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Pane e rivolta del pane
nei Promessi Sposi
Da sempre e ovunque se
manca il PANE nascono le
rivolte.
Così è successo poco
tempo fa nei paesi arabi.
Così nel 1600 è successo a
Milano e ce lo racconta un
cronista d’eccezione:
Alessandro Manzoni
Notevole è la capacità di empatia di Manzoni. Lui,
agorafobico, pauroso della folla, ipocondriaco, nobile e
cattolicissimo, certo non un socialista ante litteram e nemmeno
un politico o un rivoltoso ci regala con la sola forza dell'arte un
racconto esemplare.

Seguiremo due temi:
il pane,
la rivolta del pane.

Alessandro Manzoni
Manzoni dunque fa una descrizione “classica” d'una rivolta
per il pane.
Siamo negli straordinari capitoli dei Promessi Sposi che sono
una fenomenologia della lotta popolare valida in ogni tempo,
luogo e per qualsiasi motivo... purché di vitale, essenziale
importanza.
Questione di vita o di morte. Questione di pane.
La vicenda è nota: Renzo e
Lucia, i promessi Sposi, non
possono sposarsi per
l’opposizione del signorotto
locale, invaghito di Lucia.
Per sottrarsi al signorotto i
due fuggono, Lucia va verso
Monza, dalla monaca
Gertrude. Renzo va a Milano
e sulla strada trova pane,
bianco pane abbandonato in
terra, lungo la via.

Renzo Tramaglino

Immaginiamoci lo stupore del giovane. Fatto?
Manzoni la scrive così…
CAP. XI «- È pane davvero! - disse ad alta voce; tanta era la
sua maraviglia: - così lo seminano in questo paese? in
quest'anno? e non si scomodano neppure per raccoglierlo,
quando cade? Che sia il paese di cuccagna questo?»

Perché ci sia rivolta deve
esserci mancanza. Ma quando
c’è rivolta spesso si spreca
quello che c’è.
La rivolta non è previdente. La
rivolta è qui e ora, non pensa
al futuro. La rivolta è uno
scoppio improvviso.
CAP XII «Al forno al forno».
Renzo seguendo le tracce del pane e dei disperati che lo arraffano, i
disperati spesso sono brutti e deformi e ridicoli. La miseria, la fame
non sono mai belle, si ritrova nel cuore della rivolta. Là dove origina
il pane: ai forni.
È il momento della confusione;
la richiesta di pane è per alcuni
domanda di giustizia sociale, per
altri un’occasione per profittare
delle circostanze... prevale
l'irrazionalità.
Nella città anche fare il pane diviene fatto grottesco, reso tale
dall'intensificarsi della velocità, per sedare la rivolta infatti si chiede
ai fornai di fare il pane sempre più in fretta, quando il pane richiede
tempo e pazienza.
La rivolta lievita come una pagnotta, infine si scomoda un
personaggio politico in vista, ilb gran cancelliere spagnolo, Antonio
Ferrer… nel CAP. XIII Ferrer promette «pane e giustizia», qui
quasi sinonimi. Ma che la promessa sia vana ed equivoca è
esemplificato dal doppio registro linguistico (italiano/spagnolo).
Da «Il romanzo contro la storia» di Bàrberi Squarotti.

Infatti Ferrer promette in
italiano, ma commenta con
sarcasmo e con disprezzo
verso i rivoltosi in spagnolo.
Nella sua lingua madre è
sincero, tanto gli altri non lo
capiscono.
La lotta per il pane è fatto che diviene
quasi un topos letterario (purtroppo),
tanto che qualcuno ne fa la parodia.
Parodico pare essere Ippolito Nievo ne Le
confessioni d'un italiano (cap. X).
Ippolito Nievo

- Cittadini - (era la parola prediletta di Amilcare) - cittadini, cosa
chiedete voi? (...)
- Cosa chiediamo? - Cosa ha detto? - Ha domandato cosa si vuole! Vogliamo la libertà!... Viva la libertà!... Pane, pane!... Polenta, polenta! - gridavano i contadini.
Questa gridata del pane e della polenta finì di mettere un pieno
accordo fra villani di campagna e mestieranti di città. (...)
- Pane! pane! Libertà!... Polenta! (...)
- Cittadini (…) - cittadini, il pane della libertà è il più salubre di tutti;
ognuno ha diritto d'averlo perché cosa resta mai l'uomo senza pane e
senza libertà?... Dico io, senza pane e senza libertà cos'è mai l'uomo?
- Cittadini - ripresi - voi volete la libertà: per conseguenza l'avrete.
Quanto al pane e alla polenta io non posso darvene: se l'avessi vi
inviterei tutti a pranzo ben volentieri. Ma c'è la Provvidenza che
pensa a tutto: raccomandiamoci a lei!
Un mormorio lungo e diverso, che
dinotava qualche disparità di
pareri, accolse questa mia
proposta. Poi successe un tumulto
di voci, di gridate, di minacce e di
proposte
che
dissentivano
alquanto dalle mie.
- Ai granai, ai granai!-
L’ironia c’è: o insomma, pare dire Nievo, va bene la libertà, ma il
pane è pane, la polenta è polenta…
Si può dargli torto? Si può dar torto ai contadini e ai mestieranti in
subbuglio?
Forse per giudicare bisognerebbe sapere cosa sia uno stomaco vuoto!
Per concludere col tema del pane…
In Manzoni il pane ha grande rilevanza anche nella vicenda di Fra'
Cristoforo (Promessi Sposi, cap. IV), in cui assume la funzione
redentiva del «pane del perdono». Al giovane che uccide e si pente
solo una cosa può importare per ricominciare la nuova vita: il perdono
dei familiari di chi ha ucciso.
E così ecco la toccante «cerimonia»
del pane del perdono, un vero rito
anche perché il pane arriva su un
piatto d'argento. Ma è il pane la
cosa più importante (lo è davvero!
Si provi, avendo fame, a mangiare
un piatto d'argento!).

Fra’ Cristoforo
Cap. IV Il gentiluomo si raccostò al nostro Cristoforo, il quale faceva
segno di volersi licenziare, e gli disse: - padre, gradisca qualche
cosa; mi dia questa prova d'amicizia -. E si mise per servirlo prima
d'ogni altro; ma egli, ritirandosi, con una certa resistenza cordiale, queste cose, - disse, - non fanno più per me; ma non sarà mai ch'io
rifiuti i suoi doni. Io sto per mettermi in viaggio: si degni di farmi
portare un pane, perché io possa dire d'aver goduto la sua carità,
d'aver mangiato il suo pane, e avuto un segno del suo perdono
-. Il gentiluomo, commosso, ordinò che così si facesse; e venne subito
un cameriere, in gran gala, portando un pane sur un piatto d'argento,
e lo presentò al padre; il quale, presolo e ringraziato, lo mise nella
sporta.
(...) Fermandosi, all'ora della refezione, presso un benefattore,
mangiò, con una specie di voluttà, del pane del perdono: ma ne serbò
un pezzo, e lo ripose nella sporta, per tenerlo, come un ricordo
perpetuo.
Questo pane è anche simbolo del cammino: un cammino fisico ed
esistenziale, infatti da sempre il pane è anche viatico per il viaggio nel
mondo di Fra Cristoforo.
Si pensi alla manna, alle gallette dei viandanti e dei soldati, al pan di
via dei romanzi fantasy di Tolkien.

Dal film “Il signore degli Anelli”
Ma torniamo alla descrizione dell’assalto ai forni nei Promessi Sposi,
lasciamo il pane e osserviamo la rivolta seguendo quanto scrive
Manzoni che a sua volta segue quel che fa Renzo.
Renzo, questa volta, si trovava nel forte del tumulto, non già portatovi
dalla piena, ma cacciatovisi deliberatamente. A quella prima
proposta di sangue, aveva sentito il suo rimescolarsi tutto: in quanto
al saccheggio, non avrebbe saputo dire se fosse bene o male in quel
caso; ma l'idea dell'omicidio gli cagionò un orrore pretto e
immediato. E quantunque, per quella funesta docilità degli animi
immediato
appassionati all'affermare appassionato di molti, fosse
molti
persuasissimo che il vicario era la cagion principale della fame, il
nemico de' poveri, pure, avendo, al primo moversi della turba, sentita
a caso qualche parola che indicava la volontà di fare ogni sforzo per
salvarlo, s'era subito proposto d'aiutare anche lui un'opera tale; e,
con quest'intenzione, s'era cacciato, quasi fino a quella porta, che
veniva travagliata in cento modi.
La frase precedente suscita da
subito due riflessioni
Anche nella foga, nel tumulto,
nella passione del momento
qualcuno resta, come Renzo,
contrario alla violenza, di
istinto; pur convinto che quello
sia il nemico, non vuole venga
sparso del sangue. È una fortuna
questo ribrezzo per il sangue
che, purtroppo non tutti hanno.
Di
fianco
un’esecuzione
pubblica: la crocifissione di
Cristo.
Affresco di Gaudenzio Ferrari a Varallo
Chaplin ne “Il grande dittatore”

E, seconda riflessione, ecco
comparire la “funesta docilità
degli animi appassionati”,
così Manzoni ci dice che
nella folla in tumulto non più
conta il raziocinio, ma la
passione che rende però più
deboli le capacità razionali,
insomma spesso si va dietro
a chi urla più forte quasi
indipendentemente da cosa
dica e ci si convince che quel
che dice è vero!
Chi con ciottoli picchiava su' chiodi della serratura, per
isconficcarla; altri, con pali e scarpelli e martelli, cercavano di
lavorar più in regola: altri poi, con pietre, con coltelli spuntati, con
chiodi, con bastoni, con l'unghie, non avendo altro, scalcinavano e
sgretolavano il muro, e s'ingegnavano di levare i mattoni, e fare una
breccia. Quelli che non potevano aiutare, facevan coraggio con gli
urli; ma nello stesso tempo, con lo star lì a pigiare, impicciavan di
più il lavoro già impicciato dalla gara disordinata de' lavoranti:
giacché, per grazia del cielo, accade talvolta anche nel male quella
cosa troppo frequente nel bene, che i fautori più ardenti divengano
un impedimento.
Ecco la folla in azione, la folla che s'impiccia, che distrugge, che usa
tutti i mezzi che può. Non vi è alcun giudizio morale, questa folla è
composta per lo più di gente che ha fame e si crede ingannata dal
potere.
Il problema è però che chi più
l'inganna, nel caso del pane, è
chi fa le proposte che
sembrano più vicine al
popolo: questa è la famosa
demagogia.
Il populismo è il principale
nemico del buon governo e
della società.
Lo era, lo è ancor oggi e lo
sarà.
Campione di questo populismo è Ferrer, di cui abbiamo già parlato, è
colui che in qualche modo ha causato tutti i guai, infatti, in un
momento di crisi ha abbassato il prezzo del pane, creando una
richiesta eccessiva per le scorte esigue e un peso insopportabile per i
fornai, ma dando un sollievo al popolo... però non strutturale, ma
piuttosto momentaneo, transitorio e per questo più pericoloso.
Ferrer arriva a salvare il
vicario assediato. Aiutato dal
popolino che crede in lui, lo
porta con sé. Ferrer è
l'incarnazione del populismo,
come abbiamo visto anche
nell’uso di due lingue. Una
vera lingua biforcuta!
“- Sì, signori; pane e giustizia: in castello, in prigione, sotto la mia
guardia. Grazie, grazie, grazie tante. No, no: non iscapperà. Por
ablandarlos. E troppo giusto; s'esaminerà, si vedrà. Anch'io voglio
bene a lor signori. Un gastigo severo. Esto lo digo por su bien. Una
meta giusta, una meta onesta, e gastigo agli affamatori. Si tirin da
parte, di grazia. Sì, sì; io sono un galantuomo, amico del popolo.
Sarà gastigato: è vero, è un birbante, uno scellerato. Perdone, usted.
La passerà male, la passerà male... si es culpable.”
In italiano Ferrer parla alla
folla, in spagnolo rassicura il
vicario.
Ed ecco la meravigliosa descrizione della folla alla fine (almeno
temporanea) della rivolta:
“La folla rimasta indietro cominciò a sbandarsi, a diramarsi a destra
e a sinistra, per questa e per quella strada. Chi andava a casa, a
accudire anche alle sue faccende; chi s'allontanava, per respirare un
po' al largo, dopo tante ore di stretta; chi, in cerca d'amici, per
ciarlare de' gran fatti della giornata. Lo stesso sgombero s'andava
facendo dall'altro sbocco della strada, nella quale la gente restò
abbastanza rada perché quel drappello di spagnoli potesse, senza
trovar resistenza, avanzarsi, e postarsi alla casa del vicario. …
Accosto a quella stava ancor condensato il fondaccio, per dir così,
del tumulto; un branco di birboni, che malcontenti d'una fine così
fredda e così imperfetta d'un così grand'apparato, parte
brontolavano, parte bestemmiavano, parte tenevan consiglio, per
veder se qualche cosa si potesse ancora intraprendere; e, come per
provare, andavano urtacchiando e pigiando quella povera porta,
ch'era stata di nuovo appuntellata alla meglio. All'arrivar del
drappello, tutti coloro, chi diritto diritto, chi baloccandosi, e come a
stento, se n'andarono dalla parte opposta, lasciando il campo libero
a' soldati, che lo presero, e vi si postarono, a guardia della casa e
della strada. Ma tutte le strade del contorno erano seminate di
crocchi: dove c'eran due o tre persone ferme, se ne fermavano tre,
quattro, venti altre: qui qualcheduno si staccava; là tutto un crocchio
si moveva insieme”
Ah, ricordiamo per correttezza che Manzoni non era certo un
rivoluzionario!!!
Infatti l'esito raccontato da Manzoni è molto amaro, giacché i
notabili, lasciate le promesse, cercano i capri o almeno alcuni capri
espiatori per punire, attraverso loro, la rivolta e dare una lezione agli
altri.
In questa ricerca si può anche
incappare negli errori e nelle
ingiustizie e infatti Renzo
vien preso per un capopopolo
e viene arrestato... riuscirà a
fuggire perché il romanzo
deve
continuare,
ma
l'amarezza del Manzoni, il
suo scetticismo (che si può e
forse si deve non condividere)
restano gli stessi.
Premesso che l’ideale è un mondo dove nessuno abbia motivi di
cui lamentarsi (e rivoltarsi), la morale potrebbe essere divisa in
punti, una sorta di guida alla buona rivolta:

Il Quarto stato,
Pellizza da Volpedo

1. ogni rivolta ha bisogno di un buon motivo e di organizzazione,
2. deve essere non violenta,
3. ognuno non deve cedere alle lusinghe di chi urla più forte,
4. ognuno deve temere la lingua biforcuta del potere.

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Pane e rivolta del pane nei Promessi Sposi

  • 1. Pane e rivolta del pane nei Promessi Sposi Da sempre e ovunque se manca il PANE nascono le rivolte. Così è successo poco tempo fa nei paesi arabi. Così nel 1600 è successo a Milano e ce lo racconta un cronista d’eccezione: Alessandro Manzoni
  • 2. Notevole è la capacità di empatia di Manzoni. Lui, agorafobico, pauroso della folla, ipocondriaco, nobile e cattolicissimo, certo non un socialista ante litteram e nemmeno un politico o un rivoltoso ci regala con la sola forza dell'arte un racconto esemplare. Seguiremo due temi: il pane, la rivolta del pane. Alessandro Manzoni
  • 3. Manzoni dunque fa una descrizione “classica” d'una rivolta per il pane. Siamo negli straordinari capitoli dei Promessi Sposi che sono una fenomenologia della lotta popolare valida in ogni tempo, luogo e per qualsiasi motivo... purché di vitale, essenziale importanza. Questione di vita o di morte. Questione di pane.
  • 4. La vicenda è nota: Renzo e Lucia, i promessi Sposi, non possono sposarsi per l’opposizione del signorotto locale, invaghito di Lucia. Per sottrarsi al signorotto i due fuggono, Lucia va verso Monza, dalla monaca Gertrude. Renzo va a Milano e sulla strada trova pane, bianco pane abbandonato in terra, lungo la via. Renzo Tramaglino Immaginiamoci lo stupore del giovane. Fatto? Manzoni la scrive così…
  • 5. CAP. XI «- È pane davvero! - disse ad alta voce; tanta era la sua maraviglia: - così lo seminano in questo paese? in quest'anno? e non si scomodano neppure per raccoglierlo, quando cade? Che sia il paese di cuccagna questo?» Perché ci sia rivolta deve esserci mancanza. Ma quando c’è rivolta spesso si spreca quello che c’è. La rivolta non è previdente. La rivolta è qui e ora, non pensa al futuro. La rivolta è uno scoppio improvviso.
  • 6. CAP XII «Al forno al forno». Renzo seguendo le tracce del pane e dei disperati che lo arraffano, i disperati spesso sono brutti e deformi e ridicoli. La miseria, la fame non sono mai belle, si ritrova nel cuore della rivolta. Là dove origina il pane: ai forni. È il momento della confusione; la richiesta di pane è per alcuni domanda di giustizia sociale, per altri un’occasione per profittare delle circostanze... prevale l'irrazionalità. Nella città anche fare il pane diviene fatto grottesco, reso tale dall'intensificarsi della velocità, per sedare la rivolta infatti si chiede ai fornai di fare il pane sempre più in fretta, quando il pane richiede tempo e pazienza.
  • 7. La rivolta lievita come una pagnotta, infine si scomoda un personaggio politico in vista, ilb gran cancelliere spagnolo, Antonio Ferrer… nel CAP. XIII Ferrer promette «pane e giustizia», qui quasi sinonimi. Ma che la promessa sia vana ed equivoca è esemplificato dal doppio registro linguistico (italiano/spagnolo). Da «Il romanzo contro la storia» di Bàrberi Squarotti. Infatti Ferrer promette in italiano, ma commenta con sarcasmo e con disprezzo verso i rivoltosi in spagnolo. Nella sua lingua madre è sincero, tanto gli altri non lo capiscono.
  • 8. La lotta per il pane è fatto che diviene quasi un topos letterario (purtroppo), tanto che qualcuno ne fa la parodia. Parodico pare essere Ippolito Nievo ne Le confessioni d'un italiano (cap. X). Ippolito Nievo - Cittadini - (era la parola prediletta di Amilcare) - cittadini, cosa chiedete voi? (...) - Cosa chiediamo? - Cosa ha detto? - Ha domandato cosa si vuole! Vogliamo la libertà!... Viva la libertà!... Pane, pane!... Polenta, polenta! - gridavano i contadini. Questa gridata del pane e della polenta finì di mettere un pieno accordo fra villani di campagna e mestieranti di città. (...) - Pane! pane! Libertà!... Polenta! (...)
  • 9. - Cittadini (…) - cittadini, il pane della libertà è il più salubre di tutti; ognuno ha diritto d'averlo perché cosa resta mai l'uomo senza pane e senza libertà?... Dico io, senza pane e senza libertà cos'è mai l'uomo? - Cittadini - ripresi - voi volete la libertà: per conseguenza l'avrete. Quanto al pane e alla polenta io non posso darvene: se l'avessi vi inviterei tutti a pranzo ben volentieri. Ma c'è la Provvidenza che pensa a tutto: raccomandiamoci a lei! Un mormorio lungo e diverso, che dinotava qualche disparità di pareri, accolse questa mia proposta. Poi successe un tumulto di voci, di gridate, di minacce e di proposte che dissentivano alquanto dalle mie. - Ai granai, ai granai!-
  • 10. L’ironia c’è: o insomma, pare dire Nievo, va bene la libertà, ma il pane è pane, la polenta è polenta… Si può dargli torto? Si può dar torto ai contadini e ai mestieranti in subbuglio? Forse per giudicare bisognerebbe sapere cosa sia uno stomaco vuoto!
  • 11. Per concludere col tema del pane… In Manzoni il pane ha grande rilevanza anche nella vicenda di Fra' Cristoforo (Promessi Sposi, cap. IV), in cui assume la funzione redentiva del «pane del perdono». Al giovane che uccide e si pente solo una cosa può importare per ricominciare la nuova vita: il perdono dei familiari di chi ha ucciso. E così ecco la toccante «cerimonia» del pane del perdono, un vero rito anche perché il pane arriva su un piatto d'argento. Ma è il pane la cosa più importante (lo è davvero! Si provi, avendo fame, a mangiare un piatto d'argento!). Fra’ Cristoforo
  • 12. Cap. IV Il gentiluomo si raccostò al nostro Cristoforo, il quale faceva segno di volersi licenziare, e gli disse: - padre, gradisca qualche cosa; mi dia questa prova d'amicizia -. E si mise per servirlo prima d'ogni altro; ma egli, ritirandosi, con una certa resistenza cordiale, queste cose, - disse, - non fanno più per me; ma non sarà mai ch'io rifiuti i suoi doni. Io sto per mettermi in viaggio: si degni di farmi portare un pane, perché io possa dire d'aver goduto la sua carità, d'aver mangiato il suo pane, e avuto un segno del suo perdono -. Il gentiluomo, commosso, ordinò che così si facesse; e venne subito un cameriere, in gran gala, portando un pane sur un piatto d'argento, e lo presentò al padre; il quale, presolo e ringraziato, lo mise nella sporta. (...) Fermandosi, all'ora della refezione, presso un benefattore, mangiò, con una specie di voluttà, del pane del perdono: ma ne serbò un pezzo, e lo ripose nella sporta, per tenerlo, come un ricordo perpetuo.
  • 13. Questo pane è anche simbolo del cammino: un cammino fisico ed esistenziale, infatti da sempre il pane è anche viatico per il viaggio nel mondo di Fra Cristoforo. Si pensi alla manna, alle gallette dei viandanti e dei soldati, al pan di via dei romanzi fantasy di Tolkien. Dal film “Il signore degli Anelli”
  • 14. Ma torniamo alla descrizione dell’assalto ai forni nei Promessi Sposi, lasciamo il pane e osserviamo la rivolta seguendo quanto scrive Manzoni che a sua volta segue quel che fa Renzo. Renzo, questa volta, si trovava nel forte del tumulto, non già portatovi dalla piena, ma cacciatovisi deliberatamente. A quella prima proposta di sangue, aveva sentito il suo rimescolarsi tutto: in quanto al saccheggio, non avrebbe saputo dire se fosse bene o male in quel caso; ma l'idea dell'omicidio gli cagionò un orrore pretto e immediato. E quantunque, per quella funesta docilità degli animi immediato appassionati all'affermare appassionato di molti, fosse molti persuasissimo che il vicario era la cagion principale della fame, il nemico de' poveri, pure, avendo, al primo moversi della turba, sentita a caso qualche parola che indicava la volontà di fare ogni sforzo per salvarlo, s'era subito proposto d'aiutare anche lui un'opera tale; e, con quest'intenzione, s'era cacciato, quasi fino a quella porta, che veniva travagliata in cento modi.
  • 15. La frase precedente suscita da subito due riflessioni Anche nella foga, nel tumulto, nella passione del momento qualcuno resta, come Renzo, contrario alla violenza, di istinto; pur convinto che quello sia il nemico, non vuole venga sparso del sangue. È una fortuna questo ribrezzo per il sangue che, purtroppo non tutti hanno. Di fianco un’esecuzione pubblica: la crocifissione di Cristo. Affresco di Gaudenzio Ferrari a Varallo
  • 16. Chaplin ne “Il grande dittatore” E, seconda riflessione, ecco comparire la “funesta docilità degli animi appassionati”, così Manzoni ci dice che nella folla in tumulto non più conta il raziocinio, ma la passione che rende però più deboli le capacità razionali, insomma spesso si va dietro a chi urla più forte quasi indipendentemente da cosa dica e ci si convince che quel che dice è vero!
  • 17. Chi con ciottoli picchiava su' chiodi della serratura, per isconficcarla; altri, con pali e scarpelli e martelli, cercavano di lavorar più in regola: altri poi, con pietre, con coltelli spuntati, con chiodi, con bastoni, con l'unghie, non avendo altro, scalcinavano e sgretolavano il muro, e s'ingegnavano di levare i mattoni, e fare una breccia. Quelli che non potevano aiutare, facevan coraggio con gli urli; ma nello stesso tempo, con lo star lì a pigiare, impicciavan di più il lavoro già impicciato dalla gara disordinata de' lavoranti: giacché, per grazia del cielo, accade talvolta anche nel male quella cosa troppo frequente nel bene, che i fautori più ardenti divengano un impedimento.
  • 18. Ecco la folla in azione, la folla che s'impiccia, che distrugge, che usa tutti i mezzi che può. Non vi è alcun giudizio morale, questa folla è composta per lo più di gente che ha fame e si crede ingannata dal potere. Il problema è però che chi più l'inganna, nel caso del pane, è chi fa le proposte che sembrano più vicine al popolo: questa è la famosa demagogia. Il populismo è il principale nemico del buon governo e della società. Lo era, lo è ancor oggi e lo sarà.
  • 19. Campione di questo populismo è Ferrer, di cui abbiamo già parlato, è colui che in qualche modo ha causato tutti i guai, infatti, in un momento di crisi ha abbassato il prezzo del pane, creando una richiesta eccessiva per le scorte esigue e un peso insopportabile per i fornai, ma dando un sollievo al popolo... però non strutturale, ma piuttosto momentaneo, transitorio e per questo più pericoloso. Ferrer arriva a salvare il vicario assediato. Aiutato dal popolino che crede in lui, lo porta con sé. Ferrer è l'incarnazione del populismo, come abbiamo visto anche nell’uso di due lingue. Una vera lingua biforcuta!
  • 20. “- Sì, signori; pane e giustizia: in castello, in prigione, sotto la mia guardia. Grazie, grazie, grazie tante. No, no: non iscapperà. Por ablandarlos. E troppo giusto; s'esaminerà, si vedrà. Anch'io voglio bene a lor signori. Un gastigo severo. Esto lo digo por su bien. Una meta giusta, una meta onesta, e gastigo agli affamatori. Si tirin da parte, di grazia. Sì, sì; io sono un galantuomo, amico del popolo. Sarà gastigato: è vero, è un birbante, uno scellerato. Perdone, usted. La passerà male, la passerà male... si es culpable.” In italiano Ferrer parla alla folla, in spagnolo rassicura il vicario.
  • 21. Ed ecco la meravigliosa descrizione della folla alla fine (almeno temporanea) della rivolta: “La folla rimasta indietro cominciò a sbandarsi, a diramarsi a destra e a sinistra, per questa e per quella strada. Chi andava a casa, a accudire anche alle sue faccende; chi s'allontanava, per respirare un po' al largo, dopo tante ore di stretta; chi, in cerca d'amici, per ciarlare de' gran fatti della giornata. Lo stesso sgombero s'andava facendo dall'altro sbocco della strada, nella quale la gente restò abbastanza rada perché quel drappello di spagnoli potesse, senza trovar resistenza, avanzarsi, e postarsi alla casa del vicario. …
  • 22. Accosto a quella stava ancor condensato il fondaccio, per dir così, del tumulto; un branco di birboni, che malcontenti d'una fine così fredda e così imperfetta d'un così grand'apparato, parte brontolavano, parte bestemmiavano, parte tenevan consiglio, per veder se qualche cosa si potesse ancora intraprendere; e, come per provare, andavano urtacchiando e pigiando quella povera porta, ch'era stata di nuovo appuntellata alla meglio. All'arrivar del drappello, tutti coloro, chi diritto diritto, chi baloccandosi, e come a stento, se n'andarono dalla parte opposta, lasciando il campo libero a' soldati, che lo presero, e vi si postarono, a guardia della casa e della strada. Ma tutte le strade del contorno erano seminate di crocchi: dove c'eran due o tre persone ferme, se ne fermavano tre, quattro, venti altre: qui qualcheduno si staccava; là tutto un crocchio si moveva insieme” Ah, ricordiamo per correttezza che Manzoni non era certo un rivoluzionario!!!
  • 23. Infatti l'esito raccontato da Manzoni è molto amaro, giacché i notabili, lasciate le promesse, cercano i capri o almeno alcuni capri espiatori per punire, attraverso loro, la rivolta e dare una lezione agli altri. In questa ricerca si può anche incappare negli errori e nelle ingiustizie e infatti Renzo vien preso per un capopopolo e viene arrestato... riuscirà a fuggire perché il romanzo deve continuare, ma l'amarezza del Manzoni, il suo scetticismo (che si può e forse si deve non condividere) restano gli stessi.
  • 24. Premesso che l’ideale è un mondo dove nessuno abbia motivi di cui lamentarsi (e rivoltarsi), la morale potrebbe essere divisa in punti, una sorta di guida alla buona rivolta: Il Quarto stato, Pellizza da Volpedo 1. ogni rivolta ha bisogno di un buon motivo e di organizzazione, 2. deve essere non violenta, 3. ognuno non deve cedere alle lusinghe di chi urla più forte, 4. ognuno deve temere la lingua biforcuta del potere.