalità completa dell’alunno dando un ugual peso alle attività
cognitive, artistico-emozionali e tecnico-pratiche, sia nell’insegnamento sia nella vita della
scuola. L’addestramento pratico – con le attività agricole nel giardino, le attività manuali e
artigianali – sono volte a sviluppare una visione pratica della vita.86
[Tuttavia, va sottolineato che la pedagogia steineriana non prescinde mai dalla propria
“conoscenza dell’uomo”, che evolve] secondo la sua triplice natura: corporea, animica,
spirituale. [Per questo motivo] viene posta una grande attenzione a mantenere, anche
nell’insegnamento [e, quindi, nelle attività proposte!], la gradualità dello sviluppo fisico-
intellettuale dell’alunno. [Detto in altri termini, le attività pratiche ricoprono un ruolo
fondamentale in quanto modalità per sviluppare una parte dell’uomo – principalmente il corpo
fisico –, ma non in quanto espediente attraverso il quale promuovere la maturazione
dell’intelligenza operativa e pratica].
La didattica è concepita così da essere appropriata alla reale situazione evolutiva del bambino.
Nella scuola materna, per i piccoli dai 3 ai 6 anni, l’elemento ritmico aiuta lo svolgimento delle
attività quotidiane costituite da lavori manuali, girotondi, filastrocche, canzoncine, fiabe,
euritmia, acquerello […]. Il secondo settennio, che va dai 7 ai 14 anni, […] è quello in cui inizia il
vero e proprio apprendimento […]. Accanto alla crescita fisica, si delinea il lento emergere dei
sentimenti […]. Questo stadio si fonda sugli elementi immaginativi ed artistici attraverso i quali
83
R. STEINER, L‘educazione del bambino dal punto di vista della scienza dello spirito cit., pp. 30-42.
84
R. STEINER, The renewal of education, Anthroposophic press, MA 2001, traduzione e corsivo nostri, p. 154.
85
R. STEINER, Arte dell’educazione II – Didattica, Antroposofica, Milano 2004, corsivo nostro, p. 153.
86
H. ULLRICH, Rudolf Steiner (1861 – 1925) cit., p. 562.
22
viene insegnato a leggere e a scrivere, a riconoscere i numeri e le lettere. L’euritmia permette
la prima descrizione inconsapevole delle forme spaziali fondamentali, evitando l’aridità delle
denominazioni e l’astrattezza della concettualizzazione […]. Il terzo settennio è quello in cui
prevale l’insegnamento razionale e scientifico. Al ragazzo sono riconosciute le capacità di
rappresentazione intellettuale, di elaborazione del pensiero, di conoscenza e di analisi del
mondo. Prima dei 14 anni, portare il ragazzo a riflettere minuziosamente sul come e sul perché
dei fenomeni fisico-naturali, degli eventi storici, delle produzioni intellettuali dei grandi
pensatori […] è considerata una forzatura […]. [In tutto il percorso pedagogico, in ultima
istanza], non è dunque la materia in sé che costituisce il fulcro dell’educazione, bensì è
l’interessamento profondo e l’attenzione più grande possibile a tutto l’uomo».87
 Annotazioni comparative conclusive
Dewey e Steiner sembrano trovarsi in accordo relativamente alla necessità di promuovere all’interno
della scuola lo sviluppo di un’intelligenza che non sia esclusivamente “teorico-astratta”, che non sia
semplicemente legata alla trasmissione e alla memorizzazione di “definizioni”. Entrambi nelle loro proposte
educative, prevedono l’introduzione nel curricolo degli studi di attività pratiche e manuali (quali il
giardinaggio, l’artigianato o il tessere). Tuttavia Dewey attribuisce a queste attività un “significato sociale”,
un significato di riavvicinamento alla vita produttiva dell’uomo e un “valore educativo” tale per cui proprio
dalle “attività quotidiane” si origina il “pensiero” nella forma di “conoscenza scientifica”. Steiner, invece,
misconosce perlomeno l’attività pratica come “valore educativo” nel senso in cui lo intende Dewey; per lui
l’attività pratica è un mezzo attraverso cui educare l’uomo nella sua interezza, un uomo che infatti è
costituito anche da un piano “corporeo” e che in qualche modo dovrà inserirsi nella “vita pratica”. Allo
stesso tempo, però, Steiner vede il concetto di “attività” in senso lato e pone l’accento su altre attività
fondamentali – oltre a (ed in concomitanza con) quelle pratiche e manuali – come quelle del “sentire” o
dell’“immaginare”, le quali permettono al meglio di fuoriuscire da un’ottica pedagogica centrata
unilateralmente sull’insoddisfacente formazione “teorica-astratta” dell’individuo: «anche se il contributo di
John Dewey allo sviluppo del pensiero tramite l’“approccio per problemi” è significativo, potrebbe
facilmente cadere nell’arida pedanteria che stima l’attività cognitiva in un senso banalmente utilitaristico.
[Invece] Steiner delinea un piano che incorpora in sé lo sviluppo del potenziale cognitivo senza precludere
la “fioritura” del volere (the unfolding of the will). [Fondamentale è l’equilibrio armonioso a livello
fisiologico e] la chiave per raggiungere questo equilibrio si trova nell’enfatizzare lo “sbocciare” della vita del
sentimento (the unfolding of the life of feeling)».88
87
S. CHISTOLINI, La pedagogia secondo Rudolf Steiner cit., pp. 97-101.
88
E. SCHWARTZ, Prefazione a R. STEINER, The renewal of education cit., traduzione nostra, p. 12.
23
Brevi	considerazioni	finali
Cerchiamo a questo punto di tirare le fila del discorso sotto forma di brevi considerazioni personali.
Dal primo e dal secondo capitolo del presente lavoro è evidente che sia Dewey che Steiner pongono al
centro dell’opera educativa il bambino coi suoi interessi e con la propria esperienza, prestando particolare
attenzione peraltro alle varie fasi del suo “sviluppo” specifico, piuttosto che pensandolo in generale come
un “uomo in miniatura” da accompagnare il più rapidamente possibile all’età adulta. Pur partendo da
prospettive filosofiche estremamente differenti, tanto il Dewey pragmatista quanto lo Steiner spiritualista,
all’atto concreto dell’azione educativa, «si impegnarono per una visione integrale della pedagogia che
riconoscesse il bambino nella sua interezza».89
Suppongo che queste caratteristiche, questi punti d’incontro
tra il pensiero dei due intellettuali presi in considerazione, siano già sufficienti per ritenere che anche la
scuola Waldorf può essere ricompresa entro l’alveo del movimento per l’educazione nuova, seppure vada
sottolineata la sua particolarità. Inoltre, attraverso la comparazione con altre prospettive educative – come
quella deweyana –, è possibile rimarcare e tenere conto delle debolezze del pensiero pedagogico di Steiner:
nella fattispecie, è stato messo in luce sia nel primo che nel secondo capitolo il fatto che la concezione del
bambino e la “teoria dei temperamenti” (in cui vengono inquadrati gli interessi-bisogni del discente) non
tengono affatto conto dei dati illuminanti provenienti dal campo della moderna psicologia dell’età
evolutiva, dimostrandosi per contro piuttosto critici verso questi dati. Nonostante questa posizione possa
essere tollerata (e persino difesa – soprattutto in virtù della concordanza della concezione teorica
steineriana del bambino con la teoria empirica dello sviluppo per stadi di Jean Piaget –),90
è necessario che
la pedagogia Waldorf faccia attenzione a non serrare tutte le porte che si aprono sul campo della psicologia
sperimentale, per evitare il rischio di rinchiudersi in una “prestabilita concezione filosofica dell’uomo”,
tanto elegante quanto sterile nel caso non tenesse conto delle nuove ricerche scientifiche.
Nel terzo capitolo – e, quindi, relativamente al rapporto tra la scuola e la società – il divario teorico tra
Dewey e Steiner è tale da permettere pochi punti d’incontro realmente significativi, se non per il fatto che
ciascun pensatore, a modo suo, contempla la necessità di aprire la sfera dell’educazione all’ambito del
quotidiano e del sociale. Di nuovo, ipotizzo che questa semplice constatazione, al di là dell’abisso che poi
corre tra i due pensatori, possa essere sufficiente assieme a quelle del paragrafo precedente per far
confluire in ogni caso la pedagogia Waldorf nel terreno delle esperienze propriamente definite di
educazione nuova. Al lato pratico, infatti, anche nelle scuole Rudolf Steiner rimane un caposaldo «il
principio di imparare e fare insieme (che implicano il concetto di una classe eterogenea che attraversa anno
per anno tutto il sistema scolastico oltre ad un’organizzazione della vita scolastica multiforme)».91
L’analisi
comparativa porta comunque i suoi frutti a riguardo, rendendo pienamente e nitidamente visibile la
distanza che intercorre tra metodi pedagogici centrati sul presente che contengono soprattutto in sé il fine
educativo (Dewey) e metodi pedagogici centrati sul futuro che hanno un fine posto principalmente fuori di
sé (Steiner).
Infine, nel quarto capitolo si è potuto osservare che tanto Dewey quanto Steiner condannano senza
esitazione modelli pedagogici sostanzialmente trasmissivi, nozionistici ed eccessivamente intellettualistici.
Di contro a simili modelli, l’approccio progressivo proposto da entrambi i pensatori tiene in alta
considerazione l’inserimento di attività pratiche e manuali all’interno del curriculo scolastico. Tuttavia ciò
ha per fine lo sviluppo di un’“intelligenza operativa” e di una sorta di mentalità scientifica in Dewey.
89
J. ENSIGN, A conversation between John Dewey and Rudolf Steiner cit., traduzione nostra, p. 176.
90
Cfr. P. B. UHRMACHER, Uncommon schooling cit., p. 402.
91
H. ULLRICH, Rudolf Steiner (1861 – 1925) cit., p. 568.
24
Mentre, in Steiner, si tratta di un espediente utilizzato per completare la formazione integrale dell’uomo
nella sua interezza, per la sua preparazione alla “vita pratica”. Il raffronto comparativo su questo punto
porta a completa manifestazione un punto già adombrato sin dal primo capitolo: Steiner ripone una grande
importanza anche nella coltivazione di “attività” legate al “sentimento”, alla “fantasia” e
all’“immaginazione” in quanto parti costitutive e facoltà caratterizzanti l’essere umano. Ora, nonostante
anche Dewey, dal canto suo, sottolinei la necessità di “educare la facoltà immaginativa del fanciullo”, di
fatto si ha la sensazione che, nella sua prospettiva pedagogica, educare il fanciullo a formarsi un mondo di
immagini – così come far leva sui suoi interessi ed occuparlo in attività pratiche e manuali – sia piegato allo
scopo di iniziare il bambino lungo la via del “pensiero riflessivo”.92
Allora potrebbe rivelarsi utile e
produttivo un approfondimento di questo punto critico della prospettiva deweyana, alla luce delle
considerazioni di Steiner in merito al mondo del “sentimento” e del “sentire”, quali ambiti a partire dai
quali sia possibile una penetrazione maggiore e più profonda degli oggetti studiati da parte dei soggetti
educati. D’altronde, ciò potrebbe aiutare nell’abbozzare qualche risposta alle “critiche cognitiviste” che
vengono mosse all’educazione nuova in generale e alla pedagogia di Dewey in particolare:93
per “insegnare
in maniera coerente e integrata” i concetti non è sufficiente presentare questi ultimi a partire da attività
pratiche, favorendo una maturazione dell’interesse verso essi per poi arrivare infine all’esercizio di
un’attività cognitiva sopra astrazioni ben ancorate al piano empirico. Per “insegnare in maniera coerente e
integrata” i concetti è necessario anche che il bambino sia in grado di fare suo quel concetto ad un livello
più profondo, un’operazione che per Steiner riguarda indubbiamente e fondamentalmente il mondo del
“sentire”.
92
Cfr. J. DEWEY, L’educazione di oggi cit., p. 21.
93
Cfr. P. SORZIO, Dewey e l’educazione cit., p. 73.
25
Bibliografia	ragionata
1) Opere di Dewey
 1897: My pedagogic creed in «School Journal», vol. 54, no. 3, pp. 77-80 → L’educazione di oggi in
«Il mio credo pedagogico. Antologia di scritti sull’educazione», La Nuova Italia, Firenze 1963, pp. 3-31.
 1899: The school and society, University of Chicago Press, Chicago → Scuola e società in «Il mio
credo pedagogico. Antologia di scritti sull’educazione», La Nuova Italia, Firenze 1963, pp. 32-104.
 1910: How we think, D.C. Health & Co., Boston → Come pensiamo. Una riformulazione del rapporto
fra il pensiero riflessivo e l’educazione, La Nuova Italia, Firenze 1967.
 1916: Democracy and education: an introduction to the philosophy of education, Macmillan, New
York → Democrazia e educazione in «Il mio credo pedagogico. Antologia di scritti sull’educazione», La
Nuova Italia, Firenze 1963, pp. 105-129.
--- --- ---
2) Opere di Steiner
 1907: Die Erziehung des Kindes vom Gesichtspunkte der Geistwissenschaft [GA 34 (1987)] →
L’educazione del bambino dal punto di vista della scienza dello spirito in «Educazione del bambino e
preparazione degli educatori», Antroposofica, Milano 1996, pp. 9-44.
 1907: Schulfragen vom Standpunkt der Geisteswissenschaft [GA 55 (1983)] → Education and
spiritual science in «The education of the child and early lectures on education», Anthroposophic press,
Hudson 1996, pp. 64-70.
 1910: Anlage, Begabung und Erziehung des Menschen [GA 60 (1983)] → Interests, talent and
educating children in «The education of the child and early lectures on education», Anthroposophic press,
Hudson 1996, pp. 71-88.
 1911: Anlage, Begabung und Erziehung des Menschen [GA 60 (1983)] → Interest, talent and
education in «The education of the child and eraly lectures on education», Anthroposophic press, Hudson
1996, pp. 89- 113.
 1919: Allgemeine Menschenkunde als Grundlage der Pädagogik [GA 293 (1992)] → Arte
dell’educazione I – Antropologia, Antroposofica, Milano 2009.
 1919: Erziehungskunst. Methodisch-Didaktisches [GA 294 (1990)] → Arte dell’educazione II –
Didattica, Antroposofica, Milano 2004.
26
 1919: Erziehungskunst. Seminarbesprechungen und Lehrplanvorträge [GA 295 (1984)] → Arte
dell’educazione III – Conversazioni di tirocinio e conferenze sul piano di studi, Antroposofica, Milano 2007.
 1920: Die Erneuerung der pädagogisch-didaktischen Kunst durch Geisteswissenschaft [GA 301
(1991)] → The renewal of education, Anthroposophic press, MA 2001.
 1923: Gegenwärtiges Geistesleben und Erziehung [GA 307 (1986)] → A modern art of education,
Anthroposophic press, MA 2004.
 1924: Die Didaktik des Lehrens und die Lebensbedingungen des Erziehens [GA 308 (1986)] → La
didattica dell’insegnamento e le esigenze dell’educazione in «Educazione del bambino e preparazione degli
educatori», Antroposofica, Milano 1996, pp. 65-84.
--- --- ---
3) Letteratura secondaria su Dewey e Steiner
 CHISTOLINI, S., La pedagogia secondo Rudolf Steiner. L’humanitas e il movimento delle Scuole
Waldorf, FrancoAngeli, Milano 2008.
 ENSIGN, J., A conversation between John Dewey and Rudolf Steiner: a comparison of Waldorf and
progressive education in «Educational theory», vol. 46, no. 2 (June 1996), pp. 175-188.
 SORZIO, P., Dewey e l’educazione progressiva, Carocci, Roma 2009.
 UHRMACHER, P. B., Uncommon schooling: a historical look at Rudolf Steiner, anthroposophy and
Waldorf education in «Curriculum inquiry», vol. 25, no. 4 (Winter 1995), pp. 381-406.
 ULLRICH, H., Rudolf Steiner (1861 – 1925). Un pensatore e un riformatore neo-romantico in
«Prospettive: la rassegna trimestrale di educazione comparata», trad. it. M. Orlandi, Unesco, Parigi, vol.
XXIV, no. 3/4 (1994), pp. 555-572.
--- --- ---
4) Manuali ed enciclopedie di riferimento
 CAMBI, F., Manuale di storia della pedagogia, Laterza, Roma-Bari 2003.
 CHIOSSO, G., Novecento pedagogico, La Scuola, Brescia 1997.
 LAENG, M., Enciclopedia pedagogica, La Scuola, Brescia 1994, voll. II e VI.
 LANFRANCHI, R. – PRELLEZO, J. M., Educazione, scuola e pedagogia nei solchi della storia, LAS, Roma
2008, vol. II – Dall’illuminismo all’era della globalizzazione.

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Dewey e Steiner. Modelli di educazione nuova comparati

  • 1. TESINA DI STORIA DELLA PEDAGOGIA - LM Dewey e Steiner Modelli di “educazione nuova” comparati Docente: Paolo Marangon Studente: Matteo Aluigi Anno accademico 2012/2013
  • 2. 1 Sommario Introduzione ..........................................................................................2 Cap. 1 – Sulla rilevanza assegnata alla psicologia del fanciullo.............4 Cap. 2 – Sul richiamo agli interessi-bisogni del discente.......................8 Cap. 3 – Sulla creazione di uno stretto rapporto tra scuola e vita ......13 Cap. 4 – Sulla promozione di un’intelligenza operativa e pratica .......18 Brevi considerazioni finali ...................................................................23 Bibliografia ragionata .........................................................................25
  • 3. 2 Introduzione «Nell’ultimo scorcio dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento si avverte una crescente attenzione all’educazione e alla scuola: c’è una vera e propria fioritura di proposte e di esperienze. Si è potuto parlare, al riguardo, di un “movimento di riforma pedagogica”».1 A quest’altezza storica ed in tale contesto di “riforma pedagogica”, John Dewey (1859 – 1952) e Rudolf Steiner (1861 – 1925) «promossero approcci educativi radicali e globali: [rispettivamente] l’educazione progressiva e le scuole Waldorf. Ciascuno scrisse e parlò della propria filosofia [dell’educazione] e formulò modalità concrete per porre in pratica [tali filosofie] nelle scuole».2 Ora, «nonostante in relazione a molti aspetti Dewey e Steiner differiscano enormemente tanto a livello filosofico quanto a livello metodologico, [va tuttavia riconosciuto] che essi condividono delle premesse comuni relativamente all’educazione».3 Il presente elaborato scritto nasce proprio al fine di vagliare se sussistano o meno tali premesse pedagogiche comuni, pur nella diversità delle impostazioni filosofiche e metodologiche dei due pensatori. Più nello specifico si tratta di operare un raffronto comparativo tra i principi dell’educazione nuova (o “educazione progressiva” nella letteratura anglofona) che animano la pedagogia di Dewey e quelli che sono alla base della pedagogia Waldorf elaborata da Steiner. Questo raffronto si articola intorno a quelli che vengono considerati i “quattro principali nuclei tematici” della pedagogia dell’educazione nuova – vale a dire la “rilevanza assegnata alla psicologia del fanciullo”, il “richiamo agli interessi-bisogni” del discente, la necessità di creare uno “stretto rapporto tra scuola e vita” e la promozione di un’“intelligenza operativa e pratica”.4 Nella fattispecie, in merito a ciascuno di questi punti, viene preso in esame da un canto quanto sostiene Dewey (attingendo principalmente a Il mio credo pedagogico del 1897, Scuola e società del 1899, Come pensiamo del 1910 e Democrazia e educazione del 1916) e dall’altro quanto propone Steiner (in diverse opere pedagogiche e trascrizioni delle varie conferenze da lui tenute sul tema dell’educazione tra il 1907 ed il 1924).5 Considerando il primo pensatore quale il vero e proprio “fondatore del movimento dell’educazione progressiva”,6 nonché punto di riferimento emblematico e “teorico più illustre dell’educazione nuova, data la ricchezza e il rigore filosofico del suo pensiero”,7 si esaminerà se la pedagogia Waldorf possa o non possa essere considerata come una delle varie prospettive legate al 1 R. LANFRANCHI – J.M. PRELLEZO, Educazione, scuola e pedagogia nei solchi della storia, LAS, Roma 2008, vol. II – Dall’illuminismo all’era della globalizzazione, p. 303. 2 J. ENSIGN, A conversation between John Dewey and Rudolf Steiner: a comparison of Waldorf and progressive education in «Educational theory», vol. 46, no. 2 (June 1996), traduzione nostra, p. 175: «John Dewey and Rudolf Steiner were contemporaries who each launched radical worldwide educational approaches: Progressivism and Waldorf schools. Each wrote and spoke about his philosophy and formulated concrete ways to put it into practice in schools». 3 Ibidem, traduzione nostra: «in many respects, Dewey and Steiner differed greatly in their philosophies and methods, but they also shared common premises about education». 4 Cfr. G. CHIOSSO, Novecento pedagogico, La Scuola, Brescia 1997, pp. 55-6. 5 Per entrambi gli autori, le opere prese in esame abbracciano un arco di tempo piuttosto ampio in modo tale da poter tenere conto delle considerazioni che maturarono prima, durante ed in seguito alle esperienze pedagogiche concrete che segnarono i due pensatori – la fondazione della Laboratory school a Chicago nel 1896 (per Dewey) e l’apertura della prima Scuola Waldorf a Stoccarda nel 1919 (per Steiner). 6 P. SORZIO, Dewey e l’educazione progressiva, Carocci, Roma 2009, p. 39. 7 F. CAMBI, Manuale di storia della pedagogia, Laterza, Roma-Bari 2003, p. 285.
  • 4. 3 movimento delle “scuole nuove”, analizzando (e, infine, valutando sommariamente) i punti d’incontro e di scontro tra Steiner e Dewey a livello di premesse pedagogiche.8 Prima di entrare nel merito del presente lavoro, a conclusione di questa breve introduzione e a mo’ di legittimazione di questo stesso testo, è opportuno soffermarsi su una considerazione, che metta in luce l’importanza di un lavoro comparativo in campo pedagogico. Fosse anche solo per destare l’attenzione del lettore, piuttosto che per rispondere ad eventuali critiche di ridondanza che potrebbero essere mosse ad un lavoro del genere, è necessario ricordare che un’indagine comparativa non è semplicemente un pleonastico bric-à-brac intellettuale: «spesso il modo migliore per rendersi conto di una determinata modalità educativa è quello di esaminarne altre. Familiarizzare con ciò che è straniero ed estraniarsi da ciò che è familiare sono due slogan direttivi per gli studiosi di antropologia culturale […]. Per qualsiasi persona interessata alla comprensione e al miglioramento della scuola […], un buon punto di partenza consiste in un’analisi delle altre tipologie di sistemi scolastici».9 8 Non è di certo inedita l’operazione di accostare l’educazione nuova alla pedagogia Waldorf in un’ottica comparativa al fine di valutare affinità e differenze. Già un’indagine particolarmente accurata dell’Unesco si cimentava in parte in un lavoro simile, sottolineando in ultima istanza che «nella prospettiva storica e sistematica, il lavoro pratico delle scuole Rudolf Steiner […] mostra collegamenti particolarmente stretti con le altre tendenze della Nuova Educazione. Ciò si mantiene ben visibile [ad esempio ed] in primo luogo per la struttura e l’organizzazione [delle scuole steineriane]: sono imprese che mantengono la propria autonomia finanziaria e d’insegnamento e sono caratterizzate da una tendenza educativa che mette al centro il bambino. I genitori e gli insegnanti lavorano insieme nell’interesse dello sviluppo del bambino» (H. ULLRICH, Rudolf Steiner (1861 – 1925). Un pensatore e un riformatore neo-romantico in «Prospettive: la rassegna trimestrale di educazione comparata», trad. it. M. Orlandi, Unesco, Parigi, vol. XXIV, no. 3/4 (1994), pp. 560-1). 9 P. B. UHRMACHER, Uncommon schooling: a historical look at Rudolf Steiner, anthroposophy and Waldorf education in «Curriculum inquiry», vol. 25, no. 4 (Winter 1995), traduzione nostra, p. 382: «oftentimes the best way to see one style of education is by examining others. Making the strange familiar and the familiar strange are two guiding slogans for cultural anthropologists […]. For anyone interested in understanding or improving public schools, one important place to start is with the investigation of other types of school systems».
  • 5. 4 Cap. 1 – Sulla rilevanza assegnata alla psicologia del fanciullo  Premessa per Dewey L’educazione nuova prende le mosse a partire da «una critica severa […] contro la cosiddetta “scuola tradizionale”, denunciata come scuola dello sforzo, del castigo, come scuola passiva, adultistica, centrata sul programma, lontana dalla vita reale».10 Per dirla con Dewey, la “vecchia educazione” era caratterizzata da «passività dell’atteggiamento, meccanico inquadramento in massa dei ragazzi, uniformità dei programmi e del metodo […]. Il centro di gravità [era posto] fuori dal fanciullo. [Nell’educazione nuova invece si verifica] lo spostamento del centro di gravità […]: il fanciullo diventa il sole intorno al quale girano gli strumenti dell’educazione. Esso è il centro attorno al quale essi sono organizzati, [in modo tale che] nella scuola la vita del fanciullo diventa lo scopo che sovrasta ogni altro […]. Deve imparare? Certamente, ma prima deve vivere, e imparare mediante e in relazione con questa vita».11 Questa svolta puerocentrica implica anzitutto il porre enfasi sulla psicologia del fanciullo, al fine di «promuoverne la crescita fisica, intellettiva, affettiva e sessuale, non tanto richiamandosi ad una prestabilita concezione filosofica dell’uomo, quanto affidandosi alle indicazioni messe a punto dagli studi di psicologia dell’età evolutiva».12  Dewey Dewey si fece promotore di una «concezione moderna dello spirito [o, in altri termini, della psiche umana] come essenzialmente processo, processo di sviluppo e non oggetto immobile».13 Ai suoi occhi: «la dottrina passata considerava lo spirito come spirito, e questo era tutto. Lo spirito era il medesimo sempre; perché arredato dello stesso assortimento di facoltà sia nel bambino che nell’adulto […]. Il ragazzo era un piccolo uomo e il suo spirito era un piccolo spirito, identico in tutto a quello dell’adulto eccetto che nella misura, col suo arredamento già pronto di facoltà, come attenzione, memoria, ecc… Ora invece noi crediamo che lo spirito sia una realtà in sviluppo, e pertanto essenzialmente in mutamento, che presenta fasi distinte di capacità e di interesse nei differenti periodi […]. “Prima erba, poi spiga, poi grano compiuto nella spiga” […]. [In passato] il corso di studi fu interamente, seppure inconsapevolmente, regolato dall’idea che poiché lo spirito e le sue facoltà sono sempre gli stessi, le materie di studio dell’adulto che ordinano logicamente fatti e principi costruiscono pure il naturale “studio” del fanciullo […]. Ne risultò così il corso di studio tradizionale nel quale gli spiriti dell’adulto e del fanciullo erano assolutamente identificati […]. L’intera sfera dell’universo fu divisa in sezioni chiamate studi, e ciascuno di questi fu diviso in pezzetti, ognuno dei quali fu assegnato a un certo anno del corso […]. [Alla luce della svolta puerocentrica] si deve [invece] effettuare la scelta e la distribuzione del materiale lungo il corso di studi con riguardo al contenuto adatto alle direzioni dell’attività in un dato periodo e non a segmenti staccati di un organismo precostituito».14 10 R. LANFRANCHI – J.M. PRELLEZO, Educazione, scuola e pedagogia cit., p. 303. 11 J. DEWEY, Scuola e società in «Il mio credo pedagogico. Antologia di scritti sull’educazione», La Nuova Italia, Firenze 1963, cap. III – La scuola e la vita del fanciullo, pp. 63-5. 12 G. CHIOSSO, Novecento pedagogico cit., p. 55. 13 J. DEWEY, Scuola e società cit., cap. IV – Psicologia dell’istruzione elementare, p. 90. 14 Ibid., pp. 90-1.
  • 6. 5 Assegnata tale rilevanza alla psicologia del fanciullo, in virtù di “processo” e non di “oggetto immobile”, Dewey poteva procedere ad affrontare la “questione delle fasi dello sviluppo” e di come ci si debba accostare a queste sotto un profilo pedagogico. «Il primo stadio (che si riscontra nei fanciulli da circa quattro a otto anni) è caratterizzato dall’immediatezza degl’interessi sociali e personali e dall’immediatezza con cui si effettua il rapporto fra impressioni, idee e azioni. In questa fase c’è un’urgente e immediata necessità di movimento per esprimersi. [Di conseguenza, si cerca di fare in modo che il ragazzo] si avvicini a una forma sociale, in giochi, occupazioni, arti industriali in miniatura, racconti, immaginazione pittorica e conversazione […]. Il materiale non viene presentato sotto forma di lezioni […], ma come qualcosa che debba venire immesso nella stessa esperienza del fanciullo attraverso attività sue proprie. [È opportuno che si dia] ad esse un rilievo tale da dominare il programma scolastico allo scopo di mantenere l’intima connessione fra il conoscere e il fare che è così caratteristica di questo periodo della vita del fanciullo […]. Nel secondo periodo, che va dagli otto o nove anni agli undici o dodici, lo scopo da proporsi è quello di riconoscere e favorire il mutamento che deriva nel fanciullo dal suo senso crescente della possibilità di risultati più duraturi e oggettivi [di contro a quelli immediati e più soggettivi del primo periodo] e della necessità di controllare i mezzi atti a fornire la maestria necessaria per raggiungere questi risultati. [L’adeguamento dei mezzi ai fini e la scoperta dei nessi fanno sì che], all’identificazione personale e drammatica del fanciullo con la vita sociale studiata, che caratterizza il periodo precedente, si aggiung[a] ora un’identificazione intellettuale, in quanto il ragazzo si pone sul piano dei problemi che devono essere affrontati e riscopre in qualche modo i mezzi per affrontarli. [Tanto l’esperienza intellettuale quanto quella sociale del ragazzo si affinano alla ricerca di “risultati permanenti”, che richiedono norme e regole, come il ragazzo può appurare in prima persona attraverso l’aspetto sperimentale e analitico degli studi che gli si propongono – per quel che concerne l’esperienza intellettuale – e attraverso il carattere dei giochi dei giovani di quest’età – per quanto riguarda l’esperienza sociale –]. Il terzo periodo dell’istruzione elementare sta sul limite di quella secondaria [da circa undici o dodici anni fino a tredici o quattordici anni. Dewey lavora coi materiali di osservazioni sue e dei suoi collaboratori nella scuola di Chicago [e], riguardo all’ultimo periodo, […] egli manca di dati sperimentali sufficienti a consentire alcuna generalizzazione. Ciò non toglie che il filosofo americano possa giungere ad una conclusione generale]: il ragazzo ha [ormai a quest’età] una sufficiente conoscenza, attinta in modo assai diretto, di varie forme di realtà e di vari modi di attività, e [quindi] si è reso abbastanza padrone dei metodi e degli strumenti di pensiero, di indagine e di attività appropriati alle varie fasi di esperienza in modo da potersi dedicare con profitto ad arti e studi speciali e distinti con finalità tecniche e intellettuali».15  Premessa per Steiner La pedagogia e, a fortiori, l’intero pensiero di Steiner prendono inevitabilmente le mosse a partire dalla sua Weltanschauung d’impronta spiritualista – l’antroposofia. Si tratta di una «via della conoscenza che vorrebbe condurre lo spirituale che è nell’uomo allo spirituale che è nell’universo».16 Nell’antroposofia 15 Ibid., pp. 93-100 e 104. 16 S. CHISTOLINI, La pedagogia secondo Rudolf Steiner. L’humanitas e il movimento delle Scuole Waldorf, FrancoAngeli, Milano 2008, p. 28. In maniera più distesamente descrittiva, «l’antroposofia indica all’uomo come giungere gradualmente dal sapere consueto (esclusivamente legato alla percezione) alla conoscenza interiormente reale attraverso esercizi di meditazione e di concentrazione e attraverso procedimenti animici, riguardanti la volontà e il sentimento oltre la percezione e il pensiero, che portano all’ispirazione, all’intuizione, allo hellsehen (chiara visione), fino a cogliere l’universalità dell’essere cosmico che si manifesta nei singoli uomini in incessanti metamorfosi evolutive e si esprime nelle vicende in cui singoli individui vengono a trovarsi» (L. ARGENTINO BUX, Rudolf Steiner in M. LAENG, «Enciclopedia pedagogica», La Scuola, Brescia 1994, vol. VI, p. 11198).
  • 7. 6 l’uomo è concepito integralmente come un essere “articolato in sé come corpo, anima e spirito”;17 un essere che «può venir compreso soltanto in connessione col cosmo. [Infatti] prima della nostra nascita eravamo nel cosmo, e le nostre esperienze di allora si riflettono adesso in noi; quando poi avremo varcato la porta della morte, ritorneremo nel cosmo: la nostra vita avvenire si esprime in germe in ciò che domina ora nella nostra volontà»,18 una volontà che ci spinge verso «un’indagine scientifica [in senso antroposofico] del mondo spirituale [affinché si possano] attivare le forze dell’uomo [corporee, animiche e spirituali] assopite nella coscienza ordinaria e abituale perché egli possa penetrare nel mondo soprasensibile, [che varrebbe a dire ricongiungersi al cosmo mediante una sorta di risveglio spirituale]».19 Di conseguenza, all’interno del movimento antroposofico, l’interesse per la pedagogia sorge naturalmente e spontaneamente e non è rivolto ad «una pedagogia astratta, ma [piuttosto alla] realizzazione pratica di un modo di vivere. Educazione e pedagogia sono per Rudolf Steiner arte, poiché intendono far venir fuori l’elemento divino, spirituale che è nel bambino. [A tal proposito, Steiner non può che costruire] la sua arte dell’educazione su di un’ampia e generale conoscenza dell’essere umano».20 Nelle sue stesse parole: «se guardate spassionatamente il bambino appena disceso in questo mondo, vi accorgerete che in lui […] lo spirito-anima non è ancora veramente congiunto alla corporeità fisica, solida. È missione dell’educazione, intesa in senso spirituale, far incontrare armonicamente queste due parti costitutive dell’essere umano, metterle d’accordo».21 Ne deriva che, per poter compiere la sua missione, la pedagogia steineriana deve principiare con un “approfondimento scientifico spirituale nell’essere dell’uomo”, che assume un valore fondante e centrale per l’intera proposta educativa: «per il problema dell’educazione, non si avanzeranno richieste o programmi, ma verrà semplicemente descritta la natura del bambino. Dall’essere dell’uomo in formazione risulteranno, naturalmente, gli spunti per l’educazione».22  Steiner Al pari di Dewey, anche Steiner fu convinto assertore di una “concezione moderna” della psiche come “processo di sviluppo”, di contro ad un concezione statica ed astratta. Tale concetto fu persino esteso all’intero essere dell’uomo, in quanto non la sola mente bensì lo «sviluppo [globale] del bambino e dell’adolescente è concepito come un processo di crescita e di metamorfosi in cui le forze cosmiche vegetative, animali ed intellettuali si sviluppano in fasi successive […], secondo il ritmo cosmico di periodi di 17 R. STEINER, L’arte dell’educazione come base di una vera conoscenza dell’uomo in «Educazione del bambino e preparazione degli educatori», Antroposofica, Milano 1996, p. 49. Cfr. anche R. STEINER, Arte dell’educazione I – Antropologia, Antroposofica, Milano 2009, pp. 45 e 154. 18 Ibid. p. 38. 19 L. ARGENTINO BUX, Rudolf Steiner cit., p. 11198. 20 Ibid., p. 11199. 21 R. STEINER, Arte dell’educazione I cit., pp. 21-2. Per una maggiore chiarezza concettuale relativamente al fine ultimo della pedagogia steineriana, cfr. S. CHISTOLINI, La pedagogia secondo Rudolf Steiner cit., p. 26. 22 R. STEINER, L‘educazione del bambino dal punto di vista della scienza dello spirito in «Educazione del bambino e preparazione degli educatori», Antroposofica, Milano 1996, p. 12. A titolo di chiarificazione per l’intera descrizione antropologica e psicologica del bambino in senso antroposofico che seguirà, può essere utile richiamare alla mente un paragone steineriano: «tutta la vita è come una pianta che non contiene soltanto quello che si presenta all’occhio, ma che nasconde pure nelle sue recondite profondità anche uno stadio futuro […]. Già ora la pianta contiene nascostamente la disposizione ad avere fiori e frutti. Però, come si potrebbe dire quale sarà l’aspetto di tali organi se della pianta si volesse studiare soltanto quello che essa offre ora al nostro sguardo? Lo si potrà soltanto conoscendo la natura della pianta. Anche tutta la vita umana contiene in sé disposizioni per il suo avvenire. Ma per poter dire qualcosa di quell’avvenire occorre penetrare nella natura nascosta dell’uomo» (ibid., p. 10).
  • 8. 7 sette anni».23 Tuttavia, diversamente da Dewey, Steiner è critico verso le dottrine psicologiche non tanto del passato quanto piuttosto di quelle moderne ed odierne. Causticamente, egli ritiene che: «è vero che in moltissime scuole è stata riconosciuta la necessità di porre ogni istruzione ed educazione su basi psicologiche, e tutti sanno che per esempio la pedagogia herbartiana […] fondava le proprie misure educative sulla psicologia dello stesso Herbart. Ma negli ultimi secoli, e ancora oggi, qualcosa impedì l’affermarsi di una psicologia vera e feconda […]. Chiunque oggi prenda in mano un testo di psicologia […] non vi troverà nessuna sostanza reale, ed avrà la sensazione che gli psicologi si limitino a giocare con i concetti. Chi sviluppa oggi un concetto esatto, chiaro, di rappresentazione, di volontà? [E non dobbiamo forse sviluppare nei bambini il rappresentare, il sentire e il volere? Per quanti testi di psicologia o pedagogia si possano sfogliare, non se ne ricaverà] un’idea vera di ciò che è “rappresentazione” e di ciò che è “volontà”, perché si è del tutto trascurato […] di riallacciare […] il singolo individuo all’intero universo. [E] solo quando si sia capaci di scorgere le relazioni del singolo uomo col cosmo intero, si otterrà una giusta idea dell’essere umano come tale […]. Se da insegnanti facciamo nostra [una] facoltà, [per esempio quella] di operare a mezzo di immagini [per formare la “volontà” di un bambino, almeno prima che egli abbia raggiunto il quattordicesimo anno di età], dovremo avere continuamente il sentimento di lavorare sull’uomo intero, di risvegliare un’eco in tutta la creatura umana».24 Posto l’accento sulla centralità della conoscenza dell’uomo, delle sue facoltà principali (rappresentare, sentire e volere) e del loro sviluppo per l’esercizio di un’efficace azione pedagogica, Steiner poté procedere a delineare più precisamente dei veri e propri stadi del processo di sviluppo.25 «Steiner sostenne che il bambino evolve attraverso tre stadi. Il primo lo etichettò come il periodo dell’imitazione. Dalla nascita fino a circa sette anni, i bambini imparano grazie all’imitazione e al fare […]. Steiner raffigurò questo primo stadio in termini di […] organizzazione del corpo fisico. Detto altrimenti, la vita del bambino è dominata dal proprio volere e dal proprio metabolismo. [Inoltre] Steiner ritenne che noi impariamo sfruttando l’intero nostro corpo [e non solo la mente. Di conseguenza], in questo primo stadio di sviluppo, imparare è un processo che permea la fisicità del bambino nella sua interezza. Il secondo stadio ha inizio attorno ai sette anni, quando il bambino perde i denti da latte. Secondo Steiner, la seconda dentizione che viene ad estromettere la prima rappresenta con evidenza il corpo eterico che fuoriesce dal proprio “involucro eterico” […]. La forza eterica è ciò che distingue i viventi dai minerali [e, per gli esseri umani], il corpo eterico diventa il portatore del carattere, del temperamento, delle abitudini e della memoria. [Quindi] il motivo per cui gli insegnanti Waldorf non insegnano ai bambini a leggere o a memorizzare informazioni [o a concentrarsi su materie intellettuali] prima dei sette anni è dovuto al fatto che il corpo eterico è ancora operativo solo in stretta connessione al corpo fisico. [Inoltre], Steiner sostenne che il 23 H. ULLRICH, Rudolf Steiner (1861 – 1925) cit., p. 558. «Nell’uomo è possibile parlare di quattro parti costitutive della sua entità: corpo fisico, corpo eterico o vitale, corpo astrale o senziente e corpo dell’io. Anima senziente, anima razionale, anima cosciente e anche le parti superiori della natura umana (sé spirituale, spirito vitale e uomo spirituale) appaiono [poi] come risultati delle prime quattro parti […]. Come educatori si lavora sulle parti costitutive dell’entità umana. Se si vuole lavorare in modo giusto, bisogna studiarne la natura. Non si deve però assolutamente pensare che quelle parti si sviluppino nell’uomo in modo che in un momento qualsiasi della sua vita, per esempio alla nascita, siano tutte egualmente avanzate. Il loro sviluppo avviene piuttosto nelle diverse età in modo diverso» (R. STEINER, L‘educazione del bambino cit., p. 21). 24 R. STEINER, Arte dell’educazione I cit., pp. 28-9 e 43. 25 Gli stadi di sviluppo del bambino sono stati delineati da Steiner nel suo “primo scritto pedagogico” – L‘educazione del bambino dal punto di vista della scienza dello spirito (1907) – e la loro trattazione è stata poi ripresa pressoché in ogni conferenza successiva. In questa sede, per motivi di sintesi, se ne riporta un compendio chiaro ed esaustivo tratto dalla letteratura secondaria, piuttosto che citare direttamente le parole dell’autore.
  • 9. 8 secondo stadio è il periodo del sentimento (feeling), del sentire [che] richiede un insegnamento fatto di figure, immagini, ritmo [e, ancora], di fiabe, di leggende e di storie […]. Infine, il terzo stadio, che va dalla pubertà fino all’età di ventun anni, è segnata dal rilascio del corpo astrale, il corpo della coscienza. In qualità di portatore di “dolore e piacere, di impulsi, brame, passioni e così via”, il corpo astrale […] crea una nuova relazione tra mente e corpo. Il pensiero ed il giudizio sono le due pietre angolari di questa fase di sviluppo […]. Ora gli insegnanti possono ricorrere più liberamente ad astrazioni […]».26  Annotazioni comparative conclusive Nel porre al centro dell’opera educativa la psicologia del fanciullo ritroviamo diversi punti in comune tra Dewey e Steiner. Entrambi si rivelano particolarmente critici verso una concezione “statica” della psiche del bambino o dell’uomo in generale. Entrambi elaborano prospettive pedagogiche che si evolvono seguendo passo per passo lo sviluppo del soggetto educato. Questo sviluppo, tanto per Dewey quanto per Steiner, si articola in tre stadi: pur non essendoci accordo per quanto riguarda le età d’inizio e di fine di ciascuno degli stadi, questi ultimi sono caratterizzati in maniera similare dai due pensatori – lo stadio iniziale è caratterizzato dal predominio della “corporeità” mentre quello finale dalla possibilità di un esercizio pieno o maturo del “pensiero”. Nello stadio intermedio dello sviluppo, tuttavia, compaiono constatazioni differenti: in Dewey viene sottolineata maggiormente l’importanza delle prime “esperienze intellettuali”, in Steiner quella del “sentimento”. La vera e propria differenza sostanziale, invece, risiede nel fatto che «contrariamente al percorso preso da Dewey e Montessori, che hanno cercato di fondare la loro Nuova Educazione sulle idee recenti della psicologia empirica del bambino, Steiner ha basato il suo programma educativo interamente sulla sua antropologia spiritualistica cosmica: se vogliamo riconoscere l’essenza dell’individuo nel suo sviluppo, dobbiamo partire da una considerazione della natura occulta dell’uomo in quanto tale».27 Cap. 2 – Sul richiamo agli interessi-bisogni del discente  Dewey Dalla svolta puerocentrica, e dalla conseguente necessità di assegnare una grande rilevanza alla psicologia del fanciullo, derivava un altro nucleo tematico fondamentale per l’educazione nuova: «per educare in modo efficace [bisogna] appellarsi alle risorse del fanciullo e rispondere ai suoi interessi più profondi […]. Educare significa [infatti] rispondere agli interessi (e ai bisogni) infantili».28 Tratteggiando una vera e propria “teoria dell’interesse”, scrive Dewey: «io credo che la questione del metodo [d’insegnamento] sia riducibile alla questione dell’ordine dello sviluppo delle facoltà e degli interessi del fanciullo. La legge per la presentazione e per la trattazione della materia è la legge implicita nella natura del fanciullo medesimo [e] gli interessi sono i segni e i sintomi dello sviluppo di capacità […] Questi interessi devono essere osservati come indici dello stato di sviluppo raggiunto dal fanciullo [poiché] annunciano lo stadio nel quale il fanciullo sta per entrare; [poiché] solo mediante 26 P. B. UHRMACHER, Uncommon schooling cit., traduzione e corsivi nostri, pp. 389-91. 27 H. ULLRICH, Rudolf Steiner (1861 – 1925) cit., p. 558. 28 G. CHIOSSO, Novecento pedagogico cit., p. 55.
  • 10. 9 l’osservazione continua e sollecita degli interessi della fanciullezza è dato all’adulto di penetrare nella vita del fanciullo. [Va comunque sottolineato che] a questi interessi non si deve indulgere né li si devono reprimere. Reprimere un interesse significa sostituire l’adulto al fanciullo […]; indulgere agli interessi significa sostituire ciò che è transeunte a ciò che è permanente. L’interesse è sempre il segno di qualche potere celato; la cosa importante è di scoprirlo».29 Proprio a partire dagli impulsi e dagli interessi dei ragazzi, facendo leva su di essi e utilizzando le quattro forme in cui l’interesse si specifica (interesse sociale, indagativo, costruttivo e artistico), il metodo attivo dell’educazione promuove e aiuta l’allargamento dell’esperienza dei ragazzi, la loro presa di contatto con “un mondo più largo di realtà” sia naturale che sociale.30 Si tratta d’altronde di piani di realtà entro i quali fin da sempre è ricompreso l’uomo; piani di realtà dai quali, proprio in funzione di tale ricomprensione, interessi e bisogni naturali non possono che scaturire spontaneamente, allorché si comprende che questi «termini esprimono [anzitutto] l’assorbimento dell’io in un oggetto»:31 «i cambiamenti nelle cose non sono estranei alle attività di una persona, […] la carriera e il benessere della persona sono legati al movimento delle persone e delle cose. Interesse, preoccupazione, significano che la persona e il mondo sono impegnati fra loro in una situazione che si va sviluppando […].32 [Sul piano pedagogico, è necessario che la materia di studio venga presentata al bambino in modo da] svegliarne l’interesse o di creare un senso di connessione. [Accade spesso che] i genitori e i maestri si lamentano […] che i bambini “non vogliono ascoltare, non vogliono capire”. [Ciò è dovuto al fatto che] le loro menti non sono sul soggetto proprio perché non li tocca: non rientra nei loro interessi […].33 Il problema dell’istruzione è perciò quello di trovare il materiale che impegni una persona in attività specifiche che abbiano uno scopo o un proposito per essa importante o interessante e che consideri le cose non come strumenti di ginnastica ma come condizioni per il raggiungimento di fini. [In questo consiste, in ultima istanza, l’inestimabile valore dell’interesse: esso] rappresenta la forza motrice degli oggetti, siano essi percepiti o presentati in immaginazione, in qualsiasi esperienza che abbia uno scopo.34 [Detto altrimenti], alla lunga il valore [dell’interesse consiste nel condurre] il bambino a “pensare”, cioè a riflettere sui suoi atti e a impregnarli di scopi».35 Quest’ultimo punto è particolarmente significativo in quanto, in definitiva, per Dewey l’interesse non è solo «una caratteristica originaria dell’apprendimento, perché attribuisce una tonalità emotiva favorevole 29 J. DEWEY, L’educazione di oggi in «Il mio credo pedagogico. Antologia di scritti sull’educazione», La Nuova Italia, Firenze 1963, cap. I – Il mio credo pedagogico, pp. 18 e 22. 30 Cfr. J. DEWEY, Scuola e società cit., p. 74. «Teniamo presenti queste quattro forme di interessi – l’interesse per la conversazione o comunicazione, per l’indagine e la scoperta delle cose, per la costruzione di oggetti, per l’espressione artistica –; possiamo dire che sono le risorse naturali, il capitale non ancora investito, dal cui impiego dipende l’attiva crescenza del fanciullo» (ibid., pp. 71-2). 31 J. DEWEY, Democrazia e educazione in «Il mio credo pedagogico. Antologia di scritti sull’educazione», La Nuova Italia, Firenze 1963, cap. V – Interesse e disciplina, p. 108. 32 Ibid., p. 107. L’io non è qualcosa di separato dal mondo naturale e sociale. Esso è parte della realtà che si sviluppa, ed esso esiste per promuovere e indirizzare tale sviluppo. L’interesse si spiega in virtù di questa connessione originaria tra l’individuo e il mondo, che rende possibile l’interesse medesimo – “l’assorbimento dell’io nell’oggetto” (cfr. ibidem). Persino etimologicamente «la parola interesse suggerisce […] ciò che vi è in mezzo, ciò che collega due cose altrimenti distanti» (ibid., p. 109). 33 Ibid., p. 114. 34 Ibid., pp. 115 e 120. 35 Ibid., p. 114.
  • 11. 10 all’esperienza».36 Per Dewey l’interesse è soprattutto ciò che permette al bambino d’iniziare a “pensare”, in quanto l’interesse, come il pensiero, «acquista la sua distinzione e la sua direzione in virtù di obiettivi e contenuti intellettuali;37 in quanto, senza interesse (vale a dire senza curiosità, senza suggestioni e senza ordine delle suggestioni)38 non si può muovere un solo passo verso il “pensare” (e, quindi, verso l’individuazione di un fine, verso la riflessione sugli atti necessari a realizzarlo e verso l’esecuzione pratica di questi atti): «la curiosità va oltre il livello organico e sociale e diventa intellettuale nel grado in cui si trasforma in [vero e proprio] interesse a scoprire da sé le risposte ai problemi che nascono dal contatto con le persone e con le cose […]. Il problema cruciale di ogni educatore […] è quello di utilizzare per propositi intellettuali la curiosità organica della esplorazione fisica e della interrogazione verbale. Questo si può ottenere con l’interessarli a fini che sono più remoti, che esigono la scoperta e l’intervento di atti, di oggetti e di idee intermedie. Proprio nel grado in cui un fine distante controlla una serie di ricerche e di osservazioni e le collega assieme come mezzi ad un fine, la curiosità assume definitivamente un carattere intellettuale [del tutto simile e paragonabile al pensiero riflessivo]».39  Steiner Il “richiamo agli interessi-bisogni” del discente, centrale nella prospettiva dell’educazione nuova, è fondamentale anche nell’ottica della pedagogia steineriana: «chi non ha mai fatto esperienza dell’impotenza degli insegnanti allorché i loro compiti vengono definiti da regolamenti o da richieste dei genitori? Chi non ha mai fatto esperienza della frustrazione che si prova quando i compiti assegnati contraddicono gli interessi ed i talenti innati del bambino (child’s innate interests and talents)? Chi non ha mai percepito o osservato la verità secondo la quale persino gli sforzi più portentosi non raggiungono alcuno scopo, se non sono messi in atto tenendo conto delle attitudini del bambino (child’s aptitudes)? [Pertanto] consideriamo necessario focalizzarci sulla questione delicata relativa agli interessi e ai doni innati del bambino (child’s innate interests and gifts) e tenerli in debita considerazione quando si insegna […].40 Per interesse, noi intendiamo tutto ciò che riguarda come le persone esprimono i propri desideri, come agiscono, se queste [si] sviluppano graziosamente o maldestramente – in altri termini, tutto ciò che è legato alla vita dell’anima e alla nostra interazione con il mondo esterno, tramite le nostre capacità e i nostri interessi (forti o deboli che siano) […].41 L’attenzione del bambino deve essere orientata verso compiti e attività coerenti con i suoi talenti [ovvero con i suoi interessi]. I talenti devono essere ammaliati dagli oggetti esterni, [ma bisogna fare attenzione]: non è giusto seguire la regola secondo la quale ai ragazzi dovrebbe essere permesso di seguire i propri interessi, semplicemente perché li hanno.42 [D’altro canto, 36 P. SORZIO, Dewey e l’educazione cit., p. 41. 37 Ibidem. 38 J. DEWEY, Come pensiamo. Una riformulazione del rapporto fra il pensiero riflessivo e l’educazione, La Nuova Italia, Firenze 1967, pt. I, cap. 3 – Le risorse native nell’educazione del pensiero, pp. 98-120. 39 Ibid., corsivi nostri, pp. 102-3. 40 R. STEINER, Interests, talents and educating children in «The education of the child and early lectures on education», Anthroposophic press, Hudson 1996, traduzione nostra, p. 73. 41 R. STEINER, Interests, talents and education in «The education of the child and early lectures on education», Anthroposophic press, Hudson 1996, traduzione nostra, p. 98. 42 R. STEINER, Interests, talents and educating children cit., traduzione nostra, p. 81. Come si può notare nei paragrafi che ivi seguono, gli interessi vanno orientati a seconda del temperamento personale del singolo – anche Steiner, quindi, sembra essere contrario ad una “teoria lassista o spontaneista dell’interesse” proprio al pari di Dewey (cfr. J. DEWEY, Democrazia e educazione cit., p. 109 e P. SORZIO, Dewey e l’educazione cit., p. 40).
  • 12. 11 però, è spregevole] se fissiamo una o un’altra determinata capacità che dovremmo sviluppare. La giusta attitudine da adottare verso un essere umano che sta crescendo la conseguiamo [allora] solo considerando ogni bambino individualmente e nella sua specificità».43 In ultima istanza, però, questa sottolineatura degli “interessi”, dei “talenti” e delle “attitudini del bambino” sembrerebbe servire alla pedagogia di Steiner a scopi differenti rispetto a quelli ai quali mirava Dewey. Quest’ultimo prestava particolare attenzione agli interessi in quanto “indici dello stato di sviluppo raggiunto dal fanciullo”, veicoli per procedere verso un “allargamento dell’esperienza dei ragazzi” e germi da coltivare per orientare i bambini verso il (e, successivamente, nel) “pensare”. Ma non è questo l’unico motivo per cui l’educazione nuova fa appello agli interessi-bisogni del discente. Infatti, il fine ed il corollario di tale appello consistono anche nella «necessità di predisporre di piani di lavoro e di sviluppo personalizzati, [considerato che lo sforzo ad imparare del bambino va armonizzato] con le aspettative e i bisogni profondi di [ciascun] individuo».44 È proprio su questa pista che, in vista di coniugare al meglio gli insegnamenti in funzione degli interessi e dei bisogni di ogni singolo ragazzo, si pone la trattazione degli interessi di Steiner – una trattazione che, si badi bene, piuttosto che confluire in una “teoria dell’interesse”, sfocia in una “teoria della personalità”:45 «accostandoci ai bambini vediamo subito che essi sono diversi tra di loro e di questa diversità bisogna tener conto nonostante l’insegnamento collettivo […]. Questa diversità si può ricondurre a quattro tipi fondamentali, e il compito più importante dell’educatore e del maestro è di conoscere veramente questi tipi fondamentali che vengono chiamati temperamenti […]: il sanguinico, il melanconico, il flemmatico, il collerico. Riscontriamo che si potrà sempre far rientrare in una di queste classi di temperamento l’indole caratteriologica di ogni bambino [che ha molto a che fare con la manifestazione dell’interesse]. In senso scientifico-spirituale suddividiamo l’essere umano in io, corpo astrale, corpo eterico e corpo fisico. Nell’uomo ideale dovrebbe naturalmente dominare fra queste quattro parti costitutive dell’essere umano l’armonia predisposta dall’ordinamento cosmico, ma in realtà ciò non avviene in nessuno […]. In ognuno predomina uno dei quattro elementi […]. Se predomina particolarmente l’io […], allora [il bambino] ci appare con un temperamento malinconico. [Questi bambini] hanno l’inclinazione a rimuginare e a stare meditabondi […]; essi non si interessano facilmente alle impressioni esteriori [e] non si ha mai l’impressione che davvero siano interiormente in ozio […]. Se predomina il corpo astrale, ci appare il temperamento collerico […]. I bambini che esprimono energicamente la loro volontà con una specie di furia sono collerici […]. Se predomina il corpo eterico, ci appare il temperamento sanguinico […]. Se un bambino si interessa per breve tempo di un gran numero di cose e poi smette rapidamente di interessarsene, dovremo designarlo come sanguinico […]. Se predomina il corpo fisico, ci appare il temperamento flemmatico […]. [Se] abbiamo l’impressione che dei bambini siano interiormente inerti, che siano come sommersi in se stessi, e che non dimostrino partecipazione verso quanto avviene al di fuori, abbiamo a che fare con dei flemmatici […]. 43 Ibid., traduzione nostra, p. 95. 44 G. CHIOSSO, Novecento pedagogico cit., p. 55. 45 Il concetto steineriano di personalità si pone «in opposizione alla ricerca psicologica contemporanea che ha seguito una tendenza empirica: sullo sfondo della sua visione spirituale del mondo, [Steiner unisce] le forze [che si manifestano nei ragazzi sotto forma di interessi, talenti e attitudini] con la vecchia dottrina europea dei quattro temperamenti. Il carattere unico di uno specifico essere umano deve potersi descrivere precisamente con uno dei quattro tipi di umori definiti da Galeno: melanconico, flemmatico, collerico e sanguinico. Ciascuno di questi quattro temperamenti rappresenta un tipo psico-fisico completo, riconoscibile psicologicamente dal genere di stimoli cui l’individuo è più ricettivo e, fisicamente, dalla configurazione del corpo. Steiner credeva che un temperamento particolare fosse modellato dalla dominanza di una delle quattro forze cosmiche (fisiche, eteriche, astrali, spirituali) […]. Un compito importante dell’educazione è quindi armonizzare ed equilibrare le tendenze polarizzate del temperamento» (H. ULLRICH, Rudolf Steiner (1861 – 1925) cit., p. 559).
  • 13. 12 [Come si può intuire, l’interesse è strettamente legato al temperamento del bambino in quanto è attraverso il temperamento che si manifesta] tutto [l’]atteggiamento esteriore, tutto il […] modo di essere. [È quindi necessario] che nei primi mesi del nostro insegnamento esaminiamo i bambini sulla base di questi contrassegni [per] poter ripartire una classe in quattro settori [e, all’atto concreto dell’insegnamento, capire] a quale gruppo ci si deve rivolgere [per fare leva in maniera più efficace sugli interessi e le personalità specifiche, per cercare di stimolare i singoli bambini al raggiungimento di un’armonia delle proprie parti costitutive, attraverso opportuni interventi e rivolgimenti ai gruppi da parte degli insegnanti].46  Annotazioni comparative conclusive Nel richiamarsi agli interessi-bisogni del discente, Dewey e Steiner mostrano nuovamente notevoli punti di contatto. Entrambi si mantengono entro un’ottica puerocentrica nel momento in cui fanno leva sugli interessi e sui bisogni del bambino per attuare l’opera educativa. Così facendo, si evita una “pedagogia basata sullo sforzo”, nella quale «l’agire è imposto e il bambino conduce un’attività a lui estranea».47 Ma, allo stesso tempo, nessuno dei due si riversa in una “pedagogia basata sulla spontaneità”, nella quale «l’attività di apprendimento tende a essere limitata alla durata dell’interesse».48 Piuttosto, Dewey elabora una “teoria dell’interesse” nella quale, assecondando i diversi conati del soggetto educato, l’educatore è poi in grado di indirizzarli verso uno scopo – tratto essenziale per la nascita stessa del “pensiero riflessivo”. Mentre Steiner, dal canto suo, fa confluire i diversi tipi di interessi-bisogni dei discenti in una “teoria della personalità”, attraverso la quale si apre per l’insegnante la possibilità di predisporre di “piani di lavoro e di sviluppo personalizzati”. 46 R. STEINER, Arte dell’educazione III – Conversazioni di tirocinio e conferenze sul piano di studi, Antroposofica, Milano 2007, pp. 9-12. Da quanto detto ne deriva che, se si entra in una scuola primaria steineriana, «l’ordine in cui gli alunni sono messi in classe è determinato dal loro temperamento: i caratteri flemmatici e collerici si siedono nella parte esterna con i temperamenti sanguinici e malinconici al centro. Durante la lezione, l’insegnante [può così] indirizzarsi a turno ad ogni gruppo dando impulsi per equilibrarli» (H. ULLRICH, Rudolf Steiner (1861 – 1925) cit., p. 563). 47 P. SORZIO, Dewey e l’educazione cit., p. 40. 48 Ibidem.
  • 14. 13 Cap. 3 – Sulla creazione di uno stretto rapporto tra scuola e vita  Dewey Oltre ad una svolta puerocentrica, che rende sensibile l’opera educativa verso le differenti fasi di sviluppo del bambino e gli interessi-bisogni del discente, «un’altra peculiare caratteristica dell’educazione nuova fu un più stretto rapporto tra scuola e vita, superando quella barriera, spesso artificiosa, che sovente si frapponeva tra esperienze scolastiche e esperienze quotidiane».49 In breve, la scuola e l’educazione non potevano più essere concepite come realtà allotrie nei riguardi della società. Il pensiero di Dewey è particolarmente esemplare a tale proposito: «io credo che ogni educazione deriva dalla partecipazione dell’individuo alla coscienza sociale della specie […]. [Io credo che] la sola vera educazione avviene mediante lo stimolo esercitato sulle facoltà del ragazzo da parte delle esigenze della situazione sociale nella quale esso si trova […]. Io credo che l’individuo che deve essere educato è un individuo sociale e che la società è un’unione organica di individui […]. Essendo l’educazione un processo sociale, la scuola è semplicemente una forma di vita di comunità in cui sono concentrati tutti i mezzi che serviranno più efficacemente a rendere il fanciullo partecipe dei beni ereditati dalla specie e a far uso dei suoi poteri per finalità sociali. [Io credo che] l’educazione è, perciò, un processo di vita e non una preparazione a un vivere futuro. Io credo che la vita sociale del fanciullo è il fondamento della concentrazione, o della correlazione, di tutta la sua educazione o sviluppo. La vita sociale conferisce l’unità inconsapevole e lo sfondo di tutti i suoi sforzi e di tutte le sue realizzazioni. [Infatti io credo che] l’educazione non può essere unificata nello studio delle scienze [né in quello della letteratura, né in quello della storia o della geografia], poiché separata dall’attività umana la natura stessa non è unità […]. [Infine] io credo che l’educazione è il metodo fondamentale del progresso e dell’azione sociale. [Io credo che] l’educazione è una regola del processo mediante cui si giunge a partecipare della consapevolezza sociale; e che l’adattamento dell’attività individuale sulla base di questa consapevolezza sociale è il solo metodo sicuro di ricostruzione sociale».50 Riassumendo, per Dewey «l’educazione è per sua natura opera sociale, senza [per questo] nulla togliere alla opportunità di “individualizzare” quant’è possibile l’opera educativa per adeguarla alle capacità del singolo allo scopo di renderlo produttivo».51 Per il filosofo pragmatista americano, infatti, «individualismo e socialismo sono tutt’uno».52 Così come il legame “io-oggetto dell’ambiente” (a partire dal quale scaturisce l’interesse-bisogno, come si è visto nel capitolo precedente), anche il legame “individuo-società” non ha soluzione di continuità:53 la società è “l’unione organica degli individui” e, di conseguenza, «soltanto a patto di essere fedele al pieno svolgimento di tutti gli individui che sorgono alla vita, la società in ogni cambiamento può essere fedele a sé stessa».54 “La società in ogni cambiamento” – questo si è detto. 49 G. CHIOSSO, Novecento pedagogico cit., pp. 55-6. 50 J. DEWEY, L’educazione di oggi cit., pp. 3-9, 10-15, 26. 51 M. LAENG, John Dewey in M. LAENG, «Enciclopedia pedagogica», La Scuola, Brescia 1994, vol. II, p. 3730. 52 J. DEWEY, Scuola e società cit., cap. II – La scuola e il progresso sociale, p. 34. 53 Cfr. P. SORZIO, Dewey e l’educazione cit., pp. 53-4. 54 J. DEWEY, Scuola e società cit., cap. II – La scuola e il progresso sociale, p. 34.
  • 15. 14 Proprio il tema della società in “cambiamento” consente di sottolineare un altro aspetto centrale relativamente allo sviluppo del movimento per l’educazione nuova. Se la scuola è intimamente legata alla società, le trasformazioni della scuola dovranno venire giustificate da trasformazioni che siano avvenute o che si desideri recare nella vita sociale. Ne consegue che l’educazione nuova, per avere una sua giustificazione, deve trovare il suo posto nel dinamismo sociale.55 Ora, di fatto: «a partire dalla seconda metà del XIX secolo, le grandi trasformazioni nei processi produttivi hanno creato nuovi ambienti umani, producendo alienazione, mobilità, perdita del controllo sulla propria vita, ma contemporaneamente hanno aperto la possibilità di nuove relazioni solidali per un crescente numero di persone di origini culturali molto diversificate, hanno creato nuove opportunità per il futuro e favorito il moltiplicarsi delle esperienze artistiche. Riconoscendo la realtà sociale, con le sue fatiche, le sue contraddizioni, le sue stratificazioni, rompendo l’immagine della cultura funzionale ai ceti sociali privilegiati, l’educazione progressiva trova nella molteplicità e nel pluralismo il tessuto della democrazia. Al centro dell’attività didattica c’è l’apprendimento del metodo di problem solving [sviluppare il pensiero riflessivo come strumento in vista della risoluzione di problemi],56 per far acquisire agli studenti gli strumenti intellettuali e culturali per affrontare i problemi che riguardano la vita comunitaria. [In definitiva l’educazione nuova appare strettamente connessa alle trasformazioni sociali sorte dopo la seconda metà del XIX secolo. Sembra dunque corroborata l’idea deweyana, secondo la quale] la scuola va pensata in continuità con le altre sfere del vivere civile, perché una scuola organizzata come una comunità democratica orientata allo sviluppo di un metodo di problem solving ha ricadute significative nella società perché prepara cittadini capaci di riflessione critica e di rompere le cristallizzazioni della vita quotidiana».57  Steiner Anche la pedagogia steineriana è indubbiamente una pedagogia ideata in stretta connessione con il dinamismo sociale e i grandi mutamenti politico-economici, come quelli sorti tra la fine dell’‘800 e gli inizi del ‘900. In particolare, dopo il primo conflitto mondiale, le grandi trasformazioni socio-politico- economiche non erano più trascurabili a nessun livello sociale. Si rivolga l’attenzione ad un solo dato: «il 23 aprile 1919 [e, quindi, lo stesso anno in cui fu fondata la prima scuola Waldorf], Rudolf Steiner tenne una conferenza al deposito di tabacco della fabbrica di sigarette Waldorf-Astoria a Stoccarda in Germania […]. L’armistizio era avvenuto l’11 novembre 1918. Le persone erano stufe della guerra, allarmate per lo sconvolgimento sociale, preoccupate per il collasso economico e minacciate da una possibile guerra civile in Germania […]. Steiner parlò della necessità di decentralizzare entro lo Stato moderno tre sfere delle vita sociale – quella spirituale (o culturale), quella politica (o legale) e quella economica. Offrendo speranza per un nuovo ordine sociale/mondiale, Steiner voleva arrivare a sostenere che l’educazione può giocare un ruolo importante nel modellare la società […].58 [Steiner credeva che] l’aggressività tra i popoli derivava da una confusione fra interessi politici, economici, culturali. Al fine di evitare altri conflitti mondiali egli proponeva appunto la 55 Cfr. ibid., p. 35. «Il fatto chiaro è che la nostra vita sociale si è trasformata in modo profondo e radicale. Se la nostra educazione deve avere qualche significato per la vita, occorre che anch’essa passi attraverso una trasformazione altrettanto profonda» (ibid., p. 57). 56 Cfr. J. DEWEY, Come pensiamo cit., pt. I, cap. 1 – Che cos’è il pensiero?, pp. 98-120 e pt. II, cap. 7 – Analisi del pensiero riflessivo, pp. 174-193. 57 P. SORZIO, Dewey e l’educazione cit., pp. 18-9 e 40. 58 P. B. UHRMACHER, Uncommon schooling cit., traduzione nostra, p. 383.
  • 16. 15 teorizzata distinzione tra i tre corpi: l’economico, il politico ed il culturale […]. Dal punto di vista spirituale [o culturale], ciò che più rendeva frustrati gli operai, per il pensatore austriaco, era l’inferiorità culturale, la consapevolezza di non potere accedere ad una migliore educazione intellettuale e morale che permettesse loro una piena partecipazione sociale. Di qui l’importanza attribuita all’elevazione degli uomini ad una vita libera spiritualmente fondata».59 Vieppiù, oltre ad essere legata al dinamismo sociale dell’epoca in cui sorse, la prospettiva pedagogica steineriana, al pari di quella deweyana, fa propria la necessità di superare la “barriera artificiosa tra esperienze scolastiche e esperienze quotidiane”: «c’è un detto: il carattere di una persona si plasma in parte con lo studio ed in parte attraverso la vita. Ma scuola ed educazione non dovrebbero essere separate dalla vita. Piuttosto si dovrebbe dire che il carattere di una persona sarà opportunamente plasmato quando lo studio è anche vita.60 L’educazione deve poggiare sulla conoscenza e non su slogan quali “educate armoniosamente” o “considerate l’individuo”. Provate ad educare armoniosamente quando non sapete dove conducono gli interessi (interests), o provate a porre l’accento sul singolo quando non sapete come individuare le specificità di un individuo! In ogni caso, questo è solo un aspetto dell’educazione. Gli esseri umani non vengono al mondo esclusivamente per il loro interesse (sake), ma anche per l’interesse dell’umanità […]. Di conseguenza, se noi vogliamo educare coscienziosamente, dobbiamo riconoscere che non educhiamo persone solo in quanto individui.61 [D’altro canto] l’educazione è sempre stata un interesse (concern) della società e così rimane oggi. E così dovrà essere in futuro. Per l’educazione, pertanto, è necessario comprendere cosa la società richiede in una determinata era».62 Tale consapevolezza sembrerebbe di primo acchito avvicinare Steiner quanto più possibile a Dewey. Ad uno sguardo più attento, invece, si è probabilmente davanti ad uno dei punti di maggiore distacco tra i due. L’enfasi che Steiner pone sull’umanità, al di là dell’individualità specifica del singolo, non si traduce infatti in una concezione dell’educazione come “opera sociale” – tutt’altro! «Compito dell’educazione [Waldorf] è quello di guidare i giovani alla conoscenza di sé, aiutandoli nel loro sviluppo naturale, senza introdurre elementi correttivi mutuati da una società contemporanea percepita massimamente ostile alla crescita umana più autentica. [In Steiner] l’esaltazione dell’uomo individuo si spinge fino a voler vedere in ognuno la possibilità di attivare processi autonomi di educazione […] e l’intervento dell’adulto educatore deve facilitare questa progressiva capacità di essere, di essere nella e con la natura piuttosto che fuori e contro di essa.63 59 S. CHISTOLINI, La pedagogia secondo Rudolf Steiner cit., p. 87. 60 R. STEINER, Education and spiritual science in «The education of the child and early lectures on education», Antroposophic press, Hudson 1996, traduzione nostra, p. 70. 61 R. STEINER, Interests, talents and educating children cit., traduzione nostra, pp. 82-3. 62 R. STEINER, A modern art of education, Antroposophic press, MA 2004, traduzione nostra, p. 18. Particolarmente significativa la posizione di tale considerazione all’interno dell’opera citata, immediatamente precedente la descrizione dello “sviluppo della pedagogia occidentale”. Tale sviluppo viene suddiviso in tre stadi proprio a seconda dell’ideale educativo al cui raggiungimento miravano le società e le civiltà del passato – l’ideale del “ginnasta” nella civiltà greca, l’ideale del “retore” dalla romanità all’Alto Medioevo e l’ideale del “dottore” dal Basso Medioevo alla società moderna (cfr. ibid., pp. 17-50). 63 Intenzionale o meno che sia, appare qui notevole l’eco rousseauiana.
  • 17. 16 [In definitiva] l’uomo sociale è funzione dell’uomo individuo, da questo dipende. Di conseguenza, quanto più moralmente giusta, bella, forte, solida è la sua formazione, tanto più la società sarà governata da principi etici di ordine universale […] La scuola Waldorf assume connotazioni che si giocano oltre la contingenza storico-sociale degli avvenimenti umani. Essa appare chiaramente teleologica, più che strumentale e materialistica […]».64 Risulta evidente l’abisso che, a livello comparativo, si apre tra Steiner e Dewey, su questo punto. Entrambe le loro prospettive pedagogiche prendono le mosse a partire da una situazione sociale caratterizzata da un certo dinamismo, al quale occorre rispondere anche e soprattutto attraverso nuove modalità educative. Per di più, entrambe sottolineano che non si può educare solo l’individuo, ma va tenuto conto anche della sfera che trascende l’individualità – la società, l’umanità. Eppure per Dewey si educa attraverso e per la società, mentre secondo Steiner si educa, peraltro soltanto in ultimo, per la società (e non attraverso essa). La pedagogia deweyana trova il fine in sé – la “funzione sociale”, assieme alla “funzione psicologica”, non è funzione per qualcosa ma semplicemente “processo di vita”, di “vita attuale”.65 La pedagogia steineriana trova il fine in altro da sé; non solo la società, ma l’individuo e la pedagogia stessa sono concepite all’ombra ed in vista di un piano spirituale più ampio.66 Ciò è riassunto in maniera esemplare in un dialogo immaginario tra i due, del quale in questa sede non è possibile tacere la parte forse più significativa e, in merito, più puntuale: «DEWEY: […] Quali sono i fini della pedagogia Waldorf? STEINER: […] “Negli ultimi sessanta o settanta anni la configurazione esteriore della vita sociale è completamente mutata e, purtuttavia, il nostro modo di educare è rimasto lo stesso come se nulla fosse successo”.67 La scuola Waldorf è il mio modo di reagire a questa situazione. “Il fine principale dello scuola Waldorf è quello di educare uomini liberi che sappiano condurre la propria vita”.68 DEWEY: Lo sviluppo al fine di soddisfare i bisogni propri di un individuo mi sembra molto più individualistico di quanto io credo sia l’educazione. [Piuttosto] vedo come fine dell’educazione lo sviluppo dell’individuo affinché s’attivi in quanto parte di una società e contribuisca alla formazione continua di quella società. Il focus non risiede nello sviluppo dell’individuo come fine, bensì nel pieno sviluppo dell’individuo in modo che possa agire nella società, così da migliorare la società, che a sua volta migliora l’individuo. STEINER: Ciò assomiglia molto anche alla nostra filosofia ma, in questa, tanto l’individuo quanto la società fanno parte di un mondo spirituale ben più ampio […]. Quando un essere libero prende il suo posto unico nell’universo, allora egli è libero di servire l’umanità, di essere parte della società […]. 64 S. CHISTOLINI, La pedagogia secondo Rudolf Steiner cit., pp. 57-8. 65 Cfr. J. DEWEY, L’educazione di oggi cit., pp. 5 e 10. 66 Una trattazione diretta dell’antroposofia (e, perciò, dell’“ampio piano spirituale” di cui si occupa Steiner) esula dalla presente trattazione. Pertanto, basti fare presente qui che anche negli scritti pedagogici steineriani non di rado ci s’imbatte in considerazioni che rimandano al tema della spiritualità: «quando consideriamo l’uomo nella sua totalità, dobbiamo riconoscere in lui corpo, anima e spirito. Anzitutto nasce il corpo [che] viene accolto nella corrente ereditaria, ne porta i segni caratteristici, ecc… L’elemento animico, nei suoi caratteri principali, è ciò che scende dall’esistenza prenatale a congiungersi col corpo. Ma lo spirituale esiste solo come tendenza dell’uomo odierno; nell’uomo di un lontano avvenire le cose saranno diverse. E qui, dove vogliamo mettere le basi di una pedagogia sana, dobbiamo tenere in considerazione questa spiritualità che nell’uomo della nostra epoca di evoluzione esiste solo come tendenza, e renderci conto di che cosa sia questa tendenza preparata in lui per un lontano avvenire» (R. STEINER, Arte dell’educazione I cit., p. 62). 67 R. STEINER, A modern art of education cit., p. 159. 68 Ibid., p. 191.
  • 18. 17 DEWEY: Sembra che tu pensi all’educazione come una preparazione del bambino ad unirsi in futuro alla società. Dal momento in cui io concepisco l’educazione come crescita e la scuola come una comunità sociale, non sto cercando un’educazione che serva per scopi distanti, ma piuttosto la vedo come un processo di vita. Già all’atto della nascita il bambino è parte della società [e] l’educazione aiuta i ragazzi a sviluppare le capacità necessarie per una piena partecipazione sociale. Le nostre differenze relativamente ai fini rispecchiano indubbiamente le nostre differenze a livello di teorie pedagogiche. Sembra che tu metta l’accento sullo sviluppo individuale per finalità spirituali mentre io vedo lo sviluppo individuale in termini più dialettici, [come] una relazione di mutua interazione del bambino con la società nella scuola […]. STEINER: Vero, pongo l’accento sull’individuo ma, in ultima istanza, lo faccio a beneficio della società […]. Concepisco l’educazione come un espediente per il ragazzo per sviluppare le sue capacità interiori latenti, così che possa essere libero di apportare questi talenti alla società, così che se ne possa creare una nuova, piuttosto che conformarsi ad un’organizzazione sociale cristallizzata […]».69  Annotazioni comparative conclusive A cavallo tra XIX secolo e XX secolo, la società americana e quella europea mutano sensibilmente. Tanto la prospettiva pedagogica deweyana quanto quella steineriana risentono della necessità di riformare la “scuola tradizionale” in virtù delle trasformazioni sociali della loro epoca. Entrambi i pensatori, con la propria filosofia dell’educazione, fanno aperture verso la realtà sociale oltre quella individuale. Ma come lo fanno è forse ciò che li rende più distanti, quantomeno a livello teorico. Per Dewey l’educazione stessa diventa “opera sociale” e la scuola un’“istituzione sociale” nella quale si realizza un processo di vita “attuale”. Per Steiner l’educazione rimane un’arte centrata sull’“uomo individuo” e la scuola un luogo ove si formano “uomini liberi” che, solo quando saranno tali, potranno in un “futuro” apportare il proprio contributo alla società. Qui, probabilmente, emergono le differenze sostanziali tra lo strumentalismo di Dewey (nei tratti del richiamo all’hic et nunc e del naturalismo che scioglie l’individuo nell’ambiente e nella società) e l’antroposofia di Steiner (nei tratti della teleologia e dello spiritualismo che scioglie tanto l’individuo quanto l’ambiente e la società nello spirito). Inevitabilmente, queste differenziazioni a livello filosofico non potevano non riversarsi per certi versi anche sul piano pedagogico: «il concetto di Rudolf Steiner di educazione non ha né un fondamento etico-filosofico (come nel caso di Kant e Herbart), né una dimensione socio-culturale (come in Durkheim e Dewey) e nemmeno una origine psicologica empirica (come in Claparède e Montessori). È dedotto dalla neo-mitologia antroposofica ed ha un carattere metaforico. Alla luce della sua interpretazione del microcosmo, l’educazione prende la forma di crescita e di metamorfosi – l’educatore è un giardiniere ed una persona che ne modella altre».70 69 J. ENSIGN, A conversation between John Dewey and Rudolf Steiner cit., traduzione nostra, pp. 176-7. 70 H. ULLRICH, Rudolf Steiner (1861 – 1925) cit., p. 559.
  • 19. 18 Cap. 4 – Sulla promozione di un’intelligenza operativa e pratica  Dewey Una quarta caratteristica dell’educazione nuova «fu, infine, quella di considerare l’esercizio dell’intelligenza non soltanto sul piano della riflessione teorico-astratta […], ma in termini più ampi e, quindi, anche di intelligenza operativa e pratica, promuovendo, dunque, esercizi ed attività di tipo manuale».71 Dewey fu probabilmente il teorico dell’educazione nuova che più di tutti si preoccupò di tale istanza, la quale affonda le sue radici nella constatazione che «la sola disciplina che valga per noi, l’unico ammaestramento che diventi intuizione sono quelli che son nati dalla vita stessa. Unicamente quello che impariamo dall’esperienza, e dai libri e dai detti degli altri soltanto in quanto essi sono suffragati dall’esperienza, non si risolve in mere parole. [L’]esperienza [è] la madre di qualsiasi disciplina degna di questo nome».72 All’atto pratico, ciò significa che un’opera educativa può essere efficace e completa solamente promuovendo l’esperienza diretta del ragazzo, coinvolgendo la sua intelligenza, il suo volere, la sua persona concreta, anche fisica. Per questo: «il punto di partenza della Laboratory School […] sono le “occupazioni”, anziché le materie di studio. [Qui] il primo livello di attività [che vengono contemplate] ripropone agli allievi le pratiche materiali diffuse nella vita quotidiana, come il giardinaggio, la sartoria, la falegnameria, la cucina».73 La promozione all’interno della scuola di attività manuali nelle quali siano coinvolti i bambini con tutta la loro persona concreta trova la propria legittimazione quantomeno in due motivazioni. La prima è, per così dire, di tipo “storico-sociale”: «[In passato] l’intero processo produttivo si svolgeva davanti agli occhi di tutti, dall’approntare nella fattoria i materiali grezzi sino all’articolo confezionato. Nella pratica ogni membro della casa aveva la sua parte nell’esecuzione del lavoro. I ragazzi, via via che crescevano in forza e capacità, erano gradualmente iniziati ai misteri di diversi processi. Essi vi erano interessati in modo immediato e personale e giungevano persino a prendere parte diretta al lavoro […]. Il filare e il tessere, il segare, il macinare, il lavoro del bottaio e del maniscalco esercitavano senza posa la loro azione educativa […]. Oggi, [invece], la concentrazione dell’industria e la divisione del lavoro hanno praticamente eliminato le occupazioni che si svolgevano nell’ambito della casa e del vicinato, almeno per quanto concerne gli effetti educativi […]. C’è [allora] un problema reale: come possiamo […] introdurre nella scuola qualche cosa che rappresenta [l’]aspetto della vita [legato alle] occupazioni che esigono precise responsabilità personali e mettono il ragazzo a contatto con le realtà fisiche della vita? Se volgiamo l’occhio alla scuola, troviamo che una delle più singolari tendenze del presente è quella di introdurre in essa il così detto lavoro manuale, il laboratorio e le occupazioni familiari del cucire e del cucinare […]. [Ma bisogna prestare attenzione al reale fine dell’introduzione all’interno del sistema scolastico del lavoro dei bambini. Il lavoro non solo] li rende svegli e attivi, anziché passivi e ricettivi; [non solo] li rende più utili, più capaci e quindi maggiormente inclini ad aiutare in famiglia [e] li prepara quindi in qualche modo ai doveri pratici della vita. [Soprattutto] 71 G. CHIOSSO, Novecento pedagogico cit., pp. 56. 72 J. DEWEY, Scuola e società cit., cap. II – La scuola e il progresso sociale, p. 44. 73 P. SORZIO, Dewey e l’educazione cit., p. 50.
  • 20. 19 dobbiamo concepire il lavoro in legno e in metallo, il tessere, il cucire, il cuocere come metodi di vita e di apprendimento, non come insegnamenti a sé. Dobbiamo intendere il loro significato sociale, […] operazioni con le quali si rendono familiari ai fanciulli certe primarie necessità della vita in comune e modi mediante i quali queste esigenze sono state soddisfatte dalla crescente penetrazione e ingegnosità dell’uomo; in breve li dobbiamo considerare strumenti mercé i quali la scuola è destinata a diventare una forma schietta di attiva vita in comune, anziché un luogo appartato dove si apprendono lezioni».74 La seconda motivazione che legittima l’introduzione del lavoro nella scuola è più teoretica rispetto alla prima, ma altrettanto fondamentale. Infatti si ritiene che Dewey abbia introdotto nel curricolo della Laboratory School le attività occupazionali «non per preparare gli allievi a un futuro lavoro materiale, ma con lo scopo educativo di riconoscere nelle attività quotidiane l’origine della conoscenza astratta»:75 «Nella scuola […] le tipiche occupazioni, cui [il ragazzo] si dedica, sono liberate da qualsiasi pressione economica. Lo scopo non è il valore economico dei prodotti, ma lo sviluppo della capacità e dell’intelligenza sociale. È questa liberazione da utilità anguste […] che fa di queste attività pratiche nella scuola delle alleate dell’arte e dei centri di scienza e di storia […].76 Soltanto in virtù delle occupazioni determinate da questo ambiente circostante l’umanità è progredita nella storia e nella politica. Sono state queste occupazioni a promuovere l’interpretazione intellettuale e sentimentale della natura. Mediante ciò che facciamo nel mondo e col mondo abbiamo imparato a renderci conto del suo significato ed a misurare il suo valore. In termini educativi questo significa che queste occupazioni nella scuola [devono essere] centri attivi di approfondimento della conoscenza scientifica di materiali e processi naturali; punti di partenza da cui i fanciulli sono condotti a rivivere lo svolgimento storico dell’umanità.77 [Va, tuttavia, tenuto presente che] non vi è […] nessun potere magico di assicurare la realizzazione di risultati intellettuali tramite la mera attività fisica o la semplice abilità manuale. [Le attività pratiche vanno organizzate. Le occupazioni costruttive] per essere veramente educative devono soddisfare determinate condizioni: […] quella dell’interesse, [quella] che l’attività sia in sé stessa degna di considerazione, [quella] che il progetto nel corso del suo sviluppo presenti problemi che svelino nuove curiosità e creino esigenze di informazione [e, infine, quella di lasciare tempo sufficiente per lo svolgimento dell’occupazione, affinché questa non sia] una successione di atti disordinati, ma una attività ben connessa ed ordinata […]. [Così il bambino può acquisire abiti intellettuali a partire da attività, che siano pratiche e fondate sulla sua diretta esperienza. Egli è infatti portato ad affrontare] problemi che devono essere risolti attraverso la riflessione e sperimentazione personale e, [allo stesso tempo, è spronato 74 J. DEWEY, Scuola e società cit., cap. II – La scuola e il progresso sociale, pp. 37-9 e 41. 75 P. SORZIO, Dewey e l’educazione cit., p. 51. Particolarmente esplicativo l’esempio addotto a sostegno di questa considerazione: «Dewey sottolinea che lo scopo educativo delle occupazioni è la formazione di una disposizione intellettuale mirata a ricostruire l’origine dei saperi; ad esempio, il giardinaggio non deve essere insegnato per preparare i futuri giardinieri, ma per consentire ai bambini di avvicinarsi ai saperi che sono emersi nella storia dell’umanità a partire dall’attività materiale […]. Nelle attività materiali gli esseri umani incontrano problemi la cui soluzione avviene tramite un’accurata indagine, un equilibrio di osservazioni, formulazione di ipotesi, indagine, prove e riflessioni; è da questo processo intellettuale che nasce la conoscenza che successivamente trasforma le attività» (ibidem). 76 J. DEWEY, Scuola e società cit., cap. II – La scuola e il progresso sociale, p. 45. 77 Ibid., p. 46. «La storia della cultura mostra che la conoscenza scientifica e le abilità tecniche dell’uomo si sono sviluppate, specialmente nei loro primi stadi, dai problemi fondamentali della vita. L’anatomia e la fisiologia sono venute fuori dal bisogno pratico di mantenersi attivi ed in buona salute; la geometria e la meccanica dall’esigenza di misurare il terreno, di costruire e di fabbricare […]; l’astronomia è stata strettamente connessa con la navigazione [e così via]» (J. DEWEY, Come pensiamo cit., pt. III, cap. 14 – L’attività e l’educazione del pensiero, p. 308).
  • 21. 20 all’]acquisto di definiti corpi di conoscenze capaci di condurre in seguito ad una più specializzata conoscenza scientifica».78 Persone che abbiano maturato a scuola un’intelligenza pratico-operativa, attraverso lavori che muovono in una stessa direzione e che vengono portati avanti con uno spirito sociale e produttivo comune, saranno anche le persone che possono contribuire prontamente al progresso sociale e alla vita dell’umanità in generale: «persone i cui interessi sono stati ampliati e l’intelligenza educata dal contatto colle cose e coi fatti in occupazioni attive che avevano uno scopo (sia nel gioco o nel lavoro) saranno quelle che più facilmente sfuggiranno alle alternative fra una conoscenza accademica e distaccata e una pratica dura, ristretta e puramente “pratica”. Quel che maggiormente necessita per migliorare le condizioni sociali è di organizzare l’educazione in modo che le tendenze attive naturali siano tutte impegnate nel fare qualcosa, mentre si provvede a che l’azione richieda l’osservazione, l’acquisto dell’informazione e l’uso di un’immaginazione costruttiva».79  Steiner Per certi versi, similmente a quanto venne realizzato nella Laboratory school di Chicago a livello d’introduzione all’interno del curricolo di studi di attività che non fossero volte esclusivamente allo sviluppo della riflessione teorico-astratta, anche «la scuola Waldorf fu puerocentrica e designata alla promozione di una personalità integrale, senza un’enfasi unilaterale sul lato intellettuale».80 Anzitutto prese le mosse da una critica a teorie educative tradizionali e trasmissive che ponevano al centro dell’attenzione un insegnamento teorico ed astratto, che ritma le lezioni a suon di “definizioni”: «[A partire da una pedagogia con una certa predisposizione] intellettualistica, ci avviciniamo al bambino troppo intellettualisticamente, pretendiamo dal bambino, per esempio, che apprenda concetti nettamente definiti, definizioni, come si dice. È così comodo educare e insegnare con definizioni! Infatti i più dotati imparano a ripetere le definizioni, [mentre] quelli che dopo un certo tempo non [sanno le sanno ripetere] vengono bocciati. È un metodo comodo. Ma si può paragonare al metodo di un calzolaio che debba fare un paio di scarpe per un bambino di tre anni e pretenda che a dieci le porti ancora. Le scarpe sono rimaste come erano, ma non vanno più bene al bambino. Così è con quanto il bambino apprende. Quanto il bambino apprende nel settimo, ottavo anno di vita, a dodici anni non si adatta più alla sua anima».81 In secondo luogo, per ovviare l’impasse di un sistema d’insegnamento eccessivamente intellettualistico, la scuola Waldorf si proponeva d’introdurre alcuni accorgimenti a livello di metodologia d’insegnamento – accorgimenti che, tuttavia, non si esaurivano nel richiamo ad attività pratiche che mirassero alla maturazione di “un’intelligenza operativa e pratica”, come invece accade nella prospettiva deweyana: «[Al giorno d’oggi] una grande parte dello spirituale-animico rimane escluso dall’istruzione e dall’educazione. È necessario che per mezzo di una duttilità artistica che possa crescere si diano al bambino, in immagine, dei sentimenti, delle rappresentazioni, delle rappresentazioni di sentimenti che possano subire metamorfosi, che per il semplice fatto che l’anima cresce possano crescere con lei. Qui ci vuole un rapporto vivente del maestro [e] non morti concetti pedagogici […]: quindi tutto l’insegnamento tra il settimo, ottavo anno e il quattordicesimo, quindicesimo deve in questo modo venir compenetrato di immaginazione.82 [Come già visto 78 J. DEWEY, Come pensiamo cit., pt. III, cap. 14 – L’attività e l’educazione del pensiero, pp. 309-12. 79 J. DEWEY, Democrazia e educazione cit., cap. V – Interesse e disciplina, p. 127. 80 P. B. UHRMACHER, Uncommon schooling cit., traduzione nostra, p. 392. 81 R. STEINER, La didattica dell’insegnamento e le esigenze dell’educazione in «Educazione del bambino e preparazione degli educatori», Antroposofica, Milano 1996, p. 81. 82 Ibidem.
  • 22. 21 nel primo capitolo del presente elaborato scritto, l’età che va dai sette (/otto anni) fino ai quattordici (/quindici) anni, è caratterizzata secondo Steiner da una centralità del “corpo eterico” e, quindi, del “sentimento”. Ora], sul corpo eterico in sviluppo agiscono in modo giusto non concetti astratti, bensì ciò che si contempla […]: personificazioni della forza morale e intellettuale [coi grandi] esempi della storia […], un adeguato approfondimento [simbolico e non concettuale] dei misteri e delle bellezze della natura […], sentimento per l’arte […], ecc…83 [Steiner, al pari di Dewey, accoglie una sorta di massima pedagogica seconda la quale] quanto più spesso iniziamo [un insegnamento] ravvivando un’attività, tanto più saremo in grado di raggiungere un risveglio della coscienza nel bambino al quale insegniamo.84 [Ma, allo stesso tempo, per Steiner l’“attività” in questione non è solo attività pratica, volta verso una stimolazione ed un affinamento dell’intelligenza operativa. L’attività è anche attività del sentire, della fantasia, dell’immaginazione – elementi che sono fondamentali per la formazione, perlomeno all’altezza che va dai sette (/otto anni) fino ai quattordici (/quindici) anni. E nel momento in cui ha inizio l’educazione primaria (all’incirca verso i sette anni), nella prospettiva steineriana è proprio il momento di fare leva su questo genere di attivismo immaginativo del bambino. Con ciò non significa che le attività pratiche, così come le intende Dewey, siano avulse alla prospettiva pedagogica steineriana. Solamente rivestono un’importanza centrale assieme ad altre tipologie di attività (quali l’immaginazione) e, per di più, in età particolari del bambino – sicuramente prima che egli raggiunga i sette (/otto) anni. Infatti, se si seguono le parole di Steiner]: tutto ciò che il ragazzo impara nel corso dei suoi anni di scuola deve alla fine venir in qualche modo allargato tanto da unirsi con dei fili alla vita pratica. Con ciò molte, moltissime cose che sono asociali verrebbero rese tanto sociali che in noi sarebbe almeno messa la base di una comprensione anche per quanto più tardi non deve riguardare direttamente la nostra professione».85 Ricapitolando, nella scuola Waldorf: «si vuole modellare la personalità completa dell’alunno dando un ugual peso alle attività cognitive, artistico-emozionali e tecnico-pratiche, sia nell’insegnamento sia nella vita della scuola. L’addestramento pratico – con le attività agricole nel giardino, le attività manuali e artigianali – sono volte a sviluppare una visione pratica della vita.86 [Tuttavia, va sottolineato che la pedagogia steineriana non prescinde mai dalla propria “conoscenza dell’uomo”, che evolve] secondo la sua triplice natura: corporea, animica, spirituale. [Per questo motivo] viene posta una grande attenzione a mantenere, anche nell’insegnamento [e, quindi, nelle attività proposte!], la gradualità dello sviluppo fisico- intellettuale dell’alunno. [Detto in altri termini, le attività pratiche ricoprono un ruolo fondamentale in quanto modalità per sviluppare una parte dell’uomo – principalmente il corpo fisico –, ma non in quanto espediente attraverso il quale promuovere la maturazione dell’intelligenza operativa e pratica]. La didattica è concepita così da essere appropriata alla reale situazione evolutiva del bambino. Nella scuola materna, per i piccoli dai 3 ai 6 anni, l’elemento ritmico aiuta lo svolgimento delle attività quotidiane costituite da lavori manuali, girotondi, filastrocche, canzoncine, fiabe, euritmia, acquerello […]. Il secondo settennio, che va dai 7 ai 14 anni, […] è quello in cui inizia il vero e proprio apprendimento […]. Accanto alla crescita fisica, si delinea il lento emergere dei sentimenti […]. Questo stadio si fonda sugli elementi immaginativi ed artistici attraverso i quali 83 R. STEINER, L‘educazione del bambino dal punto di vista della scienza dello spirito cit., pp. 30-42. 84 R. STEINER, The renewal of education, Anthroposophic press, MA 2001, traduzione e corsivo nostri, p. 154. 85 R. STEINER, Arte dell’educazione II – Didattica, Antroposofica, Milano 2004, corsivo nostro, p. 153. 86 H. ULLRICH, Rudolf Steiner (1861 – 1925) cit., p. 562.
  • 23. 22 viene insegnato a leggere e a scrivere, a riconoscere i numeri e le lettere. L’euritmia permette la prima descrizione inconsapevole delle forme spaziali fondamentali, evitando l’aridità delle denominazioni e l’astrattezza della concettualizzazione […]. Il terzo settennio è quello in cui prevale l’insegnamento razionale e scientifico. Al ragazzo sono riconosciute le capacità di rappresentazione intellettuale, di elaborazione del pensiero, di conoscenza e di analisi del mondo. Prima dei 14 anni, portare il ragazzo a riflettere minuziosamente sul come e sul perché dei fenomeni fisico-naturali, degli eventi storici, delle produzioni intellettuali dei grandi pensatori […] è considerata una forzatura […]. [In tutto il percorso pedagogico, in ultima istanza], non è dunque la materia in sé che costituisce il fulcro dell’educazione, bensì è l’interessamento profondo e l’attenzione più grande possibile a tutto l’uomo».87  Annotazioni comparative conclusive Dewey e Steiner sembrano trovarsi in accordo relativamente alla necessità di promuovere all’interno della scuola lo sviluppo di un’intelligenza che non sia esclusivamente “teorico-astratta”, che non sia semplicemente legata alla trasmissione e alla memorizzazione di “definizioni”. Entrambi nelle loro proposte educative, prevedono l’introduzione nel curricolo degli studi di attività pratiche e manuali (quali il giardinaggio, l’artigianato o il tessere). Tuttavia Dewey attribuisce a queste attività un “significato sociale”, un significato di riavvicinamento alla vita produttiva dell’uomo e un “valore educativo” tale per cui proprio dalle “attività quotidiane” si origina il “pensiero” nella forma di “conoscenza scientifica”. Steiner, invece, misconosce perlomeno l’attività pratica come “valore educativo” nel senso in cui lo intende Dewey; per lui l’attività pratica è un mezzo attraverso cui educare l’uomo nella sua interezza, un uomo che infatti è costituito anche da un piano “corporeo” e che in qualche modo dovrà inserirsi nella “vita pratica”. Allo stesso tempo, però, Steiner vede il concetto di “attività” in senso lato e pone l’accento su altre attività fondamentali – oltre a (ed in concomitanza con) quelle pratiche e manuali – come quelle del “sentire” o dell’“immaginare”, le quali permettono al meglio di fuoriuscire da un’ottica pedagogica centrata unilateralmente sull’insoddisfacente formazione “teorica-astratta” dell’individuo: «anche se il contributo di John Dewey allo sviluppo del pensiero tramite l’“approccio per problemi” è significativo, potrebbe facilmente cadere nell’arida pedanteria che stima l’attività cognitiva in un senso banalmente utilitaristico. [Invece] Steiner delinea un piano che incorpora in sé lo sviluppo del potenziale cognitivo senza precludere la “fioritura” del volere (the unfolding of the will). [Fondamentale è l’equilibrio armonioso a livello fisiologico e] la chiave per raggiungere questo equilibrio si trova nell’enfatizzare lo “sbocciare” della vita del sentimento (the unfolding of the life of feeling)».88 87 S. CHISTOLINI, La pedagogia secondo Rudolf Steiner cit., pp. 97-101. 88 E. SCHWARTZ, Prefazione a R. STEINER, The renewal of education cit., traduzione nostra, p. 12.
  • 24. 23 Brevi considerazioni finali Cerchiamo a questo punto di tirare le fila del discorso sotto forma di brevi considerazioni personali. Dal primo e dal secondo capitolo del presente lavoro è evidente che sia Dewey che Steiner pongono al centro dell’opera educativa il bambino coi suoi interessi e con la propria esperienza, prestando particolare attenzione peraltro alle varie fasi del suo “sviluppo” specifico, piuttosto che pensandolo in generale come un “uomo in miniatura” da accompagnare il più rapidamente possibile all’età adulta. Pur partendo da prospettive filosofiche estremamente differenti, tanto il Dewey pragmatista quanto lo Steiner spiritualista, all’atto concreto dell’azione educativa, «si impegnarono per una visione integrale della pedagogia che riconoscesse il bambino nella sua interezza».89 Suppongo che queste caratteristiche, questi punti d’incontro tra il pensiero dei due intellettuali presi in considerazione, siano già sufficienti per ritenere che anche la scuola Waldorf può essere ricompresa entro l’alveo del movimento per l’educazione nuova, seppure vada sottolineata la sua particolarità. Inoltre, attraverso la comparazione con altre prospettive educative – come quella deweyana –, è possibile rimarcare e tenere conto delle debolezze del pensiero pedagogico di Steiner: nella fattispecie, è stato messo in luce sia nel primo che nel secondo capitolo il fatto che la concezione del bambino e la “teoria dei temperamenti” (in cui vengono inquadrati gli interessi-bisogni del discente) non tengono affatto conto dei dati illuminanti provenienti dal campo della moderna psicologia dell’età evolutiva, dimostrandosi per contro piuttosto critici verso questi dati. Nonostante questa posizione possa essere tollerata (e persino difesa – soprattutto in virtù della concordanza della concezione teorica steineriana del bambino con la teoria empirica dello sviluppo per stadi di Jean Piaget –),90 è necessario che la pedagogia Waldorf faccia attenzione a non serrare tutte le porte che si aprono sul campo della psicologia sperimentale, per evitare il rischio di rinchiudersi in una “prestabilita concezione filosofica dell’uomo”, tanto elegante quanto sterile nel caso non tenesse conto delle nuove ricerche scientifiche. Nel terzo capitolo – e, quindi, relativamente al rapporto tra la scuola e la società – il divario teorico tra Dewey e Steiner è tale da permettere pochi punti d’incontro realmente significativi, se non per il fatto che ciascun pensatore, a modo suo, contempla la necessità di aprire la sfera dell’educazione all’ambito del quotidiano e del sociale. Di nuovo, ipotizzo che questa semplice constatazione, al di là dell’abisso che poi corre tra i due pensatori, possa essere sufficiente assieme a quelle del paragrafo precedente per far confluire in ogni caso la pedagogia Waldorf nel terreno delle esperienze propriamente definite di educazione nuova. Al lato pratico, infatti, anche nelle scuole Rudolf Steiner rimane un caposaldo «il principio di imparare e fare insieme (che implicano il concetto di una classe eterogenea che attraversa anno per anno tutto il sistema scolastico oltre ad un’organizzazione della vita scolastica multiforme)».91 L’analisi comparativa porta comunque i suoi frutti a riguardo, rendendo pienamente e nitidamente visibile la distanza che intercorre tra metodi pedagogici centrati sul presente che contengono soprattutto in sé il fine educativo (Dewey) e metodi pedagogici centrati sul futuro che hanno un fine posto principalmente fuori di sé (Steiner). Infine, nel quarto capitolo si è potuto osservare che tanto Dewey quanto Steiner condannano senza esitazione modelli pedagogici sostanzialmente trasmissivi, nozionistici ed eccessivamente intellettualistici. Di contro a simili modelli, l’approccio progressivo proposto da entrambi i pensatori tiene in alta considerazione l’inserimento di attività pratiche e manuali all’interno del curriculo scolastico. Tuttavia ciò ha per fine lo sviluppo di un’“intelligenza operativa” e di una sorta di mentalità scientifica in Dewey. 89 J. ENSIGN, A conversation between John Dewey and Rudolf Steiner cit., traduzione nostra, p. 176. 90 Cfr. P. B. UHRMACHER, Uncommon schooling cit., p. 402. 91 H. ULLRICH, Rudolf Steiner (1861 – 1925) cit., p. 568.
  • 25. 24 Mentre, in Steiner, si tratta di un espediente utilizzato per completare la formazione integrale dell’uomo nella sua interezza, per la sua preparazione alla “vita pratica”. Il raffronto comparativo su questo punto porta a completa manifestazione un punto già adombrato sin dal primo capitolo: Steiner ripone una grande importanza anche nella coltivazione di “attività” legate al “sentimento”, alla “fantasia” e all’“immaginazione” in quanto parti costitutive e facoltà caratterizzanti l’essere umano. Ora, nonostante anche Dewey, dal canto suo, sottolinei la necessità di “educare la facoltà immaginativa del fanciullo”, di fatto si ha la sensazione che, nella sua prospettiva pedagogica, educare il fanciullo a formarsi un mondo di immagini – così come far leva sui suoi interessi ed occuparlo in attività pratiche e manuali – sia piegato allo scopo di iniziare il bambino lungo la via del “pensiero riflessivo”.92 Allora potrebbe rivelarsi utile e produttivo un approfondimento di questo punto critico della prospettiva deweyana, alla luce delle considerazioni di Steiner in merito al mondo del “sentimento” e del “sentire”, quali ambiti a partire dai quali sia possibile una penetrazione maggiore e più profonda degli oggetti studiati da parte dei soggetti educati. D’altronde, ciò potrebbe aiutare nell’abbozzare qualche risposta alle “critiche cognitiviste” che vengono mosse all’educazione nuova in generale e alla pedagogia di Dewey in particolare:93 per “insegnare in maniera coerente e integrata” i concetti non è sufficiente presentare questi ultimi a partire da attività pratiche, favorendo una maturazione dell’interesse verso essi per poi arrivare infine all’esercizio di un’attività cognitiva sopra astrazioni ben ancorate al piano empirico. Per “insegnare in maniera coerente e integrata” i concetti è necessario anche che il bambino sia in grado di fare suo quel concetto ad un livello più profondo, un’operazione che per Steiner riguarda indubbiamente e fondamentalmente il mondo del “sentire”. 92 Cfr. J. DEWEY, L’educazione di oggi cit., p. 21. 93 Cfr. P. SORZIO, Dewey e l’educazione cit., p. 73.
  • 26. 25 Bibliografia ragionata 1) Opere di Dewey  1897: My pedagogic creed in «School Journal», vol. 54, no. 3, pp. 77-80 → L’educazione di oggi in «Il mio credo pedagogico. Antologia di scritti sull’educazione», La Nuova Italia, Firenze 1963, pp. 3-31.  1899: The school and society, University of Chicago Press, Chicago → Scuola e società in «Il mio credo pedagogico. Antologia di scritti sull’educazione», La Nuova Italia, Firenze 1963, pp. 32-104.  1910: How we think, D.C. Health & Co., Boston → Come pensiamo. Una riformulazione del rapporto fra il pensiero riflessivo e l’educazione, La Nuova Italia, Firenze 1967.  1916: Democracy and education: an introduction to the philosophy of education, Macmillan, New York → Democrazia e educazione in «Il mio credo pedagogico. Antologia di scritti sull’educazione», La Nuova Italia, Firenze 1963, pp. 105-129. --- --- --- 2) Opere di Steiner  1907: Die Erziehung des Kindes vom Gesichtspunkte der Geistwissenschaft [GA 34 (1987)] → L’educazione del bambino dal punto di vista della scienza dello spirito in «Educazione del bambino e preparazione degli educatori», Antroposofica, Milano 1996, pp. 9-44.  1907: Schulfragen vom Standpunkt der Geisteswissenschaft [GA 55 (1983)] → Education and spiritual science in «The education of the child and early lectures on education», Anthroposophic press, Hudson 1996, pp. 64-70.  1910: Anlage, Begabung und Erziehung des Menschen [GA 60 (1983)] → Interests, talent and educating children in «The education of the child and early lectures on education», Anthroposophic press, Hudson 1996, pp. 71-88.  1911: Anlage, Begabung und Erziehung des Menschen [GA 60 (1983)] → Interest, talent and education in «The education of the child and eraly lectures on education», Anthroposophic press, Hudson 1996, pp. 89- 113.  1919: Allgemeine Menschenkunde als Grundlage der Pädagogik [GA 293 (1992)] → Arte dell’educazione I – Antropologia, Antroposofica, Milano 2009.  1919: Erziehungskunst. Methodisch-Didaktisches [GA 294 (1990)] → Arte dell’educazione II – Didattica, Antroposofica, Milano 2004.
  • 27. 26  1919: Erziehungskunst. Seminarbesprechungen und Lehrplanvorträge [GA 295 (1984)] → Arte dell’educazione III – Conversazioni di tirocinio e conferenze sul piano di studi, Antroposofica, Milano 2007.  1920: Die Erneuerung der pädagogisch-didaktischen Kunst durch Geisteswissenschaft [GA 301 (1991)] → The renewal of education, Anthroposophic press, MA 2001.  1923: Gegenwärtiges Geistesleben und Erziehung [GA 307 (1986)] → A modern art of education, Anthroposophic press, MA 2004.  1924: Die Didaktik des Lehrens und die Lebensbedingungen des Erziehens [GA 308 (1986)] → La didattica dell’insegnamento e le esigenze dell’educazione in «Educazione del bambino e preparazione degli educatori», Antroposofica, Milano 1996, pp. 65-84. --- --- --- 3) Letteratura secondaria su Dewey e Steiner  CHISTOLINI, S., La pedagogia secondo Rudolf Steiner. L’humanitas e il movimento delle Scuole Waldorf, FrancoAngeli, Milano 2008.  ENSIGN, J., A conversation between John Dewey and Rudolf Steiner: a comparison of Waldorf and progressive education in «Educational theory», vol. 46, no. 2 (June 1996), pp. 175-188.  SORZIO, P., Dewey e l’educazione progressiva, Carocci, Roma 2009.  UHRMACHER, P. B., Uncommon schooling: a historical look at Rudolf Steiner, anthroposophy and Waldorf education in «Curriculum inquiry», vol. 25, no. 4 (Winter 1995), pp. 381-406.  ULLRICH, H., Rudolf Steiner (1861 – 1925). Un pensatore e un riformatore neo-romantico in «Prospettive: la rassegna trimestrale di educazione comparata», trad. it. M. Orlandi, Unesco, Parigi, vol. XXIV, no. 3/4 (1994), pp. 555-572. --- --- --- 4) Manuali ed enciclopedie di riferimento  CAMBI, F., Manuale di storia della pedagogia, Laterza, Roma-Bari 2003.  CHIOSSO, G., Novecento pedagogico, La Scuola, Brescia 1997.  LAENG, M., Enciclopedia pedagogica, La Scuola, Brescia 1994, voll. II e VI.  LANFRANCHI, R. – PRELLEZO, J. M., Educazione, scuola e pedagogia nei solchi della storia, LAS, Roma 2008, vol. II – Dall’illuminismo all’era della globalizzazione.