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STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99
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* Dipartimento di Economia Aziendale, Università degli Studi di Pisa.
¹ È ragionevole ritenere che, in teoria, esistano ampie possibilità per un connubio tra il
concetto di azienda e il concetto storico, artistico, culturale e legislativo di museo. Si
vedano in proposito Valentino (1993) e (1995), Bagdadli (1997), Solima (1998) e Zan
(1998a) e (1998b). Nella realtà dei fatti, e in particolare in quella italiana, tuttavia, una
serie di vincoli legislativi e di prassi comportamentali consolidate negli anni, fanno sì
che nella maggior parte dei casi la qualifica di aziendalità attribuibile alle gestioni
museali sia solo tendenziale e/o potenziale. Spesso infatti l’autonomia di volere ed eco-
nomico-finanziaria, la razionalità e la sistematicità della gestione, la tendenza verso un
equilibrio economico a valere nel tempo, sono fortemente limitate dal contesto istitu-
zionale e da obsolete routine comportamentali.
² Cfr. Causi (1997).
³ Basti pensare che tra il 1996 e il 1997 il numero di visitatori complessivo degli istituti
di antichità e arte statali è passato da 25.029.771 a 26.055.414, con un incremento del
4,1 per cento. Per i 20 musei più visitati il tasso di incremento medio delle visite è stato
di ben il 13 per cento, con punte del 56 per cento per la Galleria Borghese e del 57 per
cento per il Colosseo. Fonte: nostre elaborazioni su dati Ministero dei beni culturali e
ambientali, Ufficio di Statistica.
LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE
NELLE GESTIONI MUSEALI:
PROBLEMATICHE OPERATIVE E TECNICHE
CECILIA CHIRIELEISON *
1. La rilevanza strategica per i musei della valutazione delle perfor-
mance
Negli ultimi anni gli economisti aziendali hanno iniziato a occuparsi
con un crescente interesse del funzionamento e della gestione delle
organizzazioni museali, allo scopo di valutare se e in quali condizioni
gli schemi concettuali elaborati in riferimento alle imprese siano
applicabili a tali istituzioni1, anche in funzione della possibilità di
innescare processi di crescita economica a partire dalla valorizzazione
dei beni culturali, intesi in senso lato2. La situazione che attualmente
caratterizza la realtà museale italiana presenta, infatti, da un punto di
vista economico, delle anomalie non indifferenti. A fronte di un patri-
monio culturale senz’altro imponente per dimensioni e per importan-
za, in gran parte inutilizzato o malutilizzato, si trova una richiesta
effettiva e potenziale crescente3, ma per buona misura insoddisfatta.
Si presenta così una evidente contraddizione, dovuta all’esistenza in
uno stesso mercato di un eccesso di offerta e di un eccesso di doman-
da, fenomeno spiegabile, almeno in parte, con l’inadeguatezza quali-
tativa dell’offerta.
Solo recentemente, tuttavia, il dibattito economico-culturale ha
iniziato a interrogarsi sulle vie percorribili per procedere ad un rio-
rientamento strategico della gestione delle organizzazioni museali. La
definizione di strategie di cambiamento, infatti, comporta un più
generale ripensamento dei fondamenti stessi su cui si basa la gestione,
alla ricerca di un mutamento dell’orientamento strategico di fondo,
finalizzato all’individuazione di un nuovo «modo di essere»4 dell’a-
zienda-museo. È quindi imprescindibile un sottostante mutamento
del sistema delle idee guida5, capace di imprimere una svolta anche in
valori ad atteggiamenti consolidati, nonché di definire nuovi obiettivi
e nuove vie per raggiungerli.
La fase iniziale di tale processo non può non trovare origine all’in-
terno del museo, il quale prima di poter porre in essere vere e proprie
azioni, dovrà stabilire con chiarezza in quale direzione intende proce-
dere. Ciò presuppone la definizione, o la ridefinizione, della mission e
degli obiettivi strategici. Pur tenendo in adeguata considerazione il
mercato, infatti, nel caso dei musei questo non può costituire il punto
di partenza, poiché la gestione deve essere guidata essenzialmente
dall’identità culturale dell’istituzione e solo in seconda battuta dalle
richieste dei consumatori. Il museo allora deve essere in grado di ana-
lizzare con precisione la propria posizione attuale, il proprio ambito
di intervento e i propri oggetti di attività, deve cioè poter misurare e
valutare le proprie performance, in modo da definire con chiarezza il
quadro di partenza su cui intervenire con strategie e politiche adegua-
te. Dopo aver specificato le leve strategiche potenzialmente utilizzabili
ed aver scelto le più appropriate al fine del raggiungimento degli
obiettivi, così come individuati in base alla mission, il museo dovrà
tornare a misurare le performance, per valutare se ed in quale misura i
risultati ottenuti siano realmente andati nella direzione voluta, alla
ricerca dei feed-back, indispensabili a riattivare quel circuito che deve
esistere tra programmazione e controllo per poter tendere al migliora-
mento continuo.
Appare, dunque, evidente la rilevanza della scelta degli strumenti
da utilizzare per misurare le performance, che non può derivare da
una semplice trasposizione di technicalities elaborate in contesti diver-
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99
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⁴ «L’orientamento strategico di fondo riguarda il modo di essere e di funzionare del-
l’impresa in alcuni fondamentali profili gestionali e organizzativi, che si combinano e si
saldano con gli altri elementi dell’orientamento strategico di fondo. Quanto ai profili
organizzativi, trattasi di idee e atteggiamenti, spesso istintivi, da cui deriva un’organiz-
zazione in varia misura partecipativa o autocratica, preoccupata di favorire o di osta-
colare l’esplicarsi delle potenzialità individuali, aperta o chiusa al nuovo e così via»,
Coda (1988), pag. 27.
⁵ In relazione al sistema delle idee e alle idee guida si veda Bertini (1991).
si, ma deve al contrario tenere conto delle peculiarità dei musei e in
primo luogo della composizione tra gli obiettivi di natura culturale e
quelli di natura economica.
Ogni museo, in base alle proprie peculiarità, dovrebbe essere in
grado di definire una propria metodologia nella misurazione dei
risultati, scegliendo quali grandezze monitorare e con quale livello
di analisi, con quale periodicità, con quali modalità e con quali cri-
teri di valutazione. Le differenze tra un’organizzazione e l’altra, in
termini di tipologia della collezione, dimensioni, localizzazione, ser-
vizi offerti, assetti proprietari ecc., infatti, condizionano in maniera
non indifferente i processi di controllo. È tuttavia possibile indivi-
duare delle direttive di carattere generale, da considerarsi valide in
un ampio spettro di casi, pur con la consapevolezza dell’importanza
di perseguire la massima aderenza del sistema di valutazione delle
performance alla realtà osservata, dati certi fini della valutazione
stessa.
2. I presupposti per un efficace sistema di valutazione
Affinché sia possibile ed efficace inserire all’interno dei musei i siste-
mi di valutazione delle performance è necessario che siano preceden-
temente verificati due ordini di condizioni.
Un primo ordine di condizioni, che non è possibile approfondire in
questa sede6, è sostanzialmente di carattere organizzativo, legato prin-
cipalmente alla necessità di individuare precise responsabilità gestio-
nali7. La generalizzata mancanza nell’attuale assetto istituzionale dei
musei di una configurazione chiara delle linee di comando, infatti,
può creare problemi sia nell’identificazione degli indici per misurare
le performance, sia nel momento della loro valutazione, sia in quello
del feed-back.
Sarebbe dunque necessario preliminarmente procedere ad una
vera e propria riprogettazione organizzativa, basata sulla definizione
di centri di responsabilità e sull’istituzionalizzazione di rapporti fun-
zionali e gerarchici, nel quadro però di una sufficiente autonomia
economico-finanziaria, operativa e strategica dell’azienda-museo nel
suo complesso. Spesso, invece, la persistente rigidità degli organici dei
musei pubblici non rende neppure perseguibile l’armonizzazione delle
politiche del personale con le indicazioni provenienti dalla valutazio-
ne delle performance, data l’impossibilità di decidere assunzioni e
licenziamenti e la mancanza assoluta di strumenti «sanzionatori» o
di «gratificazione», da utilizzare per orientare i comportamenti. Del
resto, la totale assenza di competenze manageriali e, per contro, il for-
C. CHIRIELEISON, LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI ...
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⁶ Per approfondimenti sull’argomento si veda Chirieleison (1998).
⁷ Cfr. in proposito Zan (1998b).
te radicamento8 di una cultura di tipo umanistico9, determinano l’e-
sistenza di una persistente ostilità verso l’utilizzo di strumenti di con-
trollo gestionale10.
Il secondo ordine di condizioni è connesso alla predisposizione di un
sistema informativo adeguato11, capace di selezionare, tra la massa di
dati che qualsiasi organizzazione produce, o può teoricamente pro-
durre, quelli effettivamente utili per poi trasformarli, attraverso un
opportuno trattamento in informazioni12. In proposito è evidente
una generalizzata carenza del sistema museale italiano, all’interno del
quale mancano nella quasi totalità dei casi, sia in un contesto di pro-
prietà pubblica che privata, delle forme di chiara e rigorosa contabi-
lità. Il problema è evidentemente maggiore nei musei statali e di enti
locali, dal momento che il sistema della contabilità pubblica non per-
mette una ricostruzione di tipo economico-finanziario e che qualsiasi
rielaborazione sui dati disponibili si presenta alquanto ardua13. Nel
caso dei musei, dunque, per arrivare a disporre di una contabilità
generale adeguata e di un bilancio basato su schemi che, anche se non
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99
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⁸ «Nel complesso il personale scientifico delle soprintendenze costituisce un caso ano-
malo, all’interno dell’amministrazione statale italiana: si tratta infatti di un gruppo
burocratico specialistico, non privo di spirito di corpo, che può vantare una tradizione
più che secolare di studio, ricerca e intervento, attraverso cui si è consolidato un patri-
monio amministrativo e scientifico-culturale molto caratterizzato che presenta una
notevole omogeneità sul piano nazionale. L’esiguo numero dei funzionari e la specifi-
cità delle attribuzioni fanno sì che essi possano presentarsi all’esterno come un gruppo
relativamente compatto», Bobbio (1992), pag. 162.
⁹ Spesso nelle aziende non-profit i livelli gerarchici più elevati sono coperti da profes-
sionisti, anche se per tali ruoli sarebbero forse più importanti capacità manageriali che
tecnico-professionali. Cfr. Costa (1988), pag. 47.
¹⁰ In molti casi nei dirigenti è presente anche una più generica avversione alla traspa-
renza, volta ad evitare di rendere palesi ai livelli superiori di governo, ma anche ai cit-
tadini-utenti e agli stakeholders, posizioni di privilegio, inefficienza e inerzia comporta-
mentale.
¹¹ «In conclusione il sistema informativo aziendale può essere visto come l’insieme
interrelato degli elementi (risorse tecniche, umane, metodologiche e finanziarie; dati;
informazioni) determinanti l’insieme organizzato dei procedimenti di trattamento e
comunicazione dei dati finalizzato al soddisfacimento delle esigenze informative d’a-
zienda con la massima efficacia ed efficienza», Marchi (1988), pagg. 6-7.
¹² Cfr. Bertini (1990) e Marchi (1988), pag. 5.
¹³ Si veda ad esempio, in relazione al caso di Pompei, Zan (1998b). In relazione alle
difficoltà della ricostruzione della struttura dei costi dei musei comunali, afferma
Modina (1996): «La commistione delle attività museali con le altre attività della
Pubblica Amministrazione rende particolarmente difficile la corretta individuazione
dei costi di gestione, mancando persino una macro destinazione “attività museali”.
Non risulta inoltre prevista, in conseguenza dell’adozione del sistema di contabilità
finanziaria, la rilevazione dei costi secondo competenza economica. Infine i costi della
gestione corrente sono inseriti nel bilancio del Comune con il criterio della competenza
finanziaria, ossia nel momento della loro manifestazione monetaria; un corretto
approccio per una valutazione di economicità dovrebbe invece considerare i costi
sostenuti per l’acquisto dei fattori che sono pienamente utilizzati nell’esercizio o che
non sono più utilizzabili (criterio di competenza economica)», pag. 112.
obbligatori per legge14, presentino una corretta imputazione dei costi
e dei ricavi, superando l’ottica finanziaria prevalente nella contabilità
pubblica in generale15, sarà necessaria, quanto meno una riclassifica-
zione dei dati esistenti e una integrazione dei valori finanziari con
valori economici16.
Nell’ambito di una ricostruzione del conto economico di un
museo17 è perciò necessario «distinguere con precisione le voci relati-
ve ai processi di investimento dei musei» (restauro, manutenzione,
ecc.), da quelle direttamente riconducibili all’attività di gestione della
struttura18. Le spese connesse alla tutela e alla conservazione, così
come quelle relative a manutenzioni straordinarie dell’immobile dove
ha sede il museo, quelle per l’acquisto di impianti e quelle per rialle-
stimenti delle opere, hanno infatti un orizzonte temporale di lungo
periodo e le relative valutazioni dovrebbero essere effettuate conside-
randone la competenza, attribuendo cioè una quota parte delle spese
a più di un esercizio. Tutte quelle spese connesse con l’apertura del
museo al pubblico, come i salari del personale di custodia, il riscalda-
mento, l’illuminazione e così via, possono invece essere fatte gravare
sul singolo esercizio. In realtà, tuttavia, operare una distinzione di
questo tipo presenta difficoltà non trascurabili, relative all’imputazio-
ne di singole voci e al calcolo anche approssimativo del periodo di
riferimento per gli investimenti.
Affinché le analisi sui costi non forniscano indicazioni fuorvianti,
è poi importante da un lato considerare gli hidden cost, dall’altro
imputare anche gli oneri figurativi.
Gli hidden cost sono quei costi che analizzando il bilancio del
museo risultano invisibili, ma che comunque per competenza gravano
su di esso. Si tratta in genere di costi del museo che vengono diretta-
mente pagati da livelli superiori di governo o, comunque da altri sog-
getti istituzionali, e che quindi non compaiono in nessun modo nella
contabilità19. Nei musei statali, ad esempio, dal momento che i dipen-
C. CHIRIELEISON, LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI ...
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¹⁴ Cfr. Angeloni-Fiorentini (1996), pag. 296.
¹⁵ Cfr. Anselmi (1992), pagg. 27-28.
¹⁶ Cfr. Zangrandi (1985), pagg. 42-43.
¹⁷ Si è preferito qui tralasciare la complessa problematica di una valutazione patrimo-
niale dal momento che «come è facilmente comprensibile, l’attivo dello Stato patrimo-
niale di un museo risulta composto essenzialmente da opere per le quali solo in via teo-
rica potrebbe esistere un mercato di riferimento e quindi un prezzo. (...) L’impossibilità
di determinare la dimensione economica del patrimonio rende di fatto inapplicabili gli
indicatori di redditività del capitale, tipicamente adottati all’interno delle aziende indu-
striali. Per cui, le valutazioni che in chiave aziendalistica è possibile formulare devono
essere necessariamente circoscritte all’analisi delle componenti economiche delle strut-
ture museali», Solima (1998), pagg. 342-343.
¹⁸ Solima (1998), pag. 344.
¹⁹ Afferma Modina (1996) nel già citato studio sui musei comunali di Verona: «La
mappa dei costi sulla quale intervenire per una ricerca sistematica delle destinazioni
denti formalmente sono dipendenti del Ministero dei Beni culturali,
gli stipendi vengono pagati direttamente dal Tesoro, senza alcun pas-
saggio dai conti della Soprintendenza. Una mancata inclusione dei
salari tra i costi del museo, evidentemente, genera distorsioni di non
poco conto, data la loro elevata incidenza.
Gli oneri figurativi sono invece collegati a quelle risorse che ven-
gono acquisite dal museo senza che per esse venga pagato un vero e
proprio corrispettivo: si pensi al volontariato o alla concessione in
comodato di un immobile. Se non li si considera, infatti, non si evi-
denzia correttamente il rapporto tra input ed output e ciò può com-
portare l’assunzione di decisioni fondate su presupposti non aderenti
alla realtà20.
Oltre alla contabilità è fondamentale poter usufruire di rilevazioni
di provenienza extra-contabile e in particolare di una chiara e corretta
contabilità dei costi, imprescindibile per la definizione degli indicatori
di efficienza e di efficacia. Si potrà così elaborare, su misura del
museo, una contabilità analitica21 per prestazioni erogate, per centri
di costo22, per programmi, per progetti, per prodotti23 ecc.: il costing
costituisce infatti una componente fondamentale del controllo dire-
zionale24. Ciò purché sia comunque possibile l’individuazione all’in-
terno del museo di ben precisi centri di responsabilità, siano essi di
ricavo, di costo, di reddito o di investimento.
Uno strumento particolarmente utile può essere l’Activity Based
Costing25 che, attraverso l’utilizzo di cost drivers per l’imputazione dei
costi indiretti, permette di studiare meglio il rapporto tra risorse e
risultati per ciascuna attività compiuta dal museo. L’obiettivo di tale
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99
148
non è nota. Si ha pertanto la forte sensazione che porzioni significative di costi soste-
nuti, attribuibili ai centri di costo oggetto dell’analisi, non vengano affatto
monitorate», pag. 112.
²⁰ In relazione alle modalità e all’opportunità dell’evidenziazione in bilancio degli one-
ri figurativi si veda Capaldo (1996).
²¹ In relazione ad uno studio approfondito sulle problematiche relative alla contabilità
dei costi nelle unità sanitarie locali si veda Anselmi (1995), pag. 185 e segg. e
Zangrandi (1985), pag. 131 e segg.
²² In relazione al concetto di centro di costo si veda, tra gli altri, Amaduzzi (1973),
cap. VIII.
²³ Cfr. Cavalieri (1995), pag. 298.
²⁴ In relazione alle aziende sanitarie afferma Zangrandi (1990): «Da queste prime
osservazioni possono essere definiti due scopi generali assegnati alla contabilità analiti-
ca all’interno di queste aziende:
— conoscenza, in termini di valore economico, delle risorse impiegate;
— definizione delle funzioni di costo-obiettivo, in considerazione della mancanza di
prezzi di cessione dei servizi.
(...) La seconda esigenza, sicuramente di maggiore rilievo, consiste nella determinazio-
ne di risultati di sintesi di processi di produzione e consumo su cui poter poi inserire
processi di ordine organizzativo miranti alla responsabilizzazione di ordine econo-
mico», pag. 59.
²⁵ Cfr. Johnson-Kaplan (1987).
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analisi è pervenire all’individuazione di sprechi o sottoutilizzazioni di
risorse, al fine di determinare le possibili leve di intervento per miglio-
rare il rapporto tra input e output, chiaramente dopo aver analizzato
compiutamente anche la struttura delle entrate. Nelle organizzazioni
museali, tuttavia, si incontrano notevoli difficoltà metodologiche già
soltanto nell’identificazione delle diverse attività e, a maggior ragio-
ne, nell’attribuzione dei costi alle attività stesse. Si pensi ad esempio
all’importanza e nel contempo ai problemi della distinzione tra atti-
vità di conservazione e restauro, da un lato, e attività espositiva dal-
l’altro. Un impianto di allarme, ad esempio, se da un lato ha una sua
utilità per preservare il patrimonio in quanto tale, eventualmente
anche in assenza di pubblico, deve presentare delle caratteristiche
almeno parzialmente diverse qualora le opere siano esposte ai visita-
tori. Parte del relativo costo, dunque, potrebbe essere imputato alla
conservazione e parte alla fruizione, ma non sono definibili a priori
modalità univoche per il calcolo concreto, che necessariamente risen-
te di valutazioni fortemente soggettive.
La contabilità analitica è la base anche per la definizione degli
standard 26, i quali costituiscono un riferimento essenziale per i pro-
cessi di confronto e/o controllo delle performance. Gli standard, che
possono essere di costo, totale o unitario, di quantità e qualità delle
risorse disponibili, di rendimento, di prestazioni, ecc., devono chiara-
mente essere, in primo luogo, strettamente correlati al processo di
contrattazione e definizione degli obiettivi; in secondo luogo legati
agli aspetti qualificanti delle attività e dei programmi e alle risorse cri-
tiche e, in terzo luogo, particolarmente segnaletici. Una corretta defi-
nizione degli standard permette di elaborare un budget27 della gestio-
ne museale e di effettuare analisi degli scostamenti, in base alle quali
definire se le variazioni rispetto a quanto previsto siano state conse-
guenza di variazioni di volume, di mix di servizi prodotti, di efficienza
o di prezzo.
3. Le caratteristiche del sistema di indici
La predisposizione dei dati non è che la prima fase della misurazione
delle performance, le cui modalità concrete dovranno essere definite
caso per caso, sulla base di una metodologia corretta da un punto di
vista economico-aziendale e di indici con una adeguata capacità
segnaletica.
Affinché il sistema di indici prescelto sia realmente in grado di aiu-
C. CHIRIELEISON, LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI ...
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²⁶ Per un’analisi approfondita sui costi standard e le problematiche connesse con la
loro definizione e implementazione, si veda Coda (1970).
²⁷ Si veda in proposito Solima (1998), pag. 360 e segg. In relazione alla rilevanza per
aziende non profit dell’utilizzo del budget si veda Anthony-Young (1992), pag. 318 e
segg.
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99
150
tare la direzione in questo compito, è necessario che possieda deter-
minate caratteristiche. Tra queste risalta in modo particolare la sem-
plicità di utilizzo, connessa tra l’altro alla numerosità degli indici
oggetto di analisi. Anche se la situazione ideale da questo punto di
vista sarebbe l’utilizzo di un solo indice, questa strada si presenta tut-
tavia non percorribile. Le valutazioni basate sul parametro del reddi-
to, come vedremo tra un attimo, sono infatti scarsamente significati-
ve, e quelle fondate unicamente sul numero dei biglietti venduti o sul
costo per visitatore (che sono gli indici sintetici più spesso utilizzati),
sono da considerarsi del tutto insufficienti. Nonostante un insieme di
indici sia più complesso da interpretare e da seguire nel tempo, piut-
tosto di uno unico, esso può dunque fornire informazioni molto più
utili sia al controllo operativo e direzionale, sia al riorientamento
strategico dell’organizzazione. Il problema, allora, diventa la selezio-
ne di un numero contenuto di indici chiari, capaci con la propria
significatività di esprimere unicamente gli aspetti importanti e in
maniera tempestiva, per i quali il rapporto tra vantaggi e costi della
rilevazione sia positivo. Si può, in questo modo, cercare di minimizza-
re le difficoltà di coordinamento e di interpretazione dei risultati che,
se già creano problemi nel ruolo tradizionalmente affidato al control-
ler nelle imprese industriali, tanto più possono destabilizzare una
organizzazione come il museo, in cui già solo il concetto di valutazio-
ne incute diffidenza.
D’altra parte, ciò che può rendere un sistema di valutazione delle
performance realmente efficace nei musei non è tanto la sua corret-
tezza da un punto di vista tecnico-contabile o la sua scientificità,
quanto, almeno in una prima fase, la sua legittimazione agli occhi di
chi realmente lo deve utilizzare come strumento quotidiano di lavoro:
la facilità di costruzione e interpretazione degli indici diventa a tale
scopo fondamentale, così come la capacità di stimolare un progressi-
vo cambiamento della cultura dell’intera organizzazione, volto a ren-
dere tali metodologie progressivamente accettate, comprese, utiliz-
zate28. Ecco dunque, l’importanza di operare con gradualità: una
introduzione progressiva, che si muova dagli obiettivi semplici verso i
più complessi, con un orizzonte temporale da allungare progressiva-
mente, può creare le condizioni per un adattamento reciproco dell’or-
ganizzazione e degli strumenti utilizzati. Puntare ad una introduzione
parziale e all’ottenimento immediato di qualche risultato, inoltre,
mostrando subito nel concreto l’utilità effettiva della misurazione del-
le performance può aumentarne l’accettazione. La gradualità infine
concede il tempo necessario per formare il personale addetto alla rac-
colta e all’elaborazione dei dati, dal momento che tali professionalità
sono in genere assenti nei musei.
—————————————
²⁸ Cfr. Borgonovi (1992), pagg. 39-40.
C. CHIRIELEISON, LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI ...
151
Il sistema di misurazione delle performance dovrebbe infine essere
selettivo, essere cioè in grado di generare tipi di informazioni diversi
per contenuti, analiticità e tempestività, a seconda del livello di
responsabilità per il quale devono fornire da supporto nelle decisioni.
È infatti possibile, in generale, definire tre diverse aree di responsabi-
lità che caratterizzano la gestione museale. Una prima area è quella
politica, responsabile di fronte agli elettori, diretti o indiretti, delle
decisioni strategiche, quelle cioè capaci di influenzare l’intero sistema
museale, o un suo sottosistema rilevante. Una seconda area è quella
dei professionisti-dirigenti del singolo museo, responsabili delle scelte
gestionali sia nei confronti degli utenti e degli stakeholders (per la
qualità e quantità dei servizi erogati), sia nei confronti dei livelli poli-
tici (per il rapporto tra risorse assorbite e risultati ottenuti). Una ter-
za area è quella dei dirigenti amministrativi, a cui spettano sostanzial-
mente valutazioni di carattere tecnico-economico di supporto alle due
aree precedenti29.
4. Gli indici per la misurazione delle performance
Gli indici per la misurazione delle performance possono essere di tipo
economico-finanziario e non economico-finanziario.
Gli indici di tipo economico-finanziario derivano da rielaborazioni
dei dati provenienti dalla contabilità generale e dalla contabilità ana-
litica30, basandosi sulle analisi di bilancio31. Il monitoraggio di tali
indici, che hanno il vantaggio di essere relativamente semplici da cal-
colare, dovrebbe consentire di rilevare le sacche di inefficienza e di
disorganizzazione esistenti, facilitandone così l’eliminazione, con lo
scopo di indirizzare la gestione verso un progressivo allineamento tra
risultati e obiettivi.
Gli indici di tipo non economico-finanziario32 comprendono sia gli
indicatori fisico-tecnici, quelli cioè che usano unità di misura diverse
dal metro monetario33, sia indicatori con modalità qualitative e non
—————————————
²⁹ Cfr. Zangrandi (1990), pag. 65.
³⁰ La letteratura economico-aziendale su tale argomento è estremamente ampia. A
titolo meramente esemplificativo si vedano, tra gli altri, Marchi-Quagli (1997),
Paganelli (1986), Caramiello (1993), Ferrero (1984), Brusa-Dezzani (1983), Bergamin
Barbato (1987).
³¹ In relazione ai limiti delle misure di performance contabili afferma Guatri: «I limiti
e le insufficienze della rilevazione contabile non debbono peraltro far dimenticare la
sua insostituibile funzione. Essa è la base per qualsiasi misura di performance econo-
mico-finanziaria, che dai risultati contabili sempre prende l’avvio. Ed inoltre la perfor-
mance contabile tradizionale, espressa dal bilancio civilistico e dal bilancio consolidato
(nonché da situazioni infrannuali), è un riferimento indispensabile ai fini del controllo
e più in generale della Corporate Governance. Obiettivi che proprio le rigidità ed i for-
malismi rendono, in un certo senso, possibili riducendo i gradi di libertà e l’opinabilità
delle scelte», Guatri (1997), pag. 148.
³² Cfr. Lothian (1997), pag. 1 e segg.
³³ Rientra in questo contesto l’analisi dei rendimenti, definiti da Masini (1978) «rap-
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99
152
quantitative. Questa seconda classe, volta a fornire un quadro comple-
to e ad integrare le valutazioni ottenibili dagli indici della prima classe,
assume nelle organizzazioni museali un rilievo del tutto peculiare, sia
per la maggiore attitudine alla rilevazione dell’efficacia gestionale, sia
per la possibilità di trarne utili indicazioni in merito all’efficacia socia-
le del museo, alla sua capacità cioè creare e diffondere cultura, rispon-
dendo ai bisogni, anche non espressi, dei propri fruitori.
Nell’ambito di queste due categorie, in dottrina sono state elabo-
rate numerose possibili classificazioni. In questa sede si è scelto di
raggruppare gli indici in quattro gruppi34: gli indicatori relativi alla
gestione museale nel suo complesso; gli indicatori relativi alle attività
connesse con il servizio espositivo; gli indicatori relativi alle altre atti-
vità e infine le misure di soddisfazione degli utenti. Naturalmente
solo un’analisi globale e sistemica di tutti gli indici può consentire di
identificare con sufficiente chiarezza il livello di efficienza e di effica-
cia raggiunto dal museo e di formulare ipotesi sulle possibilità di svi-
luppo futuro.
4.1. Gli indicatori relativi alla gestione museale nel suo complesso
L’individuazione di indici sintetici per valutare la gestione
museale presenta notevoli difficoltà, dal momento che è struttural-
mente assente un parametro assimilabile a quello del reddito35. Tale
fenomeno dipende, almeno in parte, dal fatto che la domanda com-
plessiva del prodotto/servizio in oggetto genera un flusso di ricavi
porti rappresentati in modo implicito o esplicito, espressione di risultati non monetari
dello svolgimento di un processo produttivo ordinato in combinazione non
produttiva», pag. 378. Tali indici esprimono in genere la misura dell’impiego fisico di
singoli fattori per unità prodotta e, anche se parziali, possono essere estremamente uti-
li al controllo operativo, nella scelta tra fattori o processi alternativi in fase di pro-
grammazione delle attività e per la responsabilizzazione degli operatori. Sull’argo-
mento si veda anche Masini (1960).
³⁴ La classificazione degli indici accolta rielabora, in funzione delle peculiarità delle
organizzazioni museali, quella proposta per le organizzazioni non profit da Molteni
(1997), pag. 112 e segg.
³⁵ In relazione alle aziende pubbliche, afferma Farneti: «L’economicità ritrae pertan-
to, nella fattispecie aziendale indagata, la sua essenza, la sua qualificazione, dall’utilità
che consegue dal produrre, “efficientemente”, servizi e beni che sono in grado, “effica-
cemente”, di soddisfare i bisogni degli individui-consumatori. Ne deriva che se il pro-
fitto perde il ruolo che nell’impresa gli è proprio, quello di quantificare i risultati, que-
sto ruolo andrà ricercato altrove, senza che possa essere sostituito da un unico indica-
tore, ciò in quanto il “valore dei servizi consumati” non è quantificato sulla base dei
prezzi formati nei mercati di collocamento ed ogni individuo ha, altresì, una propria
curva di utilità. Il profitto dunque andrà sostituito da un’analisi atta a verificare la
minimizzazione dei costi per ogni produzione ed a ricercare quale combinazione delle
produzioni attuate, quali livelli qualitativi delle stesse, siano in grado, a parità di risor-
se consumate, di ricevere il migliore apprezzamento da parte degli utenti: dunque, ad
un tempo, la migliore soddisfazione dei consumatori abbinata ad una produzione effi-
ciente o, per altro verso, abbinata ad un’elevata produttività dei fattori impiegati nel
modulo di combinazione produttiva», Farneti (1992), pagg. 141-142.
—————————————
C. CHIRIELEISON, LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI ...
153
insufficiente e garantire la copertura dei costi totali36. Il mercato,
dunque, non è in grado autonomamente di determinare condizioni
di redditività per tale attività aziendale, che si presenta sistematica-
mente in perdita.
I servizi prodotti per la collettività, attuale e futura, come la con-
servazione o i restauri, sono infatti erogati senza che ad essi corri-
sponda il pagamento di alcun corrispettivo da parte dei fruitori: i cit-
tadini non pagano direttamente per l’effettuazione di un restauro o
per lo studio di un quadro del museo dalla dubbia attribuzione, ma
semmai vi contribuiscono indirettamente attraverso il prelievo fiscale.
I servizi prodotti per un determinato insieme di fruitori, invece, sono
solitamente erogati dietro il pagamento di un corrispettivo, il cui
ammontare però non è definito in modo da coprire il costo medio
totale. Viene invece fissato un «prezzo politico»37, che in genere non
è in grado di remunerare se non in minima parte i costi sostenuti38, e
determina la necessità di una integrazione attraverso sussidi pubblici
o privati. I «ricavi» del museo, dunque, quando esistono, non espri-
mono il «valore» della produzione effettuata ed erogata. La quantifi-
cazione economica dei risultati, perciò, risulta essere alquanto proble-
matica, dal momento che se è possibile, pur con difficoltà, individua-
re i costi, i ricavi non presentano un rilievo economico significativo,
anche perché la produzione di ricchezza di un museo non si manifesta
se non in minima parte sotto forma economico-finanziaria.
In mancanza di un indice sintetico, come quello del reddito, dun-
que, sarà indispensabile una lettura più attenta degli altri indici di
performance39. Tra questi possiamo individuare quelli volti a rappre-
sentare l’autonomia economico-finanziaria del museo, la sua rigidità
e le sue potenzialità di sviluppo.
Per valutare l’autonomia economico-finanziaria del museo si può
—————————————
³⁶ Per una approfondita trattazione analitica del problema si veda Heilbrun-Gray
(1993), pag. 175 e segg.
³⁷ Per un’analisi approfondita sull’argomento si veda Passaponti (1984).
³⁸ In molti casi, potrebbe essere addirittura impossibile fissare un prezzo che consenta
di raggiungere l’equilibrio. Ciò accade quando i costi sono particolarmente elevati (ad
esempio perché incorporano rilevanti oneri per il restauro) e la domanda è insufficien-
te a generare un break even point: i costi fissi non possono essere ripartiti su un numero
abbastanza ampio di visitatori, per cui la curva del costo totale unitario si trova, per
qualsiasi quantità prodotta, sopra la curva di domanda; in tal caso non esiste alcun
punto di intersezione tra le due curve e quindi non esiste un prezzo del biglietto che
garantisca la copertura dei costi totali. Cfr. Netzer (1978) e Frey-Pommerehne (1993).
³⁹ «È raro trovare un parametro sintetico di misurazione dell’economicità di un’azien-
da senza finalità di reddito, cioè un parametro analogo a ciò che il reddito rappresenta
per un’impresa privata. I fini delle aziende senza finalità di reddito sono solitamente
complessi e spesso astratti. Di conseguenza, sono complessi anche i loro output, il che
rende necessario il ricorso a molteplici indicatori. In alcuni casi è possibile individuare
un sistema di parametri dal quale ricavare schemi, tendenze, indicazioni relative alla
qualità dell’output e all’economicità dell’azienda. Sistemi di questo tipo possono essere
definiti vettori di output», Anthony-Young (1992), pag. 398.
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99
154
calcolare la percentuale di entrate da ricavi caratteristi sul totale delle
entrate, al fine di verificare in che misura il museo riesca ad autogene-
rare le risorse finanziarie di cui necessita attraverso incassi da bigliet-
ti, vendite di altri servizi, diritti di concessione e così via. Rilevante
anche il calcolo della percentuale di entrate derivante da contributi di
privati per donazioni, sponsorizzazioni o quote di membership40: una
proporzione elevata esprime in genere, oltre al raggiungimento di una
consolidata reputazione, una buona capacità del museo di dialogare
con i propri stakeholders. Al contrario l’indice dato dai finanziamenti
statali (o comunque da livelli superiori di governo) sul totale delle
entrate esprime la dipendenza del museo da trasferimenti di risorse:
maggiore è tale percentuale, minore sarà in genere l’imprenditorialità
espressa dal management.
Uno dei principali indici che permette di stimare, invece, la rigidità
della gestione è dato dalla percentuale delle spese rigide in proporzio-
ne al totale delle spese. In genere i musei, soprattutto quelli pubblici,
presentano un valore di questo indice piuttosto elevato: le spese per il
personale dipendente, la manutenzione degli impianti, i materiali e i
consumi di utenze, coprono in media circa il 70 per cento del totale41.
Quanto maggiore è tale rapporto, dunque, tanto più saranno limitate
le possibilità di azione del museo il quale, per implementare sia
miglioramenti incrementali, sia innovazioni strategiche dovrà ricorre-
re a cambiamenti di tipo strutturale.
Gli indicatori concernenti lo sviluppo del museo richiedono natu-
ralmente l’analisi di una serie storica di dati e si basano principalmen-
te su indici che calcolano la variazione relativa delle risorse finanzia-
rie disponibili e del numero dei dipendenti. In realtà una diminuzione
di tali indici non implica necessariamente una contrazione dell’atti-
vità museale. Il contracting-out, di alcune attività42, ad esempio, può
determinare un aumento della gamma e del livello qualitativo dei pro-
dotti/servizi offerti ai consumatori e, contestualmente, una anche
significativa riduzione dei dipendenti e delle risorse finanziarie assor-
bite dal museo. Può dunque essere opportuno considerare anche altri
indici, quali la variazione percentuale del numero di visitatori e di
altre prestazioni di servizio (come il numero di richieste di accesso
alla biblioteca del museo), oppure la variazione percentuale dei ricavi
caratteristici, da integrare naturalmente con considerazioni di caratte-
re qualitativo.
—————————————
⁴⁰ Potrà anche essere valutata in questo contesto l’efficacia delle attività di found-
rising, confrontandone il costo con il totale dei proventi ottenuti; calcolando l’importo
della donazione media ottenuta da privati, la percentuale di donatori non occasionali e
la quota di nuovi donatori sul totale dei contributi. Cfr. Molteni (1997), pag. 158 e
segg.
⁴¹ Cfr. Valentino (1993).
⁴² Cfr. Berbetta (1996).
C. CHIRIELEISON, LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI ...
155
4.2. Gli indicatori relativi alle attività connesse con il servizio espositivo
Il servizio espositivo può essere considerato il servizio di base43,
quello cioè che costituisce la ragione principale per cui il fruitore si
rivolge al museo44. Tale servizio ha un contenuto estremamente com-
posito; non si limita infatti alla semplice esposizione delle opere in
uno spazio fisico, ma comprende elementi come, ad esempio, la chia-
rezza dell’esposizione, la capacità di trasmissione di un determinato
messaggio attraverso il percorso, l’ausilio offerto per la decodifica
del messaggio stesso. Il «processo produttivo» del servizio di esibi-
zione, dunque, attinge da tutte le attività poste in essere dal museo, e
non solo da quella espositiva, trovandovi il proprio fondamento. Ai
fini della nostra analisi si possono considerare parte del servizio
espositivo i servizi di supporto alla fruizione, come il servizio di
biglietteria, il servizio di prenotazione delle visite, il guardaroba, il
parcheggio. Vi rientrano anche la produzione e la distribuzione di
tutte quelle informazioni sulla collezione ed il museo che non sono
inglobate nel servizio espositivo; si pensi alle visite guidate, alla pre-
senza di personale specializzato a disposizione per chiarimenti, alle
attività e ai supporti didattici. Possono essere considerati parte del-
l’attività caratteristica, infine, pure i servizi complementari alla frui-
zione, quelli cioè che, seppure non direttamente collegati con la visi-
ta, possono contribuire a renderla più piacevole o a integrarla. Si
pensi agli spazi di sosta, ai punti di ristoro bar/ristorante, ai negozi e
bookshop, nei quali è disponibile per la vendita tutto quanto può
essere direttamente o indirettamente correlato con il museo: pubbli-
cazioni, oggettistica, riproduzioni, cartoline, cd-rom, audio e video-
cassette.
Gli indicatori connessi al servizio espositivo possono essere rag-
gruppati in cinque classi: quelli relativi al rapporto con gli utenti; alle
risorse a disposizione; all’output; alla redditività e allo sviluppo.
a) Indicatori del rapporto con gli utenti.
Il rapporto con gli utenti può essere analizzato da diversi punti di
vista.
In primo luogo è importante valutare le condizioni di accessibilità
del museo. A questo scopo è rilevante innanzitutto il numero di
ore e di giorni di apertura, non solo in valore assoluto, ma anche
considerandone la distribuzione. Molti musei, infatti, restano
accessibili per un numero complessivamente ragguardevole di ore,
ma sono chiusi proprio quando si verificano le punte di domanda,
quando cioè è massima la disponibilità di tempo libero dei poten-
—————————————
⁴³ In relazione alla distinzione tra servizi di base e servizi periferici cfr. Normann
(1985), pag. 56 e segg. e Eiglier-Langeard (1988), pag. 113.
⁴⁴ In relazione alla fruizione virtuale dei musei si veda Legrenzi-Micelli-Moretti
(1998).
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99
156
ziali visitatori, come la sera, nel fine settimana, nei giorni di festa,
circostanza che potrebbe far propendere per una ridistribuzione
dei tempi di apertura. Importante è anche il tempo medio di attesa
per l’accesso al museo: le code infatti generano insofferenza nel
pubblico e possono scoraggiare potenziali visitatori. A questo sco-
po è anche da considerare l’esistenza o meno della possibilità di
preacquisto del biglietto o di prenotazione della visita e la percen-
tuale dei fruitori che di fatto ne usufruisce, in modo da incentivare
con adeguate iniziative la razionalizzazione dei flussi di ingressi45.
Un ultimo fattore da valutare è la minore o maggiore raggiungibi-
lità del museo, sia a livello di trasporti pubblici sia di possibilità di
parcheggio, che pur essendo in gran parte una variabile esogena
può giustificare in parte l’eventuale limitata affluenza di pubbli-
co46 e suggerire l’attivazione di attività di lobbying per migliorare
la situazione.
In secondo luogo vanno considerate le caratteristiche quali-quanti-
tative della domanda47. Assumono importanza dunque, oltre al
numero di visitatori gratuiti e paganti, la percentuale di residenti e
quella di turisti, espressione del radicamento del museo in una
determinata realtà culturale e della sua capacità di coinvolgere la
comunità nel proprio progetto educativo, nonché la composizione
per età, titolo di studio, provenienza, e così via.
In terzo luogo dovrebbero essere elaborati indici relativi alla frui-
zione di servizi ulteriori rispetto a quello espositivo. Una maggiore
percentuale di persone che utilizza il servizio di visita guidata, ad
esempio, può essere un indicatore positivo, dal momento che un
intermediario specializzato nella decodifica del messaggio cultura-
le del museo può essere funzionale al migliore raggiungimento
degli obiettivi di comunicazione del museo stesso e aumentare la
soddisfazione del consumatore con proficui ritorni in termini di
immagine, non ultimo il cosiddetto effetto «passaparola» che,
—————————————
⁴⁵ Al Louvre, ad esempio, i gruppi sono obbligati a prenotare la propria visita, per
evitare intasamenti eccessivi nelle sale. L’obbligo della prenotazione è stato introdotto,
dopo la recente riapertura, anche alla Galleria Borghese a Roma.
⁴⁶ Osserva acutamente Bordon (1998): «Sono stato recentemente al Museo
Archeologico di Reggio Calabria dove vi sono due delle opere più straordinarie dell’in-
gegno artistico e umano di tutti i secoli, i Bronzi di Riace. (...) Si è speso molto denaro
per salvarli. Ma i visitatori del Museo Archeologico di Reggio sono pochissimi.
Ovviamente nascono tanti quesiti: è soltanto un problema di comunicazione? O non è
anche di altro tipo? È facile secondo voi oggi andare a Reggio Calabria in termini di
trasporti; è facile fruirne in termini di servizi turistici? No, è assolutamente poco facile;
anzi se i Bronzi fossero portati a Parigi sarebbe più semplice andare da Roma a Parigi
per vederli», pag. 185.
⁴⁷ Anche nel contesto italiano cominciano ad essere effettuate ricerche di questo tipo,
più spesso per un insieme di musei che per uno singolo, dati i costi della rilevazione e
dell’elaborazione dei dati. Interessante quella di Aguiari-Amici (1995) sui musei di
Roma.
notoriamente, in questo settore riveste una importanza determi-
nante. Anche la propensione a fruire dei servizi di bar e caffetteria
indica un buon rapporto con il pubblico, dal momento che contri-
buisce, oltre ad aumentare le entrate del museo, a creare un clima
di familiarità con il luogo e la collezione. Nello stesso senso anche
l’indice dato dalla percentuale di visitatori che acquista qualcosa
nel bookshop, a cui è demandata la prosecuzione della missione
educativa del museo, purché naturalmente sia garantita la qualità
dei prodotti in vendita.
b) Indicatori relativi alle risorse a disposizione.
Per valutare le risorse a disposizione va considerata, in primo luo-
go, l’adeguatezza di spazi, strutture e attrezzature, in particolare in
relazione all’immobile sede del museo. Vengono in genere utilizzati
indicatori con modalità qualitative che segnalano l’età dell’immo-
bile, le sue condizioni, la necessità di ristrutturazioni, la presenza
di barriere architettoniche e, in generale, la sua adeguatezza fun-
zionale, in gran parte dipendente dalla circostanza che l’edificio
fosse stato progettato per essere un museo o meno. In Italia sono
molto pochi gli edifici museali nati allo scopo di contenere un
museo. Gli esempi storici rimasti fino a noi, come la Galleria degli
Uffizi, Villa Borghese, alcune sale dei musei Vaticani, si sommano
a poche testimonianze di architettura museali degli anni Cin-
quanta del nostro secolo48. Per il resto, tutte le collezioni sono sta-
te più o meno comodamente alloggiate in conventi, castelli o
palazzi storici49. In tutti questi casi l’edificio museo non costitui-
sce solo un «contenitore», ma diviene esso stesso parte dell’esposi-
zione. Chiaramente tale circostanza impone una serie di condizio-
namenti alla gestione del museo di cui non è possibile non tenere
conto, dall’impossibilità di creare ascensori, alla mancanza degli
spazi per laboratori o servizi aggiuntivi (interessante il calcolo del-
la percentuale di metri quadrati ad essi dedicati sul totale dello
spazio disponibile), fino al sovraffollamento dei depositi.
In secondo luogo, devono essere valutate le risorse umane di cui il
museo dispone. L’importanza di tale valutazione deriva dal fatto
che, utilizzando una caratteristica dell’input per valutare indiretta-
C. CHIRIELEISON, LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI ...
157
—————————————
⁴⁸ Nel resto d’Europa e ancora maggiormente negli Stati Uniti, invece, si è creata una
vera e propria architettura museale in cui gli spazi espositivi vengono appositamente
progettati «per accogliere tutti i servizi del museo, da quelli espositivi a quelli di con-
servazione, da quelli di rappresentanza a quelli di studio e gestione e a quelli destinati
al pubblico», Passamani (1995), pag. 38.
⁴⁹ «Ma torniamo allora al luogo, alla casa del museo italiano. Esso risiede in luoghi
che noi dobbiamo classificare meglio. Sono per il 27 per cento case e palazzi storici;
per il 30 per cento ex chiese ed ex conventi, sono per il 20 per cento rocche e castelli, un
ultimo 10 per cento va riservato a scavi di tipo classico e archeologico appunto e par-
chi. Pochissimi sono i musei che sono stati costruiti allo scopo e che sono nati da un
piano programmatico», Emiliani (1996), pag. 20.
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99
158
mente l’output, la quantità e la qualità del personale impiegato
può costituire una proxy della qualità dei servizi offerti50. Alcuni
indici interessanti sono focalizzati sull’apporto del volontariato51 e
in particolare sulla sua percentuale rispetto alle ore di lavoro
dipendente. I volontari, infatti, non solo riducono i costi a carico
del museo, ma apportano anche un notevole carico di entusiasmo
e di intraprendenza, in genere contagioso52. Una loro significativa
presenza, inoltre, testimonia la capacità del museo di interagire
con il contesto sociale e ne conferma, indirettamente, la validità
del progetto culturale. Una percentuale eccessiva, tuttavia, può
comportare, oltre a problemi concreti di coordinamento, difficoltà
derivanti dalla mancanza di continuità nell’impegno e dalla scarsa
professionalità dei volontari53. In proposito è utile calcolare la
percentuale di volontari che presta servizio nel museo da più di un
anno, indice sia della capacità del museo di fidelizzare i propri col-
laboratori, sia del livello di competenze che essi possono aver
acquisito sul campo.
In relazione invece al personale dipendente le valutazioni da effet-
tuare sono più numerose e più complesse. Innanzitutto bisogna
conoscere l’incidenza dei costi per salari e stipendi sui costi totali
del servizio espositivo, incidenza che, in genere, è resa molto eleva-
ta dal peso del personale di vigilanza. Gli indici relativi alla com-
posizione del personale e al relativo costo per categorie in rappor-
to al totale dei costi per i dipendenti, infatti, esprimono il livello di
qualificazione delle professionalità presenti nel museo. In base alle
risultanze di una tale analisi dovrebbe anche essere possibile anda-
re ad incidere con cognizione di causa sui profili culturali dei
dipendenti, modellandoli sulle reali esigenze del museo. In genere
in Italia è infatti individuabile una percentuale sensibilmente più
bassa, rispetto ad una media internazionale, di professionalità spe-
cifiche54, quali storici dell’arte o archeologi55, a fronte di una ele-
vatissima presenza di custodi, frutto della sedimentazione negli
—————————————
⁵⁰ Cfr. Travaglini (1996), pag. 308.
⁵¹ Sull’argomento cfr. Bertolucci (1997).
⁵² Cfr. Bagdadli (1994).
⁵³ Tali rischi sono massimi in caso di utilizzo di obiettori di coscienza, impiegabili nei
musei in base alla convenzione firmata dal Ministero dei Beni culturali e da quello del-
la Difesa nel novembre del 1996.
⁵⁴ Sulla drammatica e paradossale situazione di Pompei, che vanta solo 16 tra archeo-
logi, storici dell’arte e architetti, e ben 423 custodi, si veda Zan (1998b).
⁵⁵ Sarebbe anche interessante conoscere la composizione percentuale del tempo impie-
gato per le diverse attività, calcolando, ad esempio, sul numero totale di ore di lavoro
quante uno storico dell’arte ne dedica alla ricerca e quante a mansioni organizzative.
Si scoprirebbe probabilmente che, data la totale assenza nei musei italiani di profili
manageriali, e la necessaria supplenza da parte degli storici dell’arte, il tempo che può
essere impiegato in compiti tecnico-professionali è molto minore di quanto possa sem-
brare.
C. CHIRIELEISON, LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI ...
159
anni di politiche di tipo clientelare, purtroppo molto diffuse nelle
amministrazioni pubbliche56. È naturalmente possibile calcolare
anche degli indici di produttività57, come il numero di visitatori
annui per dipendente, il rapporto tra il numero di custodi e il
numero di visitatori annui, i metri quadrati di superficie espositiva
per dipendente e per custode, e così via. Un indice indiretto della
propensione del museo ad investire nello sviluppo delle proprie
risorse umane, infine, può essere dato dal numero di ore di forma-
zione e aggiornamento per dipendente, eventualmente scomposto
per singole categorie professionali o dai relativi costi sul totale dei
costi del personale. Per completare la valutazione delle risorse
umane è poi necessario predisporre strumenti per stimare, anche
attraverso questionari, il coinvolgimento e la motivazione dei
dipendenti. Indicatori indiretti, assunta la sostanziale irrilevanza
del tasso di turnover in un contesto di pubblico impiego, possono
essere pure il tasso di assenteismo, eventualmente confrontato con
analoghe istituzioni o con altre amministrazioni pubbliche.
c) Indicatori dell’output.
Abbiamo già detto della non opportunità di considerare la misura
degli incassi da biglietti quale misura dell’output del museo.
Tuttavia il trend degli incassi, così come quello del numero di
biglietti venduti (comprensivo degli ingressi gratuiti), può dare
importanti indicazioni sulla tendenza all’espansione o alla contra-
zione dell’azione del museo e quindi, indirettamente, dell’efficien-
za e dell’efficacia della gestione. Altro dato significativo è il tempo
medio di percorrenza del museo che, pur essendo funzione in pri-
mo luogo delle sue dimensioni, esprime l’interesse suscitato dal-
l’offerta e la capacità di comunicare, esattamente come può fare la
percentuale di pubblico che visita il museo ripetutamente.
Rientra in questa categoria di indici anche quello che potrebbe
essere considerato l’equivalente del «tasso di occupazione»58 per
gli ospedali, dato dal numero dei visitatori effettivi sul numero
massimo dei visitatori teoricamente ospitabili nel museo, nell’unità
di tempo considerata. Data la predisposizione di una certa struttu-
ra di accoglienza, a cui corrisponde il sostenimento di costi in gran
parte indipendenti dal numero dei visitatori, all’aumentare del
numero dei visitatori effettivi si ottiene infatti una progressiva
diminuzione del costo per visitatore e quindi una maggiore effi-
cienza del museo. L’utilizzo di tale indice comporta tuttavia diver-
—————————————
⁵⁶ Cfr. Solima (1998), pagg. 345-346.
⁵⁷ Cfr. Van der Borg-Zago (1995).
⁵⁸ Il tasso di occupazione è dato dal numero di letti occupati sul numero di letti dispo-
nibili. Si considera infatti che, a parità di risorse utilizzate, un ospedale sia tanto più
efficiente quanto maggiore è il numero di pazienti ricoverati, che si riflette appunto sul
tasso di utilizzo delle attrezzature. Cfr. Angeloni-Fiorentini (1996), pag. 287.
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99
160
se cautele. In primo luogo, il parametro del numero dei visitatori
non considera la qualità del servizio offerto. In secondo luogo, è
necessario considerare l’esistenza di un possibile trade-off tra con-
servazione e fruizione. Ad una massimizzazione del grado di sfrut-
tamento delle strutture, infatti, può corrispondere un deteriora-
mento delle opere esposte. Per contenere i danni, allora, potrebbe
essere necessario sostenere ingenti costi di manutenzione e/o ricor-
rere all’acquisto di impianti che garantiscano una migliore prote-
zione della collezione59, rendendo non conveniente, almeno in
base ad una considerazione di tipo strettamente economico, un
aumento dei visitatori oltre certi livelli.
Rispetto alla produttività, un indice molto importante è il costo del
servizio espositivo sui costi totali e soprattutto il costo espositivo per
visitatore, dal momento che ogni nuovo visitatore ha «un costo mar-
ginale prossimo allo zero, essendo la struttura dei costi di un museo
essenzialmente composta da costi fissi»60, per cui con l’aumentare
del numero dei visitatori migliora il rendimento della struttura.
d) Indicatori di redditività61.
In relazione all’economicità della gestione62 è indispensabile valu-
tare la percentuale di copertura dei costi con i ricavi. Da un punto
di vista strettamente economico, sarebbe opportuno che i ricavi
tipici riuscissero a coprire una percentuale rilevante dei costi di
esposizione, dal momento che il sussidio a copertura di tale disa-
vanzo va principalmente a beneficio dei visitatori e non della col-
lettività63. Attraverso analisi di questo tipo si può verificare che le
situazioni in cui ciò effettivamente si realizza non sono poi così
infrequenti e che in molti casi l’enorme deficit dei musei, anche
pubblici, dipende dagli ingenti costi della conservazione e del
restauro, più che dall’incapacità dei dirigenti64.
—————————————
⁵⁹ L’esigenza della conservazione è da considerarsi prioritaria, in quanto relativa a
beni non riproducibili. In presenza di un notevole affollamento del museo, inoltre, si
assiste ad un deterioramento della qualità della visita e ad un aumento delle difficoltà
nel garantire la sicurezza della collezione.
⁶⁰ Cfr. Solima (1998), pag. 226.
⁶¹ In proposito si veda Migale (1995).
⁶² In relazione al concetto di equilibrio economico a valere nel tempo si veda Zappa
(1956), pag. 37 e Giannessi (1979), pag. 11.
⁶³ Cfr. Grammp (1993).
⁶⁴ Dall’analisi sui musei di Verona emerge che: «La contrapposizione tra ricavi e costi
evidenzia una incompleta e tuttavia elevata copertura pari a circa il 68 per cento se si
considera il rapporto tra i costi totali e i ricavi totali. La contrapposizione tra i costi
della gestione visitatori e i ricavi derivanti dalla vendita dei biglietti evidenzia per i
Musei e i Monumenti Civici di Verona una copertura del 147 per cento. Peraltro l’area
dei costi non coperta dai ricavi è inferiore alla sommatoria dei costi sostenuti per l’atti-
vità di formazione e pertanto, si può affermare che le entrate proprie coprono sia i
costi correlati sia parte dei costi che, pur creando valore per l’azienda museale, difficil-
mente generano ricavi diretti», Modina (1996), pag. 148.
C. CHIRIELEISON, LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI ...
161
Può anche essere utile valutare l’apporto dei ricavi provenienti da
servizi aggiuntivi e da concessioni, in rapporto al totale dei costi
espositivi, per misurare quanta parte di essi venga ripagata da atti-
vità di tipo innovativo e se possa essere conveniente aumentare gli
spazi ad esse destinati.
e) Indicatori di sviluppo.
Gli indici per valutare la tendenza allo sviluppo dei servizi esposi-
tivi sono naturalmente da osservare nel tempo e si riconducono,
sostanzialmente, al monitoraggio del trend di indicatori compresi
nelle quattro categorie precedenti, da leggere naturalmente in
un’ottica sistemica.
4.3. Gli indicatori relativi alle altre attività museali
Il servizio espositivo non è che uno dei molteplici servizi prodotti
dal museo65; accanto ad esso, infatti, ne possiamo individuare anche
altri, non indirizzati ad uno specifico insieme di fruitori. L’impossi-
bilità di identificare e circoscrivere con esattezza l’insieme dei fruitori
di questi ultimi, così come di escludere alcuno dal godimento, deter-
mina la non applicabilità di una tariffa (non divisibilità e non escludi-
bilità) e quindi l’assenza totale di proventi. Le attività che si tramuta-
no in tali servizi alla collettività sono, in sintesi, l’attività di acquisi-
zione e conservazione della collezione, l’attività di tutela e restauro
delle opere, l’attività di produzione e trasmissione culturale e l’attività
amministrativo-gestionale di supporto a tutte le altre, comprese quel-
le necessarie al servizio espositivo.
La valutazione delle performance di tali attività avviene sostan-
zialmente con gli stessi indici utilizzabili per il servizio espositivo,
tra cui quelli relativi al personale impiegato, al costo per attività in
rapporto ai costi totali del museo e in rapporto al costo espositivo.
Non sono naturalmente calcolabili, invece, tutti quegli indici che
facciano riferimento ai proventi. Le difficoltà principali, in questo
contesto, sono dunque legate alle maggiori incertezze nella quanti-
ficazione, anche indiretta, dell’output, da poter correlare con i rela-
tivi costi. Si pensi all’ambito dei restauri, dove hanno una significa-
tività certo scarsa il numero dei restauri effettuati o i metri quadrati
di tela restaurata, oppure a quello delle attività di ricerca. Volendo
comunque identificare degli indicatori, oltre a valutazioni indirette
della performance basate sulla qualificazione delle risorse umane,
si può ad esempio pensare, per i restauri, al rapporto tra tempi pre-
visti e tempi effettivi di realizzazione, così come tra costi previsti e
costi effettivi e, per le attività di studio, al numero delle pubblicazio-
ni scientifiche, dei convegni e delle conferenze organizzati, alla per-
centuale di opere catalogate sul totale. Ciò tenendo comunque ben
—————————————
⁶⁵ Cfr. Chirieleison (1998); Solima (1998); Zan (1998a); Bagdadli (1997).
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99
162
presenti tutte le cautele del caso: così la definizione della composi-
zione dei costi per progetto o per singolo intervento può senz’altro
fornire informazioni utili, ma nulla dice sulla qualità dei risultati.
Assume poi, per entrambe le attività, una fondamentale importan-
za la definizione e la formalizzazione degli obiettivi delle diverse
azioni da intraprendere (ad esempio la salvaguardia e conoscenza
delle opere del museo, l’approfondimento del contesto della loro
creazione, la divulgazione o divulgabilità dei risultati, ecc.), che è la
premessa per poter procedere in un secondo momento al confronto
con i risultati effettivi che, per quanto soggettivo e arbitrario, può
sempre dare informazioni utili su eventuali azioni correttive da
intraprendere.
Per quanto riguarda invece l’attività di conservazione delle opere,
la misurazione delle performance è relativamente più semplice ed
avviene «in negativo»: i risultati saranno tanto migliori quanto meno
numerose saranno, nell’unità di tempo considerata e a parità di altre
condizioni, le opere danneggiate da un cattivo stato di mantenimento,
soggette ad atti di vandalismo o rubate66.
Non presentano invece differenze di rilievo, rispetto a qualsiasi
altra azienda, le modalità di valutazione delle performance dell’atti-
vità amministrativa e dell’eventuale investimento di elementi del
patrimonio (risorse finanziarie, immobili, terreni, ecc.) non diretta-
mente impiegati per l’attività museale.
4.4. Le misure di soddisfazione degli utenti
La funzione di questa ultima dimensione della misurazione delle
performance è di integrare l’analisi con considerazioni aggiuntive. Gli
strumenti sono sostanzialmente gli stessi applicabili nell’ambito delle
aziende industriali, cioè «ricerche di mercato», attraverso questionari
e/o interviste, che permettano al museo di sapere, da un lato, chi sono
i propri clienti e quanto sono soddisfatti dell’offerta, dall’altro, chi
sono i propri clienti potenziali e i propri «non clienti»67. I controlli di
customer satisfaction, d’altra parte, non sono né una specificità dei
musei, né delle aziende di servizi, essendo diventati negli ultimi anni
un punto focale anche per le imprese industriali68, in considerazione
—————————————
⁶⁶ In relazione ai furti, nel 1997 quelli nei musei sono stati complessivamente 20, di cui
la maggior parte in musei comunali, per un totale di 156 oggetti trafugati. Dati
Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Artistico.
⁶⁷ Naturalmente tutto ciò concerne il servizio espositivo; per quanto riguarda la valu-
tazione qualitativa delle altre attività museali, il giudizio è rimesso a considerazioni di
tipo politico oppure a stime effettuate dai livelli superiori di governo.
⁶⁸ «La qualità non è più vista come qualcosa di opzionale ed eccezionale, qualcosa
legato solo a un modello di impresa eccellente; oggi rappresenta la linea guida per tutte
le attività, in tutte le attività, in tutte le organizzazioni ben gestite, e deve essere misu-
rata secondo modalità quantificabili, in modo da fornire un riferimento utile per l’alta
direzione», Lothian (1997), pag. 31.
C. CHIRIELEISON, LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI ...
163
del fatto che le prestazioni finanziarie di un’azienda non sono altro
che il riflesso del rapporto qualità/prezzo del prodotto, rispetto alla
concorrenza, e della capacità dell’azienda stessa di rispondere alle
aspettative dei clienti.
Nel caso dei musei, tuttavia, l’utilizzo del giudizio del pubblico,
quale misura della qualità del servizio offerto e parametro per l’orien-
tamento strategico della gestione, deve essere sottoposto a molte cau-
tele: il fatto che numerosi visitatori, ad esempio, possano preferire un
«museo-parco giochi» o un «museo-supermercato» non deve indurre
ad adeguarsi a standard che tradirebbero la missione culturale del
museo stesso69. È necessario, infatti, anche a livello di sistema
museale italiano, preservare l’identità e le specificità delle nostre isti-
tuzioni culturali, fin dal rinascimento caratterizzate da un forte rigore
museografico e museologico, sedimento di una consolidata e secolare
tradizione di studio in questi campi. L’attenzione deve piuttosto esse-
re concentrata nel badare a ché l’aura di sacralità che il museo deve
mantenere, non diventi una barriera alla comunicazione con il grande
pubblico, ma piuttosto un elemento di valorizzazione rispetto alla
mission dell’educazione dei gusti dei visitatori. Una scelta opposta
non solo porterebbe inevitabilmente il museo a tradire la propria mis-
sion, che ha natura in primo luogo culturale, ma determinerebbe
anche, nel lungo periodo, una progressiva perdita di capacità distinti-
va e quindi in definitiva di attrattività, rispetto a forme alternative di
soddisfacimento dei medesimi bisogni. Ciò non implica naturalmente
che le esigenze dei visitatori non siano tenute nella debita considera-
zione, anzi. È di estrema importanza, dunque, capire e approfondire
le motivazioni che portano le persone a visitare un museo70 e valutare
la capacità del museo stesso di comunicare con il proprio pubblico,
un primo indice della quale può essere la notorietà del museo a livello
locale e nazionale.
5. Conclusioni
L’utilizzo nelle gestioni museali di strumenti volti alla misurazione
delle performance richiede particolari cautele, in funzione delle pecu-
liarità del servizio offerto e dell’importanza del mantenimento, sem-
pre e comunque, di un determinato livello qualitativo dell’offerta. Nei
musei, infatti, il meccanismo di mercato non è in grado di garantire
un controllo automatico della qualità, per cui chiaramente l’attenzio-
—————————————
⁶⁹ Cfr. Monin (1998), pag. 78.
⁷⁰ Possiamo individuare, in generale, tre principali tipologie di bisogni che il fruitore
cerca di soddisfare: bisogni intellettuali, nella ricerca di una crescita culturale; bisogni
emozionali, da trovare in un’esperienza diversa dalla solita realtà e capace di suscitare
emozioni; e infine bisogni di socialità: al museo non si va da soli, ma con qualcuno,
così come il museo può essere il luogo per incontrare qualcuno. Cfr. Valdani (1998),
pag. 68.
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99
164
ne degli amministratori a tale aspetto deve essere molto maggiore che
nelle altre aziende. La complessità nella definizione concreta degli
indici, inoltre, già notevole nelle imprese, risulta maggiore in funzione
dell’irrilevanza dei prezzi di mercato e della difficoltà di misurazione
dell’output per i vari servizi prodotti. D’altra parte la definizione e
l’implementazione di un sistema di misurazione e valutazione delle
performance rappresenta per i musei un passo fondamentale nel pro-
cesso di aziendalizzazione e una premessa indispensabile per riuscire
ad orientare l’offerta in maniera tale da incontrare il più possibile le
esigenze del pubblico.
C. CHIRIELEISON, LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI ...
165
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LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI - CECILIA CHIRIELEISON PROBLEMATICHE OPERATIVE E TECNICHE -

  • 1. STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99 143 ————————————— * Dipartimento di Economia Aziendale, Università degli Studi di Pisa. ¹ È ragionevole ritenere che, in teoria, esistano ampie possibilità per un connubio tra il concetto di azienda e il concetto storico, artistico, culturale e legislativo di museo. Si vedano in proposito Valentino (1993) e (1995), Bagdadli (1997), Solima (1998) e Zan (1998a) e (1998b). Nella realtà dei fatti, e in particolare in quella italiana, tuttavia, una serie di vincoli legislativi e di prassi comportamentali consolidate negli anni, fanno sì che nella maggior parte dei casi la qualifica di aziendalità attribuibile alle gestioni museali sia solo tendenziale e/o potenziale. Spesso infatti l’autonomia di volere ed eco- nomico-finanziaria, la razionalità e la sistematicità della gestione, la tendenza verso un equilibrio economico a valere nel tempo, sono fortemente limitate dal contesto istitu- zionale e da obsolete routine comportamentali. ² Cfr. Causi (1997). ³ Basti pensare che tra il 1996 e il 1997 il numero di visitatori complessivo degli istituti di antichità e arte statali è passato da 25.029.771 a 26.055.414, con un incremento del 4,1 per cento. Per i 20 musei più visitati il tasso di incremento medio delle visite è stato di ben il 13 per cento, con punte del 56 per cento per la Galleria Borghese e del 57 per cento per il Colosseo. Fonte: nostre elaborazioni su dati Ministero dei beni culturali e ambientali, Ufficio di Statistica. LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI: PROBLEMATICHE OPERATIVE E TECNICHE CECILIA CHIRIELEISON * 1. La rilevanza strategica per i musei della valutazione delle perfor- mance Negli ultimi anni gli economisti aziendali hanno iniziato a occuparsi con un crescente interesse del funzionamento e della gestione delle organizzazioni museali, allo scopo di valutare se e in quali condizioni gli schemi concettuali elaborati in riferimento alle imprese siano applicabili a tali istituzioni1, anche in funzione della possibilità di innescare processi di crescita economica a partire dalla valorizzazione dei beni culturali, intesi in senso lato2. La situazione che attualmente caratterizza la realtà museale italiana presenta, infatti, da un punto di vista economico, delle anomalie non indifferenti. A fronte di un patri- monio culturale senz’altro imponente per dimensioni e per importan- za, in gran parte inutilizzato o malutilizzato, si trova una richiesta effettiva e potenziale crescente3, ma per buona misura insoddisfatta. Si presenta così una evidente contraddizione, dovuta all’esistenza in uno stesso mercato di un eccesso di offerta e di un eccesso di doman-
  • 2. da, fenomeno spiegabile, almeno in parte, con l’inadeguatezza quali- tativa dell’offerta. Solo recentemente, tuttavia, il dibattito economico-culturale ha iniziato a interrogarsi sulle vie percorribili per procedere ad un rio- rientamento strategico della gestione delle organizzazioni museali. La definizione di strategie di cambiamento, infatti, comporta un più generale ripensamento dei fondamenti stessi su cui si basa la gestione, alla ricerca di un mutamento dell’orientamento strategico di fondo, finalizzato all’individuazione di un nuovo «modo di essere»4 dell’a- zienda-museo. È quindi imprescindibile un sottostante mutamento del sistema delle idee guida5, capace di imprimere una svolta anche in valori ad atteggiamenti consolidati, nonché di definire nuovi obiettivi e nuove vie per raggiungerli. La fase iniziale di tale processo non può non trovare origine all’in- terno del museo, il quale prima di poter porre in essere vere e proprie azioni, dovrà stabilire con chiarezza in quale direzione intende proce- dere. Ciò presuppone la definizione, o la ridefinizione, della mission e degli obiettivi strategici. Pur tenendo in adeguata considerazione il mercato, infatti, nel caso dei musei questo non può costituire il punto di partenza, poiché la gestione deve essere guidata essenzialmente dall’identità culturale dell’istituzione e solo in seconda battuta dalle richieste dei consumatori. Il museo allora deve essere in grado di ana- lizzare con precisione la propria posizione attuale, il proprio ambito di intervento e i propri oggetti di attività, deve cioè poter misurare e valutare le proprie performance, in modo da definire con chiarezza il quadro di partenza su cui intervenire con strategie e politiche adegua- te. Dopo aver specificato le leve strategiche potenzialmente utilizzabili ed aver scelto le più appropriate al fine del raggiungimento degli obiettivi, così come individuati in base alla mission, il museo dovrà tornare a misurare le performance, per valutare se ed in quale misura i risultati ottenuti siano realmente andati nella direzione voluta, alla ricerca dei feed-back, indispensabili a riattivare quel circuito che deve esistere tra programmazione e controllo per poter tendere al migliora- mento continuo. Appare, dunque, evidente la rilevanza della scelta degli strumenti da utilizzare per misurare le performance, che non può derivare da una semplice trasposizione di technicalities elaborate in contesti diver- STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99 144 ————————————— ⁴ «L’orientamento strategico di fondo riguarda il modo di essere e di funzionare del- l’impresa in alcuni fondamentali profili gestionali e organizzativi, che si combinano e si saldano con gli altri elementi dell’orientamento strategico di fondo. Quanto ai profili organizzativi, trattasi di idee e atteggiamenti, spesso istintivi, da cui deriva un’organiz- zazione in varia misura partecipativa o autocratica, preoccupata di favorire o di osta- colare l’esplicarsi delle potenzialità individuali, aperta o chiusa al nuovo e così via», Coda (1988), pag. 27. ⁵ In relazione al sistema delle idee e alle idee guida si veda Bertini (1991).
  • 3. si, ma deve al contrario tenere conto delle peculiarità dei musei e in primo luogo della composizione tra gli obiettivi di natura culturale e quelli di natura economica. Ogni museo, in base alle proprie peculiarità, dovrebbe essere in grado di definire una propria metodologia nella misurazione dei risultati, scegliendo quali grandezze monitorare e con quale livello di analisi, con quale periodicità, con quali modalità e con quali cri- teri di valutazione. Le differenze tra un’organizzazione e l’altra, in termini di tipologia della collezione, dimensioni, localizzazione, ser- vizi offerti, assetti proprietari ecc., infatti, condizionano in maniera non indifferente i processi di controllo. È tuttavia possibile indivi- duare delle direttive di carattere generale, da considerarsi valide in un ampio spettro di casi, pur con la consapevolezza dell’importanza di perseguire la massima aderenza del sistema di valutazione delle performance alla realtà osservata, dati certi fini della valutazione stessa. 2. I presupposti per un efficace sistema di valutazione Affinché sia possibile ed efficace inserire all’interno dei musei i siste- mi di valutazione delle performance è necessario che siano preceden- temente verificati due ordini di condizioni. Un primo ordine di condizioni, che non è possibile approfondire in questa sede6, è sostanzialmente di carattere organizzativo, legato prin- cipalmente alla necessità di individuare precise responsabilità gestio- nali7. La generalizzata mancanza nell’attuale assetto istituzionale dei musei di una configurazione chiara delle linee di comando, infatti, può creare problemi sia nell’identificazione degli indici per misurare le performance, sia nel momento della loro valutazione, sia in quello del feed-back. Sarebbe dunque necessario preliminarmente procedere ad una vera e propria riprogettazione organizzativa, basata sulla definizione di centri di responsabilità e sull’istituzionalizzazione di rapporti fun- zionali e gerarchici, nel quadro però di una sufficiente autonomia economico-finanziaria, operativa e strategica dell’azienda-museo nel suo complesso. Spesso, invece, la persistente rigidità degli organici dei musei pubblici non rende neppure perseguibile l’armonizzazione delle politiche del personale con le indicazioni provenienti dalla valutazio- ne delle performance, data l’impossibilità di decidere assunzioni e licenziamenti e la mancanza assoluta di strumenti «sanzionatori» o di «gratificazione», da utilizzare per orientare i comportamenti. Del resto, la totale assenza di competenze manageriali e, per contro, il for- C. CHIRIELEISON, LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI ... 145 ————————————— ⁶ Per approfondimenti sull’argomento si veda Chirieleison (1998). ⁷ Cfr. in proposito Zan (1998b).
  • 4. te radicamento8 di una cultura di tipo umanistico9, determinano l’e- sistenza di una persistente ostilità verso l’utilizzo di strumenti di con- trollo gestionale10. Il secondo ordine di condizioni è connesso alla predisposizione di un sistema informativo adeguato11, capace di selezionare, tra la massa di dati che qualsiasi organizzazione produce, o può teoricamente pro- durre, quelli effettivamente utili per poi trasformarli, attraverso un opportuno trattamento in informazioni12. In proposito è evidente una generalizzata carenza del sistema museale italiano, all’interno del quale mancano nella quasi totalità dei casi, sia in un contesto di pro- prietà pubblica che privata, delle forme di chiara e rigorosa contabi- lità. Il problema è evidentemente maggiore nei musei statali e di enti locali, dal momento che il sistema della contabilità pubblica non per- mette una ricostruzione di tipo economico-finanziario e che qualsiasi rielaborazione sui dati disponibili si presenta alquanto ardua13. Nel caso dei musei, dunque, per arrivare a disporre di una contabilità generale adeguata e di un bilancio basato su schemi che, anche se non STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99 146 ————————————— ⁸ «Nel complesso il personale scientifico delle soprintendenze costituisce un caso ano- malo, all’interno dell’amministrazione statale italiana: si tratta infatti di un gruppo burocratico specialistico, non privo di spirito di corpo, che può vantare una tradizione più che secolare di studio, ricerca e intervento, attraverso cui si è consolidato un patri- monio amministrativo e scientifico-culturale molto caratterizzato che presenta una notevole omogeneità sul piano nazionale. L’esiguo numero dei funzionari e la specifi- cità delle attribuzioni fanno sì che essi possano presentarsi all’esterno come un gruppo relativamente compatto», Bobbio (1992), pag. 162. ⁹ Spesso nelle aziende non-profit i livelli gerarchici più elevati sono coperti da profes- sionisti, anche se per tali ruoli sarebbero forse più importanti capacità manageriali che tecnico-professionali. Cfr. Costa (1988), pag. 47. ¹⁰ In molti casi nei dirigenti è presente anche una più generica avversione alla traspa- renza, volta ad evitare di rendere palesi ai livelli superiori di governo, ma anche ai cit- tadini-utenti e agli stakeholders, posizioni di privilegio, inefficienza e inerzia comporta- mentale. ¹¹ «In conclusione il sistema informativo aziendale può essere visto come l’insieme interrelato degli elementi (risorse tecniche, umane, metodologiche e finanziarie; dati; informazioni) determinanti l’insieme organizzato dei procedimenti di trattamento e comunicazione dei dati finalizzato al soddisfacimento delle esigenze informative d’a- zienda con la massima efficacia ed efficienza», Marchi (1988), pagg. 6-7. ¹² Cfr. Bertini (1990) e Marchi (1988), pag. 5. ¹³ Si veda ad esempio, in relazione al caso di Pompei, Zan (1998b). In relazione alle difficoltà della ricostruzione della struttura dei costi dei musei comunali, afferma Modina (1996): «La commistione delle attività museali con le altre attività della Pubblica Amministrazione rende particolarmente difficile la corretta individuazione dei costi di gestione, mancando persino una macro destinazione “attività museali”. Non risulta inoltre prevista, in conseguenza dell’adozione del sistema di contabilità finanziaria, la rilevazione dei costi secondo competenza economica. Infine i costi della gestione corrente sono inseriti nel bilancio del Comune con il criterio della competenza finanziaria, ossia nel momento della loro manifestazione monetaria; un corretto approccio per una valutazione di economicità dovrebbe invece considerare i costi sostenuti per l’acquisto dei fattori che sono pienamente utilizzati nell’esercizio o che non sono più utilizzabili (criterio di competenza economica)», pag. 112.
  • 5. obbligatori per legge14, presentino una corretta imputazione dei costi e dei ricavi, superando l’ottica finanziaria prevalente nella contabilità pubblica in generale15, sarà necessaria, quanto meno una riclassifica- zione dei dati esistenti e una integrazione dei valori finanziari con valori economici16. Nell’ambito di una ricostruzione del conto economico di un museo17 è perciò necessario «distinguere con precisione le voci relati- ve ai processi di investimento dei musei» (restauro, manutenzione, ecc.), da quelle direttamente riconducibili all’attività di gestione della struttura18. Le spese connesse alla tutela e alla conservazione, così come quelle relative a manutenzioni straordinarie dell’immobile dove ha sede il museo, quelle per l’acquisto di impianti e quelle per rialle- stimenti delle opere, hanno infatti un orizzonte temporale di lungo periodo e le relative valutazioni dovrebbero essere effettuate conside- randone la competenza, attribuendo cioè una quota parte delle spese a più di un esercizio. Tutte quelle spese connesse con l’apertura del museo al pubblico, come i salari del personale di custodia, il riscalda- mento, l’illuminazione e così via, possono invece essere fatte gravare sul singolo esercizio. In realtà, tuttavia, operare una distinzione di questo tipo presenta difficoltà non trascurabili, relative all’imputazio- ne di singole voci e al calcolo anche approssimativo del periodo di riferimento per gli investimenti. Affinché le analisi sui costi non forniscano indicazioni fuorvianti, è poi importante da un lato considerare gli hidden cost, dall’altro imputare anche gli oneri figurativi. Gli hidden cost sono quei costi che analizzando il bilancio del museo risultano invisibili, ma che comunque per competenza gravano su di esso. Si tratta in genere di costi del museo che vengono diretta- mente pagati da livelli superiori di governo o, comunque da altri sog- getti istituzionali, e che quindi non compaiono in nessun modo nella contabilità19. Nei musei statali, ad esempio, dal momento che i dipen- C. CHIRIELEISON, LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI ... 147 ————————————— ¹⁴ Cfr. Angeloni-Fiorentini (1996), pag. 296. ¹⁵ Cfr. Anselmi (1992), pagg. 27-28. ¹⁶ Cfr. Zangrandi (1985), pagg. 42-43. ¹⁷ Si è preferito qui tralasciare la complessa problematica di una valutazione patrimo- niale dal momento che «come è facilmente comprensibile, l’attivo dello Stato patrimo- niale di un museo risulta composto essenzialmente da opere per le quali solo in via teo- rica potrebbe esistere un mercato di riferimento e quindi un prezzo. (...) L’impossibilità di determinare la dimensione economica del patrimonio rende di fatto inapplicabili gli indicatori di redditività del capitale, tipicamente adottati all’interno delle aziende indu- striali. Per cui, le valutazioni che in chiave aziendalistica è possibile formulare devono essere necessariamente circoscritte all’analisi delle componenti economiche delle strut- ture museali», Solima (1998), pagg. 342-343. ¹⁸ Solima (1998), pag. 344. ¹⁹ Afferma Modina (1996) nel già citato studio sui musei comunali di Verona: «La mappa dei costi sulla quale intervenire per una ricerca sistematica delle destinazioni
  • 6. denti formalmente sono dipendenti del Ministero dei Beni culturali, gli stipendi vengono pagati direttamente dal Tesoro, senza alcun pas- saggio dai conti della Soprintendenza. Una mancata inclusione dei salari tra i costi del museo, evidentemente, genera distorsioni di non poco conto, data la loro elevata incidenza. Gli oneri figurativi sono invece collegati a quelle risorse che ven- gono acquisite dal museo senza che per esse venga pagato un vero e proprio corrispettivo: si pensi al volontariato o alla concessione in comodato di un immobile. Se non li si considera, infatti, non si evi- denzia correttamente il rapporto tra input ed output e ciò può com- portare l’assunzione di decisioni fondate su presupposti non aderenti alla realtà20. Oltre alla contabilità è fondamentale poter usufruire di rilevazioni di provenienza extra-contabile e in particolare di una chiara e corretta contabilità dei costi, imprescindibile per la definizione degli indicatori di efficienza e di efficacia. Si potrà così elaborare, su misura del museo, una contabilità analitica21 per prestazioni erogate, per centri di costo22, per programmi, per progetti, per prodotti23 ecc.: il costing costituisce infatti una componente fondamentale del controllo dire- zionale24. Ciò purché sia comunque possibile l’individuazione all’in- terno del museo di ben precisi centri di responsabilità, siano essi di ricavo, di costo, di reddito o di investimento. Uno strumento particolarmente utile può essere l’Activity Based Costing25 che, attraverso l’utilizzo di cost drivers per l’imputazione dei costi indiretti, permette di studiare meglio il rapporto tra risorse e risultati per ciascuna attività compiuta dal museo. L’obiettivo di tale STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99 148 non è nota. Si ha pertanto la forte sensazione che porzioni significative di costi soste- nuti, attribuibili ai centri di costo oggetto dell’analisi, non vengano affatto monitorate», pag. 112. ²⁰ In relazione alle modalità e all’opportunità dell’evidenziazione in bilancio degli one- ri figurativi si veda Capaldo (1996). ²¹ In relazione ad uno studio approfondito sulle problematiche relative alla contabilità dei costi nelle unità sanitarie locali si veda Anselmi (1995), pag. 185 e segg. e Zangrandi (1985), pag. 131 e segg. ²² In relazione al concetto di centro di costo si veda, tra gli altri, Amaduzzi (1973), cap. VIII. ²³ Cfr. Cavalieri (1995), pag. 298. ²⁴ In relazione alle aziende sanitarie afferma Zangrandi (1990): «Da queste prime osservazioni possono essere definiti due scopi generali assegnati alla contabilità analiti- ca all’interno di queste aziende: — conoscenza, in termini di valore economico, delle risorse impiegate; — definizione delle funzioni di costo-obiettivo, in considerazione della mancanza di prezzi di cessione dei servizi. (...) La seconda esigenza, sicuramente di maggiore rilievo, consiste nella determinazio- ne di risultati di sintesi di processi di produzione e consumo su cui poter poi inserire processi di ordine organizzativo miranti alla responsabilizzazione di ordine econo- mico», pag. 59. ²⁵ Cfr. Johnson-Kaplan (1987). —————————————
  • 7. analisi è pervenire all’individuazione di sprechi o sottoutilizzazioni di risorse, al fine di determinare le possibili leve di intervento per miglio- rare il rapporto tra input e output, chiaramente dopo aver analizzato compiutamente anche la struttura delle entrate. Nelle organizzazioni museali, tuttavia, si incontrano notevoli difficoltà metodologiche già soltanto nell’identificazione delle diverse attività e, a maggior ragio- ne, nell’attribuzione dei costi alle attività stesse. Si pensi ad esempio all’importanza e nel contempo ai problemi della distinzione tra atti- vità di conservazione e restauro, da un lato, e attività espositiva dal- l’altro. Un impianto di allarme, ad esempio, se da un lato ha una sua utilità per preservare il patrimonio in quanto tale, eventualmente anche in assenza di pubblico, deve presentare delle caratteristiche almeno parzialmente diverse qualora le opere siano esposte ai visita- tori. Parte del relativo costo, dunque, potrebbe essere imputato alla conservazione e parte alla fruizione, ma non sono definibili a priori modalità univoche per il calcolo concreto, che necessariamente risen- te di valutazioni fortemente soggettive. La contabilità analitica è la base anche per la definizione degli standard 26, i quali costituiscono un riferimento essenziale per i pro- cessi di confronto e/o controllo delle performance. Gli standard, che possono essere di costo, totale o unitario, di quantità e qualità delle risorse disponibili, di rendimento, di prestazioni, ecc., devono chiara- mente essere, in primo luogo, strettamente correlati al processo di contrattazione e definizione degli obiettivi; in secondo luogo legati agli aspetti qualificanti delle attività e dei programmi e alle risorse cri- tiche e, in terzo luogo, particolarmente segnaletici. Una corretta defi- nizione degli standard permette di elaborare un budget27 della gestio- ne museale e di effettuare analisi degli scostamenti, in base alle quali definire se le variazioni rispetto a quanto previsto siano state conse- guenza di variazioni di volume, di mix di servizi prodotti, di efficienza o di prezzo. 3. Le caratteristiche del sistema di indici La predisposizione dei dati non è che la prima fase della misurazione delle performance, le cui modalità concrete dovranno essere definite caso per caso, sulla base di una metodologia corretta da un punto di vista economico-aziendale e di indici con una adeguata capacità segnaletica. Affinché il sistema di indici prescelto sia realmente in grado di aiu- C. CHIRIELEISON, LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI ... 149 ————————————— ²⁶ Per un’analisi approfondita sui costi standard e le problematiche connesse con la loro definizione e implementazione, si veda Coda (1970). ²⁷ Si veda in proposito Solima (1998), pag. 360 e segg. In relazione alla rilevanza per aziende non profit dell’utilizzo del budget si veda Anthony-Young (1992), pag. 318 e segg.
  • 8. STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99 150 tare la direzione in questo compito, è necessario che possieda deter- minate caratteristiche. Tra queste risalta in modo particolare la sem- plicità di utilizzo, connessa tra l’altro alla numerosità degli indici oggetto di analisi. Anche se la situazione ideale da questo punto di vista sarebbe l’utilizzo di un solo indice, questa strada si presenta tut- tavia non percorribile. Le valutazioni basate sul parametro del reddi- to, come vedremo tra un attimo, sono infatti scarsamente significati- ve, e quelle fondate unicamente sul numero dei biglietti venduti o sul costo per visitatore (che sono gli indici sintetici più spesso utilizzati), sono da considerarsi del tutto insufficienti. Nonostante un insieme di indici sia più complesso da interpretare e da seguire nel tempo, piut- tosto di uno unico, esso può dunque fornire informazioni molto più utili sia al controllo operativo e direzionale, sia al riorientamento strategico dell’organizzazione. Il problema, allora, diventa la selezio- ne di un numero contenuto di indici chiari, capaci con la propria significatività di esprimere unicamente gli aspetti importanti e in maniera tempestiva, per i quali il rapporto tra vantaggi e costi della rilevazione sia positivo. Si può, in questo modo, cercare di minimizza- re le difficoltà di coordinamento e di interpretazione dei risultati che, se già creano problemi nel ruolo tradizionalmente affidato al control- ler nelle imprese industriali, tanto più possono destabilizzare una organizzazione come il museo, in cui già solo il concetto di valutazio- ne incute diffidenza. D’altra parte, ciò che può rendere un sistema di valutazione delle performance realmente efficace nei musei non è tanto la sua corret- tezza da un punto di vista tecnico-contabile o la sua scientificità, quanto, almeno in una prima fase, la sua legittimazione agli occhi di chi realmente lo deve utilizzare come strumento quotidiano di lavoro: la facilità di costruzione e interpretazione degli indici diventa a tale scopo fondamentale, così come la capacità di stimolare un progressi- vo cambiamento della cultura dell’intera organizzazione, volto a ren- dere tali metodologie progressivamente accettate, comprese, utiliz- zate28. Ecco dunque, l’importanza di operare con gradualità: una introduzione progressiva, che si muova dagli obiettivi semplici verso i più complessi, con un orizzonte temporale da allungare progressiva- mente, può creare le condizioni per un adattamento reciproco dell’or- ganizzazione e degli strumenti utilizzati. Puntare ad una introduzione parziale e all’ottenimento immediato di qualche risultato, inoltre, mostrando subito nel concreto l’utilità effettiva della misurazione del- le performance può aumentarne l’accettazione. La gradualità infine concede il tempo necessario per formare il personale addetto alla rac- colta e all’elaborazione dei dati, dal momento che tali professionalità sono in genere assenti nei musei. ————————————— ²⁸ Cfr. Borgonovi (1992), pagg. 39-40.
  • 9. C. CHIRIELEISON, LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI ... 151 Il sistema di misurazione delle performance dovrebbe infine essere selettivo, essere cioè in grado di generare tipi di informazioni diversi per contenuti, analiticità e tempestività, a seconda del livello di responsabilità per il quale devono fornire da supporto nelle decisioni. È infatti possibile, in generale, definire tre diverse aree di responsabi- lità che caratterizzano la gestione museale. Una prima area è quella politica, responsabile di fronte agli elettori, diretti o indiretti, delle decisioni strategiche, quelle cioè capaci di influenzare l’intero sistema museale, o un suo sottosistema rilevante. Una seconda area è quella dei professionisti-dirigenti del singolo museo, responsabili delle scelte gestionali sia nei confronti degli utenti e degli stakeholders (per la qualità e quantità dei servizi erogati), sia nei confronti dei livelli poli- tici (per il rapporto tra risorse assorbite e risultati ottenuti). Una ter- za area è quella dei dirigenti amministrativi, a cui spettano sostanzial- mente valutazioni di carattere tecnico-economico di supporto alle due aree precedenti29. 4. Gli indici per la misurazione delle performance Gli indici per la misurazione delle performance possono essere di tipo economico-finanziario e non economico-finanziario. Gli indici di tipo economico-finanziario derivano da rielaborazioni dei dati provenienti dalla contabilità generale e dalla contabilità ana- litica30, basandosi sulle analisi di bilancio31. Il monitoraggio di tali indici, che hanno il vantaggio di essere relativamente semplici da cal- colare, dovrebbe consentire di rilevare le sacche di inefficienza e di disorganizzazione esistenti, facilitandone così l’eliminazione, con lo scopo di indirizzare la gestione verso un progressivo allineamento tra risultati e obiettivi. Gli indici di tipo non economico-finanziario32 comprendono sia gli indicatori fisico-tecnici, quelli cioè che usano unità di misura diverse dal metro monetario33, sia indicatori con modalità qualitative e non ————————————— ²⁹ Cfr. Zangrandi (1990), pag. 65. ³⁰ La letteratura economico-aziendale su tale argomento è estremamente ampia. A titolo meramente esemplificativo si vedano, tra gli altri, Marchi-Quagli (1997), Paganelli (1986), Caramiello (1993), Ferrero (1984), Brusa-Dezzani (1983), Bergamin Barbato (1987). ³¹ In relazione ai limiti delle misure di performance contabili afferma Guatri: «I limiti e le insufficienze della rilevazione contabile non debbono peraltro far dimenticare la sua insostituibile funzione. Essa è la base per qualsiasi misura di performance econo- mico-finanziaria, che dai risultati contabili sempre prende l’avvio. Ed inoltre la perfor- mance contabile tradizionale, espressa dal bilancio civilistico e dal bilancio consolidato (nonché da situazioni infrannuali), è un riferimento indispensabile ai fini del controllo e più in generale della Corporate Governance. Obiettivi che proprio le rigidità ed i for- malismi rendono, in un certo senso, possibili riducendo i gradi di libertà e l’opinabilità delle scelte», Guatri (1997), pag. 148. ³² Cfr. Lothian (1997), pag. 1 e segg. ³³ Rientra in questo contesto l’analisi dei rendimenti, definiti da Masini (1978) «rap-
  • 10. STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99 152 quantitative. Questa seconda classe, volta a fornire un quadro comple- to e ad integrare le valutazioni ottenibili dagli indici della prima classe, assume nelle organizzazioni museali un rilievo del tutto peculiare, sia per la maggiore attitudine alla rilevazione dell’efficacia gestionale, sia per la possibilità di trarne utili indicazioni in merito all’efficacia socia- le del museo, alla sua capacità cioè creare e diffondere cultura, rispon- dendo ai bisogni, anche non espressi, dei propri fruitori. Nell’ambito di queste due categorie, in dottrina sono state elabo- rate numerose possibili classificazioni. In questa sede si è scelto di raggruppare gli indici in quattro gruppi34: gli indicatori relativi alla gestione museale nel suo complesso; gli indicatori relativi alle attività connesse con il servizio espositivo; gli indicatori relativi alle altre atti- vità e infine le misure di soddisfazione degli utenti. Naturalmente solo un’analisi globale e sistemica di tutti gli indici può consentire di identificare con sufficiente chiarezza il livello di efficienza e di effica- cia raggiunto dal museo e di formulare ipotesi sulle possibilità di svi- luppo futuro. 4.1. Gli indicatori relativi alla gestione museale nel suo complesso L’individuazione di indici sintetici per valutare la gestione museale presenta notevoli difficoltà, dal momento che è struttural- mente assente un parametro assimilabile a quello del reddito35. Tale fenomeno dipende, almeno in parte, dal fatto che la domanda com- plessiva del prodotto/servizio in oggetto genera un flusso di ricavi porti rappresentati in modo implicito o esplicito, espressione di risultati non monetari dello svolgimento di un processo produttivo ordinato in combinazione non produttiva», pag. 378. Tali indici esprimono in genere la misura dell’impiego fisico di singoli fattori per unità prodotta e, anche se parziali, possono essere estremamente uti- li al controllo operativo, nella scelta tra fattori o processi alternativi in fase di pro- grammazione delle attività e per la responsabilizzazione degli operatori. Sull’argo- mento si veda anche Masini (1960). ³⁴ La classificazione degli indici accolta rielabora, in funzione delle peculiarità delle organizzazioni museali, quella proposta per le organizzazioni non profit da Molteni (1997), pag. 112 e segg. ³⁵ In relazione alle aziende pubbliche, afferma Farneti: «L’economicità ritrae pertan- to, nella fattispecie aziendale indagata, la sua essenza, la sua qualificazione, dall’utilità che consegue dal produrre, “efficientemente”, servizi e beni che sono in grado, “effica- cemente”, di soddisfare i bisogni degli individui-consumatori. Ne deriva che se il pro- fitto perde il ruolo che nell’impresa gli è proprio, quello di quantificare i risultati, que- sto ruolo andrà ricercato altrove, senza che possa essere sostituito da un unico indica- tore, ciò in quanto il “valore dei servizi consumati” non è quantificato sulla base dei prezzi formati nei mercati di collocamento ed ogni individuo ha, altresì, una propria curva di utilità. Il profitto dunque andrà sostituito da un’analisi atta a verificare la minimizzazione dei costi per ogni produzione ed a ricercare quale combinazione delle produzioni attuate, quali livelli qualitativi delle stesse, siano in grado, a parità di risor- se consumate, di ricevere il migliore apprezzamento da parte degli utenti: dunque, ad un tempo, la migliore soddisfazione dei consumatori abbinata ad una produzione effi- ciente o, per altro verso, abbinata ad un’elevata produttività dei fattori impiegati nel modulo di combinazione produttiva», Farneti (1992), pagg. 141-142. —————————————
  • 11. C. CHIRIELEISON, LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI ... 153 insufficiente e garantire la copertura dei costi totali36. Il mercato, dunque, non è in grado autonomamente di determinare condizioni di redditività per tale attività aziendale, che si presenta sistematica- mente in perdita. I servizi prodotti per la collettività, attuale e futura, come la con- servazione o i restauri, sono infatti erogati senza che ad essi corri- sponda il pagamento di alcun corrispettivo da parte dei fruitori: i cit- tadini non pagano direttamente per l’effettuazione di un restauro o per lo studio di un quadro del museo dalla dubbia attribuzione, ma semmai vi contribuiscono indirettamente attraverso il prelievo fiscale. I servizi prodotti per un determinato insieme di fruitori, invece, sono solitamente erogati dietro il pagamento di un corrispettivo, il cui ammontare però non è definito in modo da coprire il costo medio totale. Viene invece fissato un «prezzo politico»37, che in genere non è in grado di remunerare se non in minima parte i costi sostenuti38, e determina la necessità di una integrazione attraverso sussidi pubblici o privati. I «ricavi» del museo, dunque, quando esistono, non espri- mono il «valore» della produzione effettuata ed erogata. La quantifi- cazione economica dei risultati, perciò, risulta essere alquanto proble- matica, dal momento che se è possibile, pur con difficoltà, individua- re i costi, i ricavi non presentano un rilievo economico significativo, anche perché la produzione di ricchezza di un museo non si manifesta se non in minima parte sotto forma economico-finanziaria. In mancanza di un indice sintetico, come quello del reddito, dun- que, sarà indispensabile una lettura più attenta degli altri indici di performance39. Tra questi possiamo individuare quelli volti a rappre- sentare l’autonomia economico-finanziaria del museo, la sua rigidità e le sue potenzialità di sviluppo. Per valutare l’autonomia economico-finanziaria del museo si può ————————————— ³⁶ Per una approfondita trattazione analitica del problema si veda Heilbrun-Gray (1993), pag. 175 e segg. ³⁷ Per un’analisi approfondita sull’argomento si veda Passaponti (1984). ³⁸ In molti casi, potrebbe essere addirittura impossibile fissare un prezzo che consenta di raggiungere l’equilibrio. Ciò accade quando i costi sono particolarmente elevati (ad esempio perché incorporano rilevanti oneri per il restauro) e la domanda è insufficien- te a generare un break even point: i costi fissi non possono essere ripartiti su un numero abbastanza ampio di visitatori, per cui la curva del costo totale unitario si trova, per qualsiasi quantità prodotta, sopra la curva di domanda; in tal caso non esiste alcun punto di intersezione tra le due curve e quindi non esiste un prezzo del biglietto che garantisca la copertura dei costi totali. Cfr. Netzer (1978) e Frey-Pommerehne (1993). ³⁹ «È raro trovare un parametro sintetico di misurazione dell’economicità di un’azien- da senza finalità di reddito, cioè un parametro analogo a ciò che il reddito rappresenta per un’impresa privata. I fini delle aziende senza finalità di reddito sono solitamente complessi e spesso astratti. Di conseguenza, sono complessi anche i loro output, il che rende necessario il ricorso a molteplici indicatori. In alcuni casi è possibile individuare un sistema di parametri dal quale ricavare schemi, tendenze, indicazioni relative alla qualità dell’output e all’economicità dell’azienda. Sistemi di questo tipo possono essere definiti vettori di output», Anthony-Young (1992), pag. 398.
  • 12. STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99 154 calcolare la percentuale di entrate da ricavi caratteristi sul totale delle entrate, al fine di verificare in che misura il museo riesca ad autogene- rare le risorse finanziarie di cui necessita attraverso incassi da bigliet- ti, vendite di altri servizi, diritti di concessione e così via. Rilevante anche il calcolo della percentuale di entrate derivante da contributi di privati per donazioni, sponsorizzazioni o quote di membership40: una proporzione elevata esprime in genere, oltre al raggiungimento di una consolidata reputazione, una buona capacità del museo di dialogare con i propri stakeholders. Al contrario l’indice dato dai finanziamenti statali (o comunque da livelli superiori di governo) sul totale delle entrate esprime la dipendenza del museo da trasferimenti di risorse: maggiore è tale percentuale, minore sarà in genere l’imprenditorialità espressa dal management. Uno dei principali indici che permette di stimare, invece, la rigidità della gestione è dato dalla percentuale delle spese rigide in proporzio- ne al totale delle spese. In genere i musei, soprattutto quelli pubblici, presentano un valore di questo indice piuttosto elevato: le spese per il personale dipendente, la manutenzione degli impianti, i materiali e i consumi di utenze, coprono in media circa il 70 per cento del totale41. Quanto maggiore è tale rapporto, dunque, tanto più saranno limitate le possibilità di azione del museo il quale, per implementare sia miglioramenti incrementali, sia innovazioni strategiche dovrà ricorre- re a cambiamenti di tipo strutturale. Gli indicatori concernenti lo sviluppo del museo richiedono natu- ralmente l’analisi di una serie storica di dati e si basano principalmen- te su indici che calcolano la variazione relativa delle risorse finanzia- rie disponibili e del numero dei dipendenti. In realtà una diminuzione di tali indici non implica necessariamente una contrazione dell’atti- vità museale. Il contracting-out, di alcune attività42, ad esempio, può determinare un aumento della gamma e del livello qualitativo dei pro- dotti/servizi offerti ai consumatori e, contestualmente, una anche significativa riduzione dei dipendenti e delle risorse finanziarie assor- bite dal museo. Può dunque essere opportuno considerare anche altri indici, quali la variazione percentuale del numero di visitatori e di altre prestazioni di servizio (come il numero di richieste di accesso alla biblioteca del museo), oppure la variazione percentuale dei ricavi caratteristici, da integrare naturalmente con considerazioni di caratte- re qualitativo. ————————————— ⁴⁰ Potrà anche essere valutata in questo contesto l’efficacia delle attività di found- rising, confrontandone il costo con il totale dei proventi ottenuti; calcolando l’importo della donazione media ottenuta da privati, la percentuale di donatori non occasionali e la quota di nuovi donatori sul totale dei contributi. Cfr. Molteni (1997), pag. 158 e segg. ⁴¹ Cfr. Valentino (1993). ⁴² Cfr. Berbetta (1996).
  • 13. C. CHIRIELEISON, LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI ... 155 4.2. Gli indicatori relativi alle attività connesse con il servizio espositivo Il servizio espositivo può essere considerato il servizio di base43, quello cioè che costituisce la ragione principale per cui il fruitore si rivolge al museo44. Tale servizio ha un contenuto estremamente com- posito; non si limita infatti alla semplice esposizione delle opere in uno spazio fisico, ma comprende elementi come, ad esempio, la chia- rezza dell’esposizione, la capacità di trasmissione di un determinato messaggio attraverso il percorso, l’ausilio offerto per la decodifica del messaggio stesso. Il «processo produttivo» del servizio di esibi- zione, dunque, attinge da tutte le attività poste in essere dal museo, e non solo da quella espositiva, trovandovi il proprio fondamento. Ai fini della nostra analisi si possono considerare parte del servizio espositivo i servizi di supporto alla fruizione, come il servizio di biglietteria, il servizio di prenotazione delle visite, il guardaroba, il parcheggio. Vi rientrano anche la produzione e la distribuzione di tutte quelle informazioni sulla collezione ed il museo che non sono inglobate nel servizio espositivo; si pensi alle visite guidate, alla pre- senza di personale specializzato a disposizione per chiarimenti, alle attività e ai supporti didattici. Possono essere considerati parte del- l’attività caratteristica, infine, pure i servizi complementari alla frui- zione, quelli cioè che, seppure non direttamente collegati con la visi- ta, possono contribuire a renderla più piacevole o a integrarla. Si pensi agli spazi di sosta, ai punti di ristoro bar/ristorante, ai negozi e bookshop, nei quali è disponibile per la vendita tutto quanto può essere direttamente o indirettamente correlato con il museo: pubbli- cazioni, oggettistica, riproduzioni, cartoline, cd-rom, audio e video- cassette. Gli indicatori connessi al servizio espositivo possono essere rag- gruppati in cinque classi: quelli relativi al rapporto con gli utenti; alle risorse a disposizione; all’output; alla redditività e allo sviluppo. a) Indicatori del rapporto con gli utenti. Il rapporto con gli utenti può essere analizzato da diversi punti di vista. In primo luogo è importante valutare le condizioni di accessibilità del museo. A questo scopo è rilevante innanzitutto il numero di ore e di giorni di apertura, non solo in valore assoluto, ma anche considerandone la distribuzione. Molti musei, infatti, restano accessibili per un numero complessivamente ragguardevole di ore, ma sono chiusi proprio quando si verificano le punte di domanda, quando cioè è massima la disponibilità di tempo libero dei poten- ————————————— ⁴³ In relazione alla distinzione tra servizi di base e servizi periferici cfr. Normann (1985), pag. 56 e segg. e Eiglier-Langeard (1988), pag. 113. ⁴⁴ In relazione alla fruizione virtuale dei musei si veda Legrenzi-Micelli-Moretti (1998).
  • 14. STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99 156 ziali visitatori, come la sera, nel fine settimana, nei giorni di festa, circostanza che potrebbe far propendere per una ridistribuzione dei tempi di apertura. Importante è anche il tempo medio di attesa per l’accesso al museo: le code infatti generano insofferenza nel pubblico e possono scoraggiare potenziali visitatori. A questo sco- po è anche da considerare l’esistenza o meno della possibilità di preacquisto del biglietto o di prenotazione della visita e la percen- tuale dei fruitori che di fatto ne usufruisce, in modo da incentivare con adeguate iniziative la razionalizzazione dei flussi di ingressi45. Un ultimo fattore da valutare è la minore o maggiore raggiungibi- lità del museo, sia a livello di trasporti pubblici sia di possibilità di parcheggio, che pur essendo in gran parte una variabile esogena può giustificare in parte l’eventuale limitata affluenza di pubbli- co46 e suggerire l’attivazione di attività di lobbying per migliorare la situazione. In secondo luogo vanno considerate le caratteristiche quali-quanti- tative della domanda47. Assumono importanza dunque, oltre al numero di visitatori gratuiti e paganti, la percentuale di residenti e quella di turisti, espressione del radicamento del museo in una determinata realtà culturale e della sua capacità di coinvolgere la comunità nel proprio progetto educativo, nonché la composizione per età, titolo di studio, provenienza, e così via. In terzo luogo dovrebbero essere elaborati indici relativi alla frui- zione di servizi ulteriori rispetto a quello espositivo. Una maggiore percentuale di persone che utilizza il servizio di visita guidata, ad esempio, può essere un indicatore positivo, dal momento che un intermediario specializzato nella decodifica del messaggio cultura- le del museo può essere funzionale al migliore raggiungimento degli obiettivi di comunicazione del museo stesso e aumentare la soddisfazione del consumatore con proficui ritorni in termini di immagine, non ultimo il cosiddetto effetto «passaparola» che, ————————————— ⁴⁵ Al Louvre, ad esempio, i gruppi sono obbligati a prenotare la propria visita, per evitare intasamenti eccessivi nelle sale. L’obbligo della prenotazione è stato introdotto, dopo la recente riapertura, anche alla Galleria Borghese a Roma. ⁴⁶ Osserva acutamente Bordon (1998): «Sono stato recentemente al Museo Archeologico di Reggio Calabria dove vi sono due delle opere più straordinarie dell’in- gegno artistico e umano di tutti i secoli, i Bronzi di Riace. (...) Si è speso molto denaro per salvarli. Ma i visitatori del Museo Archeologico di Reggio sono pochissimi. Ovviamente nascono tanti quesiti: è soltanto un problema di comunicazione? O non è anche di altro tipo? È facile secondo voi oggi andare a Reggio Calabria in termini di trasporti; è facile fruirne in termini di servizi turistici? No, è assolutamente poco facile; anzi se i Bronzi fossero portati a Parigi sarebbe più semplice andare da Roma a Parigi per vederli», pag. 185. ⁴⁷ Anche nel contesto italiano cominciano ad essere effettuate ricerche di questo tipo, più spesso per un insieme di musei che per uno singolo, dati i costi della rilevazione e dell’elaborazione dei dati. Interessante quella di Aguiari-Amici (1995) sui musei di Roma.
  • 15. notoriamente, in questo settore riveste una importanza determi- nante. Anche la propensione a fruire dei servizi di bar e caffetteria indica un buon rapporto con il pubblico, dal momento che contri- buisce, oltre ad aumentare le entrate del museo, a creare un clima di familiarità con il luogo e la collezione. Nello stesso senso anche l’indice dato dalla percentuale di visitatori che acquista qualcosa nel bookshop, a cui è demandata la prosecuzione della missione educativa del museo, purché naturalmente sia garantita la qualità dei prodotti in vendita. b) Indicatori relativi alle risorse a disposizione. Per valutare le risorse a disposizione va considerata, in primo luo- go, l’adeguatezza di spazi, strutture e attrezzature, in particolare in relazione all’immobile sede del museo. Vengono in genere utilizzati indicatori con modalità qualitative che segnalano l’età dell’immo- bile, le sue condizioni, la necessità di ristrutturazioni, la presenza di barriere architettoniche e, in generale, la sua adeguatezza fun- zionale, in gran parte dipendente dalla circostanza che l’edificio fosse stato progettato per essere un museo o meno. In Italia sono molto pochi gli edifici museali nati allo scopo di contenere un museo. Gli esempi storici rimasti fino a noi, come la Galleria degli Uffizi, Villa Borghese, alcune sale dei musei Vaticani, si sommano a poche testimonianze di architettura museali degli anni Cin- quanta del nostro secolo48. Per il resto, tutte le collezioni sono sta- te più o meno comodamente alloggiate in conventi, castelli o palazzi storici49. In tutti questi casi l’edificio museo non costitui- sce solo un «contenitore», ma diviene esso stesso parte dell’esposi- zione. Chiaramente tale circostanza impone una serie di condizio- namenti alla gestione del museo di cui non è possibile non tenere conto, dall’impossibilità di creare ascensori, alla mancanza degli spazi per laboratori o servizi aggiuntivi (interessante il calcolo del- la percentuale di metri quadrati ad essi dedicati sul totale dello spazio disponibile), fino al sovraffollamento dei depositi. In secondo luogo, devono essere valutate le risorse umane di cui il museo dispone. L’importanza di tale valutazione deriva dal fatto che, utilizzando una caratteristica dell’input per valutare indiretta- C. CHIRIELEISON, LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI ... 157 ————————————— ⁴⁸ Nel resto d’Europa e ancora maggiormente negli Stati Uniti, invece, si è creata una vera e propria architettura museale in cui gli spazi espositivi vengono appositamente progettati «per accogliere tutti i servizi del museo, da quelli espositivi a quelli di con- servazione, da quelli di rappresentanza a quelli di studio e gestione e a quelli destinati al pubblico», Passamani (1995), pag. 38. ⁴⁹ «Ma torniamo allora al luogo, alla casa del museo italiano. Esso risiede in luoghi che noi dobbiamo classificare meglio. Sono per il 27 per cento case e palazzi storici; per il 30 per cento ex chiese ed ex conventi, sono per il 20 per cento rocche e castelli, un ultimo 10 per cento va riservato a scavi di tipo classico e archeologico appunto e par- chi. Pochissimi sono i musei che sono stati costruiti allo scopo e che sono nati da un piano programmatico», Emiliani (1996), pag. 20.
  • 16. STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99 158 mente l’output, la quantità e la qualità del personale impiegato può costituire una proxy della qualità dei servizi offerti50. Alcuni indici interessanti sono focalizzati sull’apporto del volontariato51 e in particolare sulla sua percentuale rispetto alle ore di lavoro dipendente. I volontari, infatti, non solo riducono i costi a carico del museo, ma apportano anche un notevole carico di entusiasmo e di intraprendenza, in genere contagioso52. Una loro significativa presenza, inoltre, testimonia la capacità del museo di interagire con il contesto sociale e ne conferma, indirettamente, la validità del progetto culturale. Una percentuale eccessiva, tuttavia, può comportare, oltre a problemi concreti di coordinamento, difficoltà derivanti dalla mancanza di continuità nell’impegno e dalla scarsa professionalità dei volontari53. In proposito è utile calcolare la percentuale di volontari che presta servizio nel museo da più di un anno, indice sia della capacità del museo di fidelizzare i propri col- laboratori, sia del livello di competenze che essi possono aver acquisito sul campo. In relazione invece al personale dipendente le valutazioni da effet- tuare sono più numerose e più complesse. Innanzitutto bisogna conoscere l’incidenza dei costi per salari e stipendi sui costi totali del servizio espositivo, incidenza che, in genere, è resa molto eleva- ta dal peso del personale di vigilanza. Gli indici relativi alla com- posizione del personale e al relativo costo per categorie in rappor- to al totale dei costi per i dipendenti, infatti, esprimono il livello di qualificazione delle professionalità presenti nel museo. In base alle risultanze di una tale analisi dovrebbe anche essere possibile anda- re ad incidere con cognizione di causa sui profili culturali dei dipendenti, modellandoli sulle reali esigenze del museo. In genere in Italia è infatti individuabile una percentuale sensibilmente più bassa, rispetto ad una media internazionale, di professionalità spe- cifiche54, quali storici dell’arte o archeologi55, a fronte di una ele- vatissima presenza di custodi, frutto della sedimentazione negli ————————————— ⁵⁰ Cfr. Travaglini (1996), pag. 308. ⁵¹ Sull’argomento cfr. Bertolucci (1997). ⁵² Cfr. Bagdadli (1994). ⁵³ Tali rischi sono massimi in caso di utilizzo di obiettori di coscienza, impiegabili nei musei in base alla convenzione firmata dal Ministero dei Beni culturali e da quello del- la Difesa nel novembre del 1996. ⁵⁴ Sulla drammatica e paradossale situazione di Pompei, che vanta solo 16 tra archeo- logi, storici dell’arte e architetti, e ben 423 custodi, si veda Zan (1998b). ⁵⁵ Sarebbe anche interessante conoscere la composizione percentuale del tempo impie- gato per le diverse attività, calcolando, ad esempio, sul numero totale di ore di lavoro quante uno storico dell’arte ne dedica alla ricerca e quante a mansioni organizzative. Si scoprirebbe probabilmente che, data la totale assenza nei musei italiani di profili manageriali, e la necessaria supplenza da parte degli storici dell’arte, il tempo che può essere impiegato in compiti tecnico-professionali è molto minore di quanto possa sem- brare.
  • 17. C. CHIRIELEISON, LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI ... 159 anni di politiche di tipo clientelare, purtroppo molto diffuse nelle amministrazioni pubbliche56. È naturalmente possibile calcolare anche degli indici di produttività57, come il numero di visitatori annui per dipendente, il rapporto tra il numero di custodi e il numero di visitatori annui, i metri quadrati di superficie espositiva per dipendente e per custode, e così via. Un indice indiretto della propensione del museo ad investire nello sviluppo delle proprie risorse umane, infine, può essere dato dal numero di ore di forma- zione e aggiornamento per dipendente, eventualmente scomposto per singole categorie professionali o dai relativi costi sul totale dei costi del personale. Per completare la valutazione delle risorse umane è poi necessario predisporre strumenti per stimare, anche attraverso questionari, il coinvolgimento e la motivazione dei dipendenti. Indicatori indiretti, assunta la sostanziale irrilevanza del tasso di turnover in un contesto di pubblico impiego, possono essere pure il tasso di assenteismo, eventualmente confrontato con analoghe istituzioni o con altre amministrazioni pubbliche. c) Indicatori dell’output. Abbiamo già detto della non opportunità di considerare la misura degli incassi da biglietti quale misura dell’output del museo. Tuttavia il trend degli incassi, così come quello del numero di biglietti venduti (comprensivo degli ingressi gratuiti), può dare importanti indicazioni sulla tendenza all’espansione o alla contra- zione dell’azione del museo e quindi, indirettamente, dell’efficien- za e dell’efficacia della gestione. Altro dato significativo è il tempo medio di percorrenza del museo che, pur essendo funzione in pri- mo luogo delle sue dimensioni, esprime l’interesse suscitato dal- l’offerta e la capacità di comunicare, esattamente come può fare la percentuale di pubblico che visita il museo ripetutamente. Rientra in questa categoria di indici anche quello che potrebbe essere considerato l’equivalente del «tasso di occupazione»58 per gli ospedali, dato dal numero dei visitatori effettivi sul numero massimo dei visitatori teoricamente ospitabili nel museo, nell’unità di tempo considerata. Data la predisposizione di una certa struttu- ra di accoglienza, a cui corrisponde il sostenimento di costi in gran parte indipendenti dal numero dei visitatori, all’aumentare del numero dei visitatori effettivi si ottiene infatti una progressiva diminuzione del costo per visitatore e quindi una maggiore effi- cienza del museo. L’utilizzo di tale indice comporta tuttavia diver- ————————————— ⁵⁶ Cfr. Solima (1998), pagg. 345-346. ⁵⁷ Cfr. Van der Borg-Zago (1995). ⁵⁸ Il tasso di occupazione è dato dal numero di letti occupati sul numero di letti dispo- nibili. Si considera infatti che, a parità di risorse utilizzate, un ospedale sia tanto più efficiente quanto maggiore è il numero di pazienti ricoverati, che si riflette appunto sul tasso di utilizzo delle attrezzature. Cfr. Angeloni-Fiorentini (1996), pag. 287.
  • 18. STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99 160 se cautele. In primo luogo, il parametro del numero dei visitatori non considera la qualità del servizio offerto. In secondo luogo, è necessario considerare l’esistenza di un possibile trade-off tra con- servazione e fruizione. Ad una massimizzazione del grado di sfrut- tamento delle strutture, infatti, può corrispondere un deteriora- mento delle opere esposte. Per contenere i danni, allora, potrebbe essere necessario sostenere ingenti costi di manutenzione e/o ricor- rere all’acquisto di impianti che garantiscano una migliore prote- zione della collezione59, rendendo non conveniente, almeno in base ad una considerazione di tipo strettamente economico, un aumento dei visitatori oltre certi livelli. Rispetto alla produttività, un indice molto importante è il costo del servizio espositivo sui costi totali e soprattutto il costo espositivo per visitatore, dal momento che ogni nuovo visitatore ha «un costo mar- ginale prossimo allo zero, essendo la struttura dei costi di un museo essenzialmente composta da costi fissi»60, per cui con l’aumentare del numero dei visitatori migliora il rendimento della struttura. d) Indicatori di redditività61. In relazione all’economicità della gestione62 è indispensabile valu- tare la percentuale di copertura dei costi con i ricavi. Da un punto di vista strettamente economico, sarebbe opportuno che i ricavi tipici riuscissero a coprire una percentuale rilevante dei costi di esposizione, dal momento che il sussidio a copertura di tale disa- vanzo va principalmente a beneficio dei visitatori e non della col- lettività63. Attraverso analisi di questo tipo si può verificare che le situazioni in cui ciò effettivamente si realizza non sono poi così infrequenti e che in molti casi l’enorme deficit dei musei, anche pubblici, dipende dagli ingenti costi della conservazione e del restauro, più che dall’incapacità dei dirigenti64. ————————————— ⁵⁹ L’esigenza della conservazione è da considerarsi prioritaria, in quanto relativa a beni non riproducibili. In presenza di un notevole affollamento del museo, inoltre, si assiste ad un deterioramento della qualità della visita e ad un aumento delle difficoltà nel garantire la sicurezza della collezione. ⁶⁰ Cfr. Solima (1998), pag. 226. ⁶¹ In proposito si veda Migale (1995). ⁶² In relazione al concetto di equilibrio economico a valere nel tempo si veda Zappa (1956), pag. 37 e Giannessi (1979), pag. 11. ⁶³ Cfr. Grammp (1993). ⁶⁴ Dall’analisi sui musei di Verona emerge che: «La contrapposizione tra ricavi e costi evidenzia una incompleta e tuttavia elevata copertura pari a circa il 68 per cento se si considera il rapporto tra i costi totali e i ricavi totali. La contrapposizione tra i costi della gestione visitatori e i ricavi derivanti dalla vendita dei biglietti evidenzia per i Musei e i Monumenti Civici di Verona una copertura del 147 per cento. Peraltro l’area dei costi non coperta dai ricavi è inferiore alla sommatoria dei costi sostenuti per l’atti- vità di formazione e pertanto, si può affermare che le entrate proprie coprono sia i costi correlati sia parte dei costi che, pur creando valore per l’azienda museale, difficil- mente generano ricavi diretti», Modina (1996), pag. 148.
  • 19. C. CHIRIELEISON, LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI ... 161 Può anche essere utile valutare l’apporto dei ricavi provenienti da servizi aggiuntivi e da concessioni, in rapporto al totale dei costi espositivi, per misurare quanta parte di essi venga ripagata da atti- vità di tipo innovativo e se possa essere conveniente aumentare gli spazi ad esse destinati. e) Indicatori di sviluppo. Gli indici per valutare la tendenza allo sviluppo dei servizi esposi- tivi sono naturalmente da osservare nel tempo e si riconducono, sostanzialmente, al monitoraggio del trend di indicatori compresi nelle quattro categorie precedenti, da leggere naturalmente in un’ottica sistemica. 4.3. Gli indicatori relativi alle altre attività museali Il servizio espositivo non è che uno dei molteplici servizi prodotti dal museo65; accanto ad esso, infatti, ne possiamo individuare anche altri, non indirizzati ad uno specifico insieme di fruitori. L’impossi- bilità di identificare e circoscrivere con esattezza l’insieme dei fruitori di questi ultimi, così come di escludere alcuno dal godimento, deter- mina la non applicabilità di una tariffa (non divisibilità e non escludi- bilità) e quindi l’assenza totale di proventi. Le attività che si tramuta- no in tali servizi alla collettività sono, in sintesi, l’attività di acquisi- zione e conservazione della collezione, l’attività di tutela e restauro delle opere, l’attività di produzione e trasmissione culturale e l’attività amministrativo-gestionale di supporto a tutte le altre, comprese quel- le necessarie al servizio espositivo. La valutazione delle performance di tali attività avviene sostan- zialmente con gli stessi indici utilizzabili per il servizio espositivo, tra cui quelli relativi al personale impiegato, al costo per attività in rapporto ai costi totali del museo e in rapporto al costo espositivo. Non sono naturalmente calcolabili, invece, tutti quegli indici che facciano riferimento ai proventi. Le difficoltà principali, in questo contesto, sono dunque legate alle maggiori incertezze nella quanti- ficazione, anche indiretta, dell’output, da poter correlare con i rela- tivi costi. Si pensi all’ambito dei restauri, dove hanno una significa- tività certo scarsa il numero dei restauri effettuati o i metri quadrati di tela restaurata, oppure a quello delle attività di ricerca. Volendo comunque identificare degli indicatori, oltre a valutazioni indirette della performance basate sulla qualificazione delle risorse umane, si può ad esempio pensare, per i restauri, al rapporto tra tempi pre- visti e tempi effettivi di realizzazione, così come tra costi previsti e costi effettivi e, per le attività di studio, al numero delle pubblicazio- ni scientifiche, dei convegni e delle conferenze organizzati, alla per- centuale di opere catalogate sul totale. Ciò tenendo comunque ben ————————————— ⁶⁵ Cfr. Chirieleison (1998); Solima (1998); Zan (1998a); Bagdadli (1997).
  • 20. STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99 162 presenti tutte le cautele del caso: così la definizione della composi- zione dei costi per progetto o per singolo intervento può senz’altro fornire informazioni utili, ma nulla dice sulla qualità dei risultati. Assume poi, per entrambe le attività, una fondamentale importan- za la definizione e la formalizzazione degli obiettivi delle diverse azioni da intraprendere (ad esempio la salvaguardia e conoscenza delle opere del museo, l’approfondimento del contesto della loro creazione, la divulgazione o divulgabilità dei risultati, ecc.), che è la premessa per poter procedere in un secondo momento al confronto con i risultati effettivi che, per quanto soggettivo e arbitrario, può sempre dare informazioni utili su eventuali azioni correttive da intraprendere. Per quanto riguarda invece l’attività di conservazione delle opere, la misurazione delle performance è relativamente più semplice ed avviene «in negativo»: i risultati saranno tanto migliori quanto meno numerose saranno, nell’unità di tempo considerata e a parità di altre condizioni, le opere danneggiate da un cattivo stato di mantenimento, soggette ad atti di vandalismo o rubate66. Non presentano invece differenze di rilievo, rispetto a qualsiasi altra azienda, le modalità di valutazione delle performance dell’atti- vità amministrativa e dell’eventuale investimento di elementi del patrimonio (risorse finanziarie, immobili, terreni, ecc.) non diretta- mente impiegati per l’attività museale. 4.4. Le misure di soddisfazione degli utenti La funzione di questa ultima dimensione della misurazione delle performance è di integrare l’analisi con considerazioni aggiuntive. Gli strumenti sono sostanzialmente gli stessi applicabili nell’ambito delle aziende industriali, cioè «ricerche di mercato», attraverso questionari e/o interviste, che permettano al museo di sapere, da un lato, chi sono i propri clienti e quanto sono soddisfatti dell’offerta, dall’altro, chi sono i propri clienti potenziali e i propri «non clienti»67. I controlli di customer satisfaction, d’altra parte, non sono né una specificità dei musei, né delle aziende di servizi, essendo diventati negli ultimi anni un punto focale anche per le imprese industriali68, in considerazione ————————————— ⁶⁶ In relazione ai furti, nel 1997 quelli nei musei sono stati complessivamente 20, di cui la maggior parte in musei comunali, per un totale di 156 oggetti trafugati. Dati Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Artistico. ⁶⁷ Naturalmente tutto ciò concerne il servizio espositivo; per quanto riguarda la valu- tazione qualitativa delle altre attività museali, il giudizio è rimesso a considerazioni di tipo politico oppure a stime effettuate dai livelli superiori di governo. ⁶⁸ «La qualità non è più vista come qualcosa di opzionale ed eccezionale, qualcosa legato solo a un modello di impresa eccellente; oggi rappresenta la linea guida per tutte le attività, in tutte le attività, in tutte le organizzazioni ben gestite, e deve essere misu- rata secondo modalità quantificabili, in modo da fornire un riferimento utile per l’alta direzione», Lothian (1997), pag. 31.
  • 21. C. CHIRIELEISON, LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI ... 163 del fatto che le prestazioni finanziarie di un’azienda non sono altro che il riflesso del rapporto qualità/prezzo del prodotto, rispetto alla concorrenza, e della capacità dell’azienda stessa di rispondere alle aspettative dei clienti. Nel caso dei musei, tuttavia, l’utilizzo del giudizio del pubblico, quale misura della qualità del servizio offerto e parametro per l’orien- tamento strategico della gestione, deve essere sottoposto a molte cau- tele: il fatto che numerosi visitatori, ad esempio, possano preferire un «museo-parco giochi» o un «museo-supermercato» non deve indurre ad adeguarsi a standard che tradirebbero la missione culturale del museo stesso69. È necessario, infatti, anche a livello di sistema museale italiano, preservare l’identità e le specificità delle nostre isti- tuzioni culturali, fin dal rinascimento caratterizzate da un forte rigore museografico e museologico, sedimento di una consolidata e secolare tradizione di studio in questi campi. L’attenzione deve piuttosto esse- re concentrata nel badare a ché l’aura di sacralità che il museo deve mantenere, non diventi una barriera alla comunicazione con il grande pubblico, ma piuttosto un elemento di valorizzazione rispetto alla mission dell’educazione dei gusti dei visitatori. Una scelta opposta non solo porterebbe inevitabilmente il museo a tradire la propria mis- sion, che ha natura in primo luogo culturale, ma determinerebbe anche, nel lungo periodo, una progressiva perdita di capacità distinti- va e quindi in definitiva di attrattività, rispetto a forme alternative di soddisfacimento dei medesimi bisogni. Ciò non implica naturalmente che le esigenze dei visitatori non siano tenute nella debita considera- zione, anzi. È di estrema importanza, dunque, capire e approfondire le motivazioni che portano le persone a visitare un museo70 e valutare la capacità del museo stesso di comunicare con il proprio pubblico, un primo indice della quale può essere la notorietà del museo a livello locale e nazionale. 5. Conclusioni L’utilizzo nelle gestioni museali di strumenti volti alla misurazione delle performance richiede particolari cautele, in funzione delle pecu- liarità del servizio offerto e dell’importanza del mantenimento, sem- pre e comunque, di un determinato livello qualitativo dell’offerta. Nei musei, infatti, il meccanismo di mercato non è in grado di garantire un controllo automatico della qualità, per cui chiaramente l’attenzio- ————————————— ⁶⁹ Cfr. Monin (1998), pag. 78. ⁷⁰ Possiamo individuare, in generale, tre principali tipologie di bisogni che il fruitore cerca di soddisfare: bisogni intellettuali, nella ricerca di una crescita culturale; bisogni emozionali, da trovare in un’esperienza diversa dalla solita realtà e capace di suscitare emozioni; e infine bisogni di socialità: al museo non si va da soli, ma con qualcuno, così come il museo può essere il luogo per incontrare qualcuno. Cfr. Valdani (1998), pag. 68.
  • 22. STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/99 164 ne degli amministratori a tale aspetto deve essere molto maggiore che nelle altre aziende. La complessità nella definizione concreta degli indici, inoltre, già notevole nelle imprese, risulta maggiore in funzione dell’irrilevanza dei prezzi di mercato e della difficoltà di misurazione dell’output per i vari servizi prodotti. D’altra parte la definizione e l’implementazione di un sistema di misurazione e valutazione delle performance rappresenta per i musei un passo fondamentale nel pro- cesso di aziendalizzazione e una premessa indispensabile per riuscire ad orientare l’offerta in maniera tale da incontrare il più possibile le esigenze del pubblico.
  • 23. C. CHIRIELEISON, LA VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE NELLE GESTIONI MUSEALI ... 165 BIBLIOGRAFIA Aguiari R. - Amici B. (1995), I visitatori dei musei di Roma, Roma, Editore SIPI. Amaduzzi A. (1973), Il controllo dei costi, Roma, Editrice K. Angeloni L. - Fiorentini G. (1996), Analisi di efficienza per organizzazioni non-profit, in Borzaga C. - Fiorentini G. - Matacena A. (a cura di), Non- profit e sistemi di welfare. Il contributo dell’analisi economica, Roma, Nis. Anselmi L. (1992), Il manager pubblico, in Farneti G. (a cura di), Il controllo economico nell’ente locale, Rimini, Maggioli Editore. Anselmi L. (1995), Il processo di trasformazione della pubblica amministrazio- ne. Il «percorso aziendale», Torino, Giappichelli. Anthony R. N. (1967), Sistemi di pianificazione e controllo: uno schema di analisi, Milano, Etas libri. Anthony R. N. - Young D. W. (1992), Controllo di gestione per il settore non profit, Milano, McGraw-Hill Libri Italia. Badelt C. - Weiss P. (1990), Non-Profit, For-Profit and Government Organizations in social service provision: comparison of Behavioral patterns for Austria, in Voluntas; International Journal of Vouluntar and Non- Profit Organizations, I, pagg. 77-98. Bagdadli S. (1994), La motivazione dei volontari: il contributo della ricerca, in Sviluppo e Organizzazione, n. 144, luglio-agosto. Bagdadli S. (1997), Il museo come azienda. Management e organizzazione al servizio della cultura, Milano, Etas Libri. Becker E. R. - Sloan F. A. (1985), Hospital Ownershipo and Performance, in Economic Inquiry, n. XXIII, pagg. 21-36. Berbetta G. P. (1996), Sul contracting-out nei servizi sociali, in Non-profit e sistemi di welfare. Il contributo dell’analisi economica, Borzaga C. - Fiorentini G. - Matacena A. (a cura di), Roma, Nis. Bergamin Barbato M. (a cura di), (1987), Il controllo economico finanziario nelle imprese a partecipazione statale, Padova, Cedam. Bertini U. (1990), Il sistema d’azienda. Schema di analisi, Torino, Giappichelli. Bertini U. (1991), Scritti di politica aziendale, Torino, Giappichelli. Bertolucci M. P. (a cura di) (1998), Solidali con l’arte. Secondo rapporto sul volontariato per i beni culturali e artistici in Italia, Torino, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli. Bobbio L. (1992), La politica dei beni culturali in Italia, in Bobbio L. (a cura di), Le politiche dei beni culturali in Europa, Bologna, Il Mulino. Bordon W. (1988a), in Mattiacci A. (a cura di), La gestione dei beni artistici e culturali nell’ottica del mercato, Milano, Guarini. Borgonovi E. (1992), Il controllo economico interno come tipico sistema di gestione del manager pubblico, in Farneti G. (a cura di), Il controllo econo- mico nell’ente locale, Rimini, Maggioli Editore. Brusa L. - Dezzani F. (1983), Budget e controllo di gestione, Milano, Giuffrè. Capaldo P. (1996), Le aziende non profit tra Stato e mercato, in Aidea (a cura di), Le aziende non profit tra Stato e mercato, Bologna, Clueb. Caramiello C. (1993), Indici di bilancio. Strumenti per l’analisi della gestione aziendale, Milano, Giuffrè.
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