2. Definizione di Handicap
Il termine handicap deriva dall’inglese e significa "la
mano sul cappello": esso veniva utilizzato, nei giochi
dei bambini, per indicare una penalizzazione o uno
svantaggio da infliggere a un giocatore che aveva
commesso un infrazione o che era troppo superiore
agli altri giocatori. Il giocatore che aveva subito la
penalità doveva continuare la partita partendo,
rispetto agli altri giocatori, da una posizione di
svantaggio per esempio gareggiando con le mani
legate dietro la schiena o concedendo un vantaggio
agli altri giocatori.
Reggio Cal., 25.8.2015
3. Reggio Cal., 25.8.2015
HANDICAP
Si manifesta a seguito dell’interazione con l’ambiente
E’ uno svantaggio che limita o impedisce il
raggiungimento di una condizione sociale normale (in
relazione all’età, al sesso ed ai fattori sociali e culturali)
DISABILITA’
Si manifesta a livello di persona
Ogni limitazione della persona nello svolgimento di
un’attività secondo i parametri considerati normali per
ogni essere umano
MENOMAZIONE
Riguarda un organo o un apparato funzionale
Ogni perdita o anomalia strutturale o funzionale, fisica o
psichica
I Fenomeni di compromissione descritti nell’ICIDH secondo l’OMS (1980)
4. L’handicap secondo la
Classificazione dell’OMS del 1980,
è un effetto, non una causa come
viene per lo più considerata nel
linguaggio comune. È l’effetto
indiretto e mediato di una
menomazione che produce una
disabilità.
Reggio Cal., 25.8.2015
5. Tale classificazione negli anni ha mostrato una serie di limitazioni:
- Non considera che la disabilità è un concetto dinamico, in quanto può
anche essere solo temporanea.
- È difficile stabilire un livello oltre il quale una persona può
considerarsi disabile.
- La sequenza può essere interrotta, nel senso che una persona può
essere menomata senza essere disabile.
- Nell'ICIDH si considerano solo i fattori patologici, mentre un ruolo
determinante nella limitazione o facilitazione dell'autonomia del
soggetto è giocato da quelli ambientali.
Reggio Cal., 25.8.2015
6. Negli anni 90, l'OMS ha commissionato a un
gruppo di esperti di riformulare la classificazione
tenendo conto di questi concetti. La nuova
classificazione, detta ICF (International
Classification of Functioning) o Classificazione
dello stato di salute, definisce lo stato di salute
delle persone piuttosto che le limitazioni,
dichiarando che l'individuo "sano" si identifica
come "individuo in stato di benessere
psicofisico" ribaltando, di fatto la concezione di
stato di salute. Introduce inoltre una
classificazione dei fattori ambientali e sociali.
Reggio Cal., 25.8.2015
7. Reggio Cal., 25.8.2015
Funzioni corporee
1.Funzioni mentali
2.Funzioni sensoriali e dolore
3.Funzioni della voce e dell'eloquio
4.Funzioni dei sistemi cardiovascolare, ematologico,
immunologico, respiratorio
5.Funzioni dell'apparato digerente e dei sistemi
metabolico ed endocrino
6.Funzioni riproduttive e genitourinarie
7.Funzioni neuro - muscolo - scheletriche correlate al
movimento
8.Funzioni cutanee e delle strutture correlate
Strutture corporee
1.Sistema nervoso
2.Visione e udito
3.Comunicazione verbale
4.Sistemi cardiovascolare e immunologico, apparato
respiratorio
5.Apparato digerente e sistemi metabolico ed
endocrino
6.Sistemi genitourinario e riproduttivo
7.Movimento
8.Cute e strutture correlate
Fattori ambientali
1.Prodotti e tecnologia
2.Ambiente naturale e cambiamenti effettuati
dall'uomo
3.Relazione e sostegno sociale
4.Atteggiamenti
5.Sistemi, servizi e politici
Attività e partecipazione
1.Apprendimento ed applicazione delle conoscenze
2.Compiti e richieste generali
3.Comunicazione
4.Mobilità
5.Cura della propria persona
6.Vita domestica
7.Interazione e relazioni personali
8.Aree di vita principali
9.Vita sociale, civile e di comunità
IL SISTEMA ICF
9. Il fatto che esista l’handicap sta nel fatto che le città, i
paesi, le strade, gli edifici e le attività che vi si possono
svolgere sono pensati e realizzati da gente che
cammina normalmente e per gente che cammina
normalmente. Se fossero progettati da motulesi e
realizzati per motulesi sarebbero molto diversi: e i
motulesi non sarebbero handicappati perché le
condizioni non sarebbero tali da svantaggiare nessuno.
O se il mondo fosse al buio, un non vedente non
avrebbe alcuna difficoltà sociale. Nella realtà è ciò che
avviene quando si incontrano in una partita di
pallacanestro due squadre di giocatori in carrozzella.
Reggio Cal., 25.8.2015
10. La sofferenza dei disabili deriva
fondamentalmente dal confronto
con la realtà e con le persone
normalmente “abili”.
Reggio Cal., 25.8.2015
11. Questa sofferenza, che si manifesta essenzialmente
attraverso il senso di inferiorità e inadeguatezza, è resa
ancora più profonda dal mito trainante della nostra
cultura ovvero quello dell’uomo forte ed efficiente,
dinamico, integro e "perfetto".
Così come le persone tendono a considerare più
intelligente e appetibile una persona integra ed
efficiente, l’invalido tenderà a considerarsi e a
percepirsi come più impacciato, goffo e meno
appetibile, interessante e richiesto da un punto di vista
sociale e delle relazioni interpersonali e sentimentali.
Reggio Cal., 25.8.2015
12. Effetto alone
Molte ricerche hanno dimostrato come la bellezza fisica nelle donne
stimolasse negli uomini l’idea che esse fossero anche intelligenti, simpatiche
e intraprendenti. In pratica una caratteristica della persona porta con sé, a
volte in modo inconsapevole, altri giudizi sulle sue qualità e capacità.
L’effetto alone, tuttavia, non è portatore solo di giudizi positivi ma a volte è
foriero di pregiudizi negativi verso coloro che non rappresentano a pieno i
valori e le caratteristiche della nostra cultura e che, per qualche ragione, sono
considerati o appaiono diversi.
Non solo gli invalidi sono vittime dell’effetto alone negativo: per esempio gli
obesi sono spesso considerati, a torto, più stupidi delle persone magre e
questo perché essi non aderiscono, a causa del loro aspetto, al mito della
magrezza .
Molto spesso questi pregiudizi negativi sono condivisi anche dal gruppo di
persone che né è vittima e provoca, in esse, sentimenti di inferiorità e
inadeguatezza.
Reggio Cal., 25.8.2015
13. In sintesi, la società può ostacolare il
processo di emancipazione dell’individuo
disabile in due modi: in primo luogo
trasformando la sua disabilità in uno
svantaggio permanente vale a dire in un
handicap. In secondo luogo costruendo
miti di perfezione ed efficienza che
gravano molti individui, non solo disabili, di
un pesante senso di inferiorità e di
esclusione.
Reggio Cal., 25.8.2015
14. "Siamo abituati al fatto che l’uomo
legge con gli occhi e parla con la bocca.
Solo un grandioso esperimento
culturale che dimostra che si può
leggere con le dita e parlare con la
mano ci rivela tutta la convenzionalità
e la mobilità delle forme culturali del
comportamento". Vygotskij (1986)
Reggio Cal., 25.8.2015
17. Reggio Cal., 25.8.2015
DISABILITA’ – LE VARIABILI DI INSORGENZA
Insorgenza precoce dell’infermità
• In epoca prenatale
• In epoca perinatale
• In età infantile
Insorgenza tardiva dell’infermità
• In età giovanile
• In età adulta
18. CAUSE DI DISABILITA’
Reggio Cal., 25.8.2015
fattori del periodo prenatale
fattori genetici (ereditari, genetici cromosomici, sindromi particolari)
fattori esogeni (infezioni materne, malnutrizione materna, radiazioni,
prematurità, ingestione di farmaci non appropriati, ecc.)
fattori del periodo perinatale (asfissia, traumi da parto, ecc.)
fattori del periodo postnatale (infezioni del sistema nervoso, encefalopatia,
traumi da incidenti sia fisici che psichici, disturbi del metabolismo, ecc.)
19. Reggio Cal., 25.8.2015
Disabilità
intellettiva
Deriva da danni anatomici e funzionali di
strutture del SNC preposte
all’organizzazione e controllo delle funzioni
intellettive necessarie per affrontare
prestazioni complesse
20. Reggio Cal., 25.8.2015
Il Ritardo Mentale (RM) viene definito dal manuale ICD-10 come “…
una condizione di interrotto o incompleto sviluppo psichico,
caratterizzata soprattutto da compromissione delle abilità che si
manifestano durante il periodo evolutivo e che contribuiscono al
livello globale di intelligenza, cioè quelle cognitive linguistiche,
motorie e sociali.” A tale condizione si associa sempre una
compromissione delle capacità di adattamento sociale.
Il DSM-IV definisce il RM come la via finale comune di diversi
processi patologici, che agiscono sul sistema nervoso centrale, ed è
caratterizzato da un funzionamento intellettivo significativamente
sotto la media, da concomitanti deficit o compromissioni del
funzionamento adattivo, entrambi insorti prima dei 18 anni.
21. Reggio Cal., 25.8.2015
I criteri diagnostici del ritardo mentale
Le principali classificazioni utilizzate nell’attività educativa, clinica e di ricerca, riportano
criteri riferibili, a tre aspetti:
a) funzionamento intellettivo significativamente al di sotto della media, QI inferiore a
70, rilevato attraverso strumenti validi e standardizzati
b) concomitanti limitazioni nell'adattamento riscontrato in due o più delle seguenti
aree:
1. comunicazione
2. cura di sé
3. abilità domestiche
4. abilità sociali
5. uso delle risorse della comunità
6. autodeterminazione
7. salute e sicurezza
8. capacità di funzionamento scolastico
9. tempo libero
10. lavoro
c) esordio prima dei 18 anni.
22. Reggio Cal., 25.8.2015
La prevalenza del ritardo mentale
I tassi di prevalenza del RM citati in letteratura variano in base ai
diversi criteri di inclusione utilizzati: Rantakallio e Von Wendt, in uno
studio del 1986, riportano una percentuale dell'1,2% mentre Zigler e
Hodapp nello stesso anno rilevano una percentuale del 2,5%.
Nel 1992 l'Organizzazione Mondiale della Sanità citava dati oscillanti
tra lo 0,5 e il 2,5% per i paesi industrializzati e del 4,6% per i paesi in
via di sviluppo (OMS, 1992). Nel 1997 Roeleveld e al. in una review
sulla prevalenza del RM nei bambini in età scolare riportano una stima
del 3% (Roeleveld, 1997).
I dati Istat riferiti agli alunni italiani in condizione di handicap, quindi
non solo al RM, nelle scuole statali nell'anno scolastico 1999-2000
indicano una percentuale di circa 2%.
I dati del DSM-IV, cosi come quelli di Baroff del 1996 concordano su
una stima del RM dell’1% nella popolazione generale, che risulta la
più accreditata.
23. Reggio Cal., 25.8.2015
Eziologia del ritardo mentale
30% alterazioni precoci dello sviluppo
dell’embrione.
10 problemi durante la gravidanza e nel periodo
perinatale.
5% cause ereditarie.
5% condizioni mediche generali acquisite
durante l’infanzia o la fanciullezza.
15-20% influenze ambientali e altri disturbi
mentali.
30-40% fattori sconosciuti.
24. Reggio Cal., 25.8.2015
Eziologia del ritardo mentale
Insorgenza prenatale (turbe del metabolismo
proteico e lipidico, malformazioni cerebrali,
anomalie cromosomiche, tireopatie, infezioni
congenite da toxo, cito, lue, rosolia…).
Insorgenza perinatale e post-natale (lesioni da
parto, traumi, incidenti cerebrovascolari,
encefalopatie da malattie infettive).
25. Reggio Cal., 25.8.2015
Classificazione DSM-IV
lieve (85% dei casi), QI da 50-55 a 70
moderato (10%), QI da 35-40 a 50-55
grave (3-4%), QI da 20-25 a 35-40
gravissimo (1-2%), QI inferiore 20-25
NAS (Non altrimenti specificato)
26. Reggio Cal., 25.8.2015
Così come accade per altri disturbi i nuovi criteri diagnostici del DSM-5 sono in parte
modificati: vengono meglio specificate le aree del funzionamento mentale che possono
essere deficitarie (problem solving, pensiero astratto, apprendimento scolastico e
dall'esperienza, ragionamento e pianificazione); è stato eliminato il riferimento a specifici
punteggi di Qi come criterio di differenziazione, chiedendo invece di valutare la posizione
del soggetto rispetto ai punteggi collocati due o più deviazioni standard sotto la norma in
relazione alla popolazione dell'età e gruppo culturale del soggetto, sottolineando la
necessità di fare queste valutazioni con strumenti standardizzati, psicometricamente validi,
ma anche culturalmente appropriati (M.G. Strepparava, E. Iacchia 2012).
Una delle critiche maggiori mossa ai classici metodi di misurazione dell'intelligenza è il loro
stretto legame con il livello di acculturazione del soggetto che ne è solo un aspetto. Ancora
oggi gli strumenti che misurano il Qi fanno riferimento prevalentemente agli apprendimenti
scolastici e non valutano sufficientemente le abilità e gli apprendimenti pratici, sociali e
personali del soggetto; viene maggiormente sottolineato il ruolo del funzionamento adattivo
(o disadattivo) della persona come fattore essenziale della diagnosi, sottolineandone sempre
il rapporto con il gruppo e la cultura di appartenenza e la presenza di restrizioni significative
alla partecipazione del soggetto alla vita quotidiana. Le aree usate per stabilire il grado di
adattamento sono le dimensioni che maggiormente contribuiscono al migliore o peggiore
funzionamento dell'individuo: partecipazione sociale, comunicazione con gli altri,
funzionamento a scuola o al lavoro, indipendenza personale a casa o in comunità. Viene
valutata anche la necessità di un sostegno per vivere una vita indipendente (M.G.
Strepparava, E. Iacchia 2012).
27. Reggio Cal., 25.8.2015
Disabilità intellettiva (Ritardo mentale)
Schizofrenia
Disturbi di personalità
Disturbi del comportamento
Autismo
Disturbo di Rett
ADHD
Demenza
Altro
28. SCHIZOFRENIA
I criteri diagnostici per la Schizofrenia secondo il DSM-IV-TR* sono i seguenti:
Sintomi caratteristici: due (o più) dei sintomi seguenti, ciascuno presente per un periodo di tempo significativo
durante un periodo di un mese (o meno se trattati con successo):
deliri
allucinazioni
eloquio disorganizzato (per es., frequenti deragliamenti o incoerenza)
comportamento grossolanamente disorganizzato o catatonico
sintomi negativi, cioè appiattimento dell’affettività, alogia, abulia.
Nota: è richiesto un solo sintomo del Criterio A se i deliri sono bizzarri, o se le allucinazioni consistono di una
voce che continua a commentare il comportamento o i pensieri del soggetto, o di due o più voci che
conversano tra loro.
Disfunzione sociale/lavorativa: per un periodo significativo di tempo dall’esordio del disturbo, una o più delle
principali aree di funzionamento come il lavoro, le relazioni interpersonali, o la cura di sé si trovano
notevolmente al di sotto del livello raggiunto prima della malattia (oppure, quando l’esordio è nell’infanzia o
nell’adolescenza, si manifesta un’incapacità di raggiungere il livello di funzionamento interpersonale, scolastico
o lavorativo prevedibile).
Durata: segni continuativi del disturbo persistono per almeno 6 mesi. Questo periodo di 6 mesi deve includere
almeno 1 mese di sintomi (o meno se trattati con successo) che soddisfino il Criterio A (cioè, sintomi della fase
attiva), e può includere periodi di sintomi prodromici o residui. Durante questi periodi prodromici o residui, i
segni del disturbo possono essere manifestati soltanto da sintomi negativi o da due o più sintomi elencati nel
Criterio A presenti in forma attenuata (per es., convinzioni strane, esperienze percettive inusuali).
*American Psychiatric Association (2000). DSM-IV-TR Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders ,
Fourth Edition, Text Revision.Edizione Italiana: Masson, Milano.
Reggio Cal., 25.8.2015
29. DISTURBO DI RETT
I criteri diagnostici per il Disturbo di Rett secondo il DSM-IV-TR* sono i seguenti:
Tutti i seguenti:
sviluppo prenatale e perinatale apparentemente normale
sviluppo psicomotorio apparentemente normale nei primi 5 mesi dopo la nascita
circonferenza del cranio normale al momento della nascita
Esordio di tutti i seguenti dopo il periodo di sviluppo normale:
rallentamento della crescita del cranio tra i 5 e i 48 mesi
perdita di capacità manuali finalistiche acquisite in precedenza tra i 5 e i 30 mesi con successivo sviluppo di
movimenti stereotipati delle mani (per es., torcersi o lavarsi le mani)
perdita precoce dell'interesse sociale lungo il decorso (sebbene l'interazione sociale si sviluppi spesso in
seguito)
insorgenza di andatura o movimenti del tronco scarsamente coordinati
sviluppo della ricezione e dell'espressione del linguaggio gravemente compromesso con grave ritardo
psicomotorio.
*American Psychiatric Association (2000). DSM-IV-TR Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders ,
Fourth Edition, Text Revision.Edizione Italiana: Masson, Milano.
Reggio Cal., 25.8.2015
30. DISTURBO AUTISTICO
’I criteri diagnostici per Disturbo di Autistico secondo il DSM-IV-TR* sono i seguenti:
Un totale di 6 (o più) voci da 1., 2. e 3., con almeno 2 voci da 1., e una da 2. e da 3.:
compromissione qualitativa dell’interazione sociale, manifestata con almeno 2 dei seguenti:
marcata compromissione nell’uso di svariati comportamenti non verbali, come lo sguardo diretto, l’espressione mimica, le posture
corporee, e i gesti che regolano l’interazione sociale
incapacità di sviluppare relazioni coi coetanei adeguate al livello di sviluppo
mancanza di ricerca spontanea della condivisione di gioie, interessi o obiettivi con altre persone (per es., non mostrare, portare o
richiamare l’attenzione di altre persone su oggetti di proprio interesse)
mancanza di reciprocità sociale o emotiva.
compromissione qualitativa della comunicazione come manifestato da almeno 1 dei seguenti:
ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato (non accompagnato da un tentativo di compenso attraverso
modalità alternative di comunicazione come gesti o mimica)
in soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri
uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico
mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi di imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo;
modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati, come manifestato da almeno 1 dei seguenti:
dedizione assorbente ad uno o più tipi di interessi ristretti e stereotipati anomali o per intensità o per focalizzazione
sottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali specifici
manierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere le mani o il capo, o complessi movimenti di tutto il corpo)
persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti;
Ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree, con esordio prima dei 3 anni di età: (1) interazione sociale,
(2) linguaggio usato nella comunicazione sociale, o (3) gioco simbolico o di immaginazione.
L’anomalia non è meglio attribuibile al Disturbo di Rett o alDisturbo Disintegrativo dell’Infanzia .
*American Psychiatric Association (2000). DSM-IV-TR Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders , Fourth Edition, Text
Revision.
Reggio Cal., 25.8.2015
31. La prevalenza delle malattie
mentali in corso di disabilità
intellettiva a seconda degli studi
varia fra il 10% ed il 39%.
Reggio Cal., 25.8.2015
32. La frequenza della schizofrenia negli adulti
con disabilità intellettiva di grado
compreso fra lieve e moderato sembra
essere maggiore rispetto a quella della
popolazione media (Tuner, 1989 - Copper
1997- Deb, 2001)
Reggio Cal., 25.8.2015
33. In generale, se fra i disturbi psichiatrici si
includono quelli del comportamento,
l’incidenza delle malattie psichiatriche
diventa significativamente più alta negli
adulti con disabilità intellettiva rispetto alla
popolazione nomale (Meltzer ed aa., 1985
– Deb ed aa., 2001)
Reggio Cal., 25.8.2015
34. Vi sono controversie sul fatto che le malattie
mentali siano prevalenti in presenza di una
disabilità intellettiva grave rispetto alle forme di
grado lieve. Alcuni studi (Gostason e Lund,1985)
indicano una maggiore frequenza nelle forme
gravi, mentre altri (Inverson e Fox, 1989 ed
Eyman, 1990) hanno riscontrato una maggiore
frequenza nelle disabilità di minore gravità.
Corbett (1979) non ha rilevato differenze.
Reggio Cal., 25.8.2015
35. Reggio Cal., 25.8.2015
Disabilità
motoria
E’ correlata ad una incapacità nell’esecuzione
di corretti movimenti autonomi e dalla
mancata coordinazione motoria; è la
conseguenza di patologie riguardanti il SNC, il
SNP ed il sistema muscolare (miopatie).
36. Etiologia dei deficit motori centrali
Età pediatrica
Malformazioni congenite
Lesioni cerebrale perinatali (infezioni uterine, traumi da parto,
encefalopatie anossiche o metaboliche)
Età adulta
Patologie infettive (encefaliti, encefalomieliti)
Traumi
Incidenti cerebrovascolari
Reggio Cal., 25.8.2015
37. Etiologia dei deficit motori periferici
Patologie delle corna anteriori del midollo spinale (poliomielite, atrofia
muscolare spinale)
Mono e polineuropatie
Malattie infiammatorie dei muscoli
Miopatie endocrine
Paralisi periodiche
Distrofia muscolare progressiva
Miastenia grave
Reggio Cal., 25.8.2015
38. I soggetti portatori di handicap motori
presentano un’alta incidenza di
disordini di tipo psichico che possono
essere tanto uno degli esiti della
malattia che ha provocato l’anomalia
della funzione motoria, quanto una
conseguenza sulla psiche del soggetto
della presenza della disabilità.
Reggio Cal., 25.8.2015
40. DISTURBO DELL’ADATTAMENTO
I criteri diagnostici per il Disturbo dell’Adattamento secondo il DSM-IV-TR* sono i seguenti:
Lo sviluppo di sintomi emotivi o comportamentali in risposta ad uno o più fattori stressanti identificabili che si
manifesta entro 3 mesi dell’insorgenza del fattore, o dei fattori stressanti.
Questi sintomi o comportamenti sono clinicamente significativi come evidenziato da uno dei seguenti:
marcato disagio che va al di là di quanto prevedibile in base all’esposizione al fattore stressante
compromissione significativa del funzionamento sociale o lavorativo (scolastico).
L’anomalia correlata allo stress non soddisfa i criteri per un altro disturbo specifico e non rappresenta solo un
aggravamento di un preesistente disturbo.
I sintomi non corrispondono a un Lutto.
Una volta che il fattore stressante (o le sue conseguenze) sono superati, i sintomi non persistono per più di altri
6 mesi.
I Disturbi dell’Adattamento si distinguono in:
Con Umore Depresso
Con Ansia
Con Ansia e Umore Depresso Misti
Con Alterazione della Condotta
Con Alterazione Mista dell’Emotività e della Condotta
*American Psychiatric Association (2000). DSM-IV-TR Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders ,
Fourth Edition, Text Revision.Edizione Italiana: Masson, Milano.
Reggio Cal., 25.8.2015
41. In alcune forme di paralisi cerebrali infantili
possono essere presenti gravi ritardi
mentali ed anomalie del comportamento a
carattere reattivo.
Nelle patologie neuromuscolari, in cui
l’intelligenza è conservata, i disturbi
psichici sono spesso correlati alla quasi
completa dipendenza dagli altri sono
invece solamente a carattere reattivo.
Reggio Cal., 25.8.2015
42. Le problematiche reattive sono
maggiormente presenti
nell’adolescenza e si
accompagnano ad un alto numero
di gesti autolesivi.
Reggio Cal., 25.8.2015
45. Reggio Cal., 25.8.2015
Eziologia del deficit visivo
Anomalie della struttura dell’occhio
Fibroplasia retrolentale
Infezioni congenite da toxo o rosolia
Neoplasia
Patologie degenerative
Anomalie dei tessuti nervosi di conduzione
Neoplasie
Traumi
Patologie degenerative
Anomalie della corteccia cerebrale
Neoplasie
Incidenti cerebrovascolari
Traumi
Patologie degenerative
Anomalie delle funzioni integrative fra corteccia occipitale e centri psichici
46. Nel non vedente le aree visive sono più attive
che nel vedente. Nei non vedenti la corteccia
visiva viene "reclutata" dagli altri sensi. I neuroni
di questa parte del cervello imparano a
rispondere ad altri segnali, uditivi, tattili,
olfattivi. Lo si è scoperto con la risonanza
magnetica funzionale (Mri) o la tomografia a
emissione di positroni (Pet) che rilevano
l’attivazione della corteccia occipitale mentre la
persona cieca assolve un compito tattile (come
la lettura Braille o il riconoscimento tattile di
oggetti, etc) o uditivo (discriminare l' altezza dei
suoni, etc). Reggio Cal., 25.8.2015
47. Altri studi che dimostrano come la corteccia occipitale
nei non vedenti si attivi anche durante compiti
puramente linguistici o di memoria verbale, quindi per
funzioni cognitive di alto livello, non solo quindi
durante compiti percettivi più o meno impegnativi.
Questa plasticità, detta cross-modale, si realizza
maggiormente in individui nati senza la vista o che
l’hanno persa prestissimo. In individui divenuti ciechi
più avanti nella vita si riscontra in misura minore.
Reggio Cal., 25.8.2015
48. Si osserva anche una plasticità intra-modale. Riguarda
regioni della corteccia che già elaboravano quel segnale
sensoriale, e che dopo la perdita lo fanno in maniera
"amplificata" . La zona di corteccia dedicata alla
sensibilità delle dita può espandersi nei non vedenti,
che usano di più l' esplorazione tattile e in cui sono più
abili. Questi fenomeni di plasticità corticale hanno un
riscontro funzionale: i ciechi generalmente mostrano
maggiori capacità di discriminazione tattile, uditiva e
olfattiva.
Reggio Cal., 25.8.2015
49. Reggio Cal., 25.8.2015
Disabilità sensoriale visiva
Autismo
Ritardo dello sviluppo psicomotorio
Disturbi di personalità
Disturbi dell’adattamento
Schizofrenia
Altro
52. Il modello Pasz (Protezione contro la schizofrenia) continuo raffigura il
rischio relativo di schizofrenia come funzione della variabile relativa alle
capacità visive.
Considerando che sia la visione "assente" (cecità congenita) e la visione
"perfetta" (visione "supernormale") può essere associato ad un ridotto
rischio per la schizofrenia, il modello suggerisce che il rischio di sviluppare
la schizofrenia aumenta da entrambe le estremità del continuum delle
capacità visive verso un "rischio picco" (Landgraf et al, 2012;.. Silverstein
et al, 2013).
La posizione di questo rischio di picco deve ancora essere determinata
sperimentalmente. Tuttavia, il picco ha importanti implicazioni per la
comprensione dell'eziologia, lo sviluppo, e la terapia del disturbo: le
persone affette da disabilità visiva (che si trova alla sinistra del picco), che
non ha mai sviluppato una visione "normale", può ridurre il rischio per
sviluppare la schizofrenia attraverso una diminuzione della capacità visiva.
Gli individui affetti da deterioramento visivo (che si trova alla destra del
picco), che in precedenza aveva "normali" abilità visive, possono ridurre il
loro rischio di sviluppare la schizofrenia attraverso un miglioramento della
capacità visiva.
Reggio Cal., 25.8.2015
54. Uno studio condotto su 291.169 pazienti in Scozia e nel Regno
Unito, ha dimostrato che i pazienti di età uguale o superiore a 65
anni con disabilità visiva hanno una vasta gamma di comorbidità
sia riguardo la salute fisica che quella mentale rispetto a soggetti
senza deficit visivo, e hanno maggiori probabilità di avere più
comorbidità. Questo ha importanti implicazioni per la pratica
clinica e per la futura progettazione di servizi integrati per
soddisfare le complesse esigenze dei pazienti con deficit visivo,
per esempio, l'integrazione di attività psichiatriche e di screening
dell'udito in servizi oculistici.
Reggio Cal., 25.8.2015
56. Reggio Cal., 25.8.2015
Alcuni aspetti psicologici nei
bambini e negli adulti subvedenti
(tratto da E. Negri, Aspetti psicologici della minorazione visiva)
57. Nel bambino con minorazione visiva lo sviluppo psicologico segue un
percorso differente da quello del bambino vedente: la mancanza di uno dei
canali sensoriali, attraverso i quali si realizzano le esperienze più significative
nei primi anni di vita, determinano un ritardo nelle principali fasi evolutive.
Generalmente il bambino non vedente arriva più tardi alla consapevolezza di
una propria individualità anche perché necessariamente, a causa
dell’handicap, la madre deve svolgere con il bambino più a lungo un ruolo di
aiuto, sostegno e mediazione con l’ambiente circostante, sostituendosi al
figlio nello svolgere quelle azioni che il bambino vedente riesce precocemente
a raggiungere. Per esempio come ha evidenziato S. Freiberg (1977), la crisi
dell’estraneo determinata dalla capacità di discriminare le figure familiari
dalle altre, che normalmente viene raggiunta verso i 7-9 mesi, nel caso del
bambino non vedente si verifica intorno ai 16-18 mesi. In questa fase, al
momento della separazione dai genitori si manifestano paura e angoscia,
reazioni che nel bambino non vedente hanno intensità maggiore che nel
vedente. Pertanto anche brevi allontanamenti possono essere vissuti dal
bambino in modo gravemente traumatico.
Reggio Cal., 25.8.2015
58. Separazioni precoci tra il bambino ed i suoi familiari,
anche se apparentemente il bambino non reagisce in
quanto non è ancora in grado di discriminare tra i
genitori e gli altri adulti, costituiscono un ulteriore
ostacolo nell’evoluzione del rapporto oggettuale nel
processo di individuazione di sé, con gravi
conseguenze per la salute mentale del bambino
stesso. Il bambino in questi casi rimane in uno stato di
confusione senza una chiara idea di sé stesso e degli
altri. Le frequenti forme di psicosi rilevate nei bambini
non vedenti sono dovute il più delle volte a questa
distorsione nello sviluppo della relazione con i genitori.
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59. Anche lo sviluppo delle funzioni motorie è
spesso molto ritardato non per una mancanza
di potenzialità funzionali ma in quanto il
bambino non vedente è inibito nelle sue
tendenze esplorative per la minore inclinazione
verso la padronanza dell’ambiente,
generalmente stimolato dal canale visivo e verso
l’autonomia. Ad esempio, la deambulazione
autonoma, come ha rilevato S. Fraiberg (1977)
tra i primi, avviene con un ritardo di circa 6-8
mesi rispetto al bambino vedente.
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60. Anche nell’acquisizione del linguaggio si rileva
un ritardo significativo in presenza di una
minorazione visiva. Nello sviluppo di questa
funzione, infatti, ricopre un ruolo fondamentale
la mediazione dell’adulto che attraverso la
gestualità indica al bambino le associazioni tra
fonemi e oggetti. In presenza di una
minorazione o, peggio, di una cecità completa,
questa associazione può essere mediata solo ed
esclusivamente attraverso l’esplorazione tattile
degli stimoli perdendo l’immediatezza e la
globalità della percezione visiva.
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61. IL TRAUMA DEI GENITORI
Per tutti i genitori di bambini con gravi handicap, al
momento della scoperta della minorazione del figlio, si
verifica una situazione fortemente traumatica. Il
trauma deriva dalla discrepanza tra il bambino "ideale",
che hanno costruito come oggetto d’amore durante
l’attesa, e il bambino minorato, che la realtà presenta
loro. Quest’ultimo costituisce una ferita narcisistica
che mette in discussione il loro valore di procreatori e a
volte, a un livello più profondo, la validità globale del
loro rapporto di coppia. Inoltre, quasi sempre,
sviluppano un accentuato sentimento di colpa nei
confronti del figlio.
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62. Atteggiamento iniziale dei genitori:
Negazione e Ricerca spasmodica di una soluzione
Questi atteggiamenti dei genitori spesso finiscono per provocare nei figli
sentimenti e vissuti di esclusione e rifiuto da parte della famiglia. Il bambino
si sente una specie di oggetto di studio, interessante quasi esclusivamente da
un punto di vista medico e scientifico; i genitori arrivano a lodarlo e
incoraggiarlo solo quando è cooperativo e fa dei progressi, che spesso sono
solo la proiezione dei loro desideri. Il bambino, continuamente in movimento
tra cliniche, specialisti, medici e guaritori si sente trattato come un portatore
di problemi da risolvere e, nel contempo, vede negata la sua vita affettiva ed
emotiva. Puntando l’attenzione esclusivamente sulla sua minorazione egli
non può che sentirsi inadeguato e poco interessante avvertendo, nel
profondo, la sensazione di aver deluso le aspettative dei genitori e della
famiglia. Anche in età adulta le persone con minorazione spesso si trascinano
dietro vissuti di inadeguatezza, di sfiducia e disistima.
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63. In altri casi i genitori possono
sviluppare una particolare relazione
con il bambino caratterizzata da
iperprotezione e tendenza a limitarlo
nel conseguimento dell’autonomia;
questi genitori tendono a mantenere il
bambino in uno stato di immaturità
trattandolo in modo inadeguato alle
sue esigenze di crescita e facendogli
richieste inferiori alle sue potenzialità.
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64. Infine, dopo la fase di negazione del problema, molte
coppie genitoriali, ma soprattutto la madre, incapaci di
accettare e rielaborare l’handicap del figlio sviluppano
atteggiamenti e vissuti depressivi. Questa situazione
emotiva dei genitori può essere molto rischiosa per il
bambino: la madre poco attiva e stimolante a causa
della depressione, di fronte ad un bambino che per la
sua minorazione si presenta generalmente poco
espressivo ed in particolare incapace di suscitare le
prime comunicazioni ed i primi scambi spontanei che
avvengono nei primi mesi prevalentemente con lo
sguardo, diviene ancora più inefficiente.
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65. I soggetti adulti che hanno fruito della vista solo
per pochi anni durante l’infanzia ed hanno ormai
raggiunto l’età adulta, generalmente
rimpiangono il periodo di vita in cui vedevano e
tutti i vantaggi che ciò loro comportava, tuttavia
si tratta di un sentimento non più intenso,
stemperato dagli anni e che diminuisce con il
progressivo affievolirsi della memoria visiva
(Berger, Olley, Oswald, 1962) e, nella maggior
parte dei casi, non incide negativamente sulla
personalità del soggetto e sul suo adattamento
sociale.
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66. Molto diversa la reazione alla cecità di chi ha fruito per
molto tempo della vista. In queste persone
soprattutto se adulte, la reazione emozionale è
intensa e intensamente dolorosa. Essa è anche legata
al tipo di atteggiamento che la persona aveva nei
confronti della cecità quando era vedente. Così se i
sentimenti erano di pietà o di disprezzo, questi
medesimi sentimenti verranno ora rivolti verso il
soggetto stesso, favorendo un atteggiamento
depressivo di autosvalutazione. Se i sentimenti erano
invece positivi, di stima e comprensione, sarà favorito il
superamento della fase depressiva e l’accettazione
della propria condizione.
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67. La reazione immediata è molto
simile sia a livello del vissuto
soggettivo che del comportamento
a quella del lutto.
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68. Un altro fattore di rischio per la salute mentale,
frequentemente associato a molte patologie
visive a lenta ma progressiva degenerazione, è la
cosiddetta sindrome della spada di Damocle. La
persona vive in un continuo stato d’ansia e di
preoccupazione per la propria salute ma
l’angoscia maggiore è dovuta all’idea che, prima
o poi, il residuo visivo si affievolirà fino a
rendere la persona completamente cieca.
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69. Un’altra condizione molto invalidante per il
soggetto minorato della visione è un
atteggiamento eccessivamente ansioso,
iper-protettivo e soffocante dell’ambiente
sociale. Questo atteggiamento può, in
alcuni casi, provocare un ritardo nello
sviluppo delle capacità cognitive,
nell’acquisizione dell’autonomia personale
e forte senso di dipendenza dalle figure
genitoriali e di accudimento.
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70. A volte il rifiuto della propria condizione di
minorazione può portare a sviluppare
sentimenti di disistima e di scarsa
autoefficacia dovuti al complesso di
inferiorità (Adler) ovvero a quel vissuto
pervasivo e radicato di essere inferiore in
vari ambiti della vita sociale (professionale,
delle relazioni sentimentali, delle relazioni
amicali…).
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71. In una ricerca dove sono stati messi a confronto bambini vedenti e bambini
ciechi rispetto ai giudizi che essi esprimevano in relazione a varie situazioni di
vita quotidiana (Galati, 1992) è emerso come, di fronte a situazioni frustranti,
i bambini ciechi tendessero a provare sentimenti di tristezza mentre i
bambini normodotati tendevano, più frequentemente, a provare sentimenti
di rabbia. In pratica i bambini ciechi si percepivano come profondamente
dipendenti da ciò che accade e da ciò che la realtà delle cose loro riserva e
quindi accettavano le frustrazioni nell’unico modo per loro possibile, ovvero
con la delusione e la tristezza. I bambini normodotati si vivevano invece come
interpreti attivi della realtà e, di fronte a situazioni frustranti, provavano
rabbia perché le cose non erano andate come loro volevano e si attendevano.
Riassumendo, i bambini normodotati avevano un atteggiamento nei
confronti della vita più attivo e volitivo mentre i bambini ciechi avevano un
atteggiamento più passivo e rinunciatario.
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72. Se confrontiamo, infine, all’interno di uno stesso
campione di soggetti con minorazione visiva la variabile
relativa al sesso, scopriamo come la minorazione visiva
appare essere un fattore di rischio per la salute mentale
soprattutto per le donne. In una ricerca su pazienti
affetti da retinite pigmentosa (Lavanco, Pino 1996) è
stato verificato che il campione delle donne mostrava,
rispetto a quello maschile, una maggior presenza di
ansia sociale (paura di essere rifiutati, di essere
crititicati,) e di instabilità emotiva (incapacità di
tollerare l’ansia, la frustrazione e incapacità di
sopportare lo stress).
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74. Reggio Cal., 25.8.2015
Eziologia del deficit uditivo
Cause precoci
Infezione rubeolica
Kernicterus
Ipossia neonatale
Traumi da parto
Malattie infettive dell’orecchio interno
Otiti ricorrenti
Farmaci ototossici
Cause tardive
Traumi
Deficit circolatori
Lue terziaria
Sclerosi multipla
Presbiacusia
Otosclerosi
Tumori
75. Circa il 10% della popolazione
mondiale ha difetti dell’udito
abbastanza evidenti da interferire
nelle normali capacità
dell’individuo.
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76. La maturazione psichica,
l’apprendimento e l’adattamento
sociale vengono influenzati dalla
funzione uditiva e le conseguenze
delle sue anomalie sullo sviluppo del
soggetto saranno differenti in
relazione alla gravità del deficit ed al
momento in cui esso si è instaurato
rispetto allo stabilirsi di una completa
capacità verbale.
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77. La capacità verbale non è possibile
nei bambini con deficit congenito
dell’udito e nei soggetti in cui gradi
elevati di ipoacusia si sviluppano
prima dei due anni di vita.
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78. Per un bambino ipoacusico
crescere in un “contesto udente”,
non rispondente alle sue peculiari
esigenze, può avere un impatto
sullo sviluppo cognitivo, sociale,
emotivo, comunicativo e
linguistico.
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79. Tra ipoacusia e demenza esiste una
relazione bidirezionale: un grave
deficit uditivo è in grado di aumentare
di ben 5 volte, in maniera
indipendente rispetto ad altri fattori, il
rischio di sviluppare demenza.
Per ogni peggioramento dell’udito di
10 decibel si registra una crescita del
rischio di demenza di circa 3 volte.
Reggio Cal., 25.8.2015
80. Rallentare anche di un solo anno
l’evoluzione dell’ipoacusia
nell’anziano, porterebbe a
una riduzione del 10% del tasso di
prevalenza della demenza nella
popolazione generale.
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82. Reggio Cal., 25.8.2015
Disabilità da malattie
a lungo decorso
E’ correlata a patologie croniche, di organi ed
apparati diversi dal sistema neuromuscolare, che si
protraggono per un periodo molto lungo (di solito
per tutta la vita), con ripercussioni notevoli sul
normale sviluppo e inserimento sociale
dell’individuo.
83. Alcune malattie a lungo decorso
che possono creare disabilità
Reggio Cal., 25.8.2015
Fibrosi cistica
Diabete giovanile ID
Malformazioni congenite
Malattie cromosomiche
Neoplasie
Malattie dell’apparato emolinfopoietico (linfomi, talassemie, etc…)
Emofilia
Epilessia
Asma grave
Gravi forme di Fibromialgia e di CFS
Altro
85. Effetti della disabilità sul caregiver
Reggio Cal., 25.8.2015
Sentimenti di rifiuto ed ostilità nei confronti dei bambini “normali”
Difficoltà nei fratelli di ordine psicologico conseguente all’alterazione delle dinamiche
relazionali intrafamiliari
Sentimenti di ostilità nei confronti delle istituzioni
Atteggiamenti iperprotettivi
•Incremento dei disturbi comportamentali
•Accentuazione dell’isolamento
Necessità di continua assistenza
•Riduzione dei contatti sociali della famiglia
86. Uno studio scientifico ha
dimostrato che il 74% delle
famiglie di portatori di disabilità si
definiscono esse stesse
“handicappate”.
Reggio Cal., 25.8.2015
87. Reggio Cal., 25.8.2015
Formazione operatori dei DSM alla lingua dei segni
Mancanza di reattivi mentali adeguati alle persone
sorde
Scarsa informazione sull’accesso ai presidi dei DSM
Assenza di strumenti psicodiagnostici utilizzabili da
non vedenti
Difficoltà di accesso ai presidi dei DSM
Scarsa informazione sull’accesso ai presidi dei DSM
Barriere architettoniche - Accessibilità
CRITICITA’ DSM
88. Reggio Cal., 25.8.2015
Il problema dell’accessibilità dei servizi di
salute mentale si pone in tutte le fasce di
età. Ad esempio, una persona divenuta
sorda in età adulta, e per la quale la
diagnosi di sordità è stata di per sé motivo
di perdita, potrebbe scivolare nella
depressione, in assenza di servizi di
supporto accessibili. (“Mind the Gap!”, S.
Harvest, Ireland).
89. Riguardo ai pazienti sordi segnanti, nelle fasi di
assessment e trattamento, si pongono sfide
nella traduzione e interpretazione non solo dei
segni prodotti dai pazienti, ma anche delle
componenti non manuali della Lingua dei Segni,
come l’espressione degli occhi, il movimento
delle sopracciglia e della bocca (“To recognize
potentially bizarre content and unusual linguistic
features in the signing of hallucinated persons”,
AA.VV., Norvegia).
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90. La carenza di professionisti della salute
mentale specializzati in sordità e in grado
di comunicare in modo adeguato con le
persone sorde, nelle fasi di assessment,
diagnosi e trattamento, può ostacolare il
riconoscimento di una sofferenza
psicopatologica del paziente sordo o, al
contrario, indurre alla diagnosi di un
disturbo mentale anche se non presente.
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91. Un esempio è il caso di un paziente sordo
segnante, di 35 anni, il quale, dopo essere stato
ricoverato in un reparto psichiatrico norvegese,
è stato riconosciuto perfettamente sano da uno
staff di professionisti non esperti in sordità e
lingua dei segni. In realtà, il paziente era affetto
da schizofrenia paranoide (“Challenges faced
when deaf patients are admitted to psychiatric
general acute wards”, H. Saltnes & B. Øre,
Norvegia).
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92. Il Regno Unito offre un esempio di test tradotto in
British Sign Language (BSL): si tratta del test SDQ, il cui
adattamento in BSL lo ha reso uno strumento utile ad
una reale comprensione dei bisogni dei bambini sordi e
ad una più efficace prevenzione dei disturbi di salute
mentale (“Translation of the SDQ into BSL”, J. Smith,
Regno Unito). Un altro esempio degno di nota è
rappresentato dal British Sign Language Cognitive
Screening Test, utilizzato per identificare la demenza
nelle persone sorde (“The challenge of identifing
dementia in deaf people. A new cognitive screening
test using British Sign Language”, AA.VV., Regno Unito).
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