1. Andrea Ferrarini – Consulente Modelli organizzativi e di gestione d.lgs 231/2001
Via Ascanio Sforza 81/a, 20141 Milano (Mi) - +39.347.2728727
andreaferrarini@inwind.it - http://it.linkedin.com/in/andreaferrarini
P. IVA 02213510031 - C.F. FRRNDR76A14F205C
Il sistema di prevenzione del rischio di illegalità nel disegno di legge anticorruzione.
La presente analisi considera gli articoli 1, 4 e 5 del disegno di legge anticorruzione approvato alla camera
dei deputati il 14 giugno 2012.
In tali articolo si delinea la struttura per la gestione del rischio di corruzione ed illegalità nelle pubbliche
amministrazioni, vale a dire l’insieme di responsabilità, poteri e risorse (Piani di gestione del rischio, sistemi
di sanzione, codici di comportamento, flussi informativi), necessari per definire, attuare, monitorare,
rivedere e migliorare nel tempo le attività di prevenzione della corruzione e dell’illegalità nel settore
pubblico.
1. L’Autorità Nazionale Anticorruzione (art. 1, commi 1-3). L’Autorità Nazionale Anticorruzione è
individuata in un organismo già esistente: la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità
delle amministrazioni pubbliche (art.13 d.lgs. 150/2009), nota anche come CIVIT. Già il comma 8 dell’art. 13
del d.lgs. 150/09 prevedeva l’istituzione, presso la Commissione, di una “Sezione per l’integrità nelle
amministrazioni pubbliche con la funzione di favorire, all’interno della amministrazioni pubbliche, la
diffusione della legalità e della trasparenza e sviluppare interventi a favore della cultura dell’integrità”,
incaricata di emettere di Linee Guida per la redazione dei Programmi triennali per l’integrità e la
trasparenza delle pubbliche amministrazioni (art 11, comma 2, d.lgs. 150/2009) e di vigilare sul rispetto
degli obblighi in materia di trasparenza. Quindi, l’idea di fondo è che la prevenzione della corruzione passi,
necessariamente, attraverso interventi in campo etico ed organizzativo, finalizzati a promuovere una
cultura della trasparenza e dell’integrità. Secondo questa visione, la corruzione può essere vista come
“espressione patologica” di una cultura dell’impresa pubblica poco orientata all’etica e alla trasparenza.
Alla CIVIT (nella sua funzione di Autorità Anticorruzione) sono assegnate numerose funzioni (art. 1, comma
2):
• Collaborare con gli organismi anti corruzione regionali, nazionali ed internazionali, e
• Approvare il Piano Nazionale Anticorruzione, predisposto dal Dipartimento della Funzione Pubblica.
• Vigilare sull’effettiva applicazione delle misure anti corruzione e di trasparenza nelle pubbliche
amministrazioni italiane, anche con interventi di tipo ispettivo (art. 1, comma 3).
• Analizzare le cause e i fattori della corruzione ed individuare gli interventi che ne possono favorire
la prevenzione e il contrasto.
• Riferire annualmente al Parlamento circa l’efficacia delle disposizioni di legge e degli interventi in
materia di contrasto alla corruzione e all’illegalità nella pubblica amministrazione.
Studio L.S.A. & Partners – Consulenza legale, fiscale e organizzativa – Piazza 5 Giornate 6 – Milano
2. Andrea Ferrarini – Consulente Modelli organizzativi e di gestione d.lgs 231/2001
Via Ascanio Sforza 81/a, 20141 Milano (Mi) - +39.347.2728727
andreaferrarini@inwind.it - http://it.linkedin.com/in/andreaferrarini
P. IVA 02213510031 - C.F. FRRNDR76A14F205C
• Esprimere pareri facoltativi sulla conformità di atti e comportamenti dei funzionari pubblici alla
legge, ai codici di comportamento, ai contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro
pubblico;
• Esprime pareri facoltativi in materia di autorizzazioni allo svolgimento di incarichi esterni da parte
dei dirigenti amministrativi dello Stato e degli enti pubblici nazionali.
Quindi, LA CIVIT si trova ad essere il principale perno su cui far gravitare le alcune delle attività connesse
alla gestione del rischio-corruzione nel settore pubblico: valutazione dei fattori di rischio, approvazione
degli indirizzi generali per il trattamento del rischio (Piano Nazionale Anticorruzione), monitoraggio e
supporto per la corretta applicazione dei piani per la gestione del rischio-corruzione nelle singole
amministrazioni, rapporti con gli stakeholders interni (pubbliche amministrazioni, parlamento, ministero
della funzione pubblica). In generale, il modello di gestione del rischio è fortemente centralizzato ed
individua (già in via preliminare) due fonti di rischio, associabili all’emergere di episodi di corruzione:
• i comportamenti e gli atti dei funzionari pubblici. Queste fonti di rischio non possono essere
rimosse (perché sono parte della vita organizzativa degli enti pubblici). La CIVIT, però può
intervenire per valutare l’aderenza di atti e comportamenti al complesso delle regole (codici di
comportamento e contratti di lavoro) che governa il pubblico impiego, per gestire fin da subito
condotte potenzialmente illecite. (trattamento della fonte di rischio)
• lo svolgimento di incarichi esterni da parte di dirigenti amministrativi dello stato e degli enti
pubblici nazionali, che rappresentano un possibile rischio, nella misura in cui, attraverso tali
incarichi, il pubblico ufficiale si trova coinvolto negli interessi di stakeholders esterni alla pubblica
amministrazione, che potrebbe favorire in modo illecito. Tali fonti di rischio possono essere
semplicemente rimosse, non autorizzando l’incarico esterno.
2. Il ruolo del Dipartimento della Funzione Pubblica (art. 1, commi 4). Il disegno di legge prevede (ai
commi 4 e 5 dell’articolo 1), che il Dipartimento della Funzione Pubblica predisponga un Piano Nazionale
Anticorruzione, per coordinare l'attuazione delle strategie di prevenzione e contrasto della corruzione e
dell'illegalità nella pubblica amministrazione. Il Piano Nazionale Anticorruzione deve essere approvato dalla
CIVIT. Inoltre, il Dipartimento della funzione pubblica promuove e definisce:
• Le norme e le metodologie comuni per la prevenzione della corruzione
• Le informazioni e i dati occorrenti per la prevenzione della corruzione e dell’illegalità, elaborando
anche modelli standard, che consentano il trattamento informatico dei dati;
• I criteri per assicurare la rotazione dei dirigenti nei settori particolarmente esposti al rischio di
corruzione
• Le misure per scongiurare sovrapposizioni di funzioni e cumuli di incarichi nominativi in capo ai
dirigenti pubblici, anche esterni.
Studio L.S.A. & Partners – Consulenza legale, fiscale e organizzativa – Piazza 5 Giornate 6 – Milano
3. Andrea Ferrarini – Consulente Modelli organizzativi e di gestione d.lgs 231/2001
Via Ascanio Sforza 81/a, 20141 Milano (Mi) - +39.347.2728727
andreaferrarini@inwind.it - http://it.linkedin.com/in/andreaferrarini
P. IVA 02213510031 - C.F. FRRNDR76A14F205C
Per implementare un efficace sistema di prevenzione del rischio di reato è fondamentale definire
correttamente le responsabilità e i poteri dei vari soggetti in esso coinvolti. E in questo senso il disegno di
legge sembra essere efficace, perché assegna alla CIVIT un ruolo attivo nella regia del sistema di
prevenzione della corruzione (l’autorità ha poteri di vigilanza, riferisce in parlamento, esprime pareri,
collabora con gli organi internazionali, analizza i fattori di rischio associati alla corruzione e all’illegalità,
individua modalità di trattamento del rischio); mentre assegna al Dipartimento della Funzione Pubblica la
responsabilità di definire le risorse (norme, metodologie, modelli standard, criteri e soluzioni gestionali) su
cui si la CIVIT imposta la propria attività.
3. I Piani Anticorruzione nelle Pubbliche Amministrazioni (art. 1, comma 5 e 5 bis e art. 8 ). Il disegno di
legge prevede che tutte le Pubbliche Amministrazioni Centrali definiscano e trasmettano al Dipartimento
della funzione un proprio Piano di Prevenzione della Corruzione. I Piani devo contenere “una valutazione
del diverso livello di esposizione al rischio corruzione degli uffici e gli interventi organizzativi volti a
prevenire il medesimo rischio”, nonché “procedure appropriate per selezionare e formare, in
collaborazione con la Scuola superiore della pubblica amministrazione, i dipendenti chiamati ad operare in
settori particolarmente esposti alla corruzione, prevedendo, negli stessi settori, la rotazione di dirigenti e
funzionari”.
Il successivo articolo 8 del disegno di legge chiarisce che l’obbligo di predisporre e attuare i Piani di
Prevenzione della corruzione (stabilito per Pubbliche Amministrazioni Centrali) è esteso a tutti i soggetti
pubblici che rientrano nell’ambito di applicazione del Testo Unico del Pubblico Impiego (art. 1, comma 2 del
d.lgs. 165/2001). L’estensione dei Piani anticorruzione alle Regioni, agli Enti Locali, agli Enti Pubblici e ai
soggetti di diritto privato sottoposti al loro controllo, dovrà avvenire, entro 120 giorni dall’entrata in vigore
della legge, attraverso intese in sede di Conferenza Unificata.
Si tratta di una platea vastissima, che coinvolge non solo l’amministrazione statale, regionale e locale, ma
anche gli istituti Scolastici, le Università, le Comunità Montane, i Consorzi, gli Istituti Autonomi Case
Popolari, le Camere di Commercio, tutti gli Enti Pubblici non Economici, le ASL gli altri enti del Servizio
Sanitario Nazionale. Questi enti erano stati, in tutto o in parte, esclusi dal campo di applicazione del d.lgs.
231/2001 (che, come noto, non si applica allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non
economici, nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale) e quindi la legge anticorruzione,
così come è stata licenziata dalla Camera, si configura come il Decreto 231 del settore pubblico.
I Piani per la Prevenzione della Corruzione, adottati dalle singole amministrazioni, devono essere formulati
e adottati nel rispetto delle linee guida contenute nel Piano Nazionale approvato dalla CIVIT e i Prefetti
avranno il compito di fornire, su richiesta, supporto tecnico e informativo agli Enti Locali, anche al fine di
assicurare l’aderenza dei Piani agli indirizzi definiti a livello nazionale (art 1, comma 5-bis).
4. Caratteristiche dei Piani per la Prevenzione della Corruzione nella pubblica amministrazione ( art. 1,
commi 5 ter – 5 quinquies) . Le somiglianze con il d.lgs 231/2001 si fanno evidenti quando si passi ad
analizzare i requisiti e le modalità di attuazione dei Piani per la Prevenzione della Corruzione nelle
Pubbliche Amministrazioni. Tali Piani, infatti, assomigliano molto (per il loro contenuto e per le
responsabilità che mettono in campo) ai modelli organizzazione e di gestione del d.lgs. 231/2001.
Studio L.S.A. & Partners – Consulenza legale, fiscale e organizzativa – Piazza 5 Giornate 6 – Milano
4. Andrea Ferrarini – Consulente Modelli organizzativi e di gestione d.lgs 231/2001
Via Ascanio Sforza 81/a, 20141 Milano (Mi) - +39.347.2728727
andreaferrarini@inwind.it - http://it.linkedin.com/in/andreaferrarini
P. IVA 02213510031 - C.F. FRRNDR76A14F205C
L’Organo di indirizzo politico dell’Amministrazione (p. es. nei Comuni la Giunta), entro il 31 gennaio di ogni
anno, deve adottare il proprio Piano Triennale per la Prevenzione della Corruzione. Il Piano deve essere
predisposto da un Dirigente Responsabile della Prevenzione della Corruzione, esplicitamente individuato
tra i dirigenti amministrativi di ruolo di prima fascia in servizio presso l’Ente. Negli enti locali, il responsabile
della prevenzione della corruzione è individuato,di norma, nel segretario, salva diversa e motivata
determinazione. Il Piano adottato deve essere trasmesso al Dipartimento della funzione pubblica. Il
“Dirigente Anticorruzione” deve anche, annualmente, definire procedure appropriate per selezionare e
formare i dipendenti chiamati ad operare in settori particolarmente esposti alla corruzione. Poiché i Piani,
triennali devono essere adottati ogni anno, il disegno di legge sembra implicitamente richiedere alle
amministrazioni di effettuare una revisione annuale del Piano in essere, attività che, se correttamente
attuata, potrebbe effettivamente garantire alle amministrazioni il miglioramento continuo, nel tempo, dei
propri presidi anticorruzione.
La mancata predisposizione del piano e la mancata adozione delle procedure per la selezione e la
formazione dei dipendenti costituiscono elementi di valutazione della responsabilità dirigenziale.
I Piani per la Prevenzione della corruzione (al pari dei Modelli 231) devono rispondere a precisi requisiti,
definiti nell’articolo 1 comma 5-quinquies del disegno di legge. Essi devono
• individuare le attività nell'ambito delle quali è più elevato il rischio corruzione, anche raccogliendo
le proposte dei dirigenti, elaborate nell'esercizio delle funzioni di loro competenza
• prevedere, per le attività individuate a rischio corruzione, meccanismi di formazione, attuazione e
controllo delle decisioni idonei a prevenire il rischio corruzione
• prevedere, con particolare riguardo alle attività a rischio di corruzione, obblighi di informazione nei
confronti del Dirigente Anticorruzione
• monitorare il rispetto dei termini, previsti dalla legge o dai regolamenti, per la conclusione dei
procedimenti;
• monitorare i rapporti tra l'amministrazione e i soggetti che con la stessa stipulano contratti o che
sono interessati a procedimenti di autorizzazione, concessione o erogazione di vantaggi economici
di qualunque genere, (con particolare attenzione alle relazioni di parentela o affinità sussistenti tra i
titolari, i soci e i dipendenti degli stessi soggetti e gli amministratori, i dirigenti e i dipendenti
dell'amministrazione);
• individuare specifici obblighi di trasparenza ulteriori rispetto a quelli previsti da disposizioni di
legge.
L’ultimo requisito dei Piani sottolinea, ancora una volta, la proposta di fondo dell’intervento normativo: la
prevenzione della corruzione passa, necessariamente, attraverso la promozione della trasparenza, intesa
(ai sensi dell’art. 11, comma 1 del d.lgs. 150/09) come accessibilità totale delle informazioni concernenti
Studio L.S.A. & Partners – Consulenza legale, fiscale e organizzativa – Piazza 5 Giornate 6 – Milano
5. Andrea Ferrarini – Consulente Modelli organizzativi e di gestione d.lgs 231/2001
Via Ascanio Sforza 81/a, 20141 Milano (Mi) - +39.347.2728727
andreaferrarini@inwind.it - http://it.linkedin.com/in/andreaferrarini
P. IVA 02213510031 - C.F. FRRNDR76A14F205C
ogni aspetto dell’organizzazione, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di
buon andamento e imparzialità.
Si tratta di una nozione di trasparenza molto forte (che va ben oltre il semplice diritto all’accesso agli atti
amministrativi), che ha un fondamento costituzionale, nella misura in cui costituisce un livello essenziale
delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera
m) , della Costituzione.
Gli articoli 2, 2-bis e 3 e parte dell’ articolo 4 del disegno di legge anticorruzione sono interamente dedicati
alla trasparenza nei vari ambiti dell’attività amministrativa (utilizzo delle risorse pubbliche, tempistiche dei
procedimenti, appalti, concessione di contributi, concorsi, controversie, accesso agli atti, attribuzione degli
incarichi dirigenziali, autorizzazione ad incarichi esterni). Per ragioni di spazio, tali articoli non saranno
trattati nella presente analisi.
5. Codici di comportamento (art. 4, comma 2-bis). Il disegno di legge definisce il nuovo Codice di
Comportamento dei dipendenti pubblici, riscrivendo in toto l’articolo 54 del Testo Unico del Pubblico
Impiego. Il Codice che dovrà essere definito dal Governo entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge
anticorruzione. Il codice di comportamento avrà il fine di assicurare la qualità dei servizi, prevenire
fenomeni di corruzione, promuovere il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e
servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico.
Il codice dovrà contiene una specifica sezione dedicata ai doveri dei dirigenti, articolati in relazione alle
funzioni attribuite e che comunque preveda il divieto per tutti i dipendenti pubblici di chiedere o accettare,
a qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilità, in connessione con l'espletamento delle proprie funzioni o
dei compiti affidati, fatti salvi i regali d'uso, purché di modico valore e nei limiti delle normali relazioni di
cortesia. ll Codice di Comportamento, approvato con decreto del Presidente della Repubblica, dovrà essere
consegnato al dipendente, che lo sottoscriverà all’atto dell’assunzione.
Il nuovo codice di comportamento è adottato dal Governo, e non più, come in precedenza, dal
Dipartimento della Funzione Pubblica. Inoltre, il nuovo codice sarà immediatamente applicabile (in
precedenza, doveva essere recepito nei contratti di lavoro), anche se ciascuna amministrazione sarà
chiamata a definire un proprio codice, che integra quello nazionale, con procedura aperta alla
partecipazione e previo parere obbligatorio del proprio Organismo indipendente di valutazione e
secondo criteri, linee guida e modelli definiti dalla Civit.
6. Obblighi e sanzioni a carico del Dirigente Responsabile della Prevenzione della Corruzione dei
dipendenti (art.1, commi 5 sexies – 5 decies). Il disegno di legge assegna al Dirigente Anticorruzione anche
la responsabilità di verificare l’idoneità e l'efficace attuazione del Piano per la Prevenzione della Corruzione,
proponendo delle modifiche, in caso di gravi violazioni o modifiche nell’organizzazione o nei processi dell’
amministrazione. Inoltre, deve verificare l’effettiva rotazione degli incarichi negli uffici maggiormente
esposti al rischio di corruzione ed individuare il personale a rischio, da coinvolgere in percorsi di formazione
sui temi dell’etica e della legalità che, per le amministrazioni statali, saranno organizzati dalla Scuola
Superiore per la Pubblica Amministrazione.
Studio L.S.A. & Partners – Consulenza legale, fiscale e organizzativa – Piazza 5 Giornate 6 – Milano
6. Andrea Ferrarini – Consulente Modelli organizzativi e di gestione d.lgs 231/2001
Via Ascanio Sforza 81/a, 20141 Milano (Mi) - +39.347.2728727
andreaferrarini@inwind.it - http://it.linkedin.com/in/andreaferrarini
P. IVA 02213510031 - C.F. FRRNDR76A14F205C
In caso di commissione, all'interno dell'amministrazione, di un reato di corruzione accertato con sentenza
passata in giudicato, il Dirigente Anticorruzione risponde ai sensi dell’ art. 21 del Testo Unico del Pubblico
Impiego (responsabilità dirigenziale), nonché, per omesso controllo, sul piano disciplinare, oltre che per il
danno erariale e all’immagine dell’ente. Tuttavia, il dirigente non risponde per il reato commesso, qualora
dimostri:
• di avere predisposto, prima della commissione del fatto, il Piano per la Prevenzione della
Corruzione
• Di aver verificato la rotazione degli incarichi negli uffici esposti al rischio di corruzione
• Di aver individuato il personale da formare sui temi della legalità e dell’etica
• di aver vigilato sull’idoneità, il funzionamento e l'osservanza del Piano.
La sanzione disciplinare a carico del Dirigente Anticorruzione non può essere inferiore alla sospensione dal
servizio con privazione della retribuzione da un minimo di un mese ad un massimo di sei mesi.
Invece, la violazione, da parte dei dipendenti dell'amministrazione, delle misure di prevenzione previste dal
Piano, e dei doveri contenuti nel Codice di comportamento, costituisce illecito disciplinare. La violazione
dei doveri è altresì rilevante ai fini della responsabilità civile, amministrativa e contabile ogni qual volta le
stesse responsabilità siano collegate alla violazione di doveri, obblighi, leggi o regolamenti. Violazioni gravi
o reiterate del codice possono condurre al licenziamento per motivi disciplinari (articolo 55-quater del
Testo Unico del Pubblico Impiego.
7.Monitoraggio dell’applicazione dei Piani contro la corruzione e dei Codici di Comportamento (art. 1,
comma 5 decies e art. 4, comma 2 bis). Entro il 15 dicembre di ogni anno, il Dirigente Anticorruzione dovrà
pubblicare sul sito dell'amministrazione una relazione recante i risultati dell'attività svolta, trasmettendola
anche all'organo di indirizzo politico. Nei casi in cui l'organo di indirizzo politico lo richieda o qualora il
dirigente responsabile lo ritenga opportuno, quest'ultimo riferisce sulla propria attività. Le pubbliche
amministrazioni dovranno anche verificare annualmente lo stato di applicazione dei Codici di
Comportamento, anche organizzando attività di formazione del personale.
8.Tutela dei dipendenti che segnalano illeciti (art.5). Il disegno di legge introduce nel Testo Unico del
Pubblico Impiego l’art. 45 bis, che tratta la tutela del whistleblowing. L’articolo prevede che il pubblico
dipendente che denuncia all'Autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, oppure riferisce al proprio superiore
gerarchico condotte casi di condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di
lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, al di fuori dei casi
di calunnia o diffamazione.
L'identità del segnalante non può essere rivelata, senza il suo consenso, a meno che la sua conoscenza sia
assolutamente indispensabile per la difesa dell'incolpato e la denuncia è sottratta all'accesso previsto dagli
articoli 22 e seguenti della legge 241/1990..
Studio L.S.A. & Partners – Consulenza legale, fiscale e organizzativa – Piazza 5 Giornate 6 – Milano
7. Andrea Ferrarini – Consulente Modelli organizzativi e di gestione d.lgs 231/2001
Via Ascanio Sforza 81/a, 20141 Milano (Mi) - +39.347.2728727
andreaferrarini@inwind.it - http://it.linkedin.com/in/andreaferrarini
P. IVA 02213510031 - C.F. FRRNDR76A14F205C
L’interessato o le organizzazioni sindacali possono segnalare al Dipartimento della Funzione Pubblica
l'adozione di eventuali misure discriminatorie
9.Criticità. In sintesi, mi pare che il disegno di legge delinei un sistema si gestione del rischio di corruzione
ed illegalità abbastanza completo e coerente: sono previste specifiche responsabilità, fra loro distinte (Civit,
Dipartimento della FP, Governo, Dirigenti per la Prevenzione della Corruzione, Organi Politici delle
amministrazioni pubbliche, OIV) che, a livello centrale e locale, sono chiamate a definire, adottare, far
applicare, monitorare e migliorare nel tempo le risorse umane e organizzative (Piano Nazionale Per la
Prevenzione della Corruzione, Codice di Comportamento, Piani Anticorruzione delle singole
amministrazioni, attività di formazione e informazione del personale, norme a tutela del whistleblowing,
flussi informativi) finalizzate alla promozione della trasparenza e alla prevenzione dell’illegalità. Il sistema è
ben costruito … sempre che non sia modificato dal Senato (cui il ddl è stato inviato, per essere approvato in
seconda lettura) e che non resti solo sulla carta!
Tuttavia, mi pare doveroso sottolineare, in chiusura, alcune delle criticità che, mi sembra, indeboliscano
l’efficacia della proposta di legge.
In primo luogo, bisogna rilevare come in più punti del disegno di legge si sottolinei che le attività di
elaborazione di analisi del rischio di corruzione, di definizione dei Piani e di formazione dei dipendenti
dovranno essere attuate da soggetti interni alla Pubblica Amministrazione (cioè senza il ricorso alla
consulenza di professionisti o società private) e senza ulteriori oneri per gli enti pubblici. Quindi, se da un
lato il disegno di legge sembra voler riprodurre nel settore pubblico il modello di responsabilità e di
prevenzione imposto al settore privato dal d.lgs. 231/2001; dall’altro sembra voler escludere il ricorso a
quelle professionalità e a quei saperi inerenti la gestione del rischio di reato che, nell’ultimo decennio,
hanno permesso di diffondere nel settore privato i modelli organizzativi e di gestione previsti dal Modello
231. Certamente, il ricorso ai privati avrebbe un costo, ma non ci si può illudere di poter implementare e
mantenere a costo zero un sistema di gestione del rischio efficace su tutto il territorio nazionale: bisogna
destinare a tale progetto le risorse finanziarie adeguate, anche perché i costi (per quanto ingenti)
sarebbero giustificati dai benefici (in termini di efficienza, trasparenza, immagine, investimenti, migliore
uso del denaro pubblico, ecc…) derivanti dalla prevenzione dell’illegalità nel settore pubblico.
In secondo luogo, mi sembra che il principale punto debole del sistema per la gestione del rischio di reato,
proposto dal disegno di legge, risieda nella concentrazione di responsabilità in un solo soggetto interno alle
amministrazioni: il Dirigente per la Prevenzione della Corruzione. Il dirigente deve definire il Piano per la
Prevenzione della Corruzione, curarne l’applicazione e l’aggiornamento e risponde in caso di commissione
di un reato per responsabilità organizzativa. Si tratta di un monopolio. Un “monopolio” di responsabilità. I
monopoli sono sempre pericolosi, perché rendono meno trasparente l’attività dei soggetti che li
detengono. Il Dirigente anticorruzione paga (e paga per tutti), ma agisce da solo. Il d.lgs. 231/2001, invece,
prevede che il soggetto sanzionato (l’azienda) sia una persona giuridica differente dalle persone fisiche (i
vertici aziendali) che adottano il modello, che, a loro volta (a parte alcune eccezioni) sono distinti
dall’Organismo di Vigilanza, che può essere anche formato da soggetti estranei all’azienda. Il disegno di
legge, infine, non impone che il Dirigente Anticorruzione si autonomo rispetto all’amministrazione e che
Studio L.S.A. & Partners – Consulenza legale, fiscale e organizzativa – Piazza 5 Giornate 6 – Milano
8. Andrea Ferrarini – Consulente Modelli organizzativi e di gestione d.lgs 231/2001
Via Ascanio Sforza 81/a, 20141 Milano (Mi) - +39.347.2728727
andreaferrarini@inwind.it - http://it.linkedin.com/in/andreaferrarini
P. IVA 02213510031 - C.F. FRRNDR76A14F205C
non possa ricoprire funzioni in processi a rischio di reato. Soprattutto, nulla garantisce che il dirigente sia
autonomo rispetto alla componente politica, che si sta rivelando essere la principale fonte di illegalità nelle
amministrazioni pubbliche.
In sintesi, il disegno di legge agisce su quelle fonti di rischio di corruzione che dipendono da fattori etico -
culturali e da scarsa trasparenza e controllo dei procedimenti pubblici; e che possono far emergere
condotte a rischio riconducibili ai dipendenti pubblici. Mentre non tocca (ed ignora pericolosamente) le
fonti di rischio derivanti dalla relazione fra componente politica e componente amministrativa e sulle fonti
di rischio riconducibili all’operato e alle scelte della sola componente politica. Non si capisce la ragione di
questa scelta, o meglio, le ragioni di questa scelta non dipendono dall’impossibilità, in via teorica, di
estendere la gestione del rischio illegalità alla componente politica delle amministrazioni pubbliche. Ciò
sarebbe possibile ed auspicabile e non significherebbe vincolare i Partiti, ma i soggetti che ricoprono
cariche pubbliche di tipo elettivo negli enti pubblici e che non hanno solo il compito di difendere lobby,
programmi e interessi più o meno leciti; ma anche il compito di amministrare e di assicurare che la pubblica
amministrazione funzioni nell’interesse dei cittadini.
Studio L.S.A. & Partners – Consulenza legale, fiscale e organizzativa – Piazza 5 Giornate 6 – Milano