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I DIPARTIMENTI
OSPEDALIERI NELLE
 REGIONI ITALIANE
                                                      .
                                FRANCO PESARESI




                                                            2000




  [ P A P E R P U B B L I C A T O1. C I T A R E L A F O N T E ]
I DIPARTIMENTI                     OSPEDALIERI                 NELLE           REGIONI
ITALIANE.


1. I MODELLI DI DIPARTIMENTO.

La carenza di esperienze forti e diffuse di dipartimento ha fatto sì che le regioni italiane
interpretassero l’organizzazione dipartimentale in modo assai diverso l’una dall’altra. Non
c’è un solo schema organizzativo che coincida con quello di un’altra regione. Una
descrizione non guidata dei vari modelli può portare ad una sterile e confusa elencazione
delle varie strade scelte a livello regionale. Per questo prima di iniziare un percorso
analitico di valutazione si ritiene utile anticipare uno schema classificatorio di riferimento
dei modelli dipartimentali che serva come punto di riferimento costante per affrontare i
tanti aspetti relativi alla organizzazione dipartimentale. Per arrivare a questo primo
risultato abbiamo dovuto stabilire - fra i tanti - gli elementi caratterizzanti i modelli
dipartimentali che, a nostro avviso, sono due:
         la potestà del dipartimento rispetto alle risorse , con le due ipotesi di gestione
            diretta delle risorse o, in alternativa, di semplice coordinamento delle attività
            delle varie unità operative afferenti;
         l’identificazione del livello decisionale , con le due ipotesi di potestà decisionale
            affidata al capo dipartimento o al comitato di dipartimento.
La fig.1 evidenzia che, con queste premesse, i modelli di dipartimento prescelti dalle
regioni italiane sono 3:
        1. il modello che potremmo definire “aziendale” in cui una serie di risorse sono in
            comune e il dipartimento gestisce direttamente le risorse ad esso assegnate
            attraverso decisioni assunte dal capo dipartimento;
        2. un modello che potremmo definire “partecipativo” in cui il dipartimento - come il
            precedente - gestisce direttamente le risorse ad esso assegnate attraverso
            decisioni assunte dal Comitato di dipartimento;
        3. un modello che potremmo definire “non gestionale” in cui il dipartimento non
            gestisce direttamente le risorse ma coordina blandamente, attraverso il capo
            dipartimento, l’attività delle singole unità operative afferenti.
Abbiamo voluto anticipare questa classificazione, che più correttamente avrebbe dovuto
collocarsi alla fine di questo capitolo, perché questo schema, seguendoci nell’esposizione,
possa aiutarci a collocare e a comprendere le varie differenze e le migliori ipotesi
organizzative.

Il compito di questo lavoro è quello di presentare il quadro normativo dei dipartimenti
ospedalieri nelle varie regioni italiane occupandosi pertanto solo dei modelli organizzativi
già approvati dalle regioni italiane con l'unica aggiunta della proposta sui dipartimenti della
Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali (ASSR) del Ministero della Sanità sia per
l'autorevolezza della proposta che per l'influenza che ha avuto nel panorama regionale.




                                              2
Tav.1 - I PRINC IPAL I MOD ELLI DI
             DIPARTIM ENTO


    Fai cl ic per dig itar e il t esto del
                MODELLI
    corpo
               DIPARTIMENTALI

          RISOR SE IN COORDINAM ENT
          COMUNE      OATTIV ITA Õ
       Marche-Veneto-Friuli-Pie m.-
                            Valle -dÕAosta
       Pugl ia - Sicilia - Bas ilicata - Mol ise -
                           Sardeg na -
       Toscana-Ca mpa nia- E.Ro mag.-
       Lo mb.-
       ASSR                Lazio



  DECIDE DECIDE               DECIDE
  DIRETTORCOMITA TO
                E             DIRETTOR E
 MODELLO MOD.
Friuli,Ve:neto, Pie m., P ugliCOLLABORATIV
     A ZIENDA LE               MODELLO
                              a,
              Campa nia Molise,
                Marche, Sicil ia,
Romag .,Lo mb.,Basi lic.,Tosca O:Sardeg na
              PARTEC IPATIV   Lazio,
E.                            O:
n             ASSR




                                                     Fig.1 - I PRINCIPALI MODELLI DIPARTIMENTALI DELLE REGIONI ITALIANE.




                                                                                 MODELLI DIPARTIMENTALI




                                                            RISORSE IN COMUNE                           COORDINAMENTO ATTIVITA'
                                                                                                        RISORSE NON IN COMUNE

                                                          ASSR – Bolzano - Abruzzo -
                                                      Basilicata – Campania - E. Romagna
                                                      - Friuli V.G. - Lombardia - Marche -                    Lazio - Sardegna
                                                      Molise - Piemonte - Puglia - Sicilia -
                                                       Veneto - Toscana – Umbria – Valle
                                                                      d’Aosta




                                                                DECIDE                DECIDE COMITATO                   DECIDE
                                                              DIRETTORE                                               DIRETTORE



                                                              MODELLO
                                                             AZIENDALE                    MODELLO                      MODELLO
                                                             Basilicata - E.          PARTECIPATIVO               NON GESTIONALE
                                                           Romagna - Friuli            ASSR – Bolzano               Lazio - Sardegna
                                                          V.G. - Lombardia -         Abruzzo - Campania -
                                                          Piemonte - Puglia –          Marche - Molise -
                                                           Sicilia - Veneto -        Umbria – Valle d’Aosta
                                                                Toscana
2. LA DEFINIZIONE.

Il D. Lgsl. 229/1999 ci ricorda che "l'organizzazione dipartimentale è il modello ordinario
di gestione operativa di tutte le attività delle aziende sanitarie" e quindi anche
dell'ospedale. Ma che cosa sono i dipartimenti?
La definizione migliore l’ha data l’ASSR poi ripresa quasi integralmente dalle leggi delle
regioni Marche , Abruzzo, Molise , P.A di Bolzano , Umbria e in buona parte anche dalla
Basilicata: “Il dipartimento è costituito da unità operative omogenee, affini o
complementari, che perseguono comuni finalità e sono tra loro interdipendenti, pur
conservando un’autonomia funzionale in ordine alle patologie di competenza
professionale. Le unità operative costituenti il dipartimento sono aggregate in una
specifica tipologia organizzativa e gestionale, volta a dare risposte unitarie, tempestive,
razionali e complete rispetto ai compiti assegnati e a tal fine adottano regole condivise di
comportamento assistenziale, didattico, di ricerca, etico, medico-legale ed economico”. La
Regione Campania riprende sostanzialmente la stessa formulazione a cui però aggiunge
che “All’interno del dipartimento, le unità operative sono aggregate non solo
funzionalmente ma anche fisicamente, in modo da consentire la gestione comune dei posti
letto e delle risorse umane, tecniche ed economiche”.
Si tratta di formulazioni complete e flessibili. Definiscono sinteticamente la composizione
del dipartimento, le finalità generali, gli spazi di autonomia e i comportamenti da seguire e
nello stesso tempo è flessibile perché si può adattare ai vari tipi di dipartimento che in
una regione si possono realizzare.

Molto interessante risulta anche la definizione della regione Friuli. Secondo questa
regione il dipartimento è una struttura organizzativa verticale interna all’organizzazione
ospedaliera, dotata di autorità e responsabilità per quanto attiene il coordinamento delle
unità operative di specialità, il perseguimento degli obiettivi prestazionali (sia in termini
qualitativi che quantitativi) e l’utilizzo integrato delle risorse assegnate (personale, beni e
servizi, attrezzature e spazi).
La Lombardia nella definizione di dipartimento punta esplicitamente all’obiettivo della
razionalizzazione nell’uso delle risorse. Infatti in Lombardia “il dipartimento raggruppa unità
operative omogenee, complementari ed affini ed è finalizzato alla razionalizzazione
dell’uso delle risorse disponibili presso le diverse unità operative ad esso afferenti (...)”. “Il
dipartimento si configura come struttura sovraordinata, ai fini organizzativi, rispetto alle
unità operative".
La Regione Umbria, con la definizione del dipartimento, punta invece sulla integrazione
organizzativa al fine di migliorare la qualità delle prestazioni che infatti recita: “Il
dipartimento ospedaliero è una struttura per l’integrazione organizzativa delle funzioni di
unità operative e servizi affini e/o complementari finalizzata al miglioramento della qualità
assistenziale.”
Non sono molte le altre regioni che hanno voluto dare una definizione del dipartimento; fra
queste, quella che senz’altro ha fatto più discutere è quella dell’Emilia Romagna che
definisce il dipartimento (D.G.R. 1454/97) come “l’unità organizzativa di base, che aggrega
una pluralità di discipline e di funzioni assistenziali tra loro affini o complementari, ne
assicura la gestione unitaria al fine di integrare le competenze presenti, ottimizzando la
qualità dell’assistenza e l’utilizzo delle risorse complessivamente assegnate. Il
dipartimento è cioé un macroaggregato di aree affini e/o complementari, comprende di
norma aree a diversa complessità assistenziale (intensiva, per acuti, per lungodegenti,
post-acuzie ecc.), che superando l’attuale organizzazione , favorisce l’interdisciplinarietà,
per garantire il reciproco scambio di competenze, professionalità, risorse delle unità
operative, al fine di favorire la ricerca di efficacia ed efficienza, oltre che maggiormente
qualificare sia l’intervento in sé che la soddisfazione-percezione dell’utente”. Ciò che
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colpisce in questa definizione è che non è più l’unità operativa (divisione o servizio) ma il
dipartimento a rappresentare “l’unità organizzativa di base, che aggrega una pluralità di
discipline e di funzioni assistenziali tra loro affini o complementari...”. Molti hanno
interpretato questo passaggio con la volontà regionale di prefigurare il superamento
tendenziale delle attuali divisioni e servizi e la loro sostituzione con il dipartimento (la
nuova unità organizzativa di base) che però accoglie al suo interno una pluralità di
discipline. In effetti le linee guida dell’Emilia Romagna prevedono il passaggio ad un
nuovo ordinamento fondato sul modello dipartimentale che richiede il superamento della
organizzazione degli ospedali in divisioni, sezioni e servizi e la definizione di una diversa
struttura organizzativa delle attività. Si tratta di una concezione più spinta di altri ma
probabilmente, in una realtà come quella italiana che non è riuscita ancora a sperimentare
e diffondere i dipartimenti più tradizionali, difficile da realizzare in questa fase.
Di segno completamente diverso è invece la definizione scelta dalla Valle d’Aosta
secondo cui “il dipartimento va considerato come l’insieme di unità operative che
mantengono la loro autonomia, indipendenza e responsabilità, ma che riconoscono la
propria interdipendenza funzionale adottando un comune codice di comportamento clinico-
assistenziale” che sembra far riferimento ad un modello come quello “non gestionale” con
scarse implicazioni gestionali.
Altre regioni si sbizzarriscono a definire il dipartimento come “struttura funzionale tecnico-
operativa che comprende unità operative” (Molise), “una federazione di unità operative”
(Piemonte), fino ad arrivare al Lazio che lo definisce, non più una aggregazione di unità
operative ma degli “aggregati di funzioni di area omogenea” (di difficile interpretazione).

Parlando di definizioni un discorso a parte dobbiamo dedicarlo alla Toscana. Questa
regione ha previsto una organizzazione ospedaliera sostanzialmente assimilabile a quella
di altre regioni ma utilizzando una terminologia originale che, se non spiegata, rischia di
provocare non pochi equivoci. Volendo semplificare per facilitare l’approccio al modello
organizzativo possiamo dire che la Toscana ha chiamato:
        - “aree funzionali” ciò che le altre regioni hanno chiamato dipartimenti strutturali;
        - “dipartimenti di coordinamento tecnico” ciò che le altre regioni hanno chiamato
           dipartimenti funzionali;
        - “unità operativa o professionale” ciò che le altre regioni hanno chiamato unità
           operativa;
        - “sezione” ciò che le altre regioni hanno chiamato moduli;
        - “struttura organizzativa professionale” quella terminologia che contiene le unità
           operative o professionali e le sezioni.


3. LE FINALITA’ DEL DIPARTIMENTO.

Le finalità del dipartimento sono:
       a) la gestione in comune del personale non medico;
       b) l’utilizzo in comune degli spazi, delle attrezzature e della tecnologia;
       c) il miglioramento dell’efficienza e l’integrazione delle attività delle strutture del
       dipartimento per raggiungere il miglior servizio al costo più contenuto;
       d) il coordinamento e lo sviluppo delle attività cliniche, di ricerca e di studio delle
       strutture del dipartimento;
       e) il miglioramento del livello di umanizzazione dell’assistenza erogata all’interno
       delle strutture del dipartimento;
       f) la sperimentazione e l’adozione di tutte le modalità organizzative che, a parità di
       qualità di risultati ottenuti alla salute dell’utente, permettono un soggiorno più breve
       dell’utente stesso in ospedale;
g) il miglioramento della qualità dell’assistenza erogata.
Questo è probabilmente l’orientamento più equilibrato e completo ed è sicuramente anche
il più diffuso essendo stato sostanzialmente adottato dal Veneto, dalle Marche, dal Friuli
dalla Sicilia, dall'Abruzzo, dalla Campania , dall’Umbria e dall’ASSR e a cui possiamo
forse aggiungere un gruppo composto da altre tre regioni (Piemonte, Puglia e Basilicata)
che nelle loro finalità hanno sostituito la “gestione in comune delle risorse” con “la gestione
integrata degli spazi e delle risorse umane e tecnologiche, anche attraverso la gestione
della mobilità interna del personale” che verosimilmente dovrebbe comportare qualche
cosa di simile alla prima terminologia.
Tra queste regioni si segnala la Regione Campania che ha previsto esplicitamente che il
dipartimento abbia anche la finalità dello studio, dell’applicazione e della verifica di linee
guida cliniche per rendere omogenei ed uniformi i percorsi diagnostico -terapeutici.
Per l’Emilia Romagna invece obiettivo finale dell’innovazione dipartimentale “dovrà essere
la ricerca di miglioramento della qualità assistenziale (efficacia clinica, continuità del
percorso assistenziale, soddisfazione del cittadino) congiuntamente agli aspetti di
economia e di efficienza gestionale” a cui si aggiungono delle particolari sottolineature per
quel che riguarda il lavoro interdisciplinare.

L’assistenza dovrà essere garantita attraverso l’individuazione e il coordinamento delle
prestazioni che si rendono necessarie nell’ambito dell’approccio globale al paziente, per
mezzo delle seguenti attività: prevenzione, preospedalizzazione, attività ambulatoriale, day
hospital, day surgery, ricovero ordinario, organizzazione e responsabilità dei trasferimenti
interni e del follow up; riabilitazione, dimissione protetta, ospedalizzazione a domicilio.
La formazione e l’aggiornamento del personale operante nell’ambito delle differenti unità
operative, trova nel dipartimento la sede idonea al suo svolgimento in quanto consente
una concentrazione maggiore di iniziative ed esperienze al riguardo. La formazione e
l’aggiornamento devono perseguire specifici obiettivi, devono avere carattere continuativo
e devono essere soggette a valutazione periodica.
La didattica è rivolta alle figure professionali infermieristiche, tecniche e della riabilitazione,
nell’ambito dei rispettivi diplomi universitari, nonché agli specializzandi, nel quadro dei
protocolli di intesa Regione/Università.
La ricerca deve essere orientata al raggiungimento degli obiettivi propri della istituzione e
quindi affidati ai dipartimenti, attraverso il coordinamento delle iniziative più significative e
la attivazione dei necessari collegamenti con altre istituzioni.
Il dipartimento contribuisce alla promozione e diffusione dell’educazione alla salute,
istituendo una serie di iniziative, indirizzate al singolo paziente o in collaborazione con enti
ed istituzioni diverse, riguardanti specifiche tematiche identificate come prioritarie rispetto
agli obiettivi e mirate alle tipologie dei pazienti assistiti nell’ambito del dipartimento.(
ASSR, Campania)
Le attività del dipartimento possono, in particolare, essere ricondotte a:
a) L’utilizzazione ottimale degli spazi assistenziali, del personale e delle apparecchiature,
che deve essere finalizzata ad una migliore gestione delle risorse a disposizione al fine di
consentire una più completa assistenza al malato unitamente ad una razionalizzazione dei
costi;
b) il coordinamento con le relative attività extraospedaliere per una integrazione dei servizi
dipartimentali con quelli del territorio ed in particolare con i distretti e con i medici e pediatri
di base al fine di garantire ai malati la continuità assistenziale;
c) lo studio, l’applicazione e la verifica di metodologie (linee guida) per conferire la
maggiore possibile omogeneità alle procedure organizzative assistenziali e di utilizzo delle
apparecchiature;
d) lo studio e l’applicazione di sistemi integrati di gestione, anche attraverso il
collegamento informatico all’interno del dipartimento e tra dipartimenti, allo scopo di
                                                 6
consentire l’interscambio di informazioni ed immagini, nonché l’archiviazione unificata e
centralizzata dei dati, nonché l’utilizzazione della telematica secondo gli sviluppi che la
tecnologia nel tempo consentirà;
e) l’individuazione e la promozione di nuove attività o di nuovi modelli operativi nello
specifico campo di competenza;
f) la gestione del bilancio assegnato al dipartimento;
g) l’organizzazione della attività libero-professionale, intesa come interesse convergente
del paziente (libera scelta), del medico e dell’azienda;
h) la valutazione e la verifica della qualità dell’assistenza fornita, che dovrà essere
assicurata adottando metodiche diverse quali, tra le altre, la VRQ o il Medical Audit;
quest’ultimo finalizzato all’esame collegiale delle informazioni ottenute dall’esperienza
professionale e/o dalle cartelle cliniche allo scopo di:
- valutare l’assistenza fornita ai pazienti;
- verificare le procedure ed i risultati ottenuti;
- migliorare le proprie conoscenze;
- ottimizzare, in modo razionale, l’utilizzo delle risorse disponibili.(ASSR)




4. LA CLASSIFICAZIONE DEI DIPARTIMENTI.

I dipartimenti sono classificati in base alla tipologia delle unità operative che ne fanno
parte. Si identificano innanzitutto due grandi categorie di dipartimenti che coinvolgono le
unità operative ospedaliere:
        - il dipartimento ospedaliero aziendale, che aggrega unità operative di una stessa
           azienda sanitaria;
        - il dipartimento interaziendale, che coinvolge unità operative di più aziende
           sanitarie.
Il dipartimento aziendale può essere:
        - ospedaliero, quando aggrega esclusivamente unità operative dell’ospedale;
        - transmurale, quando aggrega e coordina unità operative ospedaliere e
           territoriali;
        - ad attività integrata, quando aggrega unità operative ospedaliere insieme ad
           unità operative universitarie convenzionate.
Il dipartimento interaziendale può essere:
        - gestionale (o tecnico-gestionale) che ha l’obiettivo della gestione integrata di
           attività assistenziali appartenenti ad aziende sanitarie diverse;
        - tecnico-scientifico, che è invece caratterizzato da una bassa o irrilevante
           formalizzazione operativa e gestionale ma con un ruolo alto di “authority”, con
           funzioni di indirizzo professionale e culturale e di governo “tecnico” di
           determinati settori o discipline sanitarie.
Lo schema classificatorio proposto è quello delle Marche, unica regione, insieme al Friuli,
che si è preoccupata di classificare in maniera esplicita i dipartimenti. Nella regione Friuli
Venezia Giulia, vengono “individuate due tipologie di dipartimento:
        - il dipartimento orizzontale o dipartimento per obiettivi, costituito da unità
           operative      appartenenti a diversi dipartimenti verticali ed anche a aziende
           diverse, con funzioni di coordinamento (ed integrazione sotto il profilo tecnico
           funzionale ed operativo) e non necessariamente permanente” (che non
           vengono per ora disciplinati);
        - il dipartimento verticale, definito come struttura organizzativa permanente
           interna agli ospedali, con autorità sovraordinata rispetto alle unità operative che
la compongono, centro di responsabilità e budget sia per quanto concerne le
           performance di attività che il consumo di risorse”.
Occorre sottolineare che le classificazioni delle due regioni non sono alternative ma che
anzi hanno notevoli punti di contatto dato che la stessa classificazione si può, in buona
parte, assimilare alla distinzione fra dipartimento interaziendale (non gestionale) e
aziendale già proposti .
Anche la regione Umbria si inserisce in questo filone prevedendo però solo i seguenti
dipartimenti aziendali: a) transmurali; b) disciplinari (assimilabili a quelli che abbiamo
definito dipartimenti ospedalieri); c) misti.
La regione Toscana infine propone - con la terminologia che abbiamo già visto - aree
funzionali con compiti gestionali che aggregano più unità operative e dipartimenti di
coordinamento tecnico finalizzati a garantire l’omogeneità delle procedure seguite che
possono essere aziendali (riconducibili ai dipartimenti funzionali) ed interaziendali. I
dipartimenti di coordinamento tecnico non sono obbligatori, sono delle semplici possibilità
per le aziende sanitarie e servono ad assicurare l’ottimizzazione delle risorse disponibili e
la continuità del percorso assistenziale ma soprattutto per garantire l’omogeneità delle
procedure operative e l’integrazione tra le prestazioni erogate in regimi diversi. Le aziende
ospedaliere organizzano la produzione e l’erogazione delle prestazioni assistenziali
attraverso le aree funzionali di professionalità omogenea.

Per avviare la realizzazione dei dipartimenti occorre affrontare una serie di importanti nodi
relativi alla progettazione e alla gestione degli stessi. Gli aspetti principali sono relativi alla:
        a) definizione dei criteri per l’aggregazione delle unità operative nei dipartimenti;
        b) definizione delle modalità organizzative e di integrazione fra le unità operative
        del dipartimento;
        c) definizione del livello di responsabilità e di autonomia decisionale del
        dipartimento.
I successivi paragrafi si occupano delle disposizioni relative al dipartimento aziendale e
alle sue varie tipologie riservando al paragrafo specifico la trattazione degli indirizzi relativi
al dipartimento interaziendale.



5. L’AGGREGAZIONE DELLE UNITA’ OPERATIVE.

5.1. IL DIPARTIMENTO STRUTTURALE E IL DIPARTIMENTO FUNZIONALE
Le unità operative che costituiscono il dipartimento, in condizioni ottimali, dovrebbero
essere aggregate funzionalmente e fisicamente (collocazione delle unità operative nella
stessa area ospedaliera) in modo da poter essere finalizzate e da favorire la gestione in
comune delle risorse umane, degli spazi, delle risorse tecnico-strumentali ed economiche
assegnate.
Ciononostante l’aggregazione fisica, tenendo conto delle varie situazioni ospedaliere e
degli obiettivi aziendali, in alcune situazioni non è sempre possibile. Per questo
l’organizzazione dipartimentale, in alcune situazioni, può realizzarsi anche e solo con
l’aggregazione funzionale delle unità operative del dipartimento che condividono obiettivi
comuni.
Nel primo caso avremo un dipartimento strutturale (o gestionale) mentre nel secondo caso
avremo un dipartimento funzionale o per obiettivi.
Questo schema è stato scelto dall’ASSR e dalle regioni Abruzzo, Basilicata, Campania,
Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sicilia , Veneto , e dalla P.A. di Bolzano.
Si segnala in particolare la Sicilia che ha previsto le due tipologie caratterizzandole in
questo modo:
                                                 8
-   Dipartimenti strutturali: che rappresentano il cui obiettivo principale è l’uso
    efficiente/ottimale delle risorse, con autorità sovraordinata rispetto alle unità operative
    o servizi che la compongono;
- Dipartimenti funzionali: che coinvolgono “orizzontalmente” le unità operative ed hanno
    come obiettivo principale e diretto l’ottimizzazione delle procedure operative destinate
    al raggiungimento di un obiettivo ovvero delle pratiche assistenziali destinate a
    categorie di pazienti o a quadri clinici specifici ed altres’ servono a massimizzare
    l’efficacia e la qualità della prestazione.
Occorre quì specificare che il gruppo di regioni sopra indicato, nel scegliere questo
schema, ha spesso espresso una netta preferenza per il dipartimento strutturale ma senza
escludere, in determinate situazioni, di realizzare dei dipartimenti funzionali.
Probabilmente assimilabile al modello precedente, ma più generico, quello della
Lombardia che si limita ad affermare che il dipartimento può interessare uno o più presidi
ospedalieri.
L’esatto opposto di quanto previsto dalla regione Lazio (modello “non gestionale”) che ha
affermato innanzitutto che “Il dipartimento non svolge, di norma, amministrazione attiva e
gestione” e quindi, implicitamente, privilegiando la possibilità di realizzare dipartimenti
funzionali. Infatti la regione Lazio quando poi va ad elencare le varie tipologie di
dipartimento ne prevede tre su quattro (dipartimento per funzione, dipartimento d’organo e
dipartimento a progetto) di tipo funzionale e quindi la gran parte ed uno “strutturale” che è
residuale, ma possibile.


5.2. CRITERI PER L’AGGREGAZIONE.
Le varie definizioni di dipartimento ci ricordano che lo stesso deve necessariamente
comprendere “più unità operative”. Altro punto fermo condiviso da tutte le regioni, escluso
il Molise, è che ogni unità operativa può partecipare ad un solo dipartimento aziendale
(altra cosa è invece la ulteriore partecipazione ai dipartimenti interaziendali).
Uno dei problemi principali che occorre affrontare quando si vogliono realizzare i
dipartimenti è proprio quello di stabilire i criteri per la scelta dei dipartimenti da attivare e
per l’aggregazione delle varie unità operative negli stessi.
I criteri possono essere assai diversi. Abbiamo per esempio:
    - l’aggregazione che tiene conto della appartenenza delle unità operative alle aree
        funzionali omogenee (es. dipart. di medicina, dip. di riabilitazione e lungodegenza,
        dip. materno infantile ecc.);
    - l’aggregazione che tiene conto dell’età degli assistiti (es. dip. di geriatria);
    - l’aggregazione che tiene conto delle parti del corpo o di organi curati (es. dip. del
        cuore, dip. di neurologia e neurochirurgia ecc.);
    - l’aggregazione che tiene conto di malattie con cause e meccanismi operativi
        particolari (es. dip. di salute mentale, dip. di oncologia ecc.);
    - l’aggregazione che tiene conto del momento di intervento sanitario (dip. di
        emergenza, dip. di riabilitazione);
    - l’aggregazione che tiene conto degli obiettivi strategici dell’azienda (se ad esempio
        un’azienda sanitaria ha fra gli obiettivi strategici lo sviluppo dei trapianti allora in
        questo caso può essere più utile il dipartimento d’organo ecc.);
    - l’aggregazione che tiene conto delle “risorse guida” e cioé di quelle risorse la cui
        adeguata gestione dà maggiori probabilità di conseguire gli obiettivi di efficienza
        posti (es. dip. tecnolgie pesanti, dip. chirurgico).

In realtà non esiste un criterio di aggregazione unico che consente di risolvere tutti i
problemi di relazione fra le varie unità operative e i dipartimenti anche tenendo conto delle
differenziate situazioni locali. Occorre pertanto fare delle scelte ed in particolare occorre
scegliere quali relazioni privilegiare con una integrazione dipartimentale ed eventualmente
quali regole rispettare.
Su questo aspetto le Regioni italiane hanno previsto una serie assai numerosa di variabili
ma sostanzialmente riconducibili a due possibilità:
     1. una consistente flessibilità lasciata alle singole aziende nella aggregazione delle
         unità operative;
     2. una scarsa o nulla flessibilità lasciata alle singole aziende nella aggregazione delle
         unità operative.
La nostra scelta è senz’altro la prima. Quella della flessibilità.
A nostro avviso, nella ipotesi di aggregazione, occorrerrà tener conto dei seguenti
elementi:
         a) degli obiettivi strategici dell’azienda sanitaria;
         b) del maggior livello di interdipendenza tecnica fra alcune unità operative;
         c) della realtà (unità operative, struttura edilizia ecc.) presente all’interno
         dell’ospedale.
Inoltre nelle aziende USL che gestiscono più strutture ospedaliere funzionalmente
accorpate in un unico presidio l’organizzazione dipartimentale va riferita all’intero
complesso di stabilimenti costituenti il Presidio, con la possibilità di aggregare le unità
operative e i moduli dislocati nei diversi stabilimenti, potendosi così prevedere per
l’articolazione delle unità operative la presenza di moduli delle medesime anche in
stabilimenti diversi dalla loro sede.
Nel complesso dunque si preferisce una normativa flessibile che permetta alle aziende
sanitarie di aggregare le unità operative con ampia discrezionalità “in funzione delle unità
operative presenti nei singoli ospedali e degli obiettivi che queste debbono conseguire”.
Questa, così indicata, è la strada proposta dall’ASSR e seguita dalla regione Marche, dal
Molise, dall’Umbria, dalla regione Campania (aggregazioni in base agli obiettivi aziendali
tenendo conto delle unità operative presenti) e, in modo più blando , dal Friuli. La Sicilia
propone grandi dipartimenti (dip. Di medicina, dip. Di chirurgia, dip. Di servizi, ecc.)
miranti, con obiettivi comuni, all’integrazione ed omogeneizzazione delle discipline
equipollenti ed affini, ed integrando negli stessi, il maggior numero di unità operative (che
conservano la propria autonomia). Ma la via della flessibilità, per la verità, è stata seguita,
seppur con formulazioni diverse, dalla grande maggioranza delle regioni.

Con orientamenti assai più rigidi, e cioè con la identificazione di criteri vincolanti e, in
qualche caso, dettagliati di aggregazione troviamo invece la Puglia, e la Valle d'Aosta (cfr.
tab.1). Quest'ultima, per esempio, ha definito nel dettaglio e, in qualche caso, anche
curiosamente la composizione dei dipartimenti. A questo proposito val la pena di
segnalare che in Valle d'Aosta il dipartimento anestesiologico è composto                   da 1)
anestesia e rianimazione e 2) anestesia e terapia intensiva mentre il dipartimento di
riabilitazione     annovera: 1) l’u.o. di recupero e rieducazione funzionale, 2) l’u.o. di
otorinolaringoiatria, 3) l’u.o. di neurologia, 4) l’u.o. di ortopedia e traumatologia, 5) l’u.o. di
geriatria, 6) il modulo organizzativo di neuropsichiatria infantile, 7) e il settore assistenza di
base (territoriale).
Assai più singolare è l'organizzazione dei dipartimenti prevista dalla regione          Sardegna
, tanto singolare da non rientrare neanche nella classificazione della tab.1. La Sardegna
distingue l’azienda USL dalla azienda ospedaliera. Nella azienda USL viene previsto un
solo dipartimento per tutta l’attività sanitaria ospedaliera ed extra-ospedaliera denominato
“il dipartimento di prevenzione ed il dipartimento di diagnosi, cura e riabilitazione.”
All’interno di tale dipartimento c’é tutto dal medico di base all’ospedale.
Le aziende ospedaliere invece sono organizzate in dipartimenti ma i criteri generali per la
loro individuazione saranno determinati dal piano sanitario regionale. Ma c’è grande

                                                10
confusione perché in altra parte della legge si dice che anche gli ospedali non
aziendalizzati saranno organizzati in dipartimenti.
I criteri di aggregazione delle unità operative non possono essere sottovalutati come è
evidentemente accaduto in queste due ultime regioni perché dalle scelte che le regioni
fanno in questo campo possono derivare il successo o il fallimento dei dipartimenti. La
flessibilità è d’obbligo; esistono troppe diversità fra ospedale e ospedale, obiettivi anche
diversi fra azienda e azienda perché si possa stabilire con legge le regole vinvolanti di
aggregazione. La scelta di alcune regioni di stabilire certi obblighi di aggregazione per
unità operative omologhe o appartenenti alla stessa area omogenea rappresentano dei
vincoli che ostacolano la realizzazione e il corretto funzionamento dei dipartimenti,
espropriando le aziende della loro autonomia organizzativa e in qualche caso
rappresentando dei veri e propri errori tecnici (per esempio impedendo ad una
lungodegenza (AFO lungodegenza e riabilitazione) di aggregarsi ad una medicina (AFO
medica) che costituiscono operazioni in genere possibili e normali.
Infine, appare ben poco credibile, dal punto di vista dell’efficienza e dell’efficacia
organizzativa, l’ipotesi di un unico dipartimento che coinvolga un intero ospedale o
addirittura una intera azienda sanitaria o che rinvii sine die la definizione dei criteri per la
costituzione dei dipartimenti. Ipotesi queste concepite più probabilmente per evitare la
vera realizzazione dei dipartimenti ospedalieri.

I criteri di aggregazione potrebbero cambiare in futuro dato che il D. Lgs. 229/1999
prevede che l'atto di indirizzo e coordinamento che il Governo deve emanare per la
definizione degli ulteriori requisiti per l'accreditamento delle strutture sanitarie provveda ad
individuare l'organizzazione dipartimentale minima in base alle risorse umane,
tecnologiche e finanziarie nonché al grado di autonomia finanziaria e alla complessità
dell'organizzazione interna
Tab. 1 –       Regioni italiane: criteri di aggregazione dipartimentale delle unità
operative.
                                            CRITERI DI AGGREGAZIONE                                       SCHEMA
REGIONE
FriuliV.G.,    1. obiettivi strategici dell’azienda:
Marche,        2. maggior livello di interdipendenza tecnica fra le unità operative;
               3. la realtà ospedaliera presente.
Molise,Assr
Umbria
Basilicata,    In base a tipo e modalità dell’attività svolta
Sicilia
Campania      in base agli obiettivi aziendali e alle unità operative presenti ma con previsione
              almeno del DEA, il dipartimento di medicina generale e specialistica, il
              dipartimento di chirurgia generale e specialistica, il dipartimento materno infantile.
Emilia        Identificate diverse tipologie a cui le aziende sanitarie potranno liberamente far
Romagna riferimento: a) per area omogenea; b) in base alla risorsa critica utilizzata; c) per
              tipologia di utente; d) per organo.
Lazio         Oltre ai dipartimenti identificati dalle nome vigenti, con cautela si possono
              identificare anche altri dipartimenti.
                                                                                                            F
Lombardia I criteri di aggregazione potranno variare nelle diverse realtà aziendali; tuttavia
               nelle strutture ad alta complessità specialistica, i diversi criteri di raggruppamento       L
               possono dar luogo a diverse tipologie di dipartimento: a) per organi/apparati; b)            E
               per settori nosologici; c) per settori di intervento, classificati in base all’intensità     S
               delle cure erogate; d) per fasce d’età; e) per branca specialistica. Nelle strutture a       S
               bassa complessità specialistica ed organizzativa, vanno strutturati almeno i
               seguenti dipartimenti di base: a) dipartimento di medicina e riabilitazione; b)              I
               dipartimento di chirurgia c) dipartimento di patologia clinica; d) dipartimento di           B
               diagnostica per immagini.                                                                    I
Piemonte      i dipartimenti aggregano funzionalmente unità operative secondo lo stesso criterio            L
              dell’area omogenea, ovvero per area di patologia, ovvero per destinatari degli
                                                                                                            E
              interventi, ma comunque per caratteristiche che richiedono un approccio integrato
              ed unitario, privilegiando per le ASL, il concorso di strutture ospedaliere e
              territoriali (dipartimento transmurale). In ogni caso , in ciascun presidio
              ospedaliero andranno previsti almeno tre dipartimenti, uno di natura medica, uno
              di natura chirurgica e uno che riguarda i servizi diagnostici di supporto.
Veneto        il dipartimento strutturale raggruppa unità operative anche di presidi diversi, per
              perseguire gli obiettivi assegnati dalla direzione generale, secondo uno più dei
              seguenti criteri: a) intensità e gradualità delle cure; b) settore nosologico; c) fasce
              d’età; d) branca specialistica; e) apparato.
P.A.          Sono proposti una serie indicativa di dipartimenti da attivare in funzione dei reparti
Bolzano       e dei servizi presenti e degli obiettivi che le singole aziende devono conseguire.
              Nelll’ospedale centrale di Bolzano dovranno invece essere costituiti con priorità:il
              dip. Medico chirurgico di neurologia, il dip. di medicina di laboratorio, il dip. di
              geriatria, il dip. di salute mentale e il DEA.
Puglia        I dipartimenti strutturali sono obbligatori fra unità operative omologhe dello stesso
              presidio ospedaliero (gli altri sono aggregati in funzione del tipo e delle modalità di
              attività);
Toscana       Le strutture organizzative professionali (assimilabili alle u.o.) sono accorpate,
              secondo settori specialistici omogenei, nelle seguenti aree funzionali: a) area               R
              funzionale medica; a) area funzionale medica; b) area funzionale chirurgica; c)               I
              area funzionale delle terapie intensive; d) area funzionale materno infantile; e)             G
              area funzionale delle attività di laboratorio; f) area funzionale della diagnostica per       I
              immagini.
              La regione ha identificato la composizione di alcuni dipartimenti come il                     D
Valle
d’Aosta       dipartimento anestesiologico, il dipartimento di patologia clinica e quello di                O
              riabilitazione.
Fonte: le normative regionali indicate in bibliografia.




                                                       12
5.3 LE PROCEDURE PER L’INDIVIDUAZIONE DEI DIPARTIMENTI.
L’individuazione dei dipartimenti da attivare è una specifica competenza della azienda
sanitaria. L’azienda sanitaria infatti ha autonomia organizzativa seppur nel quadro di
quanto previsto nel D.Lgs. 229/99 e nelle norme e direttive regionali di attuazione .
L’autonomia organizzativa, come è noto, è “il potere di identificare autonomamente la
struttura organizzativa dell’apparato aziendale, intesa come l’insieme degli elementi che
compongono il sistema organizzativo interno (alta direzione, staff di supporto, linea
operativa) nonché come meccanismi e livelli di decentramento dei poteri di gestione, di
coordinamento, di comunicazione e di controllo” (*) Ministero della sanità - Linee guida n.2/1996) .
Spetta dunque al direttore generale dell’azienda provvedere alla individuazione dei
dipartimenti. La procedura prevede che la decisione venga presa su proposta del direttore
sanitario e sentito il consiglio dei sanitari .

Su questo non ci sono difformità tra le regioni che si sono espresse sull’argomento
(Basilicata , Friuli, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna , Sicilia , e Umbria ).
Ma prima della decisione l’Emilia Romagna, il Lazio, le Marche, ed il Piemonte hanno
aggiunto qualcosa di significativo nelle procedure.
Le Marche hanno richiesto ad ogni azienda una vera e propria progettazione dei
dipartimenti ospedalieri che definisca i requisiti (interdipendenza delle funzioni, esaustività
delle risposte, flessibilità organizzativa ecc.) l’articolazione funzionale interna, la
strutturazione del lay out, l’organizzazione e la gestione delle risorse, gli indicatori di
verifica ecc.
L’Emilia Romagna ha invece previsto l’approvazione di un regolamento aziendale da
sottoporre all’approvazione regionale che affronti nel dettaglio tutte le tematiche relative
alla organizzazione, al funzionamento dei dipartimenti (le funzioni assistenziali che
afferiscono a ciascuna area dipartimentale, la qualità, la quantità e le dimensioni delle
unità operative e dei moduli appartenenti a ciascun dipartimento, la puntuale definizione
dei rapporti tra le strutture organizzative del presidio ospedaliero, i criteri per la
assegnazione della retribuzione di posizione ecc.).
La Regione Piemonte ha invece previsto che prima della organizzazione dipartimentale
“gli ospedali della rete regionale devono obbligatoriamente attuare il modello delle aree
funzionali omogenee” “conservando alle unità operative che vi confluiscono l’autonomia
funzionale in ordine alle patologie di competenza, nel quadro di una efficace integrazione
e collaborazione con altre unità operative affini e/o complementari e con uso in comune
delle risorse umane e strumentali, superando l’organizzazione per divisioni o reparti. ”A
questo proposito si danno anche una serie di indicazioni sulle modalità di costituzione
delle aree omogenee. Gli stessi orientamenti ha espresso la regione Lazio.
Dopo aver così definito quali e quante unità operative confluiscono nelle aree funzionali e
quindi dopo aver determinato la loro aggregazione fisica, l’azienda provvede alla loro
aggregazione funzionale, attraverso l’istituzione dei dipartimenti.
Come è noto l’AFO dà una risposta alla esigenza di accorpamento delle unità operative,
superando la distinzione esistente tra reparti, divisioni, sezioni e servizi per una più
efficiente organizzazione dell’attività assistenziale, attraverso l’aggregazione fisica (se
possibile) di discipline e strutture che mantengono la propria autonomia professionale. Il
dipartimento invece è il modello organizzativo e gestionale che tende ad integrare
l’operatività delle singole unità operative, allo scopo di ottenere una più efficiente ed
efficace erogazione assistenziale. La realizzazione delle aree funzionali è dunque
propedeutica alla realizzazione dei dipartimenti. MA l’AFO, al contrario dei dipartimenti,
non ha alcuna valenza gestionale per cui è fortemente limitata. Per cui le procedure
approvate dalla regione Piemonte appaiono corrette. Meno apprezzabile appare la
definizione dei tempi del processo dato che nel periodo di vigenza del PSR 1997-1999 si
pone solamente l’obiettivo della realizzazione delle aree omogenee e si riserva solo
carattere sperimentale alla dipartimentalizzazione.




5.4. PARTICOLARITA’ DI ALCUNI DIPARTIMENTI.
Nonostante la grande flessibilità nella aggregazione delle unità operative scelta dalla gran
parte delle regioni esistono alcuni vincoli o indicazioni normative nazionali relative alla
costituzione di taluni, specifici, dipartimenti di cui occorre tener conto.
Tali indicazioni si riferiscono alle seguenti aree assistenziali:

      a) emergenza sanitaria;
      Una serie di norme nazionali (D.P.R. 1°/3/1994, D.P.R. 27/3/1992, linee guida del
      Ministero della Sanità n. 1/1996) e spesso regionali             rendono obbligatoria la
      costituzione del dipartimento di emergenza (DEA).
      Dalle norme nazionali         si evince che le unità operative che fanno parte
      esclusivamente del DEA sono:
      - il servizio autonomo di pronto soccorso;
      - l’u.o. di anestesia e rianimazione con letti di terapia intensiva;
      - la centrale operativa, ove presente;
      - la medicina d’urgenza, ove presente.
      Altre unità operative, di norma, non entrano a far parte formalmente del DEA ma
      partecipano alla funzione dell’emergenza attraverso la condivisione di modelli
      operativi definiti da linee guida e da protocolli che dovranno essere adottati da tutte
      le u.o. interessate.

      b) alte specialità;
      Il Decreto del Ministero della Sanità del 29 gennaio 1992 ha stabilito che le
      strutture di alta specialità, al fine di assicurare il corretto e coordinato espletamento
      dell’attività di alta specialità, devono avere una “organizzazione funzionalmente
      accorpata e unitaria di tipo dipartimentale dei servizi che la compongono”.

      c) materno-infantile;
      Il Piano sanitario nazionale 1994-1996 tra gli interventi da compiere nel triennio di
      validità del piano raccomandava “l’istituzione e/o l’attivazione del dipartimento
      materno-infantile per l’integrazione degli aspetti        sanitari e sociali ed il
      coordinamento delle attività proprie di ciascuna delle sue componenti”, quella
      ospedaliera e quella extraospedaliera. Anche questo tipo di dipartimento dunque,
      che può annoverare specialità pediatriche e ostetriche, viene proposto con forza
      dalla normativa nazionale.

      d) salute mentale.
      Il settore della salute mentale è una delle aree per le quali è vigente uno specifico
      progetto obiettivo che delinea un modello organizzativo di tipo dipartimentale per
      assicurare interventi assistenziali sia in sede ospedaliera sia in ambulatori, sia in
      strutture residenziali e semiresidenziali territoriali che a domicilio.
      La gestione di tale dipartimento è affidata alle aziende USL competenti per territorio
      e gli obiettivi da conseguire sono individuati e definiti nel D.P.R. 7/4/1994 e nelle
      deliberazioni amministrative regionali attuative.


                                             14
Riguardo ai criteri per la individuazione delle unità operative del dipartimento di
       salute mentale si ritiene che lo stesso abbia delle sue proprie specificità e che si
       debba pertanto tener conto delle varie tipologie di strutture costituenti il
       dipartimento e su tale base individuare le unità operative (S.P.D.C., strutture
       residenziali territoriali, centri diurni, attività ambulatoriali e domiciliari).
       Questo dipartimento è sicuramente transmurale e può anche essere interaziendale
       laddove sono presenti aziende ospedaliere.

Questi dipartimenti sono stati previsti da moltissime regioni che hanno ravvisato
soprattutto la necessità di realizzare il dipartimento di emergenza e quello di salute
mentale. Spesso è stata prevista anche l’attivazione del dipartimento materno infantile
mentre più raramente quello di alta specialità (Marche) .


5.5. I DIPARTIMENTI TRANSMURALI.
I dipartimenti possono essere “transmurali” e cioé di raccordo fra ospedale e territorio. Il
ruolo del dipartimento transmurale è quello di esercitare “il coordinamento con le relative
attività extraospedaliere per una integrazione dei servizi dipartimentali con quelli del
territorio ed in particolare con i distretti e con i medici e pediatri di base, ai quali spetta sia
il compito di rappresentare il punto di ingresso dell’assistito nel circuito ospedaliero
nonché l’indispensabile ruolo di figure di raccordo tra ospedale e territorio, nella
definizione del piano di dimissione del paziente e nella gestione degli interventi domiciliari
e dei successivi follow-up, nonché della assistenza medica nelle RSA” (2).
Una delle caratteristiche principali di questi dipartimenti è costituita dunque dalla
possibilità di garantire ai pazienti la continuità assistenziale per cui questa tipologia si
sviluppa in maniera ideale nella azienda USL. Ma non è la sola ipotesi. Occorre infatti
considerare che la costituzione delle aziende ospedaliere ha fatto sì che le città più grandi
siano, oggi, sedi di più aziende (USL e/o ospedaliere) per cui occorre ricercare la massima
integrazione delle funzioni omogenee o complementari al fine di evitare inutili duplicazioni
in un quadro di perseguimento della ricerca dell’efficienza globale del sistema e di
miglioramento della qualità dell’assistenza.
Ovviamente il dipartimento transmurale (che può essere aziendale o interaziendale, come
nel caso del dipartimento di salute mentale) presenta elevati livelli di complessità per cui
spetterà al suo regolamento stabilire le modalità di integrazione organizzativa e
gestionale, specificando le risorse rese disponibili dall’ospedale e quelle dalle strutture
territoriali, le responsabilità e le necessarie modalità di verifica dell’attività svolta.
Fra i dipartimenti transmurali troviamo senz’altro il dipartimento di salute mentale ed altri
che possono esserlo: il dipartimento di riabilitazione e lungodegenza, il dipartimento
materno infantile, il dipartimento di emergenza e accettazione (DEA), il dipartimento per la
lotta alle malattie infettive ecc.

Su questo argomento solo 6 regioni (Basilicata, P.A. Bolzano, Emilia Romagna,
Lombardia, Marche e Molise) e l’ASSR si sono espresse ma tutte in modo conforme a
questi orientamenti.
Anche la regione Umbria ha valorizzato i dipartimenti transmurali prevedendo infatti che
“negli ospedali di comunità avranno la prevalenza” proprio “i dipartimenti transmurali, per
la rilevanza che hanno a questo livello i collegamenti con il territorio”. La regione a questo
proposito ha previsto l’attivazione:
        a) del dipartimento materno infantile e per l’età evolutiva, dove addirittura la quota
           transmurale prevale su quella intramurale;
        b) il dipartimento di medicina;
        c) altri dipartimenti afferenti a funzioni ospedaliere a forte vocazione territoriale.
La regione Campania prevede che i direttori generali delle ASL potranno istituire raccordi
funzionali anche tra le unità operative dei presidi ospedalieri e le strutture sanitarie
distrettuali finalizzati ad obiettivi assistenziali, didattici e di ricerca comuni. Le modalità
organizzative dei raccordi funzionali tra le unità operative di differenti presidi ospedalieri
della ASL e tra questi ed i distretti sanitari saranno definiti da specifici regolamenti della
ASL.


5.6. I DIPARTIMENTI AD ATTIVITA’ INTEGRATA.
Il dipartimento ad attività integrata è composto da unità operative ospedaliere ed unità
operative universitarie convenzionate (della facoltà di medicina e chirurgia) così come
illustrato al paragrafo 4.5..
Su questo argomento è la regione Marche che si è impegnata di più per la promozione di
tali dipartimenti e, per quel che riguarda i contenuti, riprendendo estesamente i contenuti
delle “Linee guida per la stipula dei protocolli d’intesa università-regioni” approvate con
Decreto 31 luglio 1997 del Ministro della Sanità e del Ministro dell’Università e della
Ricerca scientifica e tecnologica. In questo senso anche le Linee guida sui dipartimenti
delle Marche affermano che “i modelli e le modalità di organizzazione delle aziende
ospedaliere in cui insiste la prevalenza del percorso formativo del triennio clinico della
facoltà di medicina e chirurgia, sono definiti dal direttore generale delle aziende nell’ambito
degli indirizzi regionali in modo da assicurare il pieno svolgimento delle funzioni didattiche
e scientifiche della facoltà di medicina e chirurgia. Le università partecipano alle strutture
assistenziali di tipo dipartimentale nelle quali siano presenti unità operative a direzione
universitaria. L’organizzazione delle strutture dipartimentali in cui sono presenti unità
operative a direzione universitaria e le procedure di nomina dei responsabili sono stabilite
dal direttore generale di intesa con il rettore. “Nelle strutture organizzative (dipartimento,
unità operative, moduli) che integrano personale appartenente all’organico dell’azienda e
all’ordinamento universitario è garantita parità di trattamento, a parità di attività e di
responsabilità, nonché di opportunità di accesso alle funzioni in ambito assistenziale.”
Il protocollo di intesa che regolamenta l’apporto assistenziale dell’università, - pur in
considerazione delle autonome e distinte finalità istituzionali delle parti - deve tener conto
del modello di gestione aziendale introdotto dalle leggi di riordino della sanità. Tale
modello, pertanto, deve essere condiviso (oltre che dalle aziende sanitarie) anche
dall’università per il perseguimento degli obiettivi aziendali e con la conseguente
assunzione di responsabilità gestionale nei confronti dell’azienda sanitaria anche da parte
degli operatori universitari, specie qualora assumano incarichi dirigenziali. Ma tutte figure
universitarie possono dirigere un dipartimento? Secondo la norma               deve essere un
dirigente responsabile di struttura complessa. La legge 382/1980 (art.102) definisce le
corrispondenze funzionali fra il personale medico dei ruoli universitari ed il personale
medico del servizio sanitario nazionale, ai fini dell’attività assistenziale, equiparando il
professore ordinario e straordinario al medico apicale per cui queste due figure
sicuramente possono dirigere un dipartimento misto.
Il professore associato è invece equiparato all’aiuto e quindi non potrebbe dirigere un
dipartimento pur avendo la responsabilità di una clinica universitaria. Ma la stessa norma
autorizza il rettore a deliberare, in rapporto alla disponibilità di posti vacanti nelle strutture
assistenziali a direzione universitaria previste dalle convenzioni, l’attribuzione ai professori
associati , ai fini assistenziali, di qualifiche di livello immediatamente superiori così che
anche loro possano dirigere un dipartimento misto.
Oltre alle Marche anche altre regioni hanno dato indicazioni sull’argomento. Tutte le
regioni che si sono espresse hanno comunque previsto i dipartimenti ad attività integrata
(o “misti”) (cfr. tab. 2) compresa la Toscana che lo fa con un linguaggio complesso
laddove afferma che “le aree funzionali possono essere costituite da dipartimenti
                                               16
assistenziali che si integrano con i dipartimenti universitari”. Le differenze fra una regione
e l’altra sono tutte relative al diverso peso che viene assegnato ai soggetti del Servizio
sanitario nazionale e a quelli universitari alla ricerca di un equilibrio che permetta ai
dipartimenti misti di operare proficuamente. La prima importante differenza si riscontra
nelle procedure per la nomina dei responsabili dei dipartimenti; Veneto ed Umbria affidano
tale compito ai direttori generali delle aziende sanitarie mentre l’Emilia Romagna e le
Marche, come indicano anche le linee guida nazionali, lo affidano sempre ai direttori
generali ma d’intesa con il rettore (cfr. tab.2).
La questione degli equilibri si riverbera continuamente all’interno del dipartimento. Da
questo punto di vista assai interessante è la previsione di un vice-direttore di dipartimento
previsto dall’Emilia Romagna e dal Veneto. In queste due regioni, qualora il direttore del
dipartimento sia un medico ospedaliero, si procede alla nomina, su designazione del
Rettore, di un vice direttore medico universitario per il coordinamento dell’attività didattica
e di ricerca svolta dal dipartimento. Qualora, invece, sia un medico universitario si
procede alla nomina di un vice direttore medico ospedaliero. Per le attività didattiche il
direttore del dipartimento (o il vice-direttore) risponde funzionalmente ai competenti organi
dell’Università (cfr. tab. 2).
Assai innovativa rispetto a tutte le altre regioni è la previsione della regione Umbria che, in
analogia con quanto previsto per le unità operative dirette da dirigenti del SSN, anche
l’attività assistenziale delle strutture operative a direzione universitaria deve essere
sottoposta a verifiche almeno quinquennali al fine del mantenimento della direzione. La
verifica deve riguardare efficienza ed efficacia dell’attività svolta, capacità organizzative e
gestionali, rispetto degli obiettivi aziendali. Così che non ci siano differenze di trattamento
fra i responsabili delle unità operative assistenziali.
Le decisioni relative alla organizzazione dei dipartimenti spettano al Direttore generale in
Liguria, Marche e Piemonte mentre va ricercata l’intesa con l’università in Lombardia,
Veneto ed Umbria; in una posizione intermedia si colloca l’Emilia Romagna che, su questi
argomenti, richiede solamente un parere agli organi universitari (cfr. tab.2).
Val la pena di segnalare infine una particolarità della Lombardia. In questa regione
l’obiettivo principale dei dipartimenti consiste nella razionalizzazione dell’uso delle risorse
disponibili presso le diverse unità operative ad esso afferenti. Ebbene gli interventi di
razionalizzazione e di qualificazione rivolti all’attività assistenziale, sono estesi anche alla
attività di ricerca scientifica e di didattica e devono prevedere, nelle strutture clinicizzate, il
pieno coinvolgimento della componente universitaria.
Ovviamente, tutte le normative regionali sono precedenti all’approvazione del D. Lgs.
517/99 sulla “disciplina dei rapporti fra servizio sanitario regionale ed università”.
Tab. 2 – Regioni e dipartimenti misti.
                 REGIONI                                ARGOMENTO
Emilia Romagna, Friuli V.G., Liguria, Sono stati previsti i dipartimenti misti.
Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia,
Toscana, Umbria, Veneto.
Veneto, Umbria                         Il responsabile del dipartimento viene scellto
                                       dal direttore generale dell’azienda.
Emilia Romagna, Marche                 Il responsabile del dipartimento viene
                                       nominato dal direttore generale dell’azienda
                                       d’intesa con il rettore, fra una rosa di nomi.
Emilia Romagna, Veneto                 Nel caso di un responsabile ospedaliero il
                                       rettore designa un vice responsabile
                                       universitario per il coordinamento dell’attività
                                       didattica svolta dal dipartimento.
Liguria, Marche, Piemonte              L’organizzazione       dipartimentale      viene
                                       definita dal direttore generale.
Lombardia, Veneto, Umbria              L’organizzazione dipartimentale va definita
                                       d’intesa con l’Università.
Emilia Romagna                         L’Istituzione, la modifica e la disattivazione
                                       di dipartimenti richiedono il parere della
                                       facoltà di medicina e chirurgia.
Umbria                                 L’attività assistenziale delle unità operative a
                                       direzione      universitaria    deve     essere
                                       sottoposta a verifiche almeno quinquennali
                                       al fine del mantenimento della direzione.
Lombardia                              gli     interventi di razionalizzazione e di
                                       qualificazione dipartimentale sono estesi
                                       anche alla attività di ricerca scientifica e di
                                       didattica.
Fonte: norme regionali di riferimento.




6. ORGANIZZAZIONE ED INTEGRAZIONE DIPARTIMENTALE.


6.1. L’ORGANIZZAZIONE INTERNA DEL DIPARTIMENTO.
Il dipartimento è costituito da unità operative autonome o, secondo la nuova terminologia
introdotta dal D. Lgs. 229/1999, da strutture complesse. Il Decreto infatti introduce nella
organizzazione ospedaliera due nuovi termini: la "struttura complessa" e la "struttura
semplice". Sembra di capire dalla lettura del testo che sarà l'atto di indirizzo e
coordinamento che il Governo deve emanare per la definizione degli ulteriori requisiti per
l'accreditamento delle strutture sanitarie a definirne meglio le caratteristiche ma intanto,
"fino all'emanazione del predetto atto si considerano strutture complesse tutte le strutture
già riservate dalla pregressa normativa ai dirigenti di secondo livello dirigenziale" (art.15
quinquies D.Lgs. 229/99).

                                             18
All'interno del dipartimento           si possono però trovare anche altre articolazioni
organizzative alcune delle quali - come quei moduli che utilizzano risorse di più unità
operative - possono essere create ex novo nel dipartimento. In analogia con quanto
affermato a proposito delle unità operative ci sembra di poter dire che la struttura semplice
possa sovrapporsi a quella del modulo. Così che all'interno del dipartimento possiamo
avere:
        l’unità operativa o struttura complessa;
        il modulo professionale o struttura semplice (professionale);
        il modulo organizzativo o struttura semplice (organizzativa).

L’unità operativa o struttura complessa
Le regioni italiane, ovviamente, hanno regolamentato il settore utilizzando la precedente
normativa che faceva riferimento alle unità operative.
Una delle migliori definizioni di unità operativa la dà la regione Friuli V.G. secondo la quale
le unità operative sono strutture organizzative elementari costituite con riferimento alle
specialità diagnostiche e terapeutiche, dotate di autonomia funzionale per quanto attiene il
trattamento delle patologie e lo svolgimento delle attività clinico-diagnostiche di
competenza. Segue sostanzialmente questa linea la Toscana che la definisce come
l’insieme di professionalità omogenee attinenti ad una specifica funzione operativa.
 L’Emilia Romagna, invece, definisce l’unità operativa come una struttura organizzativa
complessa       del    dipartimento       che    aggrega     risorse    professionali    di   tipo
medico,infermieristico, tecnico, amministrativo e finanziario e assicura la direzione e
l’organizzazione delle attività di competenza, nel rispetto degli indirizzi aziendali,
degliobiettivi e dei criteri definiti nell’ambito del dipartimento di appartenenza. In questa
direzione va anche la definizione della regione                Lombardia che presenta l'unità
operativa come articolazione del dipartimento. Ancora diverso il taglio della Valle d’Aosta
che definisce le strutture complesse come unità operative caratterizzate da un grado di
complessità organizzativo gestionale elevata, comportante l’assunzione di responsabilità
che impegnano l’azienda USL                verso l’esterno per l’attuazione degliobiettivi di
programmazione regionale e aziendale.
Le unità operative sono distinte in:
        “unità operative di servizi diagnostici e/o terapeutici”;
        “unità operative clinico-assistenziali”, vale a dire quelle dotate di posti letto ordinari
        e di day hospital. (ASSR, Campania)
L’unità operativa è diretta da un dirigente di 2° livello. Secondo il D. Lgs. 502/1992 e
successive modificazioni ai dirigenti di 2° livello, chiamati alla responsabilità di unità
operative (art.15), “sono attribuite funzioni di direzione ed organizzazione della struttura...”.
Spettano in particolare al dirigente medico di 2° livello, “gli indirizzi e, in caso di necessità,
le decisioni sulle scelte da adottare nei riguardi degli interventi preventivi, clinici,
diagnostici e terapeutici...”, mentre ai dirigenti delle altre professioni sanitarie “spettano gli
indirizzi e le decisioni da adottare nei suddetti interventi limitatamente a quelli di specifica
competenza”.
E’ da precisare che l’art.15 del D. Lgs. 502/92 rimanda, per quanto riguarda le
responsabilità dirigenziali, al disposto dell’art. 20 del D.Lgs. 29/93 che così riporta:”I
dirigenti generali ed i dirigenti sono responsabili del risultato dell’attività svolta dagli uffici
ai quali sono presposti, della realizzazione dei programmi e dei progetti loro affidati, della
gestione del personale e delle risorse finanziarie e strumentali ad essi assegnate”
(Marche, Umbria).
La nuova normativa contenuta nel D. Lgs. 229/99 (art.15) ridefinisce le caratteristiche
delle funzioni dei responsabili di strutture complesse. In particolare si afferma che "Ai
dirigenti con incarico di direzione di struttura complessa sono attribuite, oltre a quelle
derivanti dalle specifiche competenze professionali, funzioni di direzione e organizzazione
della struttura, da attuarsi, nell'ambito degli indirizzi operativi e gestionali del dipartimento
di appartenenza, anche mediante direttive a tutto il personale operante nella stessa, e
l'adozione delle relative decisioni necessarie per il corretto espletamento del servizio e per
realizzare l'appropriatezza degli interventi con finalità preventive, diagnostiche,
terapeutiche e riabilitative, attuati nella struttura loro affidata. Il dirigente è responsabile
dell'efficace ed efficiente gestione delle risorse attribuite. I risultati della gestione sono
sottoposti a verifica annuale tramite il nucleo di valutazione".

In conclusione dunque possiamo dire che il dirigente di 2° livello o il dirigente con incarico
di direzione di struttura complessa ha piena autonomia nel campo clinico-assistenziale ma
che comprende per tutti i dirigenti momenti di valutazione e verifica mentre nel campo
organizzativo e gestionale deve invece operare nel rispetto degli indirizzi operativi e
gestionali stabiliti dalla direzione del dipartimento (comitato di dipartimento o direttore a
seconda dei modelli) rispondendo infine delle risorse in dotazione esclusiva dell’unità
operativa.
La eventuale funzione di Capo dipartimento è aggiuntiva rispetto a quella di responsabile
di unità operativa pertanto il titolare dell’unità operativa, incaricato di questo, mantiene
tutti i compiti e le attività propri della qualifica.

Il modulo professionale
Il modulo professionale è una articolazione interna dell’unità operativa dotata di una
autonomia professionale caratterizzata e giustificata “dalla peculiarità dell’attività svolta
che richiede particolari competenze professionali in quanto costituisce un ambito specifico
per i contenuti medico-scientifici e tecnologici “. Per esempio possiamo dire che in
“ospedali dove alcune attività ad indirizzo specialistico non possono essere organizzate
come distinte unità operative, è possibile prevedere che unità operative ad indirizzo
generale, possano comprendere anche moduli dedicati ad attività specialistiche, affidati a
personale specificamente qualificato (es: cardiologia all’interno della unità operativa di
Medicina generale - urologia all’interno dell’unità operativa di chirurgia generale).”(ASSR, la
Campania con questa stessa definizione lo chiama modulo funzionale, prevedendo solo questo)
Tali moduli, previsti dagli articoli 56 e 57 del contratto collettivo nazionale di lavoro 1994-
1997 per l’area della dirigenza medica e veterinaria della sanità, possono essere attivati:
- se tali attività non sono già esercitate da distinte e specifiche unità operative presenti
nello stesso presidio ospedaliero;
- se sono relative a discipline ufficiali riconosciute dalle norme nazionali.
In casi particolari, la singola azienda potrà prevedere moduli non rientranti in una delle
tipologie indicate, previa adeguata motivazione.
Gli incarichi relativi alla responsabilità del modulo sono assegnati dal direttore generale su
proposta dei responsabili delle unità operative interessate a dirigenti con almeno 5 anni di
anzianità. Nel caso di moduli di interesse dipartimentale la proposta spetta invece al
comitato di dipartimento.

Il modulo organizzativo
Il modulo organizzativo soddisfa invece l’esigenza del “dipartimento di realizzare specifici
modelli organizzativi, quali ad esempio quelli relativi alla attività ambulatoriale,
all’ospedalizzazione a domicilio, all’attività di day hospital, al laboratorio d’urgenza” ecc..
Il modulo, previsto dagli articoli 56 e 57 del contratto collettivo nazionale di lavoro 1994-
1997per l’area della dirigenza medica e veterinaria della sanità, è diretto da un dirigente di
1° livello o di struttura semplice con precisi ambiti di autonomia professionale con almeno
5 anni di anzianità. Gli incarichi relativi alla responsabilità del modulo sono assegnati dal
direttore generale su proposta dei singoli responsabili delle unità operative interessate.

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Nel caso di moduli di interesse dipartimentale la proposta spetta invece al comitato di
dipartimento.
La regione Emilia Romagna invece definisce il modulo organizzativo, da prevedere
nell’atto aziendale, come “una struttura organizzativa comprendente attività di una stessa
unità operativa o di diverse unità unità operative, che assicura nel primo caso il
miglioramento continuo del processo assistenziale e nel secondo l’organizzazione ela
gestione delle risorse destinate all’attività aziendale, sia attraverso l’integrazione operativa
delle differenti risorse tecnico-professionali, sia attraverso la semplificazione dei percorsi
di accesso alle prestazioni e ai servizi.
Ancora diversa e di più basso profilo la concezione delle strutture semplici da parte della
regione Valle d’Aosta che le intende come unità operative attinenti ad una specifica attività
o funzione e che rispondono al dirigente della struttura complessa in cui sono inserite.

Al dirigente responsabile di modulo è assicurata:
         l’autonomia di direzione clinica per il settore specifico di intervento nel rispetto
           delle direttive concordate con il responsabile dell’unità operative o del
           dipartimento a seconda dell’afferenza;
         la responsabilità delle risorse date in dotazione esclusiva al modulo, nel rispetto
           delle direttive concordate con il responsabile dell’unità operativa o del
           dipartimento a seconda dell’afferenza.

ll ruolo del medico dirigente.
Il ruolo del dirigente medico viene definita dal recente D. Lgs. 229/99 (art.15) che in
particolare stabilisce che "L'attività dei dirigenti sanitari è caratterizzata, nello svolgimento
delle proprie mansioni e funzioni, dall'autonomia tecnico-professionale i cui ambiti di
esercizio, attraverso obiettivi momenti di valutazione e verifica, sono progressivamente
ampliati. L'autonomia tecnico-professionale, con le connesse responsabilità, si esercita nel
rispetto della collaborazione multiprofessionale, nell'ambito di indirizzi operativi e
programmi di attività promossi, valutati e verificati a livello dipartimentale ed aziendale,
finalizzati all'efficace utilizzo delle risorse e all'erogazione di prestazioni appropriate e di
qualità. Il dirigente, in relazione all'attività svolta, ai programmi concordati da realizzare ed
alle specifiche funzioni allo stesso attribuite, è responsabile del risultato anche se
richiedente un impegno orario superiore a quello contrattualmente definito."


I gruppi operativi interdipartimentali.
Oltre a queste modalità organizzative interne al dipartimento esiste la possibilità di
costituire dei gruppi operativi che si potranno attivare per soddisfare quelle esigenze di
coordinamento e collegamento di unità operative afferenti a dipartimenti diversi.
I gruppi operativi interdipartimentali potranno essere permanenti (per esempio GOIP
oncologico) oppure temporanei (GOIT) per specifici obiettivi.

Questo schema è sostanzialmente condiviso, fatti salvi gli aggiornamenti che ovviamente
ancora non ci sono alla nuova normativa, da quasi tutte le regioni anche se gli
approfondimenti maggiori sono stati portati avanti dall’ASSR e dalle Marche.

Una variante di questo schema generale è invece quella proposta recentemente dalla
Emilia Romagna che spinge di più l’acceleratore sul superamento della organizzazione
degli ospedali in divisioni, sezioni e servizi per la definizione di una diversa struttura
organizzativa delle attività fondato sul modello dipartimentale.
Nello schema dell’Emilia Romagna non è più l’unità operativa ma è il dipartimento che
rappresenta l’unità organizzativa di base che aggrega una pluralità di discipline e di
funzioni assistenziali tra loro affini o complementari. L’unità operativa diventa invece
“l’articolazione settoriale del dipartimento, per discipline e/o funzioni” anche se grosso
modo mantiene le stesse funzioni previste nello schema delle altre regioni (“è
caratterizzata da piena autonomia operativa per le specifiche competenze professionali in
campo clinico-assistenziale       mentre l’autonomia gestionale è limitata alle risorse
eventualmente assegnate”). Per i moduli invece non ci sono sostanziali differenze con lo
schema precedentemente illustrato.
Le linee guida della regione Emilia Romagna sostengono che “la dipartimentalizzazione
rappresenta la sostituzione delle attuali strutture divisionali e dei servizi autonomi” per cui
occorrerà verificare “se sussistano le condizioni per il mantenimento, nelle vesti di unità
operative, delle divisioni e servizi autonomi preesistenti o se, in alcuni casi, non si
giustifichi la loro trasformazione in una dimensione organizzativa più appropriata quale il
modulo (ad esempio, quando sia prevista una consistente riduzione di posti letto o quando
risulti da tempo scoperto il ruolo primariale)”.
Assai interessante è la previsione - sempre dell’Emilia Romagna - di inserire la
dipartimentalizzazione delle strutture ospedaliere tra i requisiti per ottenere
l’accreditamento delle strutture.
Le regioni Piemonte e Lombardia ricordano invece solo la presenza dei moduli
organizzativi e la Toscana al loro posto prevede le sezioni; in tutti i casi la responsabilità
è decisa dal direttore generale su proposta dei responsabili dell'unità operativa di
riferimento.



6.2. LE RISORSE DEL DIPARTIMENTO: USO E ASSEGNAZIONE.

Le risorse del dipartimento sono le seguenti:
 personale;
 strutture edilizie;
 attrezzature;
 risorse finanziarie.

“Le risorse vanno distinte in tre sub aree:
       a) risorse assistenziali proprie delle singole unità operative appartenenti al
       dipartimento;
       b) risorse assistenziali comuni del dipartimento;
       c) risorse generali di supporto necessarie al funzionamento del dipartimento.”
       (ASSR, Veneto ecc.)


La definizione di ciò che va a costituire le singole sub aree dipende dal tipo di dipartimento
e dalla complementarietà e affinità delle sue unità operative. Tali sub aree per esempio
non avranno lo stesso contenuto in un dipartimento in cui le unità operative saranno
aggregate solo “ funzionalmente” rispetto a quello in cui l’aggregazione sarà anche
“fisica”, strutturale. In una situazione ottimale, dove cioé le unità operative sono
aggregate non solo “funzionalmente” ma anche “fisicamente”, e cioé in “dipartimento
strutturale” (secondo il modello “aziendalistico” o “partecipativo”) le sub aree possono
avere la seguente distribuzione delle risorse:

      a) risorse assistenziali proprie delle singole unità operative del dipartimento:
      - il personale medico e professionale laureato;
      - gli spazi da questo occupati per le attività esclusive dell’unità operativa;
      - le attrezzature esclusivamente utilizzate dall’unità operativa.
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b) risorse assistenziali comuni del dipartimento:
       - il personale infermieristico, il personale tecnico, nonché altre figure professionali
         necessarie alla funzionalità della specifica tipologia del dipartimento;
       - gli operatori tecnici di assistenza;
       - gli spazi operativi, di degenza, di supporto;
       - le attrezzature utilizzate da più di una unità operativa;
       - i programmi, i progetti, i piani di dipartimento;
       - le risorse economiche necessarie per raggiungere gli obiettivi prefissati.

       c) risorse generali di supporto necessarie al funzionamento del dipartimento:
       - il personale amministrativo, dedicato alle attività gestionali;
       - il personale di supporto segretariale, con le relative dotazioni strumentali;
       - gli spazi per la direzione ed il coordinamento del dipartimento, compresi gli
         organi di gestione del dipartimento stesso;
       - il sistema informativo, informatico e telematico del dipartimento;
       - i beni e servizi necessari al funzionamento del dipartimento”. (ASSR, Marche, Campania,
       Molise, Veneto, Umbria, ecc.)


Negli altri casi (per esempio nel “dipartimento funzionale”, o nel “modello “non gestionale”)
i contenuti delle sub aree saranno diversi e determinati a livello aziendale, nel rispetto
delle norme regionali, sulla base delle situazioni locali e delle reali possibilità di
integrazione.

Convergente con lo schema generale è anche la sottolineatura che l’Emilia Romagna fa
sulla gestione dei posti letto all’interno del dipartimento e che si riporta per l’interesse del
tema trattato. Dice infatti la delibera dell’Emilia Romagna che: “Ai soli fini programmatori, è
necessario che sia indicata la dotazione di posti letto globale e per singole discipline
confluenti nel dipartimento. La suddivisione dei posti letto per disciplina dovrà comunque
prevedere una flessibilità al fine di favorire il pieno utilizzo ed il rispetto degli standards
(tasso di occupazione, intervallo di turn over) previsti dalla normativa nazionale e
regionale.”

Il nodo della gestione delle risorse è l’aspetto decisivo e caratterizzante del dipartimento e
del livello di integrazione interno fra le unità operative partecipanti.
Il livello di integrazione fra le varie unità operative del dipartimento può variare
notevolmente. Esso dipende dal modello dipartimentale scelto dal legislatore regionale,
dall’orientamento della direzione generale dell’azienda sanitaria e dall’incidenza delle
attività e dei pazienti comuni. “Si può, quindi, avere una struttura dipartimentale molto
integrata ed accentrata con un forte potere decisionale degli organi centrali dipartimentali,
o, all’opposto, una struttura debole, molto decentrata, con un potere decisionale degli
organi di dipartimento limitato ed una grande possibilità di azione indipendente da parte
delle unità operative costituenti” (Bondonio, 1994).
Quasi tutte le regioni, come ci ricorda anche la fig.1, hanno scelto lo schema che abbiamo
illustrato e che prevede la gestione in comune di una quota consistente di risorse e, di
norma, una forte integrazione fra le varie unità operative.
Lo schema illustrato in questo paragrafo è stato sviluppato dall’ASSR, adottato in maniera
esplicita dal Friuli e dalle Marche ma sostanzialmente anche da tutte le altre regioni che
hanno scelto il modello “aziendale” o “partecipativo”.
Una ipotesi diversa è stata invece scelta dalla regione Lazio secondo cui i dipartimenti
sono centri di responsabilità ma non sono necessariamente dotati dell’autonomia
finanziaria della gestione budgetaria. Spetta al direttore generale attribuirla o meno. Il
dipartimento infatti non svolge, di norma, amministrazione attiva e gestione. Siamo - in
questo caso - nel modello che abbiamo definito “non gestionale”, che assegna al
dipartimento funzioni di coordinamento e normalmente non di gestione ma che nessuna
regione ha, finora, descritto nel dettaglio.


6.3. BUDGET DI DIPARTIMENTO E SISTEMI GESTIONALI AZIENDALI

Ciascun dipartimento è dotato di un budget prefissato (Emilia Romagna, Friuli V.G.,
Lombardia, Marche, Piemonte, Veneto, Umbria). “Il bilancio del dipartimento è costituito
sulla base di distinte voci relative ai costi delle risorse umane, tecniche e strutturali
assegnate, nonché ai consumi previsti per beni e servizi, ivi compresi i farmaci,
emoderivati, emocomponenti, presidi, protesi, reattivi, mezzi di contrasto, etc. Dovrà
inoltre comprendere, separatamente, eventuali finanziamenti per programmi e progetti
dipartimentali, per attività di formazione ed aggiornamento, didattiche e di ricerca. (ASSR,
Campania, Umbria)
All’inizio di ogni anno il direttore generale, con riferimento alla pianificazione aziendale,
concorda con i responsabili dei dipartimenti i programmi ed i progetti annuali, compresi
quelli di natura interdipartimentale, assegnando le relative risorse. La direzione del
dipartimento a sua volta, sulla base di tali indicazioni , articola al suo interno il bilancio
assegnato, destinando specifiche risorse alle unità operative, dopo aver concordato con i
rispettivi responsabili, i programmi ed i piani di attività annuali che le singole unità
operative svolgeranno nell’ambito degli obiettivi programmati dal dipartimento.
Le risorse, nel loro complesso, dovranno essere riscontrate in termini di “risultati”,
“prodotti”, ed “obiettivi” raggiunti, a seconda della metodologia adottata e della tipologia di
prestazioni erogate, tenuto conto dei programmi dell’azienda, delle indicazioni regionali e
dei dati epidemiologici di riferimento”. (ASSR, Campania)
Su questi aspetti il Friuli pone specifica attenzione ai seguenti temi che appaioni
particolarmente interessanti ed appropriati:
          la necessità della gradualità nella progressione ed estensione del budget di
            dipartimento;
          Una volta determinati i budget del dipartimento e quello di singola unità
            operativa permane, ovviamente, la responsabilità di ciascuno per la propria
            parte di gestione, uso delle risorse e raggiungimento degli obiettivi previsti;
          il dipartimento è definito autorità sovraordinata rispetto alle unità operative ma
            questo va riferito alla competenza gestionale esclusivamente delle parti
            dipartimentali, “comuni”, che sono quindi non più gestite direttamente dalle
            singole unità operative, ma dal dipartimento “al di sopra e per” le singole unità
            operative. Le funzioni e le responsabilità tecnico-professionali, sia sotto il profilo
            di organizzazione che di gestione, sono sempre in carico ai responsabili di unità
            operative, per le risorse assegnate.
Detto questo sul budget appare particolarmente impegnativa l’affermazione della regione
Lombardia secondo cui “i dipartimenti hanno autonomia organizzativa ed economico-
finanziaria al fine di assicurare le attività istituzionali e gli obiettivi di “budget” concordati
con la Direzione generale”.

La realizzazione dei dipartimenti determina quindi anche una revisione dei sistemi
gestionali dell’azienda che gradualmente dovrà avere sempre più come referente il
dipartimento e sempre meno la singola unità operativa. Questo modifica il modo di
funzionare di tutto l’ospedale e dunque anche dei suoi meccanismi e procedure gestionali.
Per cui il sistema informativo, la pianificazione e il controllo di gestione, il sistema degli

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incentivi e il controllo di qualità dell’azienda, la gestione del budget avranno sempre più
come referente principale il dipartimento.
Tutto questo, ovviamente, comporta, come primo effetto, che ogni dipartimento dovrà
disporre di un supporto tecnico-amministrativo che opererà per il dipartimento e le sue
unità operative. Tale nucleo essenziale di personale, dovrà essere dotato delle necessarie
competenze professionali, per occuparsi soprattutto:
- della segreteria amministrativa del dipartimento;
- del funzionamento degli organi del dipartimento;
- della gestione del sistema informativo di dipartimento.
Anche su questo ultimo aspetto c’è larga convergenza tra le regioni che hanno scelto il
modello “aziendalistico” o “partecipativo”. Si segnala, ma solo a titolo di curiosità, che la
regione Sardegna ha addirittura previsto in ogni dipartimento un ufficio di cassa
economale con il compito di provvedere alle minute spese connesse con la gestione dei
servizi. Il che appare, almeno in questa fase, probabilmente eccessivo.
Tra le regioni che hanno invece scelto il modello “non gestionale”, stanti le minori
competenze del dipartimento, il problema appare meno urgente ed importante tanto che
nessuno lo ha trattato.


6.4. LA GESTIONE DEL PERSONALE INFERMIERISTICO E TECNICO

Diverse regioni (Emilia Romagna, Friuli, Marche ecc.) hanno anticipato la legge nazionale
prevedendo l’istituzione in ogni azienda sanitaria del Servizio infermieristico.
Le funzioni del servizio infermieristico sono quelle della gestione del personale
infermieristico ed ausiliario, della definizione e lo sviluppo di modelli assistenziali, della
verifica e del miglioramento della qualità delle funzioni assistenziali ed alberghiere ed
infine della promozione di iniziative di formazione, aggiornamento e di ricerca.
Seguendo questa logica il Servizio infermieristico viene articolato e sviluppato su livelli
diversificati di responsabilità in funzione delle specificità e delle esigenze delle singole
unità operative, dei dipartimenti e dell’azienda sanitaria.
Di conseguenza, in ogni dipartimento dell’azienda potrà operare un referente
infermieristico - caposala di dipartimento - che, attraverso i caposala assegnati alle unità
operative o al dipartimento dovrà rispondere:
        a) dell’assistenza infermieristica e delle attività domestico alberghiere;
        b) della gestione e dell’allocazione del personale infermieristico, degli operatori
        tecnici dell’assistenza e degli ausiliari;
        c) della verifica della qualità dell’assistenza infermieristica e delle attività domestico
        alberghiere.
Il caposala di dipartimento, individuato dal Direttore generale, sentito il direttore del
dipartimento e il responsabile del servizio infermieristico aziendale, tra caposala che
rispondono a predefiniti ed oggettivi criteri, concorre al raggiungimento degli obiettivi del
dipartimento rapportandosi, per quanto di rispettiva competenza, con il direttore del
dipartimento e con il responsabile del servizio infermieristico della azienda sanitaria.
Analogamente, nei dipartimenti in cui è prevalente la presenza di personale tecnico-
sanitario o ostetrico dovrà essere individuato un responsabile (per esempio “capo tecnico
di dipartimento”) per la gestione di tale personale secondo lo schema precedentemente
individuato per il personale infermieristico.
Tali figure (caposala di dipartimento, capotecnico di dipartimento ecc.), laddove presenti,
qualora non facciano parte della componente elettiva del comitato di dipartimento sono, di
norma, invitate alle riunioni dello stesso, mentre in altri casi (Friuli V.G., Veneto) ne fanno
parte di diritto.
Lo schema illustrato è sostanzialmente condiviso dalle poche regioni che si sono occupate
esplicitamente di questo aspetto: Campania, Friuli, Marche, innanzitutto e poi anche
Emilia Romagna e ASSR.
La Campania però, rispetto al modello esplicitato prevede che sia il Comitato di
dipartimento ad individuare il coordinatore del personale infermieristico ed ausiliario del
dipartimento o di quello del personale tecnico sanitario. La durata dell’incarico è di tre
anni, rinnovabile ma non immediatamente, come il capo dipartimento. Inoltre tali figure
non sono invitate ai lavori del comitato di dipartimento e le loro funzioni vengono
individuate apparentemente con una autonomia più limitata di quella identificata nel
modello di base.
La Regione Umbria invece ha previsto che sia il responsabile/i di gestione del personale
non laureato (servizio infermieristico) a far parte del Consiglio di dipartimento ma questo
può essere complicato se significa che il responsabile del servizio infermieristico partecipa
a tutti i comitati di dipartimetno dell’ospedale.


7.6.5. FORMAZIONE E AGGIORNAMENTO

L’introduzione di nuovi modelli organizzativi richederà una maggior assunzione di
responsabilità gestionali da parte dei professionisti con particolare riguardo ai responsabili
di dipartimento. Sarà necessario a questo proposito avviare percorsi formativi e di
aggiornamento in grado di sviluppare i molteplici aspetti della gestione ed organizzazione
con particolare riferimento alla gestione delle risorse umane, indirizzati ai responsabili dei
dipartimenti e al resto del personale interessato.



7. GLI INCENTIVI ALLA DIPARTIMENTALIZZAZIONE.

Uno degli obiettivi della dipartimentalizzazione è quello di realizzare migliori condizioni di
lavoro e di maggiore efficacia assistenziale e dunque di maggiore soddisfazione del
paziente. Ma anche il sistema premiante in mano alle aziende sanitarie dispone, oggi, di
vari strumenti per incentivare gli operatori. Un gruppo di incentivi è rappresentato dagli
strumenti di partecipazione alla direzione dell’azienda (il collegio di direzione, il consiglio
dei sanitari, le conferenze di dipartimento). Il coinvolgimento e la partecipazione al
governo dell’azienda degli operatori rappresenta un incentivo a lavorare meglio e con
maggiore responsabilizzazione, in un’ottica non più settoriale ma che tenga conto degli
interessi di tutta l’azienda che sono poi gli interessi della comunità assistita.
Un altro gruppo di incentivi sono rappresentati dagli incentivi economici agli operatori. Fra
questi troviamo, per esempio:
a) la retribuzione di posizione per il responsabile del dipartimento, delle unità operative e
dei moduli. Il contratto 1994-1997 prevede infatti (art. 56 e allegato 6) che il responsabile
del dipartimento possa aggiungere al proprio stipendio una retribuzione di posizione che
può oscillare da un minimo di 28 milioni ad un massimo di 70 milioni l’anno. Come è noto
questa disposizione è legata al divieto di esercitare l’attività libero professionale esterna.
Una retribuzione di posizione oscillante fra gli 8 milioni e i 60 milioni spetta anche ai
responsabili dei moduli “con particolare riguardo a quelli che hanno valenza dipartimentale
(art. 56 comma 1 lett. b). Spetta al direttore generale, sulla base della graduazione delle
funzioni dei singoli dirigenti, stabilire l’effettiva entità della retribuzione di posizione
(graduazione della retribuzione di posizione) e la valutazione dei risultati conseguiti dai
singoli dirigenti.

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b) il trattamento accessorio legato alla produttività del personale del comparto dell’area
sanità e alla retribuzione di risultato per i dirigenti.
c) il risultato economico positivo dell’esercizio che può essere destinato all’incentivazione
del personale. Infatti il D. Lgs. 229/1999 (art. 5 c. 5) stabilisce che le regioni debbono
stabilire la destinazione dell’eventuale avanzo di amministrazione. Diverse regioni
(come le Marche per esempio) prevedono già, nella loro normativa, di utilizzare tali risorse
per gli investimenti in conto capitale, per oneri di parte corrente e per eventuali forme di
incentivazione al personale da definire in sede di contrattazione. Occorre che il sistema
premiante scelto a livello di azienda preveda che l’eventuale avanzo di amministrazione
venga redistribuito, secondo le destinazioni della legge, ai dipartimenti che lo hanno
prodotto; solo in questo modo gli operatori si sentiranno responsabilizzati e fortemente
motivati a perseguire costantemente gli obiettivi posti.
Il sistema degli incentivi è         variegato e stimolante. Risulta del tutto evidente che
l’erogazione di questi incentivi dovrà essere saldamente legata alla realizzazione degli
obiettivi del dipartimento.

Su questa parte solo la regione Marche ha fatto una riflessione esplicita ed approfondita.




8. RESPONSABILITA’ E AUTONOMIA DECISIONALE.

La realizzazione dei dipartimenti richiede la definizione dei livelli di responsabilità e di
autonomia relativamente a tre aspetti principali:
      a) la definizione dei livelli decisionali all’interno del dipartimento;
      b) la definizione delle competenze (o sfere decisionali) dell’organo o degli organi
      decisionali del dipartimento;
      c) la definizione dei rapporti tra direzione generale, direzione medica dell’ospedale,
      direzione dei dipartimenti e direzione delle unità operative.


8.1. I LIVELLI DECISIONALI DEL DIPARTIMENTO.

I LIVELLI DECISIONALI
Le regioni italiane, fino a tutto il 1999, hanno previsto che la direzione del dipartimento è
assicurata da:
        a) il direttore (o responsabile) del dipartimento;
        b) il comitato (o consiglio) di dipartimento.
Quasi tutte le regioni hanno previsto tutti e due i livelli decisionali: il direttore del
dipartimento (o coordinatore, o responsabile o Capo) e il comitato di dipartimento (o
consiglio). Sono infatti previsti nelle Regioni Abruzzo, Basilicata, P.A. Bolzano, Campania,
Emilia Romagna, Friuli, Lazio, Lombardia , Marche, Molise, Sicilia, Umbria , Valle d’Aosta,
Veneto, e dall’ASSR. La regione Sicilia non ha ancora definito la composizione del
Comitato.
Ma ci sono anche le regioni in cui il comitato non è stato previsto esplicitamente come in
Piemonte, Sardegna e Toscana.
Quando poi aggiungiamo le funzioni che i due livelli decisionali devono svolgere
registriamo una ulteriore diversificazione: nel gruppo che affida le funzioni decisionali al
direttore troviamo 8 regioni – Basilicata, Emilia Romagna , Friuli V.G., Lombardia,
Piemonte, Puglia, Veneto e Toscana appartenenti al modello “aziendale” e 2 regioni -
Lazio e Sardegna - appartenenti al modello “non gestionale” mentre nel gruppo che
affida i compiti deliberanti al Comitato troviamo sette regioni - Abruzzo, P.A. Bolzano,
Campania, Marche, Molise, Sicilia e Umbria - più l’ASSR (modello “partecipativo”) (cfr.
fig. 1).
Tutti gli schemi sono validi. Noi preferiamo lo schema che affida le competenze
deliberative al comitato di dipartimento. Siamo giunti a questa conclusione dopo una
analisi     dei motivi che hanno impedito la realizzazione dei dipartimenti sino ad oggi.
Ebbene, se la dipartimentalizzazione, nel passato, non è partita una delle resistenze - una
delle più forti - è sempre venuta dalle unità operative e dai responsabili delle stesse che
temevano di perdere irrimediabilmente la propria autonomia all’interno del dipartimento
affidato ad un terzo soggetto. La soluzione che abbiamo trovato per superare questa
preoccupazione che          produce ostacoli consistenti alla dipartimentalizzazione è stata
quella della “responsabilizzazione” e “partecipazione”. Ogni responsabile di unità operativa
è membro del comitato di dipartimento ed è questo - e non il direttore - l’organismo che
assume le decisioni del comitato. In questo caso ognuno si sente soggetto protagonista
della nuova organizzazione, responsabilizzato in modo pari agli altri e senza alcun
interesse ad estraniarsi dal progetto dipartimentale. Inolte si abitua a discutere con gli altri
dei problemi del dipartimento sperimentando anche sul fronte amministrativo quella
integrazione e collaborazione sanitaria interdisciplinare indispensabile per migliorare
l’efficacia e la qualità dell’assistenza.

Il recente D. Lgs. 229/1999 ha previsto esplicitamente sia il direttore di dipartimento che
il Comitato di dipartimento cosa che invece la precedente normativa non faceva. Questo
comporta che le regioni che non hanno previsto il Comitato , e fra queste sicuramente il
Piemonte, la Sardegna e la Toscana, provvedano ad inserirlo tra gli organi del
dipartimento.


IL COMITATO DI DIPARTIMENTO
Uno dei modelli prevede che il comitato di dipartimento sia composto:
a) dai responsabili di tutte le unità operative appartenenti al dipartimento;
b) da una rappresentanza dei dirigenti di primo livello eletta fra gli stessi, secondo quanto
previsto dal regolamento di organizzazione dell’azienda;
c) da un rappresentante del personale tecnico e sanitario non medico eletto fra gli stessi.
Le nuove figure di caposala di dipartimento, di coordinatore dei tecnici di dipartimento,
ecc. laddove presenti, qualora non facciano parte della componente di diritto (Friuli VG,
Veneto) o elettiva del comitato di dipartimento sono, di norma, invitate alle riunioni dello
stesso (Marche).
Nella composizione del comitato di dipartimento riteniamo che si debbano seguire i
seguenti principi. Innanzitutto occorre pensare ad un comitato rappresentativo ma con un
numero di membri assai contenuto in modo tale che possa mantenere l’agilità necessaria
per un organo che deve assumere degli orientamenti o delle decisioni.
Riteniamo che inserire automaticamente tutti i responsabili dei moduli (proposto per
esempio dalla ASSR) squilibri fortemente la composizione del comitato direttivo. Inserirli
significherebbe ribaltare completamente gli equilibri gerarchici all’interno del dipartimento e
comprometterebbe la realizzazione e il funzionamento dei dipartimenti stessi.
Ciononostante riteniamo che una rappresentanza dei dirigenti di 1° livello debba far parte
del comitato di dipartimento. Non possiamo quantificarla perché non sarà dappertutto
uguale visto che i dipartimenti saranno assai diversi. In un dipartimento formato da due
unità operative difficile pensare a più di un rappresentante dei dirigenti di 1° livello nel
comitato di dipartimento. Mentre in un dipartimento formato, per esempio, da 6 unità
operative i rappresentanti possono essere di più. Spetterà all’azienda stabilirne il numero
tenendo conto delle singole realtà, delle caratteristiche del dipartimento e dei rapporti fra
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I dipartimenti ospedalieri nelle regioni italiane

  • 1. I DIPARTIMENTI OSPEDALIERI NELLE REGIONI ITALIANE . FRANCO PESARESI 2000 [ P A P E R P U B B L I C A T O1. C I T A R E L A F O N T E ]
  • 2. I DIPARTIMENTI OSPEDALIERI NELLE REGIONI ITALIANE. 1. I MODELLI DI DIPARTIMENTO. La carenza di esperienze forti e diffuse di dipartimento ha fatto sì che le regioni italiane interpretassero l’organizzazione dipartimentale in modo assai diverso l’una dall’altra. Non c’è un solo schema organizzativo che coincida con quello di un’altra regione. Una descrizione non guidata dei vari modelli può portare ad una sterile e confusa elencazione delle varie strade scelte a livello regionale. Per questo prima di iniziare un percorso analitico di valutazione si ritiene utile anticipare uno schema classificatorio di riferimento dei modelli dipartimentali che serva come punto di riferimento costante per affrontare i tanti aspetti relativi alla organizzazione dipartimentale. Per arrivare a questo primo risultato abbiamo dovuto stabilire - fra i tanti - gli elementi caratterizzanti i modelli dipartimentali che, a nostro avviso, sono due:  la potestà del dipartimento rispetto alle risorse , con le due ipotesi di gestione diretta delle risorse o, in alternativa, di semplice coordinamento delle attività delle varie unità operative afferenti;  l’identificazione del livello decisionale , con le due ipotesi di potestà decisionale affidata al capo dipartimento o al comitato di dipartimento. La fig.1 evidenzia che, con queste premesse, i modelli di dipartimento prescelti dalle regioni italiane sono 3: 1. il modello che potremmo definire “aziendale” in cui una serie di risorse sono in comune e il dipartimento gestisce direttamente le risorse ad esso assegnate attraverso decisioni assunte dal capo dipartimento; 2. un modello che potremmo definire “partecipativo” in cui il dipartimento - come il precedente - gestisce direttamente le risorse ad esso assegnate attraverso decisioni assunte dal Comitato di dipartimento; 3. un modello che potremmo definire “non gestionale” in cui il dipartimento non gestisce direttamente le risorse ma coordina blandamente, attraverso il capo dipartimento, l’attività delle singole unità operative afferenti. Abbiamo voluto anticipare questa classificazione, che più correttamente avrebbe dovuto collocarsi alla fine di questo capitolo, perché questo schema, seguendoci nell’esposizione, possa aiutarci a collocare e a comprendere le varie differenze e le migliori ipotesi organizzative. Il compito di questo lavoro è quello di presentare il quadro normativo dei dipartimenti ospedalieri nelle varie regioni italiane occupandosi pertanto solo dei modelli organizzativi già approvati dalle regioni italiane con l'unica aggiunta della proposta sui dipartimenti della Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali (ASSR) del Ministero della Sanità sia per l'autorevolezza della proposta che per l'influenza che ha avuto nel panorama regionale. 2
  • 3. Tav.1 - I PRINC IPAL I MOD ELLI DI DIPARTIM ENTO Fai cl ic per dig itar e il t esto del MODELLI corpo DIPARTIMENTALI RISOR SE IN COORDINAM ENT COMUNE OATTIV ITA Õ Marche-Veneto-Friuli-Pie m.- Valle -dÕAosta Pugl ia - Sicilia - Bas ilicata - Mol ise - Sardeg na - Toscana-Ca mpa nia- E.Ro mag.- Lo mb.- ASSR Lazio DECIDE DECIDE DECIDE DIRETTORCOMITA TO E DIRETTOR E MODELLO MOD. Friuli,Ve:neto, Pie m., P ugliCOLLABORATIV A ZIENDA LE MODELLO a, Campa nia Molise, Marche, Sicil ia, Romag .,Lo mb.,Basi lic.,Tosca O:Sardeg na PARTEC IPATIV Lazio, E. O: n ASSR Fig.1 - I PRINCIPALI MODELLI DIPARTIMENTALI DELLE REGIONI ITALIANE. MODELLI DIPARTIMENTALI RISORSE IN COMUNE COORDINAMENTO ATTIVITA' RISORSE NON IN COMUNE ASSR – Bolzano - Abruzzo - Basilicata – Campania - E. Romagna - Friuli V.G. - Lombardia - Marche - Lazio - Sardegna Molise - Piemonte - Puglia - Sicilia - Veneto - Toscana – Umbria – Valle d’Aosta DECIDE DECIDE COMITATO DECIDE DIRETTORE DIRETTORE MODELLO AZIENDALE MODELLO MODELLO Basilicata - E. PARTECIPATIVO NON GESTIONALE Romagna - Friuli ASSR – Bolzano Lazio - Sardegna V.G. - Lombardia - Abruzzo - Campania - Piemonte - Puglia – Marche - Molise - Sicilia - Veneto - Umbria – Valle d’Aosta Toscana
  • 4. 2. LA DEFINIZIONE. Il D. Lgsl. 229/1999 ci ricorda che "l'organizzazione dipartimentale è il modello ordinario di gestione operativa di tutte le attività delle aziende sanitarie" e quindi anche dell'ospedale. Ma che cosa sono i dipartimenti? La definizione migliore l’ha data l’ASSR poi ripresa quasi integralmente dalle leggi delle regioni Marche , Abruzzo, Molise , P.A di Bolzano , Umbria e in buona parte anche dalla Basilicata: “Il dipartimento è costituito da unità operative omogenee, affini o complementari, che perseguono comuni finalità e sono tra loro interdipendenti, pur conservando un’autonomia funzionale in ordine alle patologie di competenza professionale. Le unità operative costituenti il dipartimento sono aggregate in una specifica tipologia organizzativa e gestionale, volta a dare risposte unitarie, tempestive, razionali e complete rispetto ai compiti assegnati e a tal fine adottano regole condivise di comportamento assistenziale, didattico, di ricerca, etico, medico-legale ed economico”. La Regione Campania riprende sostanzialmente la stessa formulazione a cui però aggiunge che “All’interno del dipartimento, le unità operative sono aggregate non solo funzionalmente ma anche fisicamente, in modo da consentire la gestione comune dei posti letto e delle risorse umane, tecniche ed economiche”. Si tratta di formulazioni complete e flessibili. Definiscono sinteticamente la composizione del dipartimento, le finalità generali, gli spazi di autonomia e i comportamenti da seguire e nello stesso tempo è flessibile perché si può adattare ai vari tipi di dipartimento che in una regione si possono realizzare. Molto interessante risulta anche la definizione della regione Friuli. Secondo questa regione il dipartimento è una struttura organizzativa verticale interna all’organizzazione ospedaliera, dotata di autorità e responsabilità per quanto attiene il coordinamento delle unità operative di specialità, il perseguimento degli obiettivi prestazionali (sia in termini qualitativi che quantitativi) e l’utilizzo integrato delle risorse assegnate (personale, beni e servizi, attrezzature e spazi). La Lombardia nella definizione di dipartimento punta esplicitamente all’obiettivo della razionalizzazione nell’uso delle risorse. Infatti in Lombardia “il dipartimento raggruppa unità operative omogenee, complementari ed affini ed è finalizzato alla razionalizzazione dell’uso delle risorse disponibili presso le diverse unità operative ad esso afferenti (...)”. “Il dipartimento si configura come struttura sovraordinata, ai fini organizzativi, rispetto alle unità operative". La Regione Umbria, con la definizione del dipartimento, punta invece sulla integrazione organizzativa al fine di migliorare la qualità delle prestazioni che infatti recita: “Il dipartimento ospedaliero è una struttura per l’integrazione organizzativa delle funzioni di unità operative e servizi affini e/o complementari finalizzata al miglioramento della qualità assistenziale.” Non sono molte le altre regioni che hanno voluto dare una definizione del dipartimento; fra queste, quella che senz’altro ha fatto più discutere è quella dell’Emilia Romagna che definisce il dipartimento (D.G.R. 1454/97) come “l’unità organizzativa di base, che aggrega una pluralità di discipline e di funzioni assistenziali tra loro affini o complementari, ne assicura la gestione unitaria al fine di integrare le competenze presenti, ottimizzando la qualità dell’assistenza e l’utilizzo delle risorse complessivamente assegnate. Il dipartimento è cioé un macroaggregato di aree affini e/o complementari, comprende di norma aree a diversa complessità assistenziale (intensiva, per acuti, per lungodegenti, post-acuzie ecc.), che superando l’attuale organizzazione , favorisce l’interdisciplinarietà, per garantire il reciproco scambio di competenze, professionalità, risorse delle unità operative, al fine di favorire la ricerca di efficacia ed efficienza, oltre che maggiormente qualificare sia l’intervento in sé che la soddisfazione-percezione dell’utente”. Ciò che 4
  • 5. colpisce in questa definizione è che non è più l’unità operativa (divisione o servizio) ma il dipartimento a rappresentare “l’unità organizzativa di base, che aggrega una pluralità di discipline e di funzioni assistenziali tra loro affini o complementari...”. Molti hanno interpretato questo passaggio con la volontà regionale di prefigurare il superamento tendenziale delle attuali divisioni e servizi e la loro sostituzione con il dipartimento (la nuova unità organizzativa di base) che però accoglie al suo interno una pluralità di discipline. In effetti le linee guida dell’Emilia Romagna prevedono il passaggio ad un nuovo ordinamento fondato sul modello dipartimentale che richiede il superamento della organizzazione degli ospedali in divisioni, sezioni e servizi e la definizione di una diversa struttura organizzativa delle attività. Si tratta di una concezione più spinta di altri ma probabilmente, in una realtà come quella italiana che non è riuscita ancora a sperimentare e diffondere i dipartimenti più tradizionali, difficile da realizzare in questa fase. Di segno completamente diverso è invece la definizione scelta dalla Valle d’Aosta secondo cui “il dipartimento va considerato come l’insieme di unità operative che mantengono la loro autonomia, indipendenza e responsabilità, ma che riconoscono la propria interdipendenza funzionale adottando un comune codice di comportamento clinico- assistenziale” che sembra far riferimento ad un modello come quello “non gestionale” con scarse implicazioni gestionali. Altre regioni si sbizzarriscono a definire il dipartimento come “struttura funzionale tecnico- operativa che comprende unità operative” (Molise), “una federazione di unità operative” (Piemonte), fino ad arrivare al Lazio che lo definisce, non più una aggregazione di unità operative ma degli “aggregati di funzioni di area omogenea” (di difficile interpretazione). Parlando di definizioni un discorso a parte dobbiamo dedicarlo alla Toscana. Questa regione ha previsto una organizzazione ospedaliera sostanzialmente assimilabile a quella di altre regioni ma utilizzando una terminologia originale che, se non spiegata, rischia di provocare non pochi equivoci. Volendo semplificare per facilitare l’approccio al modello organizzativo possiamo dire che la Toscana ha chiamato: - “aree funzionali” ciò che le altre regioni hanno chiamato dipartimenti strutturali; - “dipartimenti di coordinamento tecnico” ciò che le altre regioni hanno chiamato dipartimenti funzionali; - “unità operativa o professionale” ciò che le altre regioni hanno chiamato unità operativa; - “sezione” ciò che le altre regioni hanno chiamato moduli; - “struttura organizzativa professionale” quella terminologia che contiene le unità operative o professionali e le sezioni. 3. LE FINALITA’ DEL DIPARTIMENTO. Le finalità del dipartimento sono: a) la gestione in comune del personale non medico; b) l’utilizzo in comune degli spazi, delle attrezzature e della tecnologia; c) il miglioramento dell’efficienza e l’integrazione delle attività delle strutture del dipartimento per raggiungere il miglior servizio al costo più contenuto; d) il coordinamento e lo sviluppo delle attività cliniche, di ricerca e di studio delle strutture del dipartimento; e) il miglioramento del livello di umanizzazione dell’assistenza erogata all’interno delle strutture del dipartimento; f) la sperimentazione e l’adozione di tutte le modalità organizzative che, a parità di qualità di risultati ottenuti alla salute dell’utente, permettono un soggiorno più breve dell’utente stesso in ospedale;
  • 6. g) il miglioramento della qualità dell’assistenza erogata. Questo è probabilmente l’orientamento più equilibrato e completo ed è sicuramente anche il più diffuso essendo stato sostanzialmente adottato dal Veneto, dalle Marche, dal Friuli dalla Sicilia, dall'Abruzzo, dalla Campania , dall’Umbria e dall’ASSR e a cui possiamo forse aggiungere un gruppo composto da altre tre regioni (Piemonte, Puglia e Basilicata) che nelle loro finalità hanno sostituito la “gestione in comune delle risorse” con “la gestione integrata degli spazi e delle risorse umane e tecnologiche, anche attraverso la gestione della mobilità interna del personale” che verosimilmente dovrebbe comportare qualche cosa di simile alla prima terminologia. Tra queste regioni si segnala la Regione Campania che ha previsto esplicitamente che il dipartimento abbia anche la finalità dello studio, dell’applicazione e della verifica di linee guida cliniche per rendere omogenei ed uniformi i percorsi diagnostico -terapeutici. Per l’Emilia Romagna invece obiettivo finale dell’innovazione dipartimentale “dovrà essere la ricerca di miglioramento della qualità assistenziale (efficacia clinica, continuità del percorso assistenziale, soddisfazione del cittadino) congiuntamente agli aspetti di economia e di efficienza gestionale” a cui si aggiungono delle particolari sottolineature per quel che riguarda il lavoro interdisciplinare. L’assistenza dovrà essere garantita attraverso l’individuazione e il coordinamento delle prestazioni che si rendono necessarie nell’ambito dell’approccio globale al paziente, per mezzo delle seguenti attività: prevenzione, preospedalizzazione, attività ambulatoriale, day hospital, day surgery, ricovero ordinario, organizzazione e responsabilità dei trasferimenti interni e del follow up; riabilitazione, dimissione protetta, ospedalizzazione a domicilio. La formazione e l’aggiornamento del personale operante nell’ambito delle differenti unità operative, trova nel dipartimento la sede idonea al suo svolgimento in quanto consente una concentrazione maggiore di iniziative ed esperienze al riguardo. La formazione e l’aggiornamento devono perseguire specifici obiettivi, devono avere carattere continuativo e devono essere soggette a valutazione periodica. La didattica è rivolta alle figure professionali infermieristiche, tecniche e della riabilitazione, nell’ambito dei rispettivi diplomi universitari, nonché agli specializzandi, nel quadro dei protocolli di intesa Regione/Università. La ricerca deve essere orientata al raggiungimento degli obiettivi propri della istituzione e quindi affidati ai dipartimenti, attraverso il coordinamento delle iniziative più significative e la attivazione dei necessari collegamenti con altre istituzioni. Il dipartimento contribuisce alla promozione e diffusione dell’educazione alla salute, istituendo una serie di iniziative, indirizzate al singolo paziente o in collaborazione con enti ed istituzioni diverse, riguardanti specifiche tematiche identificate come prioritarie rispetto agli obiettivi e mirate alle tipologie dei pazienti assistiti nell’ambito del dipartimento.( ASSR, Campania) Le attività del dipartimento possono, in particolare, essere ricondotte a: a) L’utilizzazione ottimale degli spazi assistenziali, del personale e delle apparecchiature, che deve essere finalizzata ad una migliore gestione delle risorse a disposizione al fine di consentire una più completa assistenza al malato unitamente ad una razionalizzazione dei costi; b) il coordinamento con le relative attività extraospedaliere per una integrazione dei servizi dipartimentali con quelli del territorio ed in particolare con i distretti e con i medici e pediatri di base al fine di garantire ai malati la continuità assistenziale; c) lo studio, l’applicazione e la verifica di metodologie (linee guida) per conferire la maggiore possibile omogeneità alle procedure organizzative assistenziali e di utilizzo delle apparecchiature; d) lo studio e l’applicazione di sistemi integrati di gestione, anche attraverso il collegamento informatico all’interno del dipartimento e tra dipartimenti, allo scopo di 6
  • 7. consentire l’interscambio di informazioni ed immagini, nonché l’archiviazione unificata e centralizzata dei dati, nonché l’utilizzazione della telematica secondo gli sviluppi che la tecnologia nel tempo consentirà; e) l’individuazione e la promozione di nuove attività o di nuovi modelli operativi nello specifico campo di competenza; f) la gestione del bilancio assegnato al dipartimento; g) l’organizzazione della attività libero-professionale, intesa come interesse convergente del paziente (libera scelta), del medico e dell’azienda; h) la valutazione e la verifica della qualità dell’assistenza fornita, che dovrà essere assicurata adottando metodiche diverse quali, tra le altre, la VRQ o il Medical Audit; quest’ultimo finalizzato all’esame collegiale delle informazioni ottenute dall’esperienza professionale e/o dalle cartelle cliniche allo scopo di: - valutare l’assistenza fornita ai pazienti; - verificare le procedure ed i risultati ottenuti; - migliorare le proprie conoscenze; - ottimizzare, in modo razionale, l’utilizzo delle risorse disponibili.(ASSR) 4. LA CLASSIFICAZIONE DEI DIPARTIMENTI. I dipartimenti sono classificati in base alla tipologia delle unità operative che ne fanno parte. Si identificano innanzitutto due grandi categorie di dipartimenti che coinvolgono le unità operative ospedaliere: - il dipartimento ospedaliero aziendale, che aggrega unità operative di una stessa azienda sanitaria; - il dipartimento interaziendale, che coinvolge unità operative di più aziende sanitarie. Il dipartimento aziendale può essere: - ospedaliero, quando aggrega esclusivamente unità operative dell’ospedale; - transmurale, quando aggrega e coordina unità operative ospedaliere e territoriali; - ad attività integrata, quando aggrega unità operative ospedaliere insieme ad unità operative universitarie convenzionate. Il dipartimento interaziendale può essere: - gestionale (o tecnico-gestionale) che ha l’obiettivo della gestione integrata di attività assistenziali appartenenti ad aziende sanitarie diverse; - tecnico-scientifico, che è invece caratterizzato da una bassa o irrilevante formalizzazione operativa e gestionale ma con un ruolo alto di “authority”, con funzioni di indirizzo professionale e culturale e di governo “tecnico” di determinati settori o discipline sanitarie. Lo schema classificatorio proposto è quello delle Marche, unica regione, insieme al Friuli, che si è preoccupata di classificare in maniera esplicita i dipartimenti. Nella regione Friuli Venezia Giulia, vengono “individuate due tipologie di dipartimento: - il dipartimento orizzontale o dipartimento per obiettivi, costituito da unità operative appartenenti a diversi dipartimenti verticali ed anche a aziende diverse, con funzioni di coordinamento (ed integrazione sotto il profilo tecnico funzionale ed operativo) e non necessariamente permanente” (che non vengono per ora disciplinati); - il dipartimento verticale, definito come struttura organizzativa permanente interna agli ospedali, con autorità sovraordinata rispetto alle unità operative che
  • 8. la compongono, centro di responsabilità e budget sia per quanto concerne le performance di attività che il consumo di risorse”. Occorre sottolineare che le classificazioni delle due regioni non sono alternative ma che anzi hanno notevoli punti di contatto dato che la stessa classificazione si può, in buona parte, assimilare alla distinzione fra dipartimento interaziendale (non gestionale) e aziendale già proposti . Anche la regione Umbria si inserisce in questo filone prevedendo però solo i seguenti dipartimenti aziendali: a) transmurali; b) disciplinari (assimilabili a quelli che abbiamo definito dipartimenti ospedalieri); c) misti. La regione Toscana infine propone - con la terminologia che abbiamo già visto - aree funzionali con compiti gestionali che aggregano più unità operative e dipartimenti di coordinamento tecnico finalizzati a garantire l’omogeneità delle procedure seguite che possono essere aziendali (riconducibili ai dipartimenti funzionali) ed interaziendali. I dipartimenti di coordinamento tecnico non sono obbligatori, sono delle semplici possibilità per le aziende sanitarie e servono ad assicurare l’ottimizzazione delle risorse disponibili e la continuità del percorso assistenziale ma soprattutto per garantire l’omogeneità delle procedure operative e l’integrazione tra le prestazioni erogate in regimi diversi. Le aziende ospedaliere organizzano la produzione e l’erogazione delle prestazioni assistenziali attraverso le aree funzionali di professionalità omogenea. Per avviare la realizzazione dei dipartimenti occorre affrontare una serie di importanti nodi relativi alla progettazione e alla gestione degli stessi. Gli aspetti principali sono relativi alla: a) definizione dei criteri per l’aggregazione delle unità operative nei dipartimenti; b) definizione delle modalità organizzative e di integrazione fra le unità operative del dipartimento; c) definizione del livello di responsabilità e di autonomia decisionale del dipartimento. I successivi paragrafi si occupano delle disposizioni relative al dipartimento aziendale e alle sue varie tipologie riservando al paragrafo specifico la trattazione degli indirizzi relativi al dipartimento interaziendale. 5. L’AGGREGAZIONE DELLE UNITA’ OPERATIVE. 5.1. IL DIPARTIMENTO STRUTTURALE E IL DIPARTIMENTO FUNZIONALE Le unità operative che costituiscono il dipartimento, in condizioni ottimali, dovrebbero essere aggregate funzionalmente e fisicamente (collocazione delle unità operative nella stessa area ospedaliera) in modo da poter essere finalizzate e da favorire la gestione in comune delle risorse umane, degli spazi, delle risorse tecnico-strumentali ed economiche assegnate. Ciononostante l’aggregazione fisica, tenendo conto delle varie situazioni ospedaliere e degli obiettivi aziendali, in alcune situazioni non è sempre possibile. Per questo l’organizzazione dipartimentale, in alcune situazioni, può realizzarsi anche e solo con l’aggregazione funzionale delle unità operative del dipartimento che condividono obiettivi comuni. Nel primo caso avremo un dipartimento strutturale (o gestionale) mentre nel secondo caso avremo un dipartimento funzionale o per obiettivi. Questo schema è stato scelto dall’ASSR e dalle regioni Abruzzo, Basilicata, Campania, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sicilia , Veneto , e dalla P.A. di Bolzano. Si segnala in particolare la Sicilia che ha previsto le due tipologie caratterizzandole in questo modo: 8
  • 9. - Dipartimenti strutturali: che rappresentano il cui obiettivo principale è l’uso efficiente/ottimale delle risorse, con autorità sovraordinata rispetto alle unità operative o servizi che la compongono; - Dipartimenti funzionali: che coinvolgono “orizzontalmente” le unità operative ed hanno come obiettivo principale e diretto l’ottimizzazione delle procedure operative destinate al raggiungimento di un obiettivo ovvero delle pratiche assistenziali destinate a categorie di pazienti o a quadri clinici specifici ed altres’ servono a massimizzare l’efficacia e la qualità della prestazione. Occorre quì specificare che il gruppo di regioni sopra indicato, nel scegliere questo schema, ha spesso espresso una netta preferenza per il dipartimento strutturale ma senza escludere, in determinate situazioni, di realizzare dei dipartimenti funzionali. Probabilmente assimilabile al modello precedente, ma più generico, quello della Lombardia che si limita ad affermare che il dipartimento può interessare uno o più presidi ospedalieri. L’esatto opposto di quanto previsto dalla regione Lazio (modello “non gestionale”) che ha affermato innanzitutto che “Il dipartimento non svolge, di norma, amministrazione attiva e gestione” e quindi, implicitamente, privilegiando la possibilità di realizzare dipartimenti funzionali. Infatti la regione Lazio quando poi va ad elencare le varie tipologie di dipartimento ne prevede tre su quattro (dipartimento per funzione, dipartimento d’organo e dipartimento a progetto) di tipo funzionale e quindi la gran parte ed uno “strutturale” che è residuale, ma possibile. 5.2. CRITERI PER L’AGGREGAZIONE. Le varie definizioni di dipartimento ci ricordano che lo stesso deve necessariamente comprendere “più unità operative”. Altro punto fermo condiviso da tutte le regioni, escluso il Molise, è che ogni unità operativa può partecipare ad un solo dipartimento aziendale (altra cosa è invece la ulteriore partecipazione ai dipartimenti interaziendali). Uno dei problemi principali che occorre affrontare quando si vogliono realizzare i dipartimenti è proprio quello di stabilire i criteri per la scelta dei dipartimenti da attivare e per l’aggregazione delle varie unità operative negli stessi. I criteri possono essere assai diversi. Abbiamo per esempio: - l’aggregazione che tiene conto della appartenenza delle unità operative alle aree funzionali omogenee (es. dipart. di medicina, dip. di riabilitazione e lungodegenza, dip. materno infantile ecc.); - l’aggregazione che tiene conto dell’età degli assistiti (es. dip. di geriatria); - l’aggregazione che tiene conto delle parti del corpo o di organi curati (es. dip. del cuore, dip. di neurologia e neurochirurgia ecc.); - l’aggregazione che tiene conto di malattie con cause e meccanismi operativi particolari (es. dip. di salute mentale, dip. di oncologia ecc.); - l’aggregazione che tiene conto del momento di intervento sanitario (dip. di emergenza, dip. di riabilitazione); - l’aggregazione che tiene conto degli obiettivi strategici dell’azienda (se ad esempio un’azienda sanitaria ha fra gli obiettivi strategici lo sviluppo dei trapianti allora in questo caso può essere più utile il dipartimento d’organo ecc.); - l’aggregazione che tiene conto delle “risorse guida” e cioé di quelle risorse la cui adeguata gestione dà maggiori probabilità di conseguire gli obiettivi di efficienza posti (es. dip. tecnolgie pesanti, dip. chirurgico). In realtà non esiste un criterio di aggregazione unico che consente di risolvere tutti i problemi di relazione fra le varie unità operative e i dipartimenti anche tenendo conto delle differenziate situazioni locali. Occorre pertanto fare delle scelte ed in particolare occorre
  • 10. scegliere quali relazioni privilegiare con una integrazione dipartimentale ed eventualmente quali regole rispettare. Su questo aspetto le Regioni italiane hanno previsto una serie assai numerosa di variabili ma sostanzialmente riconducibili a due possibilità: 1. una consistente flessibilità lasciata alle singole aziende nella aggregazione delle unità operative; 2. una scarsa o nulla flessibilità lasciata alle singole aziende nella aggregazione delle unità operative. La nostra scelta è senz’altro la prima. Quella della flessibilità. A nostro avviso, nella ipotesi di aggregazione, occorrerrà tener conto dei seguenti elementi: a) degli obiettivi strategici dell’azienda sanitaria; b) del maggior livello di interdipendenza tecnica fra alcune unità operative; c) della realtà (unità operative, struttura edilizia ecc.) presente all’interno dell’ospedale. Inoltre nelle aziende USL che gestiscono più strutture ospedaliere funzionalmente accorpate in un unico presidio l’organizzazione dipartimentale va riferita all’intero complesso di stabilimenti costituenti il Presidio, con la possibilità di aggregare le unità operative e i moduli dislocati nei diversi stabilimenti, potendosi così prevedere per l’articolazione delle unità operative la presenza di moduli delle medesime anche in stabilimenti diversi dalla loro sede. Nel complesso dunque si preferisce una normativa flessibile che permetta alle aziende sanitarie di aggregare le unità operative con ampia discrezionalità “in funzione delle unità operative presenti nei singoli ospedali e degli obiettivi che queste debbono conseguire”. Questa, così indicata, è la strada proposta dall’ASSR e seguita dalla regione Marche, dal Molise, dall’Umbria, dalla regione Campania (aggregazioni in base agli obiettivi aziendali tenendo conto delle unità operative presenti) e, in modo più blando , dal Friuli. La Sicilia propone grandi dipartimenti (dip. Di medicina, dip. Di chirurgia, dip. Di servizi, ecc.) miranti, con obiettivi comuni, all’integrazione ed omogeneizzazione delle discipline equipollenti ed affini, ed integrando negli stessi, il maggior numero di unità operative (che conservano la propria autonomia). Ma la via della flessibilità, per la verità, è stata seguita, seppur con formulazioni diverse, dalla grande maggioranza delle regioni. Con orientamenti assai più rigidi, e cioè con la identificazione di criteri vincolanti e, in qualche caso, dettagliati di aggregazione troviamo invece la Puglia, e la Valle d'Aosta (cfr. tab.1). Quest'ultima, per esempio, ha definito nel dettaglio e, in qualche caso, anche curiosamente la composizione dei dipartimenti. A questo proposito val la pena di segnalare che in Valle d'Aosta il dipartimento anestesiologico è composto da 1) anestesia e rianimazione e 2) anestesia e terapia intensiva mentre il dipartimento di riabilitazione annovera: 1) l’u.o. di recupero e rieducazione funzionale, 2) l’u.o. di otorinolaringoiatria, 3) l’u.o. di neurologia, 4) l’u.o. di ortopedia e traumatologia, 5) l’u.o. di geriatria, 6) il modulo organizzativo di neuropsichiatria infantile, 7) e il settore assistenza di base (territoriale). Assai più singolare è l'organizzazione dei dipartimenti prevista dalla regione Sardegna , tanto singolare da non rientrare neanche nella classificazione della tab.1. La Sardegna distingue l’azienda USL dalla azienda ospedaliera. Nella azienda USL viene previsto un solo dipartimento per tutta l’attività sanitaria ospedaliera ed extra-ospedaliera denominato “il dipartimento di prevenzione ed il dipartimento di diagnosi, cura e riabilitazione.” All’interno di tale dipartimento c’é tutto dal medico di base all’ospedale. Le aziende ospedaliere invece sono organizzate in dipartimenti ma i criteri generali per la loro individuazione saranno determinati dal piano sanitario regionale. Ma c’è grande 10
  • 11. confusione perché in altra parte della legge si dice che anche gli ospedali non aziendalizzati saranno organizzati in dipartimenti. I criteri di aggregazione delle unità operative non possono essere sottovalutati come è evidentemente accaduto in queste due ultime regioni perché dalle scelte che le regioni fanno in questo campo possono derivare il successo o il fallimento dei dipartimenti. La flessibilità è d’obbligo; esistono troppe diversità fra ospedale e ospedale, obiettivi anche diversi fra azienda e azienda perché si possa stabilire con legge le regole vinvolanti di aggregazione. La scelta di alcune regioni di stabilire certi obblighi di aggregazione per unità operative omologhe o appartenenti alla stessa area omogenea rappresentano dei vincoli che ostacolano la realizzazione e il corretto funzionamento dei dipartimenti, espropriando le aziende della loro autonomia organizzativa e in qualche caso rappresentando dei veri e propri errori tecnici (per esempio impedendo ad una lungodegenza (AFO lungodegenza e riabilitazione) di aggregarsi ad una medicina (AFO medica) che costituiscono operazioni in genere possibili e normali. Infine, appare ben poco credibile, dal punto di vista dell’efficienza e dell’efficacia organizzativa, l’ipotesi di un unico dipartimento che coinvolga un intero ospedale o addirittura una intera azienda sanitaria o che rinvii sine die la definizione dei criteri per la costituzione dei dipartimenti. Ipotesi queste concepite più probabilmente per evitare la vera realizzazione dei dipartimenti ospedalieri. I criteri di aggregazione potrebbero cambiare in futuro dato che il D. Lgs. 229/1999 prevede che l'atto di indirizzo e coordinamento che il Governo deve emanare per la definizione degli ulteriori requisiti per l'accreditamento delle strutture sanitarie provveda ad individuare l'organizzazione dipartimentale minima in base alle risorse umane, tecnologiche e finanziarie nonché al grado di autonomia finanziaria e alla complessità dell'organizzazione interna
  • 12. Tab. 1 – Regioni italiane: criteri di aggregazione dipartimentale delle unità operative. CRITERI DI AGGREGAZIONE SCHEMA REGIONE FriuliV.G., 1. obiettivi strategici dell’azienda: Marche, 2. maggior livello di interdipendenza tecnica fra le unità operative; 3. la realtà ospedaliera presente. Molise,Assr Umbria Basilicata, In base a tipo e modalità dell’attività svolta Sicilia Campania in base agli obiettivi aziendali e alle unità operative presenti ma con previsione almeno del DEA, il dipartimento di medicina generale e specialistica, il dipartimento di chirurgia generale e specialistica, il dipartimento materno infantile. Emilia Identificate diverse tipologie a cui le aziende sanitarie potranno liberamente far Romagna riferimento: a) per area omogenea; b) in base alla risorsa critica utilizzata; c) per tipologia di utente; d) per organo. Lazio Oltre ai dipartimenti identificati dalle nome vigenti, con cautela si possono identificare anche altri dipartimenti. F Lombardia I criteri di aggregazione potranno variare nelle diverse realtà aziendali; tuttavia nelle strutture ad alta complessità specialistica, i diversi criteri di raggruppamento L possono dar luogo a diverse tipologie di dipartimento: a) per organi/apparati; b) E per settori nosologici; c) per settori di intervento, classificati in base all’intensità S delle cure erogate; d) per fasce d’età; e) per branca specialistica. Nelle strutture a S bassa complessità specialistica ed organizzativa, vanno strutturati almeno i seguenti dipartimenti di base: a) dipartimento di medicina e riabilitazione; b) I dipartimento di chirurgia c) dipartimento di patologia clinica; d) dipartimento di B diagnostica per immagini. I Piemonte i dipartimenti aggregano funzionalmente unità operative secondo lo stesso criterio L dell’area omogenea, ovvero per area di patologia, ovvero per destinatari degli E interventi, ma comunque per caratteristiche che richiedono un approccio integrato ed unitario, privilegiando per le ASL, il concorso di strutture ospedaliere e territoriali (dipartimento transmurale). In ogni caso , in ciascun presidio ospedaliero andranno previsti almeno tre dipartimenti, uno di natura medica, uno di natura chirurgica e uno che riguarda i servizi diagnostici di supporto. Veneto il dipartimento strutturale raggruppa unità operative anche di presidi diversi, per perseguire gli obiettivi assegnati dalla direzione generale, secondo uno più dei seguenti criteri: a) intensità e gradualità delle cure; b) settore nosologico; c) fasce d’età; d) branca specialistica; e) apparato. P.A. Sono proposti una serie indicativa di dipartimenti da attivare in funzione dei reparti Bolzano e dei servizi presenti e degli obiettivi che le singole aziende devono conseguire. Nelll’ospedale centrale di Bolzano dovranno invece essere costituiti con priorità:il dip. Medico chirurgico di neurologia, il dip. di medicina di laboratorio, il dip. di geriatria, il dip. di salute mentale e il DEA. Puglia I dipartimenti strutturali sono obbligatori fra unità operative omologhe dello stesso presidio ospedaliero (gli altri sono aggregati in funzione del tipo e delle modalità di attività); Toscana Le strutture organizzative professionali (assimilabili alle u.o.) sono accorpate, secondo settori specialistici omogenei, nelle seguenti aree funzionali: a) area R funzionale medica; a) area funzionale medica; b) area funzionale chirurgica; c) I area funzionale delle terapie intensive; d) area funzionale materno infantile; e) G area funzionale delle attività di laboratorio; f) area funzionale della diagnostica per I immagini. La regione ha identificato la composizione di alcuni dipartimenti come il D Valle d’Aosta dipartimento anestesiologico, il dipartimento di patologia clinica e quello di O riabilitazione. Fonte: le normative regionali indicate in bibliografia. 12
  • 13. 5.3 LE PROCEDURE PER L’INDIVIDUAZIONE DEI DIPARTIMENTI. L’individuazione dei dipartimenti da attivare è una specifica competenza della azienda sanitaria. L’azienda sanitaria infatti ha autonomia organizzativa seppur nel quadro di quanto previsto nel D.Lgs. 229/99 e nelle norme e direttive regionali di attuazione . L’autonomia organizzativa, come è noto, è “il potere di identificare autonomamente la struttura organizzativa dell’apparato aziendale, intesa come l’insieme degli elementi che compongono il sistema organizzativo interno (alta direzione, staff di supporto, linea operativa) nonché come meccanismi e livelli di decentramento dei poteri di gestione, di coordinamento, di comunicazione e di controllo” (*) Ministero della sanità - Linee guida n.2/1996) . Spetta dunque al direttore generale dell’azienda provvedere alla individuazione dei dipartimenti. La procedura prevede che la decisione venga presa su proposta del direttore sanitario e sentito il consiglio dei sanitari . Su questo non ci sono difformità tra le regioni che si sono espresse sull’argomento (Basilicata , Friuli, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna , Sicilia , e Umbria ). Ma prima della decisione l’Emilia Romagna, il Lazio, le Marche, ed il Piemonte hanno aggiunto qualcosa di significativo nelle procedure. Le Marche hanno richiesto ad ogni azienda una vera e propria progettazione dei dipartimenti ospedalieri che definisca i requisiti (interdipendenza delle funzioni, esaustività delle risposte, flessibilità organizzativa ecc.) l’articolazione funzionale interna, la strutturazione del lay out, l’organizzazione e la gestione delle risorse, gli indicatori di verifica ecc. L’Emilia Romagna ha invece previsto l’approvazione di un regolamento aziendale da sottoporre all’approvazione regionale che affronti nel dettaglio tutte le tematiche relative alla organizzazione, al funzionamento dei dipartimenti (le funzioni assistenziali che afferiscono a ciascuna area dipartimentale, la qualità, la quantità e le dimensioni delle unità operative e dei moduli appartenenti a ciascun dipartimento, la puntuale definizione dei rapporti tra le strutture organizzative del presidio ospedaliero, i criteri per la assegnazione della retribuzione di posizione ecc.). La Regione Piemonte ha invece previsto che prima della organizzazione dipartimentale “gli ospedali della rete regionale devono obbligatoriamente attuare il modello delle aree funzionali omogenee” “conservando alle unità operative che vi confluiscono l’autonomia funzionale in ordine alle patologie di competenza, nel quadro di una efficace integrazione e collaborazione con altre unità operative affini e/o complementari e con uso in comune delle risorse umane e strumentali, superando l’organizzazione per divisioni o reparti. ”A questo proposito si danno anche una serie di indicazioni sulle modalità di costituzione delle aree omogenee. Gli stessi orientamenti ha espresso la regione Lazio. Dopo aver così definito quali e quante unità operative confluiscono nelle aree funzionali e quindi dopo aver determinato la loro aggregazione fisica, l’azienda provvede alla loro aggregazione funzionale, attraverso l’istituzione dei dipartimenti. Come è noto l’AFO dà una risposta alla esigenza di accorpamento delle unità operative, superando la distinzione esistente tra reparti, divisioni, sezioni e servizi per una più efficiente organizzazione dell’attività assistenziale, attraverso l’aggregazione fisica (se possibile) di discipline e strutture che mantengono la propria autonomia professionale. Il dipartimento invece è il modello organizzativo e gestionale che tende ad integrare l’operatività delle singole unità operative, allo scopo di ottenere una più efficiente ed efficace erogazione assistenziale. La realizzazione delle aree funzionali è dunque propedeutica alla realizzazione dei dipartimenti. MA l’AFO, al contrario dei dipartimenti, non ha alcuna valenza gestionale per cui è fortemente limitata. Per cui le procedure approvate dalla regione Piemonte appaiono corrette. Meno apprezzabile appare la definizione dei tempi del processo dato che nel periodo di vigenza del PSR 1997-1999 si
  • 14. pone solamente l’obiettivo della realizzazione delle aree omogenee e si riserva solo carattere sperimentale alla dipartimentalizzazione. 5.4. PARTICOLARITA’ DI ALCUNI DIPARTIMENTI. Nonostante la grande flessibilità nella aggregazione delle unità operative scelta dalla gran parte delle regioni esistono alcuni vincoli o indicazioni normative nazionali relative alla costituzione di taluni, specifici, dipartimenti di cui occorre tener conto. Tali indicazioni si riferiscono alle seguenti aree assistenziali: a) emergenza sanitaria; Una serie di norme nazionali (D.P.R. 1°/3/1994, D.P.R. 27/3/1992, linee guida del Ministero della Sanità n. 1/1996) e spesso regionali rendono obbligatoria la costituzione del dipartimento di emergenza (DEA). Dalle norme nazionali si evince che le unità operative che fanno parte esclusivamente del DEA sono: - il servizio autonomo di pronto soccorso; - l’u.o. di anestesia e rianimazione con letti di terapia intensiva; - la centrale operativa, ove presente; - la medicina d’urgenza, ove presente. Altre unità operative, di norma, non entrano a far parte formalmente del DEA ma partecipano alla funzione dell’emergenza attraverso la condivisione di modelli operativi definiti da linee guida e da protocolli che dovranno essere adottati da tutte le u.o. interessate. b) alte specialità; Il Decreto del Ministero della Sanità del 29 gennaio 1992 ha stabilito che le strutture di alta specialità, al fine di assicurare il corretto e coordinato espletamento dell’attività di alta specialità, devono avere una “organizzazione funzionalmente accorpata e unitaria di tipo dipartimentale dei servizi che la compongono”. c) materno-infantile; Il Piano sanitario nazionale 1994-1996 tra gli interventi da compiere nel triennio di validità del piano raccomandava “l’istituzione e/o l’attivazione del dipartimento materno-infantile per l’integrazione degli aspetti sanitari e sociali ed il coordinamento delle attività proprie di ciascuna delle sue componenti”, quella ospedaliera e quella extraospedaliera. Anche questo tipo di dipartimento dunque, che può annoverare specialità pediatriche e ostetriche, viene proposto con forza dalla normativa nazionale. d) salute mentale. Il settore della salute mentale è una delle aree per le quali è vigente uno specifico progetto obiettivo che delinea un modello organizzativo di tipo dipartimentale per assicurare interventi assistenziali sia in sede ospedaliera sia in ambulatori, sia in strutture residenziali e semiresidenziali territoriali che a domicilio. La gestione di tale dipartimento è affidata alle aziende USL competenti per territorio e gli obiettivi da conseguire sono individuati e definiti nel D.P.R. 7/4/1994 e nelle deliberazioni amministrative regionali attuative. 14
  • 15. Riguardo ai criteri per la individuazione delle unità operative del dipartimento di salute mentale si ritiene che lo stesso abbia delle sue proprie specificità e che si debba pertanto tener conto delle varie tipologie di strutture costituenti il dipartimento e su tale base individuare le unità operative (S.P.D.C., strutture residenziali territoriali, centri diurni, attività ambulatoriali e domiciliari). Questo dipartimento è sicuramente transmurale e può anche essere interaziendale laddove sono presenti aziende ospedaliere. Questi dipartimenti sono stati previsti da moltissime regioni che hanno ravvisato soprattutto la necessità di realizzare il dipartimento di emergenza e quello di salute mentale. Spesso è stata prevista anche l’attivazione del dipartimento materno infantile mentre più raramente quello di alta specialità (Marche) . 5.5. I DIPARTIMENTI TRANSMURALI. I dipartimenti possono essere “transmurali” e cioé di raccordo fra ospedale e territorio. Il ruolo del dipartimento transmurale è quello di esercitare “il coordinamento con le relative attività extraospedaliere per una integrazione dei servizi dipartimentali con quelli del territorio ed in particolare con i distretti e con i medici e pediatri di base, ai quali spetta sia il compito di rappresentare il punto di ingresso dell’assistito nel circuito ospedaliero nonché l’indispensabile ruolo di figure di raccordo tra ospedale e territorio, nella definizione del piano di dimissione del paziente e nella gestione degli interventi domiciliari e dei successivi follow-up, nonché della assistenza medica nelle RSA” (2). Una delle caratteristiche principali di questi dipartimenti è costituita dunque dalla possibilità di garantire ai pazienti la continuità assistenziale per cui questa tipologia si sviluppa in maniera ideale nella azienda USL. Ma non è la sola ipotesi. Occorre infatti considerare che la costituzione delle aziende ospedaliere ha fatto sì che le città più grandi siano, oggi, sedi di più aziende (USL e/o ospedaliere) per cui occorre ricercare la massima integrazione delle funzioni omogenee o complementari al fine di evitare inutili duplicazioni in un quadro di perseguimento della ricerca dell’efficienza globale del sistema e di miglioramento della qualità dell’assistenza. Ovviamente il dipartimento transmurale (che può essere aziendale o interaziendale, come nel caso del dipartimento di salute mentale) presenta elevati livelli di complessità per cui spetterà al suo regolamento stabilire le modalità di integrazione organizzativa e gestionale, specificando le risorse rese disponibili dall’ospedale e quelle dalle strutture territoriali, le responsabilità e le necessarie modalità di verifica dell’attività svolta. Fra i dipartimenti transmurali troviamo senz’altro il dipartimento di salute mentale ed altri che possono esserlo: il dipartimento di riabilitazione e lungodegenza, il dipartimento materno infantile, il dipartimento di emergenza e accettazione (DEA), il dipartimento per la lotta alle malattie infettive ecc. Su questo argomento solo 6 regioni (Basilicata, P.A. Bolzano, Emilia Romagna, Lombardia, Marche e Molise) e l’ASSR si sono espresse ma tutte in modo conforme a questi orientamenti. Anche la regione Umbria ha valorizzato i dipartimenti transmurali prevedendo infatti che “negli ospedali di comunità avranno la prevalenza” proprio “i dipartimenti transmurali, per la rilevanza che hanno a questo livello i collegamenti con il territorio”. La regione a questo proposito ha previsto l’attivazione: a) del dipartimento materno infantile e per l’età evolutiva, dove addirittura la quota transmurale prevale su quella intramurale; b) il dipartimento di medicina; c) altri dipartimenti afferenti a funzioni ospedaliere a forte vocazione territoriale.
  • 16. La regione Campania prevede che i direttori generali delle ASL potranno istituire raccordi funzionali anche tra le unità operative dei presidi ospedalieri e le strutture sanitarie distrettuali finalizzati ad obiettivi assistenziali, didattici e di ricerca comuni. Le modalità organizzative dei raccordi funzionali tra le unità operative di differenti presidi ospedalieri della ASL e tra questi ed i distretti sanitari saranno definiti da specifici regolamenti della ASL. 5.6. I DIPARTIMENTI AD ATTIVITA’ INTEGRATA. Il dipartimento ad attività integrata è composto da unità operative ospedaliere ed unità operative universitarie convenzionate (della facoltà di medicina e chirurgia) così come illustrato al paragrafo 4.5.. Su questo argomento è la regione Marche che si è impegnata di più per la promozione di tali dipartimenti e, per quel che riguarda i contenuti, riprendendo estesamente i contenuti delle “Linee guida per la stipula dei protocolli d’intesa università-regioni” approvate con Decreto 31 luglio 1997 del Ministro della Sanità e del Ministro dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica. In questo senso anche le Linee guida sui dipartimenti delle Marche affermano che “i modelli e le modalità di organizzazione delle aziende ospedaliere in cui insiste la prevalenza del percorso formativo del triennio clinico della facoltà di medicina e chirurgia, sono definiti dal direttore generale delle aziende nell’ambito degli indirizzi regionali in modo da assicurare il pieno svolgimento delle funzioni didattiche e scientifiche della facoltà di medicina e chirurgia. Le università partecipano alle strutture assistenziali di tipo dipartimentale nelle quali siano presenti unità operative a direzione universitaria. L’organizzazione delle strutture dipartimentali in cui sono presenti unità operative a direzione universitaria e le procedure di nomina dei responsabili sono stabilite dal direttore generale di intesa con il rettore. “Nelle strutture organizzative (dipartimento, unità operative, moduli) che integrano personale appartenente all’organico dell’azienda e all’ordinamento universitario è garantita parità di trattamento, a parità di attività e di responsabilità, nonché di opportunità di accesso alle funzioni in ambito assistenziale.” Il protocollo di intesa che regolamenta l’apporto assistenziale dell’università, - pur in considerazione delle autonome e distinte finalità istituzionali delle parti - deve tener conto del modello di gestione aziendale introdotto dalle leggi di riordino della sanità. Tale modello, pertanto, deve essere condiviso (oltre che dalle aziende sanitarie) anche dall’università per il perseguimento degli obiettivi aziendali e con la conseguente assunzione di responsabilità gestionale nei confronti dell’azienda sanitaria anche da parte degli operatori universitari, specie qualora assumano incarichi dirigenziali. Ma tutte figure universitarie possono dirigere un dipartimento? Secondo la norma deve essere un dirigente responsabile di struttura complessa. La legge 382/1980 (art.102) definisce le corrispondenze funzionali fra il personale medico dei ruoli universitari ed il personale medico del servizio sanitario nazionale, ai fini dell’attività assistenziale, equiparando il professore ordinario e straordinario al medico apicale per cui queste due figure sicuramente possono dirigere un dipartimento misto. Il professore associato è invece equiparato all’aiuto e quindi non potrebbe dirigere un dipartimento pur avendo la responsabilità di una clinica universitaria. Ma la stessa norma autorizza il rettore a deliberare, in rapporto alla disponibilità di posti vacanti nelle strutture assistenziali a direzione universitaria previste dalle convenzioni, l’attribuzione ai professori associati , ai fini assistenziali, di qualifiche di livello immediatamente superiori così che anche loro possano dirigere un dipartimento misto. Oltre alle Marche anche altre regioni hanno dato indicazioni sull’argomento. Tutte le regioni che si sono espresse hanno comunque previsto i dipartimenti ad attività integrata (o “misti”) (cfr. tab. 2) compresa la Toscana che lo fa con un linguaggio complesso laddove afferma che “le aree funzionali possono essere costituite da dipartimenti 16
  • 17. assistenziali che si integrano con i dipartimenti universitari”. Le differenze fra una regione e l’altra sono tutte relative al diverso peso che viene assegnato ai soggetti del Servizio sanitario nazionale e a quelli universitari alla ricerca di un equilibrio che permetta ai dipartimenti misti di operare proficuamente. La prima importante differenza si riscontra nelle procedure per la nomina dei responsabili dei dipartimenti; Veneto ed Umbria affidano tale compito ai direttori generali delle aziende sanitarie mentre l’Emilia Romagna e le Marche, come indicano anche le linee guida nazionali, lo affidano sempre ai direttori generali ma d’intesa con il rettore (cfr. tab.2). La questione degli equilibri si riverbera continuamente all’interno del dipartimento. Da questo punto di vista assai interessante è la previsione di un vice-direttore di dipartimento previsto dall’Emilia Romagna e dal Veneto. In queste due regioni, qualora il direttore del dipartimento sia un medico ospedaliero, si procede alla nomina, su designazione del Rettore, di un vice direttore medico universitario per il coordinamento dell’attività didattica e di ricerca svolta dal dipartimento. Qualora, invece, sia un medico universitario si procede alla nomina di un vice direttore medico ospedaliero. Per le attività didattiche il direttore del dipartimento (o il vice-direttore) risponde funzionalmente ai competenti organi dell’Università (cfr. tab. 2). Assai innovativa rispetto a tutte le altre regioni è la previsione della regione Umbria che, in analogia con quanto previsto per le unità operative dirette da dirigenti del SSN, anche l’attività assistenziale delle strutture operative a direzione universitaria deve essere sottoposta a verifiche almeno quinquennali al fine del mantenimento della direzione. La verifica deve riguardare efficienza ed efficacia dell’attività svolta, capacità organizzative e gestionali, rispetto degli obiettivi aziendali. Così che non ci siano differenze di trattamento fra i responsabili delle unità operative assistenziali. Le decisioni relative alla organizzazione dei dipartimenti spettano al Direttore generale in Liguria, Marche e Piemonte mentre va ricercata l’intesa con l’università in Lombardia, Veneto ed Umbria; in una posizione intermedia si colloca l’Emilia Romagna che, su questi argomenti, richiede solamente un parere agli organi universitari (cfr. tab.2). Val la pena di segnalare infine una particolarità della Lombardia. In questa regione l’obiettivo principale dei dipartimenti consiste nella razionalizzazione dell’uso delle risorse disponibili presso le diverse unità operative ad esso afferenti. Ebbene gli interventi di razionalizzazione e di qualificazione rivolti all’attività assistenziale, sono estesi anche alla attività di ricerca scientifica e di didattica e devono prevedere, nelle strutture clinicizzate, il pieno coinvolgimento della componente universitaria. Ovviamente, tutte le normative regionali sono precedenti all’approvazione del D. Lgs. 517/99 sulla “disciplina dei rapporti fra servizio sanitario regionale ed università”.
  • 18. Tab. 2 – Regioni e dipartimenti misti. REGIONI ARGOMENTO Emilia Romagna, Friuli V.G., Liguria, Sono stati previsti i dipartimenti misti. Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria, Veneto. Veneto, Umbria Il responsabile del dipartimento viene scellto dal direttore generale dell’azienda. Emilia Romagna, Marche Il responsabile del dipartimento viene nominato dal direttore generale dell’azienda d’intesa con il rettore, fra una rosa di nomi. Emilia Romagna, Veneto Nel caso di un responsabile ospedaliero il rettore designa un vice responsabile universitario per il coordinamento dell’attività didattica svolta dal dipartimento. Liguria, Marche, Piemonte L’organizzazione dipartimentale viene definita dal direttore generale. Lombardia, Veneto, Umbria L’organizzazione dipartimentale va definita d’intesa con l’Università. Emilia Romagna L’Istituzione, la modifica e la disattivazione di dipartimenti richiedono il parere della facoltà di medicina e chirurgia. Umbria L’attività assistenziale delle unità operative a direzione universitaria deve essere sottoposta a verifiche almeno quinquennali al fine del mantenimento della direzione. Lombardia gli interventi di razionalizzazione e di qualificazione dipartimentale sono estesi anche alla attività di ricerca scientifica e di didattica. Fonte: norme regionali di riferimento. 6. ORGANIZZAZIONE ED INTEGRAZIONE DIPARTIMENTALE. 6.1. L’ORGANIZZAZIONE INTERNA DEL DIPARTIMENTO. Il dipartimento è costituito da unità operative autonome o, secondo la nuova terminologia introdotta dal D. Lgs. 229/1999, da strutture complesse. Il Decreto infatti introduce nella organizzazione ospedaliera due nuovi termini: la "struttura complessa" e la "struttura semplice". Sembra di capire dalla lettura del testo che sarà l'atto di indirizzo e coordinamento che il Governo deve emanare per la definizione degli ulteriori requisiti per l'accreditamento delle strutture sanitarie a definirne meglio le caratteristiche ma intanto, "fino all'emanazione del predetto atto si considerano strutture complesse tutte le strutture già riservate dalla pregressa normativa ai dirigenti di secondo livello dirigenziale" (art.15 quinquies D.Lgs. 229/99). 18
  • 19. All'interno del dipartimento si possono però trovare anche altre articolazioni organizzative alcune delle quali - come quei moduli che utilizzano risorse di più unità operative - possono essere create ex novo nel dipartimento. In analogia con quanto affermato a proposito delle unità operative ci sembra di poter dire che la struttura semplice possa sovrapporsi a quella del modulo. Così che all'interno del dipartimento possiamo avere: l’unità operativa o struttura complessa; il modulo professionale o struttura semplice (professionale); il modulo organizzativo o struttura semplice (organizzativa). L’unità operativa o struttura complessa Le regioni italiane, ovviamente, hanno regolamentato il settore utilizzando la precedente normativa che faceva riferimento alle unità operative. Una delle migliori definizioni di unità operativa la dà la regione Friuli V.G. secondo la quale le unità operative sono strutture organizzative elementari costituite con riferimento alle specialità diagnostiche e terapeutiche, dotate di autonomia funzionale per quanto attiene il trattamento delle patologie e lo svolgimento delle attività clinico-diagnostiche di competenza. Segue sostanzialmente questa linea la Toscana che la definisce come l’insieme di professionalità omogenee attinenti ad una specifica funzione operativa. L’Emilia Romagna, invece, definisce l’unità operativa come una struttura organizzativa complessa del dipartimento che aggrega risorse professionali di tipo medico,infermieristico, tecnico, amministrativo e finanziario e assicura la direzione e l’organizzazione delle attività di competenza, nel rispetto degli indirizzi aziendali, degliobiettivi e dei criteri definiti nell’ambito del dipartimento di appartenenza. In questa direzione va anche la definizione della regione Lombardia che presenta l'unità operativa come articolazione del dipartimento. Ancora diverso il taglio della Valle d’Aosta che definisce le strutture complesse come unità operative caratterizzate da un grado di complessità organizzativo gestionale elevata, comportante l’assunzione di responsabilità che impegnano l’azienda USL verso l’esterno per l’attuazione degliobiettivi di programmazione regionale e aziendale. Le unità operative sono distinte in: “unità operative di servizi diagnostici e/o terapeutici”; “unità operative clinico-assistenziali”, vale a dire quelle dotate di posti letto ordinari e di day hospital. (ASSR, Campania) L’unità operativa è diretta da un dirigente di 2° livello. Secondo il D. Lgs. 502/1992 e successive modificazioni ai dirigenti di 2° livello, chiamati alla responsabilità di unità operative (art.15), “sono attribuite funzioni di direzione ed organizzazione della struttura...”. Spettano in particolare al dirigente medico di 2° livello, “gli indirizzi e, in caso di necessità, le decisioni sulle scelte da adottare nei riguardi degli interventi preventivi, clinici, diagnostici e terapeutici...”, mentre ai dirigenti delle altre professioni sanitarie “spettano gli indirizzi e le decisioni da adottare nei suddetti interventi limitatamente a quelli di specifica competenza”. E’ da precisare che l’art.15 del D. Lgs. 502/92 rimanda, per quanto riguarda le responsabilità dirigenziali, al disposto dell’art. 20 del D.Lgs. 29/93 che così riporta:”I dirigenti generali ed i dirigenti sono responsabili del risultato dell’attività svolta dagli uffici ai quali sono presposti, della realizzazione dei programmi e dei progetti loro affidati, della gestione del personale e delle risorse finanziarie e strumentali ad essi assegnate” (Marche, Umbria). La nuova normativa contenuta nel D. Lgs. 229/99 (art.15) ridefinisce le caratteristiche delle funzioni dei responsabili di strutture complesse. In particolare si afferma che "Ai dirigenti con incarico di direzione di struttura complessa sono attribuite, oltre a quelle derivanti dalle specifiche competenze professionali, funzioni di direzione e organizzazione
  • 20. della struttura, da attuarsi, nell'ambito degli indirizzi operativi e gestionali del dipartimento di appartenenza, anche mediante direttive a tutto il personale operante nella stessa, e l'adozione delle relative decisioni necessarie per il corretto espletamento del servizio e per realizzare l'appropriatezza degli interventi con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche e riabilitative, attuati nella struttura loro affidata. Il dirigente è responsabile dell'efficace ed efficiente gestione delle risorse attribuite. I risultati della gestione sono sottoposti a verifica annuale tramite il nucleo di valutazione". In conclusione dunque possiamo dire che il dirigente di 2° livello o il dirigente con incarico di direzione di struttura complessa ha piena autonomia nel campo clinico-assistenziale ma che comprende per tutti i dirigenti momenti di valutazione e verifica mentre nel campo organizzativo e gestionale deve invece operare nel rispetto degli indirizzi operativi e gestionali stabiliti dalla direzione del dipartimento (comitato di dipartimento o direttore a seconda dei modelli) rispondendo infine delle risorse in dotazione esclusiva dell’unità operativa. La eventuale funzione di Capo dipartimento è aggiuntiva rispetto a quella di responsabile di unità operativa pertanto il titolare dell’unità operativa, incaricato di questo, mantiene tutti i compiti e le attività propri della qualifica. Il modulo professionale Il modulo professionale è una articolazione interna dell’unità operativa dotata di una autonomia professionale caratterizzata e giustificata “dalla peculiarità dell’attività svolta che richiede particolari competenze professionali in quanto costituisce un ambito specifico per i contenuti medico-scientifici e tecnologici “. Per esempio possiamo dire che in “ospedali dove alcune attività ad indirizzo specialistico non possono essere organizzate come distinte unità operative, è possibile prevedere che unità operative ad indirizzo generale, possano comprendere anche moduli dedicati ad attività specialistiche, affidati a personale specificamente qualificato (es: cardiologia all’interno della unità operativa di Medicina generale - urologia all’interno dell’unità operativa di chirurgia generale).”(ASSR, la Campania con questa stessa definizione lo chiama modulo funzionale, prevedendo solo questo) Tali moduli, previsti dagli articoli 56 e 57 del contratto collettivo nazionale di lavoro 1994- 1997 per l’area della dirigenza medica e veterinaria della sanità, possono essere attivati: - se tali attività non sono già esercitate da distinte e specifiche unità operative presenti nello stesso presidio ospedaliero; - se sono relative a discipline ufficiali riconosciute dalle norme nazionali. In casi particolari, la singola azienda potrà prevedere moduli non rientranti in una delle tipologie indicate, previa adeguata motivazione. Gli incarichi relativi alla responsabilità del modulo sono assegnati dal direttore generale su proposta dei responsabili delle unità operative interessate a dirigenti con almeno 5 anni di anzianità. Nel caso di moduli di interesse dipartimentale la proposta spetta invece al comitato di dipartimento. Il modulo organizzativo Il modulo organizzativo soddisfa invece l’esigenza del “dipartimento di realizzare specifici modelli organizzativi, quali ad esempio quelli relativi alla attività ambulatoriale, all’ospedalizzazione a domicilio, all’attività di day hospital, al laboratorio d’urgenza” ecc.. Il modulo, previsto dagli articoli 56 e 57 del contratto collettivo nazionale di lavoro 1994- 1997per l’area della dirigenza medica e veterinaria della sanità, è diretto da un dirigente di 1° livello o di struttura semplice con precisi ambiti di autonomia professionale con almeno 5 anni di anzianità. Gli incarichi relativi alla responsabilità del modulo sono assegnati dal direttore generale su proposta dei singoli responsabili delle unità operative interessate. 20
  • 21. Nel caso di moduli di interesse dipartimentale la proposta spetta invece al comitato di dipartimento. La regione Emilia Romagna invece definisce il modulo organizzativo, da prevedere nell’atto aziendale, come “una struttura organizzativa comprendente attività di una stessa unità operativa o di diverse unità unità operative, che assicura nel primo caso il miglioramento continuo del processo assistenziale e nel secondo l’organizzazione ela gestione delle risorse destinate all’attività aziendale, sia attraverso l’integrazione operativa delle differenti risorse tecnico-professionali, sia attraverso la semplificazione dei percorsi di accesso alle prestazioni e ai servizi. Ancora diversa e di più basso profilo la concezione delle strutture semplici da parte della regione Valle d’Aosta che le intende come unità operative attinenti ad una specifica attività o funzione e che rispondono al dirigente della struttura complessa in cui sono inserite. Al dirigente responsabile di modulo è assicurata:  l’autonomia di direzione clinica per il settore specifico di intervento nel rispetto delle direttive concordate con il responsabile dell’unità operative o del dipartimento a seconda dell’afferenza;  la responsabilità delle risorse date in dotazione esclusiva al modulo, nel rispetto delle direttive concordate con il responsabile dell’unità operativa o del dipartimento a seconda dell’afferenza. ll ruolo del medico dirigente. Il ruolo del dirigente medico viene definita dal recente D. Lgs. 229/99 (art.15) che in particolare stabilisce che "L'attività dei dirigenti sanitari è caratterizzata, nello svolgimento delle proprie mansioni e funzioni, dall'autonomia tecnico-professionale i cui ambiti di esercizio, attraverso obiettivi momenti di valutazione e verifica, sono progressivamente ampliati. L'autonomia tecnico-professionale, con le connesse responsabilità, si esercita nel rispetto della collaborazione multiprofessionale, nell'ambito di indirizzi operativi e programmi di attività promossi, valutati e verificati a livello dipartimentale ed aziendale, finalizzati all'efficace utilizzo delle risorse e all'erogazione di prestazioni appropriate e di qualità. Il dirigente, in relazione all'attività svolta, ai programmi concordati da realizzare ed alle specifiche funzioni allo stesso attribuite, è responsabile del risultato anche se richiedente un impegno orario superiore a quello contrattualmente definito." I gruppi operativi interdipartimentali. Oltre a queste modalità organizzative interne al dipartimento esiste la possibilità di costituire dei gruppi operativi che si potranno attivare per soddisfare quelle esigenze di coordinamento e collegamento di unità operative afferenti a dipartimenti diversi. I gruppi operativi interdipartimentali potranno essere permanenti (per esempio GOIP oncologico) oppure temporanei (GOIT) per specifici obiettivi. Questo schema è sostanzialmente condiviso, fatti salvi gli aggiornamenti che ovviamente ancora non ci sono alla nuova normativa, da quasi tutte le regioni anche se gli approfondimenti maggiori sono stati portati avanti dall’ASSR e dalle Marche. Una variante di questo schema generale è invece quella proposta recentemente dalla Emilia Romagna che spinge di più l’acceleratore sul superamento della organizzazione degli ospedali in divisioni, sezioni e servizi per la definizione di una diversa struttura organizzativa delle attività fondato sul modello dipartimentale. Nello schema dell’Emilia Romagna non è più l’unità operativa ma è il dipartimento che rappresenta l’unità organizzativa di base che aggrega una pluralità di discipline e di
  • 22. funzioni assistenziali tra loro affini o complementari. L’unità operativa diventa invece “l’articolazione settoriale del dipartimento, per discipline e/o funzioni” anche se grosso modo mantiene le stesse funzioni previste nello schema delle altre regioni (“è caratterizzata da piena autonomia operativa per le specifiche competenze professionali in campo clinico-assistenziale mentre l’autonomia gestionale è limitata alle risorse eventualmente assegnate”). Per i moduli invece non ci sono sostanziali differenze con lo schema precedentemente illustrato. Le linee guida della regione Emilia Romagna sostengono che “la dipartimentalizzazione rappresenta la sostituzione delle attuali strutture divisionali e dei servizi autonomi” per cui occorrerà verificare “se sussistano le condizioni per il mantenimento, nelle vesti di unità operative, delle divisioni e servizi autonomi preesistenti o se, in alcuni casi, non si giustifichi la loro trasformazione in una dimensione organizzativa più appropriata quale il modulo (ad esempio, quando sia prevista una consistente riduzione di posti letto o quando risulti da tempo scoperto il ruolo primariale)”. Assai interessante è la previsione - sempre dell’Emilia Romagna - di inserire la dipartimentalizzazione delle strutture ospedaliere tra i requisiti per ottenere l’accreditamento delle strutture. Le regioni Piemonte e Lombardia ricordano invece solo la presenza dei moduli organizzativi e la Toscana al loro posto prevede le sezioni; in tutti i casi la responsabilità è decisa dal direttore generale su proposta dei responsabili dell'unità operativa di riferimento. 6.2. LE RISORSE DEL DIPARTIMENTO: USO E ASSEGNAZIONE. Le risorse del dipartimento sono le seguenti:  personale;  strutture edilizie;  attrezzature;  risorse finanziarie. “Le risorse vanno distinte in tre sub aree: a) risorse assistenziali proprie delle singole unità operative appartenenti al dipartimento; b) risorse assistenziali comuni del dipartimento; c) risorse generali di supporto necessarie al funzionamento del dipartimento.” (ASSR, Veneto ecc.) La definizione di ciò che va a costituire le singole sub aree dipende dal tipo di dipartimento e dalla complementarietà e affinità delle sue unità operative. Tali sub aree per esempio non avranno lo stesso contenuto in un dipartimento in cui le unità operative saranno aggregate solo “ funzionalmente” rispetto a quello in cui l’aggregazione sarà anche “fisica”, strutturale. In una situazione ottimale, dove cioé le unità operative sono aggregate non solo “funzionalmente” ma anche “fisicamente”, e cioé in “dipartimento strutturale” (secondo il modello “aziendalistico” o “partecipativo”) le sub aree possono avere la seguente distribuzione delle risorse: a) risorse assistenziali proprie delle singole unità operative del dipartimento: - il personale medico e professionale laureato; - gli spazi da questo occupati per le attività esclusive dell’unità operativa; - le attrezzature esclusivamente utilizzate dall’unità operativa. 22
  • 23. b) risorse assistenziali comuni del dipartimento: - il personale infermieristico, il personale tecnico, nonché altre figure professionali necessarie alla funzionalità della specifica tipologia del dipartimento; - gli operatori tecnici di assistenza; - gli spazi operativi, di degenza, di supporto; - le attrezzature utilizzate da più di una unità operativa; - i programmi, i progetti, i piani di dipartimento; - le risorse economiche necessarie per raggiungere gli obiettivi prefissati. c) risorse generali di supporto necessarie al funzionamento del dipartimento: - il personale amministrativo, dedicato alle attività gestionali; - il personale di supporto segretariale, con le relative dotazioni strumentali; - gli spazi per la direzione ed il coordinamento del dipartimento, compresi gli organi di gestione del dipartimento stesso; - il sistema informativo, informatico e telematico del dipartimento; - i beni e servizi necessari al funzionamento del dipartimento”. (ASSR, Marche, Campania, Molise, Veneto, Umbria, ecc.) Negli altri casi (per esempio nel “dipartimento funzionale”, o nel “modello “non gestionale”) i contenuti delle sub aree saranno diversi e determinati a livello aziendale, nel rispetto delle norme regionali, sulla base delle situazioni locali e delle reali possibilità di integrazione. Convergente con lo schema generale è anche la sottolineatura che l’Emilia Romagna fa sulla gestione dei posti letto all’interno del dipartimento e che si riporta per l’interesse del tema trattato. Dice infatti la delibera dell’Emilia Romagna che: “Ai soli fini programmatori, è necessario che sia indicata la dotazione di posti letto globale e per singole discipline confluenti nel dipartimento. La suddivisione dei posti letto per disciplina dovrà comunque prevedere una flessibilità al fine di favorire il pieno utilizzo ed il rispetto degli standards (tasso di occupazione, intervallo di turn over) previsti dalla normativa nazionale e regionale.” Il nodo della gestione delle risorse è l’aspetto decisivo e caratterizzante del dipartimento e del livello di integrazione interno fra le unità operative partecipanti. Il livello di integrazione fra le varie unità operative del dipartimento può variare notevolmente. Esso dipende dal modello dipartimentale scelto dal legislatore regionale, dall’orientamento della direzione generale dell’azienda sanitaria e dall’incidenza delle attività e dei pazienti comuni. “Si può, quindi, avere una struttura dipartimentale molto integrata ed accentrata con un forte potere decisionale degli organi centrali dipartimentali, o, all’opposto, una struttura debole, molto decentrata, con un potere decisionale degli organi di dipartimento limitato ed una grande possibilità di azione indipendente da parte delle unità operative costituenti” (Bondonio, 1994). Quasi tutte le regioni, come ci ricorda anche la fig.1, hanno scelto lo schema che abbiamo illustrato e che prevede la gestione in comune di una quota consistente di risorse e, di norma, una forte integrazione fra le varie unità operative. Lo schema illustrato in questo paragrafo è stato sviluppato dall’ASSR, adottato in maniera esplicita dal Friuli e dalle Marche ma sostanzialmente anche da tutte le altre regioni che hanno scelto il modello “aziendale” o “partecipativo”. Una ipotesi diversa è stata invece scelta dalla regione Lazio secondo cui i dipartimenti sono centri di responsabilità ma non sono necessariamente dotati dell’autonomia finanziaria della gestione budgetaria. Spetta al direttore generale attribuirla o meno. Il
  • 24. dipartimento infatti non svolge, di norma, amministrazione attiva e gestione. Siamo - in questo caso - nel modello che abbiamo definito “non gestionale”, che assegna al dipartimento funzioni di coordinamento e normalmente non di gestione ma che nessuna regione ha, finora, descritto nel dettaglio. 6.3. BUDGET DI DIPARTIMENTO E SISTEMI GESTIONALI AZIENDALI Ciascun dipartimento è dotato di un budget prefissato (Emilia Romagna, Friuli V.G., Lombardia, Marche, Piemonte, Veneto, Umbria). “Il bilancio del dipartimento è costituito sulla base di distinte voci relative ai costi delle risorse umane, tecniche e strutturali assegnate, nonché ai consumi previsti per beni e servizi, ivi compresi i farmaci, emoderivati, emocomponenti, presidi, protesi, reattivi, mezzi di contrasto, etc. Dovrà inoltre comprendere, separatamente, eventuali finanziamenti per programmi e progetti dipartimentali, per attività di formazione ed aggiornamento, didattiche e di ricerca. (ASSR, Campania, Umbria) All’inizio di ogni anno il direttore generale, con riferimento alla pianificazione aziendale, concorda con i responsabili dei dipartimenti i programmi ed i progetti annuali, compresi quelli di natura interdipartimentale, assegnando le relative risorse. La direzione del dipartimento a sua volta, sulla base di tali indicazioni , articola al suo interno il bilancio assegnato, destinando specifiche risorse alle unità operative, dopo aver concordato con i rispettivi responsabili, i programmi ed i piani di attività annuali che le singole unità operative svolgeranno nell’ambito degli obiettivi programmati dal dipartimento. Le risorse, nel loro complesso, dovranno essere riscontrate in termini di “risultati”, “prodotti”, ed “obiettivi” raggiunti, a seconda della metodologia adottata e della tipologia di prestazioni erogate, tenuto conto dei programmi dell’azienda, delle indicazioni regionali e dei dati epidemiologici di riferimento”. (ASSR, Campania) Su questi aspetti il Friuli pone specifica attenzione ai seguenti temi che appaioni particolarmente interessanti ed appropriati:  la necessità della gradualità nella progressione ed estensione del budget di dipartimento;  Una volta determinati i budget del dipartimento e quello di singola unità operativa permane, ovviamente, la responsabilità di ciascuno per la propria parte di gestione, uso delle risorse e raggiungimento degli obiettivi previsti;  il dipartimento è definito autorità sovraordinata rispetto alle unità operative ma questo va riferito alla competenza gestionale esclusivamente delle parti dipartimentali, “comuni”, che sono quindi non più gestite direttamente dalle singole unità operative, ma dal dipartimento “al di sopra e per” le singole unità operative. Le funzioni e le responsabilità tecnico-professionali, sia sotto il profilo di organizzazione che di gestione, sono sempre in carico ai responsabili di unità operative, per le risorse assegnate. Detto questo sul budget appare particolarmente impegnativa l’affermazione della regione Lombardia secondo cui “i dipartimenti hanno autonomia organizzativa ed economico- finanziaria al fine di assicurare le attività istituzionali e gli obiettivi di “budget” concordati con la Direzione generale”. La realizzazione dei dipartimenti determina quindi anche una revisione dei sistemi gestionali dell’azienda che gradualmente dovrà avere sempre più come referente il dipartimento e sempre meno la singola unità operativa. Questo modifica il modo di funzionare di tutto l’ospedale e dunque anche dei suoi meccanismi e procedure gestionali. Per cui il sistema informativo, la pianificazione e il controllo di gestione, il sistema degli 24
  • 25. incentivi e il controllo di qualità dell’azienda, la gestione del budget avranno sempre più come referente principale il dipartimento. Tutto questo, ovviamente, comporta, come primo effetto, che ogni dipartimento dovrà disporre di un supporto tecnico-amministrativo che opererà per il dipartimento e le sue unità operative. Tale nucleo essenziale di personale, dovrà essere dotato delle necessarie competenze professionali, per occuparsi soprattutto: - della segreteria amministrativa del dipartimento; - del funzionamento degli organi del dipartimento; - della gestione del sistema informativo di dipartimento. Anche su questo ultimo aspetto c’è larga convergenza tra le regioni che hanno scelto il modello “aziendalistico” o “partecipativo”. Si segnala, ma solo a titolo di curiosità, che la regione Sardegna ha addirittura previsto in ogni dipartimento un ufficio di cassa economale con il compito di provvedere alle minute spese connesse con la gestione dei servizi. Il che appare, almeno in questa fase, probabilmente eccessivo. Tra le regioni che hanno invece scelto il modello “non gestionale”, stanti le minori competenze del dipartimento, il problema appare meno urgente ed importante tanto che nessuno lo ha trattato. 6.4. LA GESTIONE DEL PERSONALE INFERMIERISTICO E TECNICO Diverse regioni (Emilia Romagna, Friuli, Marche ecc.) hanno anticipato la legge nazionale prevedendo l’istituzione in ogni azienda sanitaria del Servizio infermieristico. Le funzioni del servizio infermieristico sono quelle della gestione del personale infermieristico ed ausiliario, della definizione e lo sviluppo di modelli assistenziali, della verifica e del miglioramento della qualità delle funzioni assistenziali ed alberghiere ed infine della promozione di iniziative di formazione, aggiornamento e di ricerca. Seguendo questa logica il Servizio infermieristico viene articolato e sviluppato su livelli diversificati di responsabilità in funzione delle specificità e delle esigenze delle singole unità operative, dei dipartimenti e dell’azienda sanitaria. Di conseguenza, in ogni dipartimento dell’azienda potrà operare un referente infermieristico - caposala di dipartimento - che, attraverso i caposala assegnati alle unità operative o al dipartimento dovrà rispondere: a) dell’assistenza infermieristica e delle attività domestico alberghiere; b) della gestione e dell’allocazione del personale infermieristico, degli operatori tecnici dell’assistenza e degli ausiliari; c) della verifica della qualità dell’assistenza infermieristica e delle attività domestico alberghiere. Il caposala di dipartimento, individuato dal Direttore generale, sentito il direttore del dipartimento e il responsabile del servizio infermieristico aziendale, tra caposala che rispondono a predefiniti ed oggettivi criteri, concorre al raggiungimento degli obiettivi del dipartimento rapportandosi, per quanto di rispettiva competenza, con il direttore del dipartimento e con il responsabile del servizio infermieristico della azienda sanitaria. Analogamente, nei dipartimenti in cui è prevalente la presenza di personale tecnico- sanitario o ostetrico dovrà essere individuato un responsabile (per esempio “capo tecnico di dipartimento”) per la gestione di tale personale secondo lo schema precedentemente individuato per il personale infermieristico. Tali figure (caposala di dipartimento, capotecnico di dipartimento ecc.), laddove presenti, qualora non facciano parte della componente elettiva del comitato di dipartimento sono, di norma, invitate alle riunioni dello stesso, mentre in altri casi (Friuli V.G., Veneto) ne fanno parte di diritto.
  • 26. Lo schema illustrato è sostanzialmente condiviso dalle poche regioni che si sono occupate esplicitamente di questo aspetto: Campania, Friuli, Marche, innanzitutto e poi anche Emilia Romagna e ASSR. La Campania però, rispetto al modello esplicitato prevede che sia il Comitato di dipartimento ad individuare il coordinatore del personale infermieristico ed ausiliario del dipartimento o di quello del personale tecnico sanitario. La durata dell’incarico è di tre anni, rinnovabile ma non immediatamente, come il capo dipartimento. Inoltre tali figure non sono invitate ai lavori del comitato di dipartimento e le loro funzioni vengono individuate apparentemente con una autonomia più limitata di quella identificata nel modello di base. La Regione Umbria invece ha previsto che sia il responsabile/i di gestione del personale non laureato (servizio infermieristico) a far parte del Consiglio di dipartimento ma questo può essere complicato se significa che il responsabile del servizio infermieristico partecipa a tutti i comitati di dipartimetno dell’ospedale. 7.6.5. FORMAZIONE E AGGIORNAMENTO L’introduzione di nuovi modelli organizzativi richederà una maggior assunzione di responsabilità gestionali da parte dei professionisti con particolare riguardo ai responsabili di dipartimento. Sarà necessario a questo proposito avviare percorsi formativi e di aggiornamento in grado di sviluppare i molteplici aspetti della gestione ed organizzazione con particolare riferimento alla gestione delle risorse umane, indirizzati ai responsabili dei dipartimenti e al resto del personale interessato. 7. GLI INCENTIVI ALLA DIPARTIMENTALIZZAZIONE. Uno degli obiettivi della dipartimentalizzazione è quello di realizzare migliori condizioni di lavoro e di maggiore efficacia assistenziale e dunque di maggiore soddisfazione del paziente. Ma anche il sistema premiante in mano alle aziende sanitarie dispone, oggi, di vari strumenti per incentivare gli operatori. Un gruppo di incentivi è rappresentato dagli strumenti di partecipazione alla direzione dell’azienda (il collegio di direzione, il consiglio dei sanitari, le conferenze di dipartimento). Il coinvolgimento e la partecipazione al governo dell’azienda degli operatori rappresenta un incentivo a lavorare meglio e con maggiore responsabilizzazione, in un’ottica non più settoriale ma che tenga conto degli interessi di tutta l’azienda che sono poi gli interessi della comunità assistita. Un altro gruppo di incentivi sono rappresentati dagli incentivi economici agli operatori. Fra questi troviamo, per esempio: a) la retribuzione di posizione per il responsabile del dipartimento, delle unità operative e dei moduli. Il contratto 1994-1997 prevede infatti (art. 56 e allegato 6) che il responsabile del dipartimento possa aggiungere al proprio stipendio una retribuzione di posizione che può oscillare da un minimo di 28 milioni ad un massimo di 70 milioni l’anno. Come è noto questa disposizione è legata al divieto di esercitare l’attività libero professionale esterna. Una retribuzione di posizione oscillante fra gli 8 milioni e i 60 milioni spetta anche ai responsabili dei moduli “con particolare riguardo a quelli che hanno valenza dipartimentale (art. 56 comma 1 lett. b). Spetta al direttore generale, sulla base della graduazione delle funzioni dei singoli dirigenti, stabilire l’effettiva entità della retribuzione di posizione (graduazione della retribuzione di posizione) e la valutazione dei risultati conseguiti dai singoli dirigenti. 26
  • 27. b) il trattamento accessorio legato alla produttività del personale del comparto dell’area sanità e alla retribuzione di risultato per i dirigenti. c) il risultato economico positivo dell’esercizio che può essere destinato all’incentivazione del personale. Infatti il D. Lgs. 229/1999 (art. 5 c. 5) stabilisce che le regioni debbono stabilire la destinazione dell’eventuale avanzo di amministrazione. Diverse regioni (come le Marche per esempio) prevedono già, nella loro normativa, di utilizzare tali risorse per gli investimenti in conto capitale, per oneri di parte corrente e per eventuali forme di incentivazione al personale da definire in sede di contrattazione. Occorre che il sistema premiante scelto a livello di azienda preveda che l’eventuale avanzo di amministrazione venga redistribuito, secondo le destinazioni della legge, ai dipartimenti che lo hanno prodotto; solo in questo modo gli operatori si sentiranno responsabilizzati e fortemente motivati a perseguire costantemente gli obiettivi posti. Il sistema degli incentivi è variegato e stimolante. Risulta del tutto evidente che l’erogazione di questi incentivi dovrà essere saldamente legata alla realizzazione degli obiettivi del dipartimento. Su questa parte solo la regione Marche ha fatto una riflessione esplicita ed approfondita. 8. RESPONSABILITA’ E AUTONOMIA DECISIONALE. La realizzazione dei dipartimenti richiede la definizione dei livelli di responsabilità e di autonomia relativamente a tre aspetti principali: a) la definizione dei livelli decisionali all’interno del dipartimento; b) la definizione delle competenze (o sfere decisionali) dell’organo o degli organi decisionali del dipartimento; c) la definizione dei rapporti tra direzione generale, direzione medica dell’ospedale, direzione dei dipartimenti e direzione delle unità operative. 8.1. I LIVELLI DECISIONALI DEL DIPARTIMENTO. I LIVELLI DECISIONALI Le regioni italiane, fino a tutto il 1999, hanno previsto che la direzione del dipartimento è assicurata da: a) il direttore (o responsabile) del dipartimento; b) il comitato (o consiglio) di dipartimento. Quasi tutte le regioni hanno previsto tutti e due i livelli decisionali: il direttore del dipartimento (o coordinatore, o responsabile o Capo) e il comitato di dipartimento (o consiglio). Sono infatti previsti nelle Regioni Abruzzo, Basilicata, P.A. Bolzano, Campania, Emilia Romagna, Friuli, Lazio, Lombardia , Marche, Molise, Sicilia, Umbria , Valle d’Aosta, Veneto, e dall’ASSR. La regione Sicilia non ha ancora definito la composizione del Comitato. Ma ci sono anche le regioni in cui il comitato non è stato previsto esplicitamente come in Piemonte, Sardegna e Toscana. Quando poi aggiungiamo le funzioni che i due livelli decisionali devono svolgere registriamo una ulteriore diversificazione: nel gruppo che affida le funzioni decisionali al direttore troviamo 8 regioni – Basilicata, Emilia Romagna , Friuli V.G., Lombardia, Piemonte, Puglia, Veneto e Toscana appartenenti al modello “aziendale” e 2 regioni - Lazio e Sardegna - appartenenti al modello “non gestionale” mentre nel gruppo che
  • 28. affida i compiti deliberanti al Comitato troviamo sette regioni - Abruzzo, P.A. Bolzano, Campania, Marche, Molise, Sicilia e Umbria - più l’ASSR (modello “partecipativo”) (cfr. fig. 1). Tutti gli schemi sono validi. Noi preferiamo lo schema che affida le competenze deliberative al comitato di dipartimento. Siamo giunti a questa conclusione dopo una analisi dei motivi che hanno impedito la realizzazione dei dipartimenti sino ad oggi. Ebbene, se la dipartimentalizzazione, nel passato, non è partita una delle resistenze - una delle più forti - è sempre venuta dalle unità operative e dai responsabili delle stesse che temevano di perdere irrimediabilmente la propria autonomia all’interno del dipartimento affidato ad un terzo soggetto. La soluzione che abbiamo trovato per superare questa preoccupazione che produce ostacoli consistenti alla dipartimentalizzazione è stata quella della “responsabilizzazione” e “partecipazione”. Ogni responsabile di unità operativa è membro del comitato di dipartimento ed è questo - e non il direttore - l’organismo che assume le decisioni del comitato. In questo caso ognuno si sente soggetto protagonista della nuova organizzazione, responsabilizzato in modo pari agli altri e senza alcun interesse ad estraniarsi dal progetto dipartimentale. Inolte si abitua a discutere con gli altri dei problemi del dipartimento sperimentando anche sul fronte amministrativo quella integrazione e collaborazione sanitaria interdisciplinare indispensabile per migliorare l’efficacia e la qualità dell’assistenza. Il recente D. Lgs. 229/1999 ha previsto esplicitamente sia il direttore di dipartimento che il Comitato di dipartimento cosa che invece la precedente normativa non faceva. Questo comporta che le regioni che non hanno previsto il Comitato , e fra queste sicuramente il Piemonte, la Sardegna e la Toscana, provvedano ad inserirlo tra gli organi del dipartimento. IL COMITATO DI DIPARTIMENTO Uno dei modelli prevede che il comitato di dipartimento sia composto: a) dai responsabili di tutte le unità operative appartenenti al dipartimento; b) da una rappresentanza dei dirigenti di primo livello eletta fra gli stessi, secondo quanto previsto dal regolamento di organizzazione dell’azienda; c) da un rappresentante del personale tecnico e sanitario non medico eletto fra gli stessi. Le nuove figure di caposala di dipartimento, di coordinatore dei tecnici di dipartimento, ecc. laddove presenti, qualora non facciano parte della componente di diritto (Friuli VG, Veneto) o elettiva del comitato di dipartimento sono, di norma, invitate alle riunioni dello stesso (Marche). Nella composizione del comitato di dipartimento riteniamo che si debbano seguire i seguenti principi. Innanzitutto occorre pensare ad un comitato rappresentativo ma con un numero di membri assai contenuto in modo tale che possa mantenere l’agilità necessaria per un organo che deve assumere degli orientamenti o delle decisioni. Riteniamo che inserire automaticamente tutti i responsabili dei moduli (proposto per esempio dalla ASSR) squilibri fortemente la composizione del comitato direttivo. Inserirli significherebbe ribaltare completamente gli equilibri gerarchici all’interno del dipartimento e comprometterebbe la realizzazione e il funzionamento dei dipartimenti stessi. Ciononostante riteniamo che una rappresentanza dei dirigenti di 1° livello debba far parte del comitato di dipartimento. Non possiamo quantificarla perché non sarà dappertutto uguale visto che i dipartimenti saranno assai diversi. In un dipartimento formato da due unità operative difficile pensare a più di un rappresentante dei dirigenti di 1° livello nel comitato di dipartimento. Mentre in un dipartimento formato, per esempio, da 6 unità operative i rappresentanti possono essere di più. Spetterà all’azienda stabilirne il numero tenendo conto delle singole realtà, delle caratteristiche del dipartimento e dei rapporti fra 28