More Related Content Similar to Counseling efficace (20) More from Simona Dalloca (12) Counseling efficace1. Dott.ssa Simona Dalloca
in Teorie e tecniche della comunicazione di massa
Master in Counseling Pedagogico e Scolastico
Master in Counseling e formazione relazionale
Coach e Formatrice in NLP
Practitioner licensed number 95790
Master Practitioner licensed number 97802
Diploma dell’ Accademia Acting Traning di Beatrice Bracco
Counseling
Efficace© by Simona Dalloca
N° 340
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COUNSELOR RELAZIONALE
2. «Il counselling è un processo che, attraverso il
dialogo e l’interazione, aiuta le persone a
risolvere e gestire problemi e a prendere
decisioni; esso coinvolge un “cliente” e un
“counsellor”.
Il primo è un soggetto che sente il bisogno di essere
aiutato, il secondo è una persona esperta,
imparziale, non legata al cliente, addestrata
all’ascolto, al supporto e alla guida»
(Organizzazione Mondiale della Sanità, 1989)
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3. Cu.O.RE. © by Dott.ssa Simona Dalloca Cu.ltura O.listica RE.elazionale
Il counseling nasce come intervento
psicoantropologico atto a promuovere ed
operare sulla salute più che sulla patologia
4. Da ASPIC Counseling & Cultura
Distinzione tra
Problemi interpersonali limitati
e specifici all’area di conflitto
Vissuti di ambivalenza, stress e
decisioni difficili
FATTORI ESTERNI
TEMPI BREVI
CRESCITA, PREVENZIONE,
EDUCAZIONE PSICOSOCIALE
Disordini psicologici dovuti a
disturbo strutturale di
personalità
FATTORI INTERNI
TEMPI PIU’ LUNGHI
COMPLESSITA’ ED IMPEGNO
MAGGIORE
PATOGENESISALUTOGENESI
CLIENTI PAZIENTI
PREVENZIONE RECUPERO
DISAGIO
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5. Da ASPIC Counseling & Cultura
Professione con proprio
codice deontologico che si
propone di migliorare il
benessere in diversi ambiti
e contesti.
Approccio globale e insieme
di tecniche utili per una
buona gestione delle
relazioni.
Competenze utili e
complementari in
molteplici ambiti
professionali.
Distinzione tra
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6. Da ASPIC Counseling & Cultura
Prestazione di un professionista
che si propone di favorire un
cambiamento nel committente in
termini di miglioramento del
proprio benessere
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7. ASPIC Counseling & Cultura
POTER POTENZIARE LE PROPRIE
CREARE LE CONDIZIONI
ED CHE
CONTRIBUISCONO AL PROPRIO
BENESSERE
METTERE IL CLIENTE NELLE CONDIZIONI DI:
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8. ASPIC Counseling & Cultura
Prendere decisioni
Superare crisi
Migliorare i rapporti con gli altri
Agevolare lo sviluppo
Accrescere la conoscenza di sé
Elaborare emozioni e conflitti interiori
(PREVENZIONE)
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9. ASPIC Counseling & Cultura
Cosa caratterizza una relazione di
counseling?
Facilita la crescita e il cambiamento
Esplora le modalità relazionali e le
dinamiche intrapsichiche
Mira all’identificazione e allo sviluppo
delle risorse
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10. ASPIC Counseling & Cultura
Distinzione dei ruoli:
Counselor
Facilita
indirettamente il
cambiamento
favorendo
l’autoesplorazione
Lascia che il cliente
diventi quello che è
Cliente
Esplora i propri vissuti
Sperimenta una
relazione sana
Si libera da tensioni
inespresse
Procede verso scelte
consapevoli
realizzando il
cambiamento
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11. • Chi esercita il counseling riconosce che trattare i
clienti come persone responsabili ed aiutarli a
trovare personalmente le proprie soluzioni
aumenta la possibilità di apprendimento e di
crescita.
• Il che lascia
le decisioni al cliente ed evita consigli diretti ed
interpretazioni, scoraggia la dipendenza e tende
a facilitare la conclusione del trattamento.
L’operatore che applica trattamenti di counseling
utilizza corretta empatia, calore non possessivo
ed autenticità (Rogers).
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12. ASPIC Counseling & Cultura
“...Sentire il mondo personale del cliente
come se fosse nostro, senza però mai
perdere questa qualità del come se, questa
è empatia: sentire l'ira, la paura, il
turbamento del cliente, senza però
aggiungervi la nostra paura, il nostro
turbamento”.
“La terapia centrata sul cliente”
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13. Cu.O.RE. © by Dott.ssa Simona Dalloca Cu.ltura O.listica RE.elazionale
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16. I Counsellor devono mettere in chiaro con i clienti
le possibilità offerte nella relazione d’aiuto. La
relazione professionale è definita da un esplicito e
reciproco accordo e termina con la conclusione del
contratto. Alcune responsabilità professionali
continuano anche dopo il termine del contratto.
Esse sono: Mantenere un alto grado di
riservatezza. Evitare ogni forma di uso della
relazione per scopi diversi da quelli originari.
Essere disponibili per eventuali bisogni successivi.
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È bene dedicare un po’ di tempo alle spiegazioni, nel caso in
cui il cliente ne fosse totalmente all’oscuro, su cosa sia il
counseling e su come potrà essere affrontato il lavoro e come
raggiungere e riconoscere gli obiettivi prefissati. Questo può
essere fatto all’interno della seduta stessa, senza esagerare coi
tempi oppure, meglio per chi è all’inizio della professione,
fissando un colloquio “informativo” gratuito. Esistono
parecchie informazioni confuse e contraddittorie sul
counseling, ed è sempre meglio spendere tempo e parole in
più per chiarire ogni dubbio piuttosto che lasciare il
cliente con qualche interpretazione sbagliata o fuorviante.
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Un cliente che ritarda o disdice all’ultimo il proprio appuntamento
può provocare al counselor diverse possibili reazioni; è bene che
venga mantenuta a riguardo una adeguata supervisione, soprattutto
all’inizio della propria esperienza. Comunque è opportuno che il
rapporto tra loro sia chiarito al meglio fin dalla prima seduta,
stabilendo delle regole. Per il counselor è importante sapere che il
rischio di ritardi o mancati appuntamenti da parte del cliente è tipico
di ogni tipo di terapia; questo atteggiamento fa parte delle resistenze
e dei punti che vengono a volte toccati nel corso delle sedute; la fuga
e la mancanza di un’adeguata responsabilità da parte del cliente
sono parte del percorso di crescita della persona e del materiale di
lavoro. Più il counselor è chiaro con se stesso e col cliente, più lo
sviluppo del tema porterà giovamento a questo percorso.
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Un buon modo per stabilire la durata del ciclo di sedute è
quello di focalizzare prima l’attenzione sul tema che porta il
cliente, e poi concordare il termine degli incontri al
raggiungimento dell’obiettivo (soluzione) del tema stesso. Una
volta raggiunto l’obiettivo e aumentata, nel frattempo, l’intesa
e l’empatia tra cliente e counselor, si potrà stabilire, solo nel
caso di accordo preciso tra le parti, lo sviluppo di un nuovo
tema. È comunque importante che il counselor sia pronto ad
affrontare adeguatamente (supervisione) il tema che riguarda
la dipendenza, emotiva e in alcuni casi affettiva, che si può
creare tra loro.
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Dopo poche sedute, è bene che il counselor
abbia chiare le caratteristiche del cliente con cui
ha a che fare: si tratta di lati del carattere che
spesso risultano evidenti dopo poche conversazioni
o parti che emergeranno solo trattando argomenti
specifici. Sarà utile al counselor, in base a queste
caratteristiche, sapere che lo sviluppo di alcuni temi
sono da rimandare o da trattare con le dovute cautele.
Questo bagaglio informativo fa parte delle note scritte
che il counselor avrà con se durante la seduta.
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Uno dei primi obiettivi che il counselor è importante
che abbia, nel corso di una seduta, è quello di
stabilire un contatto col cliente: un buon contatto
consiste nel far sentire da subito che quello di cui si
parlerà nel corso della seduta sarà totalmente
incentrato sui suoi problemi. Sarà pertanto
importante evitare, almeno inizialmente, digressioni
di carattere amicale e confidenziale, o perdite di
tempo su argomenti generici e non pertinenti col
motivo per cui il cliente ha chiesto un incontro di
counseling.
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È importante che il cliente venga “accompagnato” dal
counselor nel corso di una seduta. Spesso è opportuno far
capire al cliente che quello che sta dicendo è chiaro; ciò
rafforza il rapporto e crea le condizioni affinché lo stesso possa
sentirsi autorizzato a entrare in una maggiore profondità della
propria esperienza condivisa.
Tale atteggiamento da parte del counselor ha anche una
funzione di guida; senza interpretazione o manipolazione, ma
ascoltato e sostenuto, il cliente si sentirà più facilmente in
grado di seguire le indicazioni relative a quanto sta
elaborando.
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Essere un counselor non significa interpretare in modo rigido
un ruolo ma portare al cliente il frutto della propria conoscenza
ed esperienza; occorre una buona dose di elasticità per potersi
adattare alle caratteristiche del cliente e delle argomentazioni
che lo stesso porta di volta in volta. Ad esempio a volte un po’
di umorismo non guasta, mentre in altre circostanze sarà
opportuno seguire seriamente e con attenzione ciò che viene
proposto nella seduta. Quello che funziona con alcuni, non
può funzionare con altri: è importante fluire con l’energia del
momento piuttosto che con la convinzione di avere una chiave
efficace di lettura di ciò che sta avvenendo.
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Più che digressioni intellettuali o, peggio,
interpretazioni di vario livello, quello che spesso è
necessario durante una seduta è di chiedere al cliente
di portare l’attenzione nel corpo: da qui infatti si
attingono una serie di informazioni, il più delle volte
inattese, utilissime al completamento di parti prima
scollegate. L’attenzione, ad esempio, tra sensazioni
provate durante un racconto e gli effetti che le stesse
hanno nel corpo, nonché il variare delle stesse, può
portare il cliente a immaginare una soluzione dove
sarà il corpo stesso a indicare un indice di gradimento
ottimale.
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L’empatia non va confusa con altre forme di
rapporto interpersonale: citiamo la
compiacenza dato che è, purtroppo, un
mezzo a volte ancora troppo spesso
utilizzato per ottenere la fiducia del cliente.
Un buon counseling non può dipendere
da una qualsiasi forma di compiacenza, dato
che questa non aiuta la persona nel suo
processo di crescita e cambiamento.
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Le metafore aiutano il cliente a mostrare, a se stessi e
al counselor, un’immagine chiara di ciò che a volte la
mente non riesce ad esprimere. Inoltre la metofora è facile
da ricordare e da portare con se al di fuori di una seduta e può
spesso essere usata come termine di paragone nel momento in
cui, ad esempio, attraverso scelte o impegni di varia natura
si ottengono risultati che creano una variazione nella
metafora stessa. In questo modo sarà il cliente in prima
persona che potrà verificare, nella vita di tutti i giorni, il
progresso della propria metafora e la esporrà facilmente
nell’incontro seguente col proprio counselor.
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Tutto ciò che rappresenta un “ragionevole” dubbio
sullo svolgimento di una seduta di counseling, è
necessario che venga riportato, tramite supervisione
o seduta specifica, al proprio counselor di fiducia.
Talvolta non è sufficiente basarsi sul puro buon
senso o sulle proprie convinzioni: un atto di umiltà
indispensabile, soprattutto all’inizio della
professione, è rappresentato dal rivolgersi a chi ha
più esperienza e
conoscenza della materia.
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Nella comunicazione interpersonale è ormai appurato che la
parte verbale riveste un’importanza minima, di quanto viene
trasmesso, rispetto al senso di ciò che viene ricevuto; il
counselor sarà quindi attento, oltre a ciò che viene detto dal
cliente, anche a come lo stesso trasmette i propri messaggi. La
parte non verbale, come ad esempio la postura, il tono della
voce, le inflessioni ecc. rivestono pertanto un aspetto
fondamentale nel livello di comunicazione; sapere di essere
ascoltato al di là delle parole facilita nel cliente il formarsi di
empatia e fiducia.
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Dare attenzione al setting durante le sedute
è fondamentale per instaurare nel cliente un
senso di fiducia e professionalità. Oltre a
vestirsi in modo adeguato, il counselor deve
prestare attenzione all’arredamento e ai
particolari della stanza dove si tengono le
sedute, allo scopo di rendere confortevole
l’ambiente e l’energia.
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La resistenza da parte del cliente a procedere nel lavoro di crescita e
cambiamento messo in atto dalle sedute, è parte integrante e
inevitabile del percorso. Capita a volte che, dopo aver trattato in
modo adeguato una resistenza, si possa procedere in modo più
spedito nel lavoro. In generale le resistenze possono essere di varia
natura: dalla poca voglia di venire a un appuntamento, alla fatica a
entrare in un tema toccante o doloroso, dal fastidio provato per un
particolare apparentemente insignificante durante una seduta, alla
sensazione di frustrazione di non procedere verso un risultato.
Compito del counselor è quello di non farsi condizionare, a livello
personale, da queste resistenze del cliente, ma trovare insieme a lui
la chiave migliore per “scardinare” il blocco restituendogli la fiducia e
l’autostima necessarie per procedere oltre.
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Per attenzione al cliente si intende tutto ciò che è
utile per farlo sentire totalmente al centro di quanto
sta succedendo. Questo riguarda sia il setting che
l’impostazione che il counselor decide di dare alla
seduta: se, ad esempio, viene trattato un
argomento che include una o altre persone,
portando magari il cliente alla conclusione di sentirsi
vittima di quanto sta succedendo, sarà opportuno
per il counselor trovare una modalità appropriata
per riportarlo alla sua responsabilità o come si sente
in tutto questo.
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Quello che spesso avviene è che il counselor “porti a casa” i
problemi emersi nel corso di una seduta; questo è uno dei
modi possibili per descrivere l’insorgere di un tema che
riguarda non il livello di crescita del cliente ma del counselor
stesso. Spesso ciò coincide con l’incertezza su cosa fare e
come affrontare il tema nella seduta successiva, e questo può
portare ansia e paure di fallire. Il counselor ha a questo punto
il dovere etico di risolvere la faccenda prima di tutto
personalmente (seduta su di se e/o supervisione) per poi
arrivare al proprio cliente sereno e “pulito” da condizionamenti
troppo personali. Evitare in questo senso procrastinazioni o
sottovalutazioni del tema è fondamentale per il proseguimento
della professione di counselor.
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Compito del counselor è quello di facilitare i clienti verso le
proprie soluzioni. Tanto non va dimenticata questa
affermazione, tanto sarà opportuno che ci si renda conto che
molti clienti vanno “educati” alla soluzione poco alla volta. La
tendenza a fare affidamento sugli altri è ben radicata
nell’intimo dell’essere umano e sarà quindi naturale che spesso
emerga, nel corso di una seduta, la domanda: “e quindi cosa
faccio?”. Una buona risposta a questo punto potrebbe essere
quella di dire, ad esempio: “vediamo insieme cosa si può fare”.
Da qui l’esperienza del counselor potrebbe anche fornire dei
suggerimenti, ma questi avranno più il senso di una domanda
di scoperta reciproca piuttosto che di una risposta definita.
Questa strategia, nel tempo, crea nel cliente lo spazio e la
fiducia per poter operare autonomamente le proprie scelte.
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Le scelte radicali di cambiamento difficilmente
producono risultati duraturi: a maggior ragione se
queste nascono da una sollecitazione esterna. In altre
parole, se è vero che per alcuni il cambiamento è
necessario e consigliabile, lo è altrettanto il fatto che
questi cambiamenti hanno bisogno di tempo e
convinzione per poter diventare fattivi. In questo
senso il counselor potrà aiutare il cliente a educarsi al
cambiamento, sottolineandogli ad esempio le capacità
e i miglioramenti fatti e il rispetto dei propri tempi,
senza cadere nella tentazione di forzare, con
tempistiche inadeguate, il cliente verso una direzione.
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Le domande chiuse, per definizione, impongono
come risposta una frase o un’affermazione senza via
d’uscita. Spesso questo fa sentire chi riceve questo
tipo di domande con le “spalle al muro” e nel
peggiore dei casi porta a una troncatura del
pensiero e della comunicazione. In questi casi è
opportuno che il counselor si alleni a trovare
domande “aperte”, in modo da portare il cliente ad
una introspezione specifica su come, ad esempio, si
sente rispetto la questione o come si è creata nella
sua vita tale circostanza.
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Anche in presenza di argomenti o situazioni apparentemente
eclatanti, è bene che il counselor non ceda alla tentazione di
dispensare giudizi o interpretazioni di parte. Il motivo per cui il
cliente è arrivato, nel corso della sua vita, ad assumere una
visione, per esempio estrema di alcuni argomenti, è
probabilmente la ragione per cui egli stesso ha scelto di fare
una seduta di counseling. In altre parole l’ammissione di una
visione o di una modalità, nel momento in cui viene espressa e
confidata al counselor ha già in se il seme del cambiamento.
Un giudizio moralistico o di parte è forse quello che lui stesso
ha ricevuto per anni nell’ambiente in cui è vissuto. Pagare per
ricevere lo stesso trattamento non può essere producente per
il seguito delle sue sedute di counseling.
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Creare l’alleanza terapeutica è compito esclusivo del
counselor: il cliente fa il proprio “primo” passo
decidendo di scegliere di lavorare su di se. Il
counselor ha l’opportunità di creare le condizioni tali
per cui l’ambiente, il dialogo e soprattutto l’ascolto e
la comprensione rendano il rapporto proficuo e
fertile. Nessuno si sente al sicuro se ha a che fare
con un interlocutore che lo forza o, peggio, lo
interpreta. Il counselor ha peraltro anche l’obbligo
etico di far si che l’investimento economico del
cliente possa dare i frutti migliori.
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Nel counseling è il cliente a “guarire” se
stesso; questo significa che il counselor farà
di tutto per far si che questo processo
avvenga grazie all’ascolto e all’attenzione
che il cliente sarà in grado di dare a se
stesso nel corso di una seduta. Avere fiducia
in questo processo impone quindi al
counselor un atteggiamento di ascolto,
attenzione e positività nei confronti del
proprio cliente.
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Uno dei rischi più ricorrenti, dopo qualche seduta con
lo stesso cliente, è di cadere nell’idea di sapere già
cosa farà, dirà o come si comporterà lo stesso. È
importante rendersi conto, a questo punto, che dal
punto di vista energetico e creativo, il
corretto proseguimento delle sedute rischia di essere
seriamente compromesso. Ciò che pensa il counselor a
qualche livello viene sentito dal cliente. Lasciare a
riguardo ogni aspettativa porta al fiorire invece di
possibilità in ogni direzione, dato che un clima di
fiducia aiuta a sentirsi più liberi di esprimersi e
migliorare.
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Mantenere un livello di supervisione costante
La supervisione, oltre a essere espressamente
richiesta già in fase di formazione, è un requisito
indispensabile anche nella fase iniziale e successiva
della professione. Ogni momento di crescita
professionale, in realtà, non può prescindere da un
livello di supervisione costante e duraturo; nelle
supervisioni di gruppo inoltre è possibile apprendere
anche dalle esperienze portate da altri counselor.
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Qualsiasi associazione di counseling prevede un
minimo di ore annuali di frequentazione di corsi in
aula al fine di mantenere “vivo” il proprio livello di
aggiornamento; senza queste frequentazioni il
diploma di counselor viene revocato
dall’associazione che lo ha certificato. Il counseling,
come tutte le tecniche correlate, è sempre in
costante cambiamento e miglioramento; è
fondamentale essere aggiornati su tutti i possibili
sviluppi che questa professione ci offre.
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È buona cosa prendere appunti sullo svolgimento
della seduta. Non esiste un modo unico e migliore
per farlo e su come o cosa prendere nota, dato che
questo è uno spazio il più delle volte vissuto in
modo personale dal counselor. Sicuramente però il
consiglio è di non tralasciare eventi importanti, in
modo di non correre il rischio, dopo qualche seduta,
di ritornare su questi argomenti già trattati senza
ricordarsi di averlo fatto, dando per altro un
messaggio di poca attenzione al cliente.
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È importante dare priorità a quello che il cliente ha
da dire piuttosto che “inondarlo” di ragionamenti o
peggio, consigli e suggerimenti. La capacità di saper
ascoltare è di gran lunga una delle caratteristiche
che rendono efficace una seduta di counseling. Sono
sufficienti poche parole o domande ben rivolte per
aprire degli spazi che sono di proprietà del cliente e
non del counselor, dato che riguardano la sua vita e
il suo cambiamento.
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Esistono tecniche, all'interno di una seduta,
consigliabili solo dopo aver chiaro che esiste una
relazione di fiducia e stima reciproca. È questo il
caso delle "obiezioni", che vengono portate al
cliente al solo scopo di far si che sperimenti una
condizione diversa da quella che ha immaginato o
vissuto fino ad allora.È opportuno a riguardo
utilizzare frasi come ad esempio: "come sarebbe se
tu...", "… e se invece provassi a ...", "hai mai
provato a ...". Come si può notare in questi esempi,
l'ultima parola resta al cliente.
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La tecnica della riformulazione consiste nel
riproporre in modo sintetico e riassuntivo quanto
espresso fino a quel punto dal cliente. È un metodo
valido in generale e soprattutto con quelle persone
che hanno la tendenza a perdersi nelle parole o a
perdere il senso di quello che intendevano dire
inizialmente. In questo modo, oltre a ricevere
l’informazione che è seguito con attenzione, il
cliente è stimolato a ripartire dal punto centrale del
ragionamento che magari aveva abbandonato a
favore di altri ragionamenti.
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49. Sebbene la
polvere d’oro
sia preziosa,
quando ti
entra negli
occhi ti
ostacola la
vista.
Hsi-Tang
“Quali sono le conseguenze per la mia vita e per quella di chi mi
circonda, se decido di pormi quest’obiettivo?”.
50. DESIDERIREALTÀ
Ciò che
Vorremmo avere
Ciò che abbiamo
Comprendere il Cliente
La nostra esistenza di Clienti si svolge costantemente nell’attrazione tra:
Se queste due sfere non corrispondono nasce un’esigenza che può essere
espressa o latente.
Le esigenze, ciò che vorrei avere, devono essere esplorate ed individuate con il
metodo delle domande.
Porre domande al cliente è l’operazione
fondamentale da fare se vogliamo ampliare
la sua mappa del mondo
53. Le cancellazioni linguistiche
1. I VERBI NON SPECIFICATI
...Penso, che domani pioverà!
...So, che Lucia è in ritardo!
2. FRASI CHE CONTENGONO VERBI CHE
NON SPECIFICANO IL PROCESSO
ESEMPIO:
58. CAUSA - EFFETTO
Quando è presente una convinzione che
determina uno stimolo esterno e questo sia
la causa della reazione
“Maria mi fa arrabbiare”
“La vista del sangue mi spaventa”
ESEMPIO:
La deformazione
59. SUPPOSIZIONI
Le supposizioni si riferiscono ad ogni
situazione che viene considerata
assolutamente vera.
La supposizione è basata sul concetto di
realtà in modo che la frase acquisti un
senso compiuto
La deformazione
60. EQUIVALENZA COMPLESSA
Causa - effetto tra due eventi distinti
“Hai la scrivania in disordine, non sai lavorare”
“E’ in ritardo, non le interesso più”
“Se non mi prendo cura delle persone,
esse non mi vorranno bene
ESEMPI:
La deformazione
61. Metamodello
“Non c’è più
amore”
“Cosa intendi per
amore?”
“so che sei
arrabbiato”
“Cosa ti fa pensare
che io sia
arrabbiato?”
“per Mario è meglio
così”
”Come lo sai?”
“La vista del sangue
mi fa svenire”
“Cosa nel vedere il
sangue ti fa
svenire?”
“ho bisogno di
aiuto”
”Cosa posso fare per
aiutarti?”
“Ilaria mi fa
arrabbiare”
”Cosa fa Ilaria per
farti arrabbiare?”
“Se non mi porti fiori
vuol dire che non mi
ami”
“In che modo non
portarti fiori significa
che?”
“Se non mi porti fiori vuol dire
che non mi ami”
“Tutte le persone che ti
amano ti portano fiori?”
“continuo ad
essere triste”
“eri triste anche
prima?”
“ovviamente sei
in ritardo”
“Cosa intendi per
ovviamente?”
“Se non mi porti fiori vuol dire
che non mi ami”
“Tutte le persone che non ti
portano fiori non ti amano?”
By Borro
62. “sono curioso”
“di cosa sei
curioso?”
“ho paura”
”Hai paura di chi o
cosa?”
“è troppo
costoso”
”rispetto a cosa è
troppo costoso?”
“Mario è il
migliore”
“Migliore di chi,
migliore in
cosa?”
“gli italiani sono
creativi”
“quali italiani?”
“loro arrivano
tardi”
“loro chi?”
Quantificatori universali
Operatori modali
Performativa persa
“sei sempre in
ritardo”
“sempre?”
“tutti i marziani
sono fannulloni”
“tutti?”
“non posso rimanere”
“cosa accadrebbe se lo
facessi?” (Possibilità)
“cosa te lo impedisce?”
(Necessità)
“è giusto arrivare
in orario”
“secondo chi?”
“si dice che sei in
gamba”
“chi lo dice?”
“devo andare via”
“cosa accadrebbe se
rimanessi?”
(Possibilità)
“cosa ti impedisce di
restare?” (Necessità)
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