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PASQUALE STANZIALE




ZONA AURUNCA/SUD PONTINO:
   L’IMPRONTA NUCLEARE
1- Guasti, incidenti, esperimenti




Dal 1964 esiste nella piana del fiume Garigliano, nel Comune di Sessa
Aurunca,al confine tra Campania e Lazio, una centrale elettronucleare.
Tale centrale nasce come impianto "sperimentale"           e viene,    su
pressione della multinazionali General Electric, della Banca
Internazionale per lo Sviluppo e la Ricostruzione e del Crnr (poi Cnen),
accettata dal Governo italiano (S. Silvestri 1963), (5) dopo essere
stata rifiutata dagli stessi americani perché trattavasi di un progetto
basato su concetti tecnologici non ancora pienamente sperimentati. La
gara d'appalto viene vinta, ovviamente, dalla General Electric, dei
sistemi di controllo si occupa un'altra multinazionale, la Honeywell.
Né le previsioni economiche, né quelle di utilizzo produttivo (una
media del 58 % contro l'80 % previsto) sono state rispettate (9) (5)
(I). E' pensabile, comunque, che,        essendo sperimentale, l'attività
della centrale -tipo ad acqua bollente BWR da 160 Mwe - sia servita
principalmente come esperienza di approccio al nucleare da parte della
"tecnostruttura". È altresì pensabile che una riflessione razionale le
su tale esperienza,      date le conseguenze che -come vedremo- ha
prodotto, potesse creare una coscienza su cosa "non" si deve fare
del nucleare, ma le notizie che circolano attualmente smentiscono
chiaramente tale speranza. Si osserva anche che “...malgrado i costi
degli impianti atomici si siano impennati in tutto il mondo a causa
dell'imposizione di misure di sicurezza sempre più drastiche c'è ancora
una potente lobby che non ha rinunciato al nucleare pel usi pacifici.
Perché? Certamente per ammortizzare gli enormi investimenti finora
compiuti. Ma forse anche perché senza di            esso non potrebbe
proliferare il mercato clandestino del plutonio, indubbiamente più
importante di quello della droga (G. Borella- Panorama 17.9.84)”
Ma torniamo alla 'nostra' centrale. Per quanto riguarda i guasti e/o
incidenti che hanno caratterizzato la vita della centrale, non esiste una
letteratura esauriente. Ma da alcune ricerche (5)          (9) (3) e da
resoconti di conferenze è possibile schematizzare quanto segue.

-Marzo 1964- tranciatura dei bulloni di ancoraggio delle valvole di
regolazione del circuito primario.

-1967/1968-        ritrovati residui di corrosione nella vasca del com-
bustibile fissile.
-1968-         avarie ai tubi del circuito di preriscaldamento.

-13.3.I972-    esplosioni al sistema di smaltimento degli effluenti
radioattivi gassosi con immissione di gas radioattivi nell'aria e
conseguente contaminazione degli ecosistemi del territorio limitrofo
alla centrale.

-13-2.1976-    stesso incidente con stesse conseguenze del 1972.

-1972-         avarie a carico degli scambiatori di calore del circuito
primario.

-1976-         stesse avarie come nel 1972.

-1977-         riscontrate cricche su fasci di tubazioni.

-Agosto 1978 rilevazione di cricche sulle tubazioni del generatore di
vapore. Fermata dell'impianto.

E inoltre nel settembre '65 vi furono avarie alle strutture interne ed
alle rete di distribuzione dell'acqua borata. Abbiamo, infine, nel
febbraio '70 il rischio del massimo incidente: la possibilità della fusione
del nocciolo (“sindrome cinese”) a causa della mancata alimentazione
elettrica degli impianti di raffreddamento mentre le barre di materiale
fissile continuavano ad essere attive nel ciclo di funzionamento.
Questi gli inconvenienti di cui si sa. Viene rilevato poi (1) che durante
l'attività dell'impianto sono stati effettuati moltissimi interventi e
modifiche all'impianto ed alle piscine. Altri parlano di “...qualcosa come
12 tra grossi guasti, anomalie di funzionamento ed incidenti tanto da
costringere le autorità preposte a deciderne la chiusura definitiva nel
1978” (3). Certamente gli incidenti più gravi -per ciò che risulta dal
materiale esistènte- sono quelli del '72/'76 che, tenendo presente la
legge italiana (DPR 10.5.75 art. 1 (1) potrebbero appartenere alla
categoria degli "incidenti nucleari".
Questo per quanto riguarda guasti ed incidenti (di altri incidenti si
parlerà poi), ora ci sembra utile mettere a fuoco alcuni concetti che,
potranno essere scontati per alcuni, ma che sono funzionali allo
schema che vuole seguire il presente lavoro.
Va detto anzitutto che una centrale nucleare dal momento che esiste
(ha funzionato o funziona) è “sempre" fonte di contaminazione
radioattiva e ciò in base alla 2a legge-della termodinamica, della 4a
legge della termodinamica (Georgescu-Roegen) e della 2a legge
dell’ecologia (Commoner) come mostrano molte ricerche (3). Più
specificatamente in “Low-level Radiation -New York 1973”- è detto
testualmente che “...una centrale nucleare diffonde radiazioni
nell'atmosfera. Inoltre, la quantità di gas radioattivi diffusi aumentano
drammaticamente con l'invecchiamento degli impianti”. E ciò
indipendentemente dagli incidenti e/o guasti. H. J. Taub (7)
puntualizza che “... evidentemente vi è una perdita di gas radioattivi
anche tra quelli che possono essere considerati i più sicuri tra gli
impianti atomici”. Quindi, già in partenza, una centrale nucleare ha un
prezzo di contaminazione ambientale. Il problema, allora, si fa, per i
progettisti. di “ottimizzazione” (beneficio = ricavo - spese di
radioprotezione). Una ricerca del 1981 mostra come (4)
“...l'irradiazione della popolazione a seguito di immissione
nell'ambiente di effluenti contaminanti può essere “limitata”
(virgolettatura di chi scrive) con varie tecniche: agendo sulle modalità
del rilascio: l'innalzamento del punto di rilascio degli effluenti gassosi
può ridurre l'irradiazione degli individui nelle immediate vicinanze;
ritardando l'immissione degli effluenti nell'ambiente; rimuovendo il
materiale radioattivo degli effluenti mediante sistemi idonei....”. Tra i
costi della protezione poi sono essere inclusi: “il costo della
costruzione, il costo operativo, il carico di infortuni (anche mortali),
che la costruzione del camino comporta insieme alle diverse attività
connesse, la limitazione dell'uso di alcune zone del territorio
circostante il punto del rilascio, con estensione funzionale dell'altezza
del camino,il degrado ambientale che l'inserimento di un camino di
notevole altezza comporta nel paesaggio ...” -L. Frittelli A. Taraburrano
in (4). Tutto ciò è stato citato sia per ciò che si afferma sia per dare
una idea delle ricerche teoriche di chi si occupa di protezione. Per
concludere quindi questa linea di concetti ci pare evidentemente
esaustivo quanto risulta dalla relazione Laschi (3) in cui si afferma che
“... a qualsiasi livello del ciclo tecnologico dell'energia nucleare,
l'attività produttiva e lavorativa è necessariamente causa di rilascio
nell'ambiente di dosi complessivamente massicce di vari tipi di
sostanze radioattive. Ciò è dovuto a due diversi ordini di fattori: da un
lato le particolari      caratteristiche chimico-fisiche delle sostanze
radioattive; dall'altro le “immutabili” leggi economiche e di mercato
che valgono anche nel campo dell'energia nucleare e ne regolano la
produttività in funzione del profitto a scapito della protezione
ambientale e sanitaria..”.
Ora per terminare questo primo capitolo riteniamo sia giunto il
momento di parlare di tre altri eventi di cui, almeno due, per le
informazioni acquisite potrebbero rientrare nella categoria degli
“incidenti nucleari”

-Nel 1976, durante una delle “solite” piene del Garigliano, vi è
infiltrazione di acqua nel deposito rifiuti solidi radioattivi. Questo fatto
(5) non è stato mai ammesso dal Cnen ma emerge da una indagine
fatta dai tecnici nominati dal Pretore di Sessa Aurunca a seguito
dell'esposto fatto dall'Avv. M. A. Tibaldi per l'inondazione dell'anno
I960.

-16. 11. 1979 altra piena del Garigliano e presumibile (5) infiltrazione
come nel '76.

-14/I7.11.I980 piena del Garigliano con infiltrazione d'acqua nei locali
di stoccaggio dei rifiuti solidi radioattivi. Nel riflusso si calcola (5), si
siano liberati, secondo i tecnici della sicurezza dell'impianto, circa 300
mc di liquido radioattivo. Intanto gli stessi tecnici rilevano nell'acqua,
ancora stagnante nei locali, livelli di radioattività per CsI37, CsI34 e
Co60 superiori a quelli consentiti per i lavoratori professionalmente
esposti. Ma su tale incidente torneremo successivamente.

-17.11.1982 nel contenitore schermato spedito dalla Germania a
mezzo ferrovia fino a Roma, poi a mezzo camion fino alla centrale del
Garigliano -per prelevare barre di combustibile radioattivo- si
riscontrava una perdita di liquido radioattivo di cui non sapremo mai la
quantità. Nella centrale, per liquido gocciolante, viene rilevata una
radioattività di 0,1 microcurie per mmc, cioè un valore (5) 600 volte
superiore alla quantità ammissibile per i lavoratori professionalmente
esposti. Si tratta di Co58, Co60, Mn54. Il Cnen, in un suo comunicato
stampa dell'1. I2. 82 definisce “modesto" il livello di contaminazione”.
2- Conseguenze




Nel capitolo precedente abbiamo esaminato              guasti ed incidenti
verificatisi nella centrale dal '64 ad oggi. Vediamo ora quali
conseguenze hanno avuto i vari eventi negli eco-sistemi del territorio
di 'influenza' della centrale. Si tratta, cioè, di delineare un possibile
'danno', in senso generale, nei li miti delle informazioni e della
letteratura esistente.
Quella di A. Petteruti (1) è, a tutt'oggi, una delle ricerche di oggettivo
valore scientifico- comprovante un danno ambientale- attribuibile alla
centrale elettronucleare del Garigliano. Lavori analoghi, in Italia, sono
stati fatti solo da qualche ricercatore (Augusti per Seveso). Si tratta di
una indagine teratologica -mai smentita da alcuno- basata su una
corretta metodologia statistica, relativa ad ovini, bovini, equini ecc.,
nel territorio prossimo alla centrale ed in zone distanti 40 Km da
questa. E ciò i per i periodi 64/71, 77/78, 79/80. Analizzando i dati
delle nascite, i precedenti statistico-teratologici e le possibili altre
cause teratogene (inquinamenti di varie genere, consanguineità ecc.),
emergono nella ricerca, per i suindicati periodi, malformazioni
genetiche animali in % che vanno dall'800 al 3200%, attribuibili
all'esistenza della centrale del Garigliano.
Un altro fatto concreto è il rapporto Enea del 14.6.83.Non vogliamo
entrare nel merito delle polemiche sorte su tale rapporto. Vogliamo
solo citare dei dati, torneremo sull'argomento nel capitolo seguente.
Dallo studio Enea risulta che:
- il Co60 nel mare è di origine locale, si tratta cioè di un radionuclide
rilasciato dalla centrale e fissato nei sedimenti fluviali marini per una
superficie di circa 1700 Kmq in concentrazioni che vanno da -5 a +180
picocurie per Kg di sostanza secca;
- il totale di radiazioni in tale area è di 3,2 curie al settembre I960, si
tratta del 37% degli scarichi della centrale che è (Enel '77) di ca. 8,6
curie;
- l'andamento per il Csl37 è analogo a quello del Co60 con
concentrazioni indicate per 7 millicurie/Kmq (in testi ufficiali Enea,
reperiti in corso di varie conferenze, è indicato in 7 millicurie/Kmq ma
un dirigente dell'Enea, a seguito di contestazione di G. Casella del
Comitato di Salute Pubblica di Sessa A., ha detto che trattavasi di
'errore di stampa' e che la quantità esatta è 7 microcurie/ /Kmq; la
differenza è 1000 volte) (6) - cita poi l'Enea:

Mediterr. 3,3 mCI/Kmq 1979
B. Bonif. 3,7   “         1973
Latina 4        “         1980


Per il pesce fresco abbiamo Co60 MAX 100 pCi/Kg e CsI37 MAX 6,9
pCi/Kg - ci è stato difficile reperire le ricerche di Livingstone, Bruschi e
Noshkin per verificare se i valori sono espressi in milli o microcurie in
modo da non incorrere in ulteriori errori di stampa...; la
concentrazione di CsI37 nei sedimenti è relativa solo al 5 % del totale
delle ricadute radioattive sul Mediterraneo. L'Enea, quindi, sulla scorta
di questi dati afferma che non esiste alcun rischio dal punto di vista
sanitario dati i bassi livelli di radiazioni per i radionuclidi fissati nei
sedimenti marini (6).Il fatto però che ora ci interessa sottolineare è
che il territorio in esame è “contaminato”, nel senso che i dirigenti
Enea (6) intendono e cioè: immissione di sostanze 'estranee'
nell'ambiente. Il discorso, in tal senso, per l'Enea riguarda il Co60,
mentre per il CsI37 la sua presenza viene ritenuta naturale.
Indipendentemente dalle considerazioni che andremo a fare tutto ciò
delinea già un danno dal punto di vista ecologico. Bisogna tenere
presente, poi, la relazione dei periti chiamati dal Pretore di Sessa
Aurunca a seguito esposto dell'Avv. Tibaldi (C.S.P. ) relativamente
all'allagamento della centrale del novembre '80. Si ammette, in tale
relazione (5) che “...il tasso di inquinamento nucleare nella zona
circostante (la centrale) è dovuto agli scarichi liquidi ed aeriformi effet-
tuati dalla centrale.”
Per quanto riguarda, infine, gli effetti ed i danni relativi all'uomo, l'altra
ricerca che a nostro avviso è estremamente indicativa è quella
condotta dall'Avv. Tibaldi (5). La metodologia del Tibaldi si basa su due
concetti. Il primo è statistico e riguarda l'analisi- presso gli ospedali di
Formia e Minturno (LT) e presso i registri parrocchiali di S. Castrese
(CE), per i periodi precedente e successivo al 1964 (data di attivazione
della centrale)- dei fenomeni di mutagenesi, cancri, aborti, leucemie
ecc.. Il secondo tiene conto degli studi del celebre Prof. E. J.
Sternglass (Dipartimento di radiologia dell' Università di Pittsburgh
-USA) che ha rilevato come là dove esistono impianti nucleari si
registra “...un aumento del numero dei bambini nati morti per in-
sufficienza respiratoria e per leucemia, con uno spettacolare aumento
di tutti i tipi di malattie...un aumento ancora maggiore dì leucemie
ecc...”. Il Tibaldi quindi rileva come (5) “...un'attenta lettura dei dati in
ordine alle malformazioni genetiche per i periodi 71/80 e 81/83, porta
a concludere, al di là di ogni ragionevole dubbio, l'esistenza di un
preciso rapporto tra l'insorgenza dei predetti fenomeni (l'aumento
quasi del doppio di mutagenesi, cancri, aborti, leucemie ecc.) ed i
”rilasci” di radioattività provenienti dalla centrale del Garigliano (5).
Viene poi evidenziato il fatto che un incremento delle malattie suddette
si è avuto in corrispondenza delle esplosioni ai filtri del camino nel '72
e '76. Riguardo a tale camino, si osserva, che, essendo la sua portata
di 100 mc/ora, calcolando un fattore di utilizzo del 60%, abbiamo che
in 14 anni di attività si è avuto un versamento totale" di circe
3.500.000 mc di effluenti gassosi entrati negli ecosistemi
contaminandoli secondo l'Enea (2) (1O) nei limiti di legge. Noi
pensiamo che qualche dubbio sia giustificato dati gli incidenti di cui al
primo capitolo e date le ricerche del Petteruti (1) e del Tibaldi (5). Un
altro fatto estremamente significativo va considerato. Esiste un
rapporto della CEE-EUR, il n. 6088 EN FR dell'aprile 1978. In tale
documento si afferma che par il periodo 1972/76 la centrale del
Garigliano presenta “...un quadro allarmante...tale centrale è una delle
più inquinanti d'Europa, in particolare per quel che attiene alle
emissioni gassose di Krb5, Kr87, Kr88, Xe133, XeI35, Xe138, e liquide
Cr51, II31, Cs134.” Si tratta di un documento ufficiale internazionale.
3- Considerazioni




Abbiamo visto in precedenza fatti e conseguenze secondo le
informazioni disponibili, ora vediamo di fare qualche logica consi-
derazione.
1) L'indagine Petteruti (I) mostra, fino a prova contraria, come
radiazioni di origine industriale (centrale) abbiano realizzato un danno
“biologico” (3) in animali, alterando il DNA delle cellule e
trasmettendo, così, alla generazione successiva malformazioni e
mostruosità. (Tale danno, poi, se quanto riportato dal Petteruti e dal
Tibaldi -relativamente alle morìe di bufali dell'11/1980 e di 'pesci
cinghia' del 9.1.8I- avesse una documentazione esauriente tale da
rendere tali fatti imputabili alla centrale, si configurerebbe come
“fisiologico”; cioè il massimo (3) danno per organismi interi viventi.)
A tale proposito,anche indipendentemente dall’ indagine Tibaldi (5),
sorge, ragionevolmente un altro interrogativo: se quanto mostrato dal
Petteruti riguarda gli animali in generale, è pensabile che qualcosa
possa essere successo anche agli esseri umani viventi nella zona
oggetto dell'indagine. Nasce quindi la necessità di una indagine. Tale
esigenza è costantemente presente nella letteratura esistente sulla
centrale del Garigliano (1) (5) (3) (9)-Esistono ragionevoli presupposti
affinché il campo epidemiologico non resti ancora scoperto.
Sopra si è accennato a due forme di danno (3), biologico e fisiologico,
ma esistono altre fasi del danno da considerare: quella “fisica”
(ionizzazione) e quella “chimica” (la radiazione produce atomi di H,
radicali liberi, estremamente pericolosi). Che dire quando si legge che
“Il territorio, che ospita decine e decine di aziende agricole e
zootecniche è a tutt'oggi irrimediabilmente marcato, coinvolgendo in
questa drammatica situazione sanitaria ed ambientale decine di
migliaia di abitanti della piana del Garigliano e dell'area esterna, del
litorale. Il golfo fino al Circeo.” (3) L'Enea, invece dice che (2)
“...l'impatto ambientale dovuto agli scarichi di materiale radioattivo
durante il normale esercizio della centrale del Garigliano non ha avuto
un riscontro misurabile e che quindi non è di alcuna rilevanza agli
effetti della protezione sanitaria della popolazione e della protezione
ambientale In senso generale”. In queste contraddizioni si ha il diritto
di vedere chiaro. Certo che l'indagine Petteruti (I) e l'indagine Tibaldi
(5) gettano molti dubbi sulla sopracitata affermazione dell’'Enea. Resta
sempre l'esigenza di una seria indagine epidemiologica con rilevamenti
ed analisi periodiche e ciò per almeno due generazioni dato che le
tecniche di radioprotezione nei loro calcoli considerano (4) la “...dose
equivalente efficace definita come la dose al corpo intero (Icrp '77) che
darebbe luogo alla stessa possibilità di occorrenza di effetti stocastici
(somatici letali ed ereditari fino alla seconda generazione)”. E ciò
anche se gli effetti delle radiazioni vanno oltre la seconda generazione.
Oltretutto (3) “...Viene riconosciuto alla zona del Garigliano le
caratteristiche di zona cronicamente contaminata da sostanze
radioattive di diversa natura (Ca134, Csl37, Co60, Sr90) con effetti
imputabili a contaminazione da medie e piccole dosi. In altre parole, la
piana del Grigliano ed il litorale sono diventati un vero e proprio
laboratorio di studio e ricerca nel campo della radioprotezione: solo
che tutto ciò è accaduto completamente all'insaputa delle popolazioni
della zona.”

2) Per quanto riguarda la relazione Enea 14.6.83 (Papucci-Lavarello) ci
sembra utile mettere a punto alcuni concetti.

2.1) La relazione inizia dicendo che “dal maggio ‘80 al giugno '82 sono
state condotte quattro campagne radioecologiche nell'area antistante
la foce del Garigliano.. gli scopi principali dell'indagine sono stati
essenzialmente quelli di determinare i livelli di radioattività ambientale
negli ecosistemi fluviali, e marino come studio di base per la
discriminazione degli effetti dovuti all'esercizio dell'impianto rispetto
ella presenza di radionuclidi artificiali dovuti alle ricadute radioattive...”

2.2) In tutta la letteratura esistente (1) (3) (5) (6) viene rilevato che
esiste un telegramma a data 19.11.60 del Nuclit Roma (Ing. Sennie)
indirizzato al Sindaco di Castelforte in cui sì dice che “...a seguito delle
piogge si è innalzato il livello del fiume per cui l'acqua si è infiltrata in
un sotterraneo in cui vi sono contenitori di stoccaggio delle resine...tali
infiltrazioni avevano riportato la contaminazione radioattiva esistente
sulla superficie delle vasche... con l’abbassamento della falda l’acqua
infiltratasi est defluita verso falda et probabilmente in parte verso il
fiume trascinando con sé parte della contaminazione Enel...” Nel detto
telegramma è specificato, poi, che dai controlli effettuati il radionuclide
contaminante era il CsI37 che, pur se rifluito con l'acqua verso il
fiume, aveva un valore di attività inferiore ad un curie: ciò che è una
frazione del valore di sicurezza ammissibile per gli scarichi di centrale..
In tale circostanza il comportamento del Cnen e dell'Enel è stato
oggetto di critiche e di rilievi tecnici: in particolare il tipo di misurazioni
di radioattività è (9) stato fatto tardi e male. Solo dopo un mese il
Cnen misura la radioattività dell'acqua e non dei sedimenti e ricerca
solo emettitori gamma.

2.3) Nell'indagine Petteruti (I) risulta qualche riserva relativa ai valori
di radioattività da parte dell’Enel dato che come indicato nel rapporto
Enel ’75 nei depositi erano stoccati resine e fanghi per 167 mc per un
totale di 1756 curie (in altri lavori si parla di quantità maggiori per
quantità e radiazioni). Inoltre il Petteruti fa notare che l’attività dei
rifiuti solidi è data da Co60 e da prodotti di fissione nonché da tracce di
plutonio la cui presenza non è escludibile. Il Petteruti ritiene quindi
“riduttivo” parlare solo di Ce137. Del resto una indagine successiva-
ordinata dal Pretore di Sessa Aurunca (sentenza 7.12.1982) rileva
presenza anche di Ce134 e Co60.
2.4) Esiste anche una lettera del Prof. Cristaldi (Università di Roma,
Istituto di Anatomia Comparata) indirizzata alle varie autorità in cui si
mette in dubbio “la esclusione a-priori di contaminazione radioattiva,
almeno nei termini restrittivi indicati nei telegrammi del Cnen...” Si
rileva che ai fini del riscontro di “danni cronici, genetici ed
epidemiologici imputabili ai fenomeni di radio-contaminazione e di
riconcentrazioni derivanti da questo -o da altri già avvenuti rilasci- si
consiglia di istituire una commissione tecnica a caratterizzazione inter-
disciplinare di fiducia dei Comuni interessati la quale, di concerto con
le USL, i Laboratori di Igiene e Profilassi, i medici ed i veterinari
provinciali si occupi operativamente dello studio a breve ed a lunga
scadenza dell'inquinamento radioattivo diretto o indiretto del
territorio”.

2.5) Da quanto sopra esposto emerge un ragionevole interrogativo: è
possibile che nelle quattro campagne radioecologiche non vi sia traccia
dell'incidente del 19.10.80 che pure rientra nell'arco di tempo di
effettuazione delle campagne Enea? È possibile che di tale evento non
sia rimasta alcuna risultanza e che i radionuclidi si siano diluiti negli
ecosistemi senza lasciare tracce? Possibile che solo il Co60 venga
considerato di origine locale(2) e che per quanto riguarda il Ce137
“...non si riesca a discriminare tra l'apporto dovuto alla centrale e
quello dovuto al fall-out... e ciò quando lo stesso Enel ammette che si
tratta proprio del CeI37 che è uscito con l'acqua d'invaso. Ci sono poi
le perplessità sollevate dal Petteruti (1) e dal Tibaldi (5). Oppure le
campagne radioecologiche - o la campagna che ci interessa- sono
state fatte prima del novembre I960 (dalla data indicata su una cartina
si deduce che almeno una campagna è stata fatta prima dell'alluvione,
e le altre?). C'è da considerare comunque: a) il controllo effettuato
dall'Enel nel dicembre 1980 di cui al punto 2.2;
b)i rilievi fatti sugli ortaggi di cui parleremo al punto 5).

2.6) Relativamente al giallo del “millicurie” c'è da puntualizzare che un
documento che direttamente o indirettamente fa opinione, ed è di
interesse sociale, dovrebbe essere, come minimo, esente da errori di
stampa e non prestarsi a discussioni o dubbi come per la ricerca Enea.
In tale ricerca sarebbe stato pure utile indicare le date dei prelievi delle
carote dei sedimenti marini e fluviali.

2.7) La metodologia usata per le ricerche dell'Enea segue schemi di
lavoro eseguiti negli USA (multivariata statistical methods). Questa
metodologia non è esente da approssimazioni come ammesso dagli
stessi ricercatori: “...devono comunque essere tenuti presenti quelli
che sono i limiti di applicazione di tali metodi. Infatti l'analisi della
varianza e covarianza richiede che vengano soddisfatte delle
assunzioni di indipendenza e di normalità delle distribuzioni di errori, di
omogeneità della varianza di errore tra i gruppi e di additività degli
effetti. Le violazioni più serie sono comunque quelle che riguardano la
omogeneità della varianza di errore”.
3) Parliamo di fondo di radioattività nel territorio. Relativamente alla
radioattività naturale l'NRC della National Academy of Sciences USA
valuta in 100 millirem/anno ciò che riceve il nostro corpo. A ciò vanno
aggiunti altri 100 millirem/anno per motivi sanitari (raggi X ecc.} -tra
l'altro in Italia ci fanno meno radiografie che in altri paesi però vi è più
assorbimento di radiazioni. (Cortellessa) (6)- che riceve ancora il
nostro corpo. Gli scienziati dello stesso NAS, poi, calcolano che una
dose media di 170 millirem per tutta la popolazione può causare da
100 a 1800 casi di malattie genetiche gravi nel primo anno. Abbiamo
quindi il fatto che, sempre secondo il rapporto NRC ‘72, l'incremento
attuale di radioattività proveniente dagli impianti nucleari è di 1
millirem/anno (quando l'impianto invecchia si ha un aumento). Si
tratta, certo, di statistiche USA ma, pensiamo, si possa
ragionevolmente ipotizzare che:
-dato un fondo di 100 millirem,
-dati, diciamo, 70 millirem sanitari,
-ceduti 1 millirem x 14 anni attività centrale + 4 millirem per
obsolescenza centrale,
abbiamo un totale di 188 millirem per il 1978 assorbiti nella nostra
zona.
Si tratta di una ipotesi esemplificativa, di cui bisognerebbe
ragionevolmente studiare l'andamento e le eventuali conseguenze
epidemiologiche. C'è da considerare, infine, il fatto che è vero che gli
organismi viventi si sono adattati alla radioattività naturale (R.Calder -
Living vith atom- University of Chicago Press 1962) ma una cosa è un
periodo di un milione di anni, altra cosa un periodo di 14/20 anni. Non
si sa nulla del resto, sugli effetti relativi all'aumento, nel tempo, per
quanto piccolo, della radioattività di fondo (7).

4) Per quanto riguarda i sistemi di sicurezza, messi in opera dalla
General Electric/Honeyvvell, la loro funzionalità genera qualche dubbio
per il fatto che proprio i tecnici responsabili R. Hubbard e D.
Brindebaugh si sono dimessi dal loro incarico nel 1975 ed hanno
testimoniato davanti alle autorità USA responsabili del nucleare (1) (5)
relativamente alla non sicurezza delle centrali nucleari. In particolare
hanno denunciato l'irrisolto problema delle eccessive sollecitazioni
(nelle BWR) cui sono sottoposte le strutture interessate al flusso
dell'acqua intorno al reattore. Si può pensare anche che sotto vi sia
qualcosa d'altro visto che nella centrale del Garigliano cono stati fatti
esperimenti al limite delle condizioni di impiego per cui era stata
progettata. Lo stesso Cnen ammette (Relazione 14.11.77 Ing. Naschi)
che è stato sperimentato l'uso di barre al plutonio: un materiale fissile
molto più potente dell'uranio (5).

5) Un altro dato relativo alla contaminazione radioattiva dell'ambiente
è dato dall'episodio che cita il Tibaldi (5) riguardo i rilievi effettuati
dalla USL di Formia dopo l'alluvione della centrale dell'80. Risultò
presenza di radionuclidi negli ortaggi. Come cita il Tibaldi questo fatto
fu, dal Cnen, imputato a fall-out dovuto alla asplosione dell'atomici
cinese del I6.IO.80..!!

6) Per quanto riguarda la pubblicazione Enea, relativa alla campagna
di controllo del territorio nel periodo settembre-ottobre I980, essa
risulta essere stata fatta prima, quindi, dell'alluvione del’81, anche se
qualche controllo è stato fatto nell'81. Per quanto riguarda questa
ricerca essa indica come tutta la contaminazione sia nei limiti
consentiti dalla legge. Viene indicata l'entità degli scarichi liquidi e
gassosi ma solo per gli anni '78, '79. Cioè dal fermo della centrale in
poi. Si nota come per il 1978 ci sia la più alta frazione del limite di
scarico autorizzato per gli effluenti liquidi e gassosi

I978…………………sc……..liquid….6.73…………….sc……..gass…………17.71
1979………………..”……………..”……1,744…………..”…………”……………12.70
1980………………..”……………..l”…..1.30……………”…………”…………….2.80

Non capiamo perché non sono stati riportati anche i dati degli anni
precedenti cioè dal 1964 al 1978.
Si afferma, poi, che in centrale, dal '63 all'80 sono stati immagazzinati
circa 3267 mc di rifiuti solidi radioattivi per un totale di 26IIO curie. Si
tratta di prodotti di fissione. L'Enel dice che trattasi principalmente di
Co60, ma, come nota il Petteruti non è escluso che ci siano tracce di
elementi transuranici come il plutonio. Nella ricerca notiamo poi che il
punto di misura gamma più alto del territorio di studio è Sessa
Aurunca con 30,2 microcurie/ora: ciò viene imputato dai tecnici Enea
alla costituzione ecologica riguardante l'apparato vulcanico di
Roccamonfina. Si nota anche che (IO) “...per i limoni le tracce di Co60
ritrovate appaiono collegate alle forme di irrigazione praticate per tali
colture ...” e che “,..i valori ritrovati, comunque, risultano in accordo
con quelli delle reti nazionali.”. Nel latte, nelle carni è nell'erba non è
stata riscontrata alcuna contaminazione. Nei pesci della zona litoranea
si è riscontrato CsI37 nei limiti, Co60 anche nei limiti. Come negli studi
su Trino Vercellese, Latina e Caorso il Cnen/Enea non rileva
contaminazioni al di sopra delle limitazioni di legge.
4- Soglia, dosi e rischio




La legislazione italiana, riguardo la radioattività, delinea il concetto di
“concentrazione massima ammissibile”. Tale CMA è di 0,0001
microcurie/cm-cubo per i lavoratori professionalmente esposti, di
0,000003 microcurie/cm-cubo per la popolazione. Ciò però riguarda il
CeI37 ed il Co60. Per altri radionuclidi la CMA varia (DPR 13.2.64 -
DPR 14.7.70, 2.2.71 e 6.6.68), per alcuni si arriva ad una CMA di
0,0000000000001 microcurie/cm-cubo. Tenendo presente queste
cifre, per chi ha seguito questo lavoro, risulta che in talune circostanze
questi valori sono stati superati. Ciò, alla luce del buon senso (e della
matematica), indica l'esistenza di un “rischio”. Ma andiamo con ordine.
LA CMA potrebbe intendersi anche come 'soglia', un limite, cioè, oltre il
quale c'è pericolo. Organismi internazionali come l'ICRP (Pubbl. 26
Oxford ‘77 ecc.) invece di CMA parlano di “dose equivalente efficace”,
“detrimento da radiazione” e “fattore di rischio”. Quest'ultimo viene
considerato “per organi”, con un fattore di rischio formulabile in
relazione al peso e ad altri indicatori.
Dal 1925 in poi(6)fa notare il Prof. T. Fortuna (Università di Palermo-
catt. Fisica) la CMA è sta nel tempo dimezzata varie volte. Anche lo
stesso     ICRP     talvolta    modifica     restrittivamente     le   sue
“raccomandazioni”. Ciò porta coscientemente a considerare i valori-
limite assegnati con una certa relatività. Altra considerazione da fare,
poi, è che la legislazione collega il rischio al beneficio (nel caso della
nostra centrale non riusciamo a vedere benefici di alcun tipo) ma, nota
il Fortuna, si tratta di un rapporto eterogeneo, rapporto che sarebbe
giustificato in campo sanitario (assorb. raggi X- indagine eziologica) e
non certo quando sono interessate intere popolazioni rispetto al campo
elettronucleare.
Per tornare al concetto di dose, per ciò che riguarda gli effetti delle
radiazioni sull'organismo, abbiamo che ogni anno possiamo assorbire
max 5 rem. A tale proposito, però, lo studio eseguito da Evans,
Buckton, Hamilton e Carothers (Radiation induced cromosome
aberration in nuclear-dockward workers -Nature 1979) sui cantieri
navali inglesi (9) mostra in modo deciso che la “soglia” di 5 rem/anno
è troppo alta, perché si riscontrano danni nutagenici anche in
lavoratori esposti a dosi inferiori. Inoltre, viene osservato(Lombardi-
Boccia-Martorana-Degressi-Rizzoni)(9)che “il limite di 5 rem/anno
stabilito (ICRP)...non assicura affatto una protezione reale, esso si
basa su ipotesi e non su certezze suffragate da risultati sperimentali”.
Si fa notare poi che “...qualunque analisi basata sul vecchio
concetto di ‘dose’ è riduttiva, dovendosi tener conto della
dinamica dei radionuclidi, della loro concentrazione puntuale, dei
tempi e degli spazi istantanei, della velocità degli scambi cellulari
ed il diverso comportamento chimico dei vari elementi.” (3) Per
quanto riguarda, ancora, il concetto di ‘soglia’ si fa notare (3)
che “...non ha senso parlare di soglia dato che elementi ra-
dioattivi diversi si accumulano in maniera diversa nei diversi
organi degli esseri viventi”. Infine (6) (9) “...non si può definire
in modo assoluto una soglia al di sotto della quale non vi sia il
rischio: non si è mai stati in grado di scoprire cioè un livello di
radiazione che non produca danno biologico, quindi qualunque
esposizione alle radiazioni ha un qualche effetto”. Per quanto
riguarda, poi, il problema delle ‘piccole dosi’ Tiezzi /Laschi (3)
osservano che:
1) “non esiste soglia-valore limite- al di sotto della quale non si hanno
effetti per l'azione cancerogena delle radiazioni. Cioè solo il livello zero
di radiazioni è indiscutibilmente privo di conseguenze sanitarie (e
quindi, diciamo noi, molte “certezze” pubblicamente espresse sono
relative);
2) le piccole dosi frazionate nel tempo cono più pericolose della somma
di tali dosi somministrate in una volta sola. Ciò è dovuto all'accumulo
di danni riparati male, per l'intervento dei processi riparativi soggetti
ad errore da parte delle cellule che hanno ricevuto la piccola dose: il
danno provocato nelle strutture molecolari delle cellule irradiate non
viene riparato perché non viene ‘visto’ dal proprio sistema enzimatico
di controllo e di riparazione. Cosi, ad esempio, la rottura o l'alterazione
nella catena del DNA passa inosservata e viene trasmessa
all'organismo come ‘naturale’...le dosi più basse determinano danni
fisiologici e genetici quali il rallentamento della crescita, la diminuzione
della resistenza alle sostanze tossiche, la diminuzione delle difese
immunitarie, l’accorciamento della vita, l'insorgenza di tumori anche a
grande distanza cronologica dal periodo di contaminazione”. Dal punto
di vista metodologico Tiezzi e Laschi (3) scrivono che “.. quel poco che
esiste (e, diciamo noi, anche le indagini Enea non esauriscono certo il
problema) fa riferimento a studi condotti su campioni numericamente
ridotti e quindi poco significativi; oppure si tratta di effetti delle alte
dosi estrapolati alle piccole dosi: procedimento matematicamente
discutibile già di per sé...in particolare il Prof. Land del National Cancer
Institute of Bethesda –USA- ha dimostrato che “le stime di rischio
effettuate dipendono più dal modello matematico che non dai dati
stessi...”. Tutto ciò dimostra la pericolosità delle piccole dosi,
pericolosità da esaminare anche alla luce del fatto che esistono
individui il cui organismo non reagisce alle radiazioni, alte o basse che
siano, ciò che si traduce in mutazioni cellulari o in trasformazione di
cellule sane in cellule cancerogene (no repair capacity)- Tiezzi-Laschi
rif. 5° Congr. Intern. Radiop. Israele I960 (3).
Ulteriore distinzione, infine, cui è utile accennare è quella tra
“...'esposizioni accidentali” che riguardano per lo più esposizioni ad
alte dosi -e su cui esiste una ampia e documentata letteratura- ed
esposizioni non accidentali dovute a bassi dosaggi prolungati nel
tempo e con effetti cumulativi, ed è proprio questo tipo di esposizione
quella cui sono sottoposti i lavoratori e le popolazioni”- Lombardi ecc.
(9).
5- Smantellamento




La centrale, dunque, è ferma dal 1976. Il problema è il suo
smantellamento: una operazione per cui, al momento, c'è solo
qualche progetto e qualche inizio lavori. Per la centrale del Garigliano
sono circolate molte voci o illazioni, noi, per attenerci ai fatti, ci
riferiamo a quella,che a nostro avviso, è l'unica dichiarazione ufficiale
dell'Enel in nostro possesso: l'intervista -articolo del 28.6.82-
Panorama.
Va premesso che lo smantellamento di una centrale nucleare è una
questione che riveste anche un valore politico oltre che tecnico. Ciò
tenendo conto di due fatti; il primo è che alcuni Stati negano il
permesso per la costruzione di centrali nucleari se non sono già
previste, in partenza, in modo concreto e soddisfacente le procedure
per lo smantellamento; il secondo è che il tipo di procedura usata per
lo smantellamento indica la capacità o meno di gestire il nucleare in
questa fase (una soluzione drastica sarebbe chiaramente una
connotazione fallimentare). Quindi dobbiamo vedere cosa è capace di
fare l'Enel, considerando i costi ed i rischi di questo ulteriore
“esperimento”. L'Enel, per bocca di F. Galli, direttore del settore
produzione-trasmissione dichiara che è stato messo a punto un piano
in quattro fasi. Nella prima fase, per sicurezza, si estrarranno dal
reattore alcune barre di uranio. Poi si trasporterà tutto il materiale
fissile presso la centrale di stoccaggio di Saluggia. Per questi trasporti,
dice poi, A. Bertini, direttore del settore impianti nucleari, si
adopereranno contenitori di acciaio di 40 cm di spessore con resistenza
termica 800° e resistenza a caduta da 9 mt. I camion viaggeranno a
30 Km/h di velocità con scorta (è d'obbligo augurarsi che i contenitori
non gocciolino come è già accaduto). La terza fase, della durata di 3/4
anni, sarà relativa all'affogamento di resine e fanghi radioattivi in
blocchi di calcestruzzo che, mediante una nave speciale, verranno
affondati in fosse oceaniche. Lo smontaggio di tutte le strutture del
reattore, che sono altamente radioattive, sarà l'ultima fase. A questo
punto l'Enel fa un conto: si stima che la radioattività totale nella
centrale sia di 2000 rem/h. Dato che ogni operaio può assorbire 5
rem/h sarebbero necessari n° 400 operai: trop_ pi. Allora, dice l'Enel,
conviene chiudere la centrale per 15 anni in modo che la radioattività
scenda a 400 rem/h. Poi nell'anno 2000 le strutture radioattive
dovrebbero fare la stessa fine delle resine e dei fanghi.
Noi a tutt'oggi (1985) non sappiamo se tale programma è definitivo, se
è in corso di attuazione o se è tutto fermo. Certo è che, a detta di
esperti come G. Mattioli e M. Scalia , esso non è tecnicamente credibile
nelle fasi 3 e 4. Del resto una soluzione del genere è rifiutata dagli
esperti internazionali. E, d'altra parte, non si può pensare a soluzioni
tipo: annegamento della centrale in una colata di cemento rinnovabile
ogni (8) 50/100 anni. Costerebbe troppo e sarebbe una sconfitta
politica per l'Enel. Questo per quanto riguarda lo smantellamento dal
punto di vista progettuale. Esistono, però, altri problemi. Il primo
riguarda il destino e lo stoccaggio attuale in centrale dei residui di
media attività la cui quantità è considerevole. Non sappiamo se sia già
cominciata la fase 2 del programma di cui sopra, in ogni caso tali
residui costituiscono un grosso potenziale di pericolosità. È possibile
che si aspetti qualche nuovo procedimento per il loro smaltimento
(vetrificazione ecc.), in ogni caso c'è da tener presente che la
soluzione prospettata è quella che veniva usata negli USA per le
sezioni di sottomarini nucleari in disarmo prima che venisse sospesa a
seguito delle istanze dei movimenti di difesa dell'ambiente. Un secondo
problema, che si collega al primo, riguarda la sicurezza dell'impianto
dal punto di vista sismico e di protezione rispetto alle alluvioni. In una
lettera del Sindaco di Sessa A. al Comitato di Salute Pubblica (5) si
dice che sono state installate allo scopo pompe di deflusso. Per la
situazione sismica il problema non è stato posto all'Enel dagli Enti
Locali e quindi non abbiamo informazioni. Si sa, però, che(1) è stato
ammesso dal Cnen il fatto che la centrale non è munita di strutture
antisismiche. Non sappiamo, anche, se è stata avviata la realizzazione
di diaframmi nel terreno per evitare la fuoruscita di acqua contaminata
(9) (1). Un terzo ordine di problemi riguarda l'accessibilità della
centrale dal punto di vista della pubblica sicurezza. Tale problema,
visto che per alcuni decenni nella centrale vi sarà materiale
radioattivo, va considerato anche da tale punto di vista. Un
interrogativo in tale senso era stato posto da G. Cortellessa e ripreso
dal Tibaldi (5) nel senso che vi può essere pericolo per la popolazione
nel caso che la centrale fosse colpita da un proiettile di artiglieria o,
aggiungiamo noi, divenisse oggetto di un atto terroristico, o in caso di
furto (oggi il mercato nero dell'uranio è più lucroso di quello della
droga). Oggi ci si può avvicinare fino alla recinzione perimetrale e
sorvolare la centrale senza problemi.
Da tutto ciò si deduce che il fermo della centrale ha chiuso solo un
capitolo. La storia continua e, speriamo, senza problemi. Certo che il
futuro della centrale costituisce un interrogativo non da poco: un
futuro in cui ci siamo anche noi, per cui vorremmo saperne di più.
prima di esperimenti e/o incidenti. Intanto nell'81 la stampa -Paggio
(9)- ha riportato il fatto che, malgrado il fermo, il personale della
centrale è ancora al completo, si percepiscono gli straordinari e si
fanno corsi d'inglese...
6- Le istituzioni




Accettata a scatola chiusa nel '62, con uno prova, di funzionamento di
soli quattro giorni a pieno regime (5), la centrale del Garigliano è
importante dal punto di vista sociologico perché può essere
considerata come il simbolo di un progresso senza sviluppo. Essa è
stata definita, “...un fallimento completo ed un casO clamoroso dal
punto di vista tecnico ed economico” -Paggio (9)- ed anche il simbolo
di una contraddizione sociopolitica, come altre iniziative di quegli anni
famosi del “boom”. Come abbiamo mostrato altrove (Mondo-oggi '82,
L'illusione e la maschera '77, Critica Meridionale '74) tra la fine degli
anni cinquanta e la metà degli anni sessanta la nostra cultura politica
(locale e non) non aveva molto chiari i concetti di ‘vocazione del
territorio’ e di ‘linee di sviluppo’ (oltre a molti altri), per cui, senza un
piano articolato è sorta qualche industria di beni di consumo, c'è stata
una devastante speculazione edilizia, e fu costruita la centrale. In
realtà tutto fu determinato da due fatti: (8) a)la borghesia parassitarla
della, zona aurunca, in quel periodo particolarmente forte
politicamente, decolla verso grosse iniziative economiche (edilizia,
credito, industria ecc.);
b)qualunque iniziativa che comportasse occupazione era bene accolta
perché era una buona occasione per gestire proficuamente il
clientelismo. Questo per delineare un quadro della situazione in cui si
inserì l'installazione della centrale. Situazione comune ad altre località
del Mezzogiorno con la responsabilità, diretta o indiretta, di tutti i
partiti politici. Ma veniamo al nostro tema specifico.
1) L'Enea è il Comitato Nazionale per la Ricerca e lo Sviluppo del-
l'Energia Nucleare e delle Energie Alternative. In realtà è il vecchio
Cnen il cui massimo Dirigente viene nominato direttamente dal
ministro competente e ciò per dare autonomia all'Ente. Come è già
stato fatto notare (I) (5) (9) l'Enea è, quindi l'Ente che promuove lo
sviluppo del nucleare ed è, nello stesso tempo, il ‘controllore’ degli
impianti nucleari. Queste funzione antinomica è una tipica anomalia
Italiana. Negli USA (dove la produzione energetica è in mano ai privati
ma dove chi sbaglia paga e gli esperimenti vengono fatti con denaro
privato) la situazione è diversa ed i controlli sulla radioprotezione sono
incrociati e quando c'è contestazione c'è qualcuno che viene chiamato
a decidere (vedere il caso della Duquesne Light Co. -indagine
Sternglass (7)- De Groot). Il fattto è che la situazione Enea/Enel, a
nostro avviso, si configura come un aspetto della “tecnostruttura” di
cui parla J. K. Galbraith (Il nuovo stato industriale 1968). Si tratta,
cioè di una struttura di potere tecnico-economico pubblico e privato
fornita di innervazioni politiche. A questa tecnostruttura non sono
estranee forme di arroganza secondo un costume ed una certa
tradizione storica… Ciò viene evidenziato anche in studi di sociologia-
politica per cui “...queste forme di controllo esercitate dal capitale per
non perdere il proprio dominio sui decentramenti in corso, si
manifestano con maggiore evidenza in due aree particolari: quella
delle scienze ecologico-ambientali e quelle delle scienze dell'uomo. E
non a caso. Esse infatti sono derogate in maniera diretta e significativa
all'organizzazione della produzione, ai modi ed alle forme concrete
mediante le quali il lavoro si trasforma in oggetti e merci...” -G. De
Luca (9)-. È nell'interesse di tale tecno/struttura che -relativamente al
nucleare-      non    si   sollevi   il   minimo     problema     in  senso
radioprotezionistico. In merito a ciò esiste, ormai, una letteratura
esauriente (Tiezzi, Pazio, De Santis, Bettini ecc.).
2) Da tutto quanto esposto finora emerge, a nostro parere, la ne-
cessità di un confronto scientifico che metta a punto delle certezze e
delle garanzie. Si legge: “...Rimangono nel caso del Garigliano e per i
siti nucleari in generale, i problemi classici della radioprotezione e della
radioecologia, quelli cioè di risalire alla precisa correlazione causa-
effetto tra la riscontrata presenza di nuclidi radioattivi determinati
dalle reti ambientali (peraltro gestite da Enea e Cnen) ed effetti
degenerativi e dismetabolici che essi possono indurre negli organismi
stessi a bassi prolungati e diversificati dosaggi di radioattività in
prevalenza in una situazione ambientale sulla quale i fenomeni di
diffusione e riconcentrazione ed il sinergismo tra nuclidi radioattivi e
sostanze chimiche da una parte e dall'altra i meccanismi del riparo
biologico, giocano una combinazione di effetti ancora difficilmente
prevedibili; questo nonostante un -trentennio di sperimentazione
radioecologica effettuata a livello mondiale sia in laboratorio che, pur-
troppo, sul territorio. Una risposta probabilistica è data dall'approccio
epidemiologico: con il ritardo di chi si occupa dei problemi ad effetto
avvenuto, a livello istituzionale l'amaro compito viene rilanciato sulle
USL che dovranno reperire competenze che gli stessi medici non sono
sempre capaci di offrire.”- Cristaldi-Petteruti (9).
Intanto si nota come delle tre istituzioni locali-USL, Pretura e Comune
quello che in modo concreto ha fornito informazioni ed ha consentito a
tecnici ‘esterni’ di controllare certe situazioni è stata la Pretura che, su
esposto dell'Avv. Tibaldi, ha realizzato, di fatto, una indagine
conoscitiva che (5) ha messo in evidenza carenze tecniche che hanno
provocato commenti ironici...(5). Di fatto le USL non hanno né
strumenti né personale (come ammesso (5)dal Laboratorio di Igiene e
Profilassi di Latina il 12.10.79) per organizzare campagne
radioecologiche. Per quanto riguarda i Comuni si è del parere che le
procedure burocratiche, varie difficoltà e plausibili ragioni, inficiano la
possibilità di avviare processi di confronto scientifico sulla problematica
nucleare locale. Resta la Magistratura, paradossalmente.
3) Fondamentale, così, in rapporto a quanto constatato finora, il ruolo
di formazioni spontanee, di associazioni e/o gruppi che, superando la
scarsa, storica, coscienza civica e la disinformazione generalizzata si
pongono come forze di “scienza critica” o di contestazione rispetto a
decisioni o situazioni che vanno a scapito della popolazione stessa.
Queste formazioni sopperiscono a funzioni proprie dei partiti politici
(opposizione e non) proprio perché svincolate da obblighi e
convenienze di vario tipo. Cosi il Comitato di Salute pubblica di Sessa
A.-Castelforte ha svolto e svolge un ruolo importante nel senso che, ad
esempio, non ci sarebbe ora una problematica nucleare se tale
Comitato non avesse sollevato il problema, appunto. Facendo qualche
riserva sulla tecnica informativa (tipi di messaggi e veicolazione) è
innegabile non riconoscere al CSP il merito:
-di creare una letteratura di base sulla questione;
-di “stanare” con varie iniziative le Istituzioni;
-di richiamare, a livello nazionale, l'attenzione sul problema;
-di coinvolgere altri gruppi e/o organizzazioni che si occupano di
ecologia sul caso locale.
In particolare l'Avv. Tibaldi ha interessato, con propri esposti: la
Pretura di Sessa A., quella di Minturno, le procure della Repubblica di
Latina, Roma, Milano, il Sinodo mondiale delle Chiese, il Presidente
della Repubblica ed il ministro dell'Industria.
4) La mancanza di un centro di ‘medicina nucleare’, di presidi
ospedalieri particolarmente attrezzati: ciò costituisce una carenza
notevole in rapporto al fatto che nella centrale vi sono attività
connesse con la radioattività. La necessità di un 'adeguato' piano di
emergenza è anche una precisa necessità della legge (1) (DPR 13.2.64
n.185).
5) Esiste (1O) un centro di sorveglianza ambientale dell'Enel
funzionante dal I960. Esso ha 13 stazioni fisse, 6 punti di prelievo e 5
punti di controllo. Quindi è l'unico centro in possesso della
documentazione relativa agli eventuali livelli di contaminazione degli
ecosistemi. Nei suoi archivi, quindi dovrebbero trovarsi tabulati e
grafici relativi al periodo 1964/78. Indipendentemente dagli studi
dell'Enea, in caso di un confronto scientifico serio potrebbero risultare
interessanti i dati registrati da tale rete di sorveglianza ambientale .
6) Per quanto riguarda lo smantellamento, poi, questa sarebbe una
buona occasione per le istituzioni locali per chiedere quali siano i piani
dell'Enel a tale riguardo. Si tratta pur sempre di sperimentazioni con
rischio per la popolazione.
7) Ogni anno l'Enel presenta all’Euratom la relazione annuale relativa
alla radioprotezione. Per gli anni '76, '77, '73 (A. Farulla -Cytogenetic
research on circulating lymphocytes of subjects professionally exposed
to thè hazard of ionizing radiation in a nuclear power plant station)
sono stati presentati studi relativi anche ai lavoratori della centrale del
Garigliano. In questi lavori vengono esaminati 50 lavoratori di età
30/51 anni, con una esposizione di 7/12 anni e con dosi totali di 8/35
rem. Lo studio non rileva in questi lavoratori patologia di sorta. Alcuni
studiosi (Lombardi, Boccia, Martorana, Degressi, Rizzoni) (9) hanno
comparato la metodologia usata in questi lavori con quella delle
ricerche di Evans, Buchton, Harmilton e Carothers (1979). A tale
proposito sono state rilevate carenze nei lavori italiani. Carenze che
vanno dal numero dei rilevamenti al numero dei soggetti che è scarso.
Inoltre 1'analisi statistica dell'Enel è di prima approssimazione e non vi
sono misurazioni a “tempo zero” come controllo. In conclusione, per lo
studio Enel si nota che (9) “... alla mancanza di una analisi
approfondita si accompagna una diversione verso obiettivi scientifici
completamente inadatti a dare una risposta in relazione al rischio di
radiazione... la differenza qualitativa del lavoro inglese rispetto a quelli
italiani si ha soprattutto sul tipo di metodologia usata, il che ha
comportato un insufficiente livello di omogeneità metodologica...”
In conclusione non si vuole, con queste note, aprire nuove polemiche
ma indicare, come fatto già da altri -Cortellessa (6)-, la necessità di
uno sforzo generalizzato per arrivare a situazioni aggiornate e non
liquidatorie. In tal senso pensiamo che un contributo interessante
possa venire dallo studio di C. Melania Cavelli relativo ad una mappa
delle località critiche per effluenti liquidi e gassosi originati dalla
centrale (5).
Questo studio potrebbe essere la base per indagini mirate. In ogni
caso in questa problematica sembrano delinearsi, assurdamente, due
tipi di scienza: una critica ed una ufficiale. A tale proposito due
osservazioni:
-è sempre il cittadino che alle fine ci rimette;
-è possibile che i dubbi di oggi possano comportare domani
responsabilità di vario tipo.
NOTA BIBLIOGRAFICA




Riferimenti per lavori non indicati direttamente nel testo


(1)   A. Petteruti, La mostruosità nucleare, 1981


(2)    ENEA,    Un esempio di analisi ecologica del sistema marino
costiero da Capo Circeo all’isola d’Ischia, 1983


(3)   E. Tiezzi F. Laschi, Relazione Università di Siena, 23.7.84


(4)   Notiziario CNEN 2.2.82


(5)   C. M. Tibaldi, Lettere ai giudici sulla centrale atomica del
Garigliano, 1983


(6)   Contatto radio, Trasmissioni Luglio/agosto 1984


(7)   H.G. Taub, Keeping Healthy in a polluted world, 1977


(8)  P. Stanziale A. Calenzo E. Coppa, L'Illusione e la Maschera,
1977


(9)   Sapere, 7/1981


(10)      ENEA, Centrale nucleare del Garigliano- Campagna
radioecologica di controllo del territorio, settembre-ottobre 1980

© by P. Stanziale 1985

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  • 1. PASQUALE STANZIALE ZONA AURUNCA/SUD PONTINO: L’IMPRONTA NUCLEARE
  • 2. 1- Guasti, incidenti, esperimenti Dal 1964 esiste nella piana del fiume Garigliano, nel Comune di Sessa Aurunca,al confine tra Campania e Lazio, una centrale elettronucleare. Tale centrale nasce come impianto "sperimentale" e viene, su pressione della multinazionali General Electric, della Banca Internazionale per lo Sviluppo e la Ricostruzione e del Crnr (poi Cnen), accettata dal Governo italiano (S. Silvestri 1963), (5) dopo essere stata rifiutata dagli stessi americani perché trattavasi di un progetto basato su concetti tecnologici non ancora pienamente sperimentati. La gara d'appalto viene vinta, ovviamente, dalla General Electric, dei sistemi di controllo si occupa un'altra multinazionale, la Honeywell. Né le previsioni economiche, né quelle di utilizzo produttivo (una media del 58 % contro l'80 % previsto) sono state rispettate (9) (5) (I). E' pensabile, comunque, che, essendo sperimentale, l'attività della centrale -tipo ad acqua bollente BWR da 160 Mwe - sia servita principalmente come esperienza di approccio al nucleare da parte della "tecnostruttura". È altresì pensabile che una riflessione razionale le su tale esperienza, date le conseguenze che -come vedremo- ha prodotto, potesse creare una coscienza su cosa "non" si deve fare del nucleare, ma le notizie che circolano attualmente smentiscono chiaramente tale speranza. Si osserva anche che “...malgrado i costi degli impianti atomici si siano impennati in tutto il mondo a causa dell'imposizione di misure di sicurezza sempre più drastiche c'è ancora una potente lobby che non ha rinunciato al nucleare pel usi pacifici. Perché? Certamente per ammortizzare gli enormi investimenti finora compiuti. Ma forse anche perché senza di esso non potrebbe proliferare il mercato clandestino del plutonio, indubbiamente più importante di quello della droga (G. Borella- Panorama 17.9.84)” Ma torniamo alla 'nostra' centrale. Per quanto riguarda i guasti e/o incidenti che hanno caratterizzato la vita della centrale, non esiste una letteratura esauriente. Ma da alcune ricerche (5) (9) (3) e da resoconti di conferenze è possibile schematizzare quanto segue. -Marzo 1964- tranciatura dei bulloni di ancoraggio delle valvole di regolazione del circuito primario. -1967/1968- ritrovati residui di corrosione nella vasca del com- bustibile fissile.
  • 3. -1968- avarie ai tubi del circuito di preriscaldamento. -13.3.I972- esplosioni al sistema di smaltimento degli effluenti radioattivi gassosi con immissione di gas radioattivi nell'aria e conseguente contaminazione degli ecosistemi del territorio limitrofo alla centrale. -13-2.1976- stesso incidente con stesse conseguenze del 1972. -1972- avarie a carico degli scambiatori di calore del circuito primario. -1976- stesse avarie come nel 1972. -1977- riscontrate cricche su fasci di tubazioni. -Agosto 1978 rilevazione di cricche sulle tubazioni del generatore di vapore. Fermata dell'impianto. E inoltre nel settembre '65 vi furono avarie alle strutture interne ed alle rete di distribuzione dell'acqua borata. Abbiamo, infine, nel febbraio '70 il rischio del massimo incidente: la possibilità della fusione del nocciolo (“sindrome cinese”) a causa della mancata alimentazione elettrica degli impianti di raffreddamento mentre le barre di materiale fissile continuavano ad essere attive nel ciclo di funzionamento. Questi gli inconvenienti di cui si sa. Viene rilevato poi (1) che durante l'attività dell'impianto sono stati effettuati moltissimi interventi e modifiche all'impianto ed alle piscine. Altri parlano di “...qualcosa come 12 tra grossi guasti, anomalie di funzionamento ed incidenti tanto da costringere le autorità preposte a deciderne la chiusura definitiva nel 1978” (3). Certamente gli incidenti più gravi -per ciò che risulta dal materiale esistènte- sono quelli del '72/'76 che, tenendo presente la legge italiana (DPR 10.5.75 art. 1 (1) potrebbero appartenere alla categoria degli "incidenti nucleari". Questo per quanto riguarda guasti ed incidenti (di altri incidenti si parlerà poi), ora ci sembra utile mettere a fuoco alcuni concetti che, potranno essere scontati per alcuni, ma che sono funzionali allo schema che vuole seguire il presente lavoro. Va detto anzitutto che una centrale nucleare dal momento che esiste (ha funzionato o funziona) è “sempre" fonte di contaminazione radioattiva e ciò in base alla 2a legge-della termodinamica, della 4a legge della termodinamica (Georgescu-Roegen) e della 2a legge dell’ecologia (Commoner) come mostrano molte ricerche (3). Più specificatamente in “Low-level Radiation -New York 1973”- è detto testualmente che “...una centrale nucleare diffonde radiazioni nell'atmosfera. Inoltre, la quantità di gas radioattivi diffusi aumentano drammaticamente con l'invecchiamento degli impianti”. E ciò indipendentemente dagli incidenti e/o guasti. H. J. Taub (7) puntualizza che “... evidentemente vi è una perdita di gas radioattivi anche tra quelli che possono essere considerati i più sicuri tra gli impianti atomici”. Quindi, già in partenza, una centrale nucleare ha un prezzo di contaminazione ambientale. Il problema, allora, si fa, per i progettisti. di “ottimizzazione” (beneficio = ricavo - spese di
  • 4. radioprotezione). Una ricerca del 1981 mostra come (4) “...l'irradiazione della popolazione a seguito di immissione nell'ambiente di effluenti contaminanti può essere “limitata” (virgolettatura di chi scrive) con varie tecniche: agendo sulle modalità del rilascio: l'innalzamento del punto di rilascio degli effluenti gassosi può ridurre l'irradiazione degli individui nelle immediate vicinanze; ritardando l'immissione degli effluenti nell'ambiente; rimuovendo il materiale radioattivo degli effluenti mediante sistemi idonei....”. Tra i costi della protezione poi sono essere inclusi: “il costo della costruzione, il costo operativo, il carico di infortuni (anche mortali), che la costruzione del camino comporta insieme alle diverse attività connesse, la limitazione dell'uso di alcune zone del territorio circostante il punto del rilascio, con estensione funzionale dell'altezza del camino,il degrado ambientale che l'inserimento di un camino di notevole altezza comporta nel paesaggio ...” -L. Frittelli A. Taraburrano in (4). Tutto ciò è stato citato sia per ciò che si afferma sia per dare una idea delle ricerche teoriche di chi si occupa di protezione. Per concludere quindi questa linea di concetti ci pare evidentemente esaustivo quanto risulta dalla relazione Laschi (3) in cui si afferma che “... a qualsiasi livello del ciclo tecnologico dell'energia nucleare, l'attività produttiva e lavorativa è necessariamente causa di rilascio nell'ambiente di dosi complessivamente massicce di vari tipi di sostanze radioattive. Ciò è dovuto a due diversi ordini di fattori: da un lato le particolari caratteristiche chimico-fisiche delle sostanze radioattive; dall'altro le “immutabili” leggi economiche e di mercato che valgono anche nel campo dell'energia nucleare e ne regolano la produttività in funzione del profitto a scapito della protezione ambientale e sanitaria..”. Ora per terminare questo primo capitolo riteniamo sia giunto il momento di parlare di tre altri eventi di cui, almeno due, per le informazioni acquisite potrebbero rientrare nella categoria degli “incidenti nucleari” -Nel 1976, durante una delle “solite” piene del Garigliano, vi è infiltrazione di acqua nel deposito rifiuti solidi radioattivi. Questo fatto (5) non è stato mai ammesso dal Cnen ma emerge da una indagine fatta dai tecnici nominati dal Pretore di Sessa Aurunca a seguito dell'esposto fatto dall'Avv. M. A. Tibaldi per l'inondazione dell'anno I960. -16. 11. 1979 altra piena del Garigliano e presumibile (5) infiltrazione come nel '76. -14/I7.11.I980 piena del Garigliano con infiltrazione d'acqua nei locali di stoccaggio dei rifiuti solidi radioattivi. Nel riflusso si calcola (5), si siano liberati, secondo i tecnici della sicurezza dell'impianto, circa 300 mc di liquido radioattivo. Intanto gli stessi tecnici rilevano nell'acqua, ancora stagnante nei locali, livelli di radioattività per CsI37, CsI34 e Co60 superiori a quelli consentiti per i lavoratori professionalmente esposti. Ma su tale incidente torneremo successivamente. -17.11.1982 nel contenitore schermato spedito dalla Germania a mezzo ferrovia fino a Roma, poi a mezzo camion fino alla centrale del
  • 5. Garigliano -per prelevare barre di combustibile radioattivo- si riscontrava una perdita di liquido radioattivo di cui non sapremo mai la quantità. Nella centrale, per liquido gocciolante, viene rilevata una radioattività di 0,1 microcurie per mmc, cioè un valore (5) 600 volte superiore alla quantità ammissibile per i lavoratori professionalmente esposti. Si tratta di Co58, Co60, Mn54. Il Cnen, in un suo comunicato stampa dell'1. I2. 82 definisce “modesto" il livello di contaminazione”.
  • 6. 2- Conseguenze Nel capitolo precedente abbiamo esaminato guasti ed incidenti verificatisi nella centrale dal '64 ad oggi. Vediamo ora quali conseguenze hanno avuto i vari eventi negli eco-sistemi del territorio di 'influenza' della centrale. Si tratta, cioè, di delineare un possibile 'danno', in senso generale, nei li miti delle informazioni e della letteratura esistente. Quella di A. Petteruti (1) è, a tutt'oggi, una delle ricerche di oggettivo valore scientifico- comprovante un danno ambientale- attribuibile alla centrale elettronucleare del Garigliano. Lavori analoghi, in Italia, sono stati fatti solo da qualche ricercatore (Augusti per Seveso). Si tratta di una indagine teratologica -mai smentita da alcuno- basata su una corretta metodologia statistica, relativa ad ovini, bovini, equini ecc., nel territorio prossimo alla centrale ed in zone distanti 40 Km da questa. E ciò i per i periodi 64/71, 77/78, 79/80. Analizzando i dati delle nascite, i precedenti statistico-teratologici e le possibili altre cause teratogene (inquinamenti di varie genere, consanguineità ecc.), emergono nella ricerca, per i suindicati periodi, malformazioni genetiche animali in % che vanno dall'800 al 3200%, attribuibili all'esistenza della centrale del Garigliano. Un altro fatto concreto è il rapporto Enea del 14.6.83.Non vogliamo entrare nel merito delle polemiche sorte su tale rapporto. Vogliamo solo citare dei dati, torneremo sull'argomento nel capitolo seguente. Dallo studio Enea risulta che: - il Co60 nel mare è di origine locale, si tratta cioè di un radionuclide rilasciato dalla centrale e fissato nei sedimenti fluviali marini per una superficie di circa 1700 Kmq in concentrazioni che vanno da -5 a +180 picocurie per Kg di sostanza secca; - il totale di radiazioni in tale area è di 3,2 curie al settembre I960, si tratta del 37% degli scarichi della centrale che è (Enel '77) di ca. 8,6 curie; - l'andamento per il Csl37 è analogo a quello del Co60 con concentrazioni indicate per 7 millicurie/Kmq (in testi ufficiali Enea, reperiti in corso di varie conferenze, è indicato in 7 millicurie/Kmq ma un dirigente dell'Enea, a seguito di contestazione di G. Casella del Comitato di Salute Pubblica di Sessa A., ha detto che trattavasi di 'errore di stampa' e che la quantità esatta è 7 microcurie/ /Kmq; la differenza è 1000 volte) (6) - cita poi l'Enea: Mediterr. 3,3 mCI/Kmq 1979
  • 7. B. Bonif. 3,7 “ 1973 Latina 4 “ 1980 Per il pesce fresco abbiamo Co60 MAX 100 pCi/Kg e CsI37 MAX 6,9 pCi/Kg - ci è stato difficile reperire le ricerche di Livingstone, Bruschi e Noshkin per verificare se i valori sono espressi in milli o microcurie in modo da non incorrere in ulteriori errori di stampa...; la concentrazione di CsI37 nei sedimenti è relativa solo al 5 % del totale delle ricadute radioattive sul Mediterraneo. L'Enea, quindi, sulla scorta di questi dati afferma che non esiste alcun rischio dal punto di vista sanitario dati i bassi livelli di radiazioni per i radionuclidi fissati nei sedimenti marini (6).Il fatto però che ora ci interessa sottolineare è che il territorio in esame è “contaminato”, nel senso che i dirigenti Enea (6) intendono e cioè: immissione di sostanze 'estranee' nell'ambiente. Il discorso, in tal senso, per l'Enea riguarda il Co60, mentre per il CsI37 la sua presenza viene ritenuta naturale. Indipendentemente dalle considerazioni che andremo a fare tutto ciò delinea già un danno dal punto di vista ecologico. Bisogna tenere presente, poi, la relazione dei periti chiamati dal Pretore di Sessa Aurunca a seguito esposto dell'Avv. Tibaldi (C.S.P. ) relativamente all'allagamento della centrale del novembre '80. Si ammette, in tale relazione (5) che “...il tasso di inquinamento nucleare nella zona circostante (la centrale) è dovuto agli scarichi liquidi ed aeriformi effet- tuati dalla centrale.” Per quanto riguarda, infine, gli effetti ed i danni relativi all'uomo, l'altra ricerca che a nostro avviso è estremamente indicativa è quella condotta dall'Avv. Tibaldi (5). La metodologia del Tibaldi si basa su due concetti. Il primo è statistico e riguarda l'analisi- presso gli ospedali di Formia e Minturno (LT) e presso i registri parrocchiali di S. Castrese (CE), per i periodi precedente e successivo al 1964 (data di attivazione della centrale)- dei fenomeni di mutagenesi, cancri, aborti, leucemie ecc.. Il secondo tiene conto degli studi del celebre Prof. E. J. Sternglass (Dipartimento di radiologia dell' Università di Pittsburgh -USA) che ha rilevato come là dove esistono impianti nucleari si registra “...un aumento del numero dei bambini nati morti per in- sufficienza respiratoria e per leucemia, con uno spettacolare aumento di tutti i tipi di malattie...un aumento ancora maggiore dì leucemie ecc...”. Il Tibaldi quindi rileva come (5) “...un'attenta lettura dei dati in ordine alle malformazioni genetiche per i periodi 71/80 e 81/83, porta a concludere, al di là di ogni ragionevole dubbio, l'esistenza di un preciso rapporto tra l'insorgenza dei predetti fenomeni (l'aumento quasi del doppio di mutagenesi, cancri, aborti, leucemie ecc.) ed i ”rilasci” di radioattività provenienti dalla centrale del Garigliano (5). Viene poi evidenziato il fatto che un incremento delle malattie suddette si è avuto in corrispondenza delle esplosioni ai filtri del camino nel '72 e '76. Riguardo a tale camino, si osserva, che, essendo la sua portata di 100 mc/ora, calcolando un fattore di utilizzo del 60%, abbiamo che in 14 anni di attività si è avuto un versamento totale" di circe 3.500.000 mc di effluenti gassosi entrati negli ecosistemi contaminandoli secondo l'Enea (2) (1O) nei limiti di legge. Noi pensiamo che qualche dubbio sia giustificato dati gli incidenti di cui al primo capitolo e date le ricerche del Petteruti (1) e del Tibaldi (5). Un
  • 8. altro fatto estremamente significativo va considerato. Esiste un rapporto della CEE-EUR, il n. 6088 EN FR dell'aprile 1978. In tale documento si afferma che par il periodo 1972/76 la centrale del Garigliano presenta “...un quadro allarmante...tale centrale è una delle più inquinanti d'Europa, in particolare per quel che attiene alle emissioni gassose di Krb5, Kr87, Kr88, Xe133, XeI35, Xe138, e liquide Cr51, II31, Cs134.” Si tratta di un documento ufficiale internazionale.
  • 9. 3- Considerazioni Abbiamo visto in precedenza fatti e conseguenze secondo le informazioni disponibili, ora vediamo di fare qualche logica consi- derazione. 1) L'indagine Petteruti (I) mostra, fino a prova contraria, come radiazioni di origine industriale (centrale) abbiano realizzato un danno “biologico” (3) in animali, alterando il DNA delle cellule e trasmettendo, così, alla generazione successiva malformazioni e mostruosità. (Tale danno, poi, se quanto riportato dal Petteruti e dal Tibaldi -relativamente alle morìe di bufali dell'11/1980 e di 'pesci cinghia' del 9.1.8I- avesse una documentazione esauriente tale da rendere tali fatti imputabili alla centrale, si configurerebbe come “fisiologico”; cioè il massimo (3) danno per organismi interi viventi.) A tale proposito,anche indipendentemente dall’ indagine Tibaldi (5), sorge, ragionevolmente un altro interrogativo: se quanto mostrato dal Petteruti riguarda gli animali in generale, è pensabile che qualcosa possa essere successo anche agli esseri umani viventi nella zona oggetto dell'indagine. Nasce quindi la necessità di una indagine. Tale esigenza è costantemente presente nella letteratura esistente sulla centrale del Garigliano (1) (5) (3) (9)-Esistono ragionevoli presupposti affinché il campo epidemiologico non resti ancora scoperto. Sopra si è accennato a due forme di danno (3), biologico e fisiologico, ma esistono altre fasi del danno da considerare: quella “fisica” (ionizzazione) e quella “chimica” (la radiazione produce atomi di H, radicali liberi, estremamente pericolosi). Che dire quando si legge che “Il territorio, che ospita decine e decine di aziende agricole e zootecniche è a tutt'oggi irrimediabilmente marcato, coinvolgendo in questa drammatica situazione sanitaria ed ambientale decine di migliaia di abitanti della piana del Garigliano e dell'area esterna, del litorale. Il golfo fino al Circeo.” (3) L'Enea, invece dice che (2) “...l'impatto ambientale dovuto agli scarichi di materiale radioattivo durante il normale esercizio della centrale del Garigliano non ha avuto un riscontro misurabile e che quindi non è di alcuna rilevanza agli effetti della protezione sanitaria della popolazione e della protezione ambientale In senso generale”. In queste contraddizioni si ha il diritto di vedere chiaro. Certo che l'indagine Petteruti (I) e l'indagine Tibaldi (5) gettano molti dubbi sulla sopracitata affermazione dell’'Enea. Resta sempre l'esigenza di una seria indagine epidemiologica con rilevamenti ed analisi periodiche e ciò per almeno due generazioni dato che le tecniche di radioprotezione nei loro calcoli considerano (4) la “...dose
  • 10. equivalente efficace definita come la dose al corpo intero (Icrp '77) che darebbe luogo alla stessa possibilità di occorrenza di effetti stocastici (somatici letali ed ereditari fino alla seconda generazione)”. E ciò anche se gli effetti delle radiazioni vanno oltre la seconda generazione. Oltretutto (3) “...Viene riconosciuto alla zona del Garigliano le caratteristiche di zona cronicamente contaminata da sostanze radioattive di diversa natura (Ca134, Csl37, Co60, Sr90) con effetti imputabili a contaminazione da medie e piccole dosi. In altre parole, la piana del Grigliano ed il litorale sono diventati un vero e proprio laboratorio di studio e ricerca nel campo della radioprotezione: solo che tutto ciò è accaduto completamente all'insaputa delle popolazioni della zona.” 2) Per quanto riguarda la relazione Enea 14.6.83 (Papucci-Lavarello) ci sembra utile mettere a punto alcuni concetti. 2.1) La relazione inizia dicendo che “dal maggio ‘80 al giugno '82 sono state condotte quattro campagne radioecologiche nell'area antistante la foce del Garigliano.. gli scopi principali dell'indagine sono stati essenzialmente quelli di determinare i livelli di radioattività ambientale negli ecosistemi fluviali, e marino come studio di base per la discriminazione degli effetti dovuti all'esercizio dell'impianto rispetto ella presenza di radionuclidi artificiali dovuti alle ricadute radioattive...” 2.2) In tutta la letteratura esistente (1) (3) (5) (6) viene rilevato che esiste un telegramma a data 19.11.60 del Nuclit Roma (Ing. Sennie) indirizzato al Sindaco di Castelforte in cui sì dice che “...a seguito delle piogge si è innalzato il livello del fiume per cui l'acqua si è infiltrata in un sotterraneo in cui vi sono contenitori di stoccaggio delle resine...tali infiltrazioni avevano riportato la contaminazione radioattiva esistente sulla superficie delle vasche... con l’abbassamento della falda l’acqua infiltratasi est defluita verso falda et probabilmente in parte verso il fiume trascinando con sé parte della contaminazione Enel...” Nel detto telegramma è specificato, poi, che dai controlli effettuati il radionuclide contaminante era il CsI37 che, pur se rifluito con l'acqua verso il fiume, aveva un valore di attività inferiore ad un curie: ciò che è una frazione del valore di sicurezza ammissibile per gli scarichi di centrale.. In tale circostanza il comportamento del Cnen e dell'Enel è stato oggetto di critiche e di rilievi tecnici: in particolare il tipo di misurazioni di radioattività è (9) stato fatto tardi e male. Solo dopo un mese il Cnen misura la radioattività dell'acqua e non dei sedimenti e ricerca solo emettitori gamma. 2.3) Nell'indagine Petteruti (I) risulta qualche riserva relativa ai valori di radioattività da parte dell’Enel dato che come indicato nel rapporto Enel ’75 nei depositi erano stoccati resine e fanghi per 167 mc per un totale di 1756 curie (in altri lavori si parla di quantità maggiori per quantità e radiazioni). Inoltre il Petteruti fa notare che l’attività dei rifiuti solidi è data da Co60 e da prodotti di fissione nonché da tracce di plutonio la cui presenza non è escludibile. Il Petteruti ritiene quindi “riduttivo” parlare solo di Ce137. Del resto una indagine successiva- ordinata dal Pretore di Sessa Aurunca (sentenza 7.12.1982) rileva presenza anche di Ce134 e Co60.
  • 11. 2.4) Esiste anche una lettera del Prof. Cristaldi (Università di Roma, Istituto di Anatomia Comparata) indirizzata alle varie autorità in cui si mette in dubbio “la esclusione a-priori di contaminazione radioattiva, almeno nei termini restrittivi indicati nei telegrammi del Cnen...” Si rileva che ai fini del riscontro di “danni cronici, genetici ed epidemiologici imputabili ai fenomeni di radio-contaminazione e di riconcentrazioni derivanti da questo -o da altri già avvenuti rilasci- si consiglia di istituire una commissione tecnica a caratterizzazione inter- disciplinare di fiducia dei Comuni interessati la quale, di concerto con le USL, i Laboratori di Igiene e Profilassi, i medici ed i veterinari provinciali si occupi operativamente dello studio a breve ed a lunga scadenza dell'inquinamento radioattivo diretto o indiretto del territorio”. 2.5) Da quanto sopra esposto emerge un ragionevole interrogativo: è possibile che nelle quattro campagne radioecologiche non vi sia traccia dell'incidente del 19.10.80 che pure rientra nell'arco di tempo di effettuazione delle campagne Enea? È possibile che di tale evento non sia rimasta alcuna risultanza e che i radionuclidi si siano diluiti negli ecosistemi senza lasciare tracce? Possibile che solo il Co60 venga considerato di origine locale(2) e che per quanto riguarda il Ce137 “...non si riesca a discriminare tra l'apporto dovuto alla centrale e quello dovuto al fall-out... e ciò quando lo stesso Enel ammette che si tratta proprio del CeI37 che è uscito con l'acqua d'invaso. Ci sono poi le perplessità sollevate dal Petteruti (1) e dal Tibaldi (5). Oppure le campagne radioecologiche - o la campagna che ci interessa- sono state fatte prima del novembre I960 (dalla data indicata su una cartina si deduce che almeno una campagna è stata fatta prima dell'alluvione, e le altre?). C'è da considerare comunque: a) il controllo effettuato dall'Enel nel dicembre 1980 di cui al punto 2.2; b)i rilievi fatti sugli ortaggi di cui parleremo al punto 5). 2.6) Relativamente al giallo del “millicurie” c'è da puntualizzare che un documento che direttamente o indirettamente fa opinione, ed è di interesse sociale, dovrebbe essere, come minimo, esente da errori di stampa e non prestarsi a discussioni o dubbi come per la ricerca Enea. In tale ricerca sarebbe stato pure utile indicare le date dei prelievi delle carote dei sedimenti marini e fluviali. 2.7) La metodologia usata per le ricerche dell'Enea segue schemi di lavoro eseguiti negli USA (multivariata statistical methods). Questa metodologia non è esente da approssimazioni come ammesso dagli stessi ricercatori: “...devono comunque essere tenuti presenti quelli che sono i limiti di applicazione di tali metodi. Infatti l'analisi della varianza e covarianza richiede che vengano soddisfatte delle assunzioni di indipendenza e di normalità delle distribuzioni di errori, di omogeneità della varianza di errore tra i gruppi e di additività degli effetti. Le violazioni più serie sono comunque quelle che riguardano la omogeneità della varianza di errore”.
  • 12. 3) Parliamo di fondo di radioattività nel territorio. Relativamente alla radioattività naturale l'NRC della National Academy of Sciences USA valuta in 100 millirem/anno ciò che riceve il nostro corpo. A ciò vanno aggiunti altri 100 millirem/anno per motivi sanitari (raggi X ecc.} -tra l'altro in Italia ci fanno meno radiografie che in altri paesi però vi è più assorbimento di radiazioni. (Cortellessa) (6)- che riceve ancora il nostro corpo. Gli scienziati dello stesso NAS, poi, calcolano che una dose media di 170 millirem per tutta la popolazione può causare da 100 a 1800 casi di malattie genetiche gravi nel primo anno. Abbiamo quindi il fatto che, sempre secondo il rapporto NRC ‘72, l'incremento attuale di radioattività proveniente dagli impianti nucleari è di 1 millirem/anno (quando l'impianto invecchia si ha un aumento). Si tratta, certo, di statistiche USA ma, pensiamo, si possa ragionevolmente ipotizzare che: -dato un fondo di 100 millirem, -dati, diciamo, 70 millirem sanitari, -ceduti 1 millirem x 14 anni attività centrale + 4 millirem per obsolescenza centrale, abbiamo un totale di 188 millirem per il 1978 assorbiti nella nostra zona. Si tratta di una ipotesi esemplificativa, di cui bisognerebbe ragionevolmente studiare l'andamento e le eventuali conseguenze epidemiologiche. C'è da considerare, infine, il fatto che è vero che gli organismi viventi si sono adattati alla radioattività naturale (R.Calder - Living vith atom- University of Chicago Press 1962) ma una cosa è un periodo di un milione di anni, altra cosa un periodo di 14/20 anni. Non si sa nulla del resto, sugli effetti relativi all'aumento, nel tempo, per quanto piccolo, della radioattività di fondo (7). 4) Per quanto riguarda i sistemi di sicurezza, messi in opera dalla General Electric/Honeyvvell, la loro funzionalità genera qualche dubbio per il fatto che proprio i tecnici responsabili R. Hubbard e D. Brindebaugh si sono dimessi dal loro incarico nel 1975 ed hanno testimoniato davanti alle autorità USA responsabili del nucleare (1) (5) relativamente alla non sicurezza delle centrali nucleari. In particolare hanno denunciato l'irrisolto problema delle eccessive sollecitazioni (nelle BWR) cui sono sottoposte le strutture interessate al flusso dell'acqua intorno al reattore. Si può pensare anche che sotto vi sia qualcosa d'altro visto che nella centrale del Garigliano cono stati fatti esperimenti al limite delle condizioni di impiego per cui era stata progettata. Lo stesso Cnen ammette (Relazione 14.11.77 Ing. Naschi) che è stato sperimentato l'uso di barre al plutonio: un materiale fissile molto più potente dell'uranio (5). 5) Un altro dato relativo alla contaminazione radioattiva dell'ambiente è dato dall'episodio che cita il Tibaldi (5) riguardo i rilievi effettuati dalla USL di Formia dopo l'alluvione della centrale dell'80. Risultò presenza di radionuclidi negli ortaggi. Come cita il Tibaldi questo fatto fu, dal Cnen, imputato a fall-out dovuto alla asplosione dell'atomici cinese del I6.IO.80..!! 6) Per quanto riguarda la pubblicazione Enea, relativa alla campagna di controllo del territorio nel periodo settembre-ottobre I980, essa
  • 13. risulta essere stata fatta prima, quindi, dell'alluvione del’81, anche se qualche controllo è stato fatto nell'81. Per quanto riguarda questa ricerca essa indica come tutta la contaminazione sia nei limiti consentiti dalla legge. Viene indicata l'entità degli scarichi liquidi e gassosi ma solo per gli anni '78, '79. Cioè dal fermo della centrale in poi. Si nota come per il 1978 ci sia la più alta frazione del limite di scarico autorizzato per gli effluenti liquidi e gassosi I978…………………sc……..liquid….6.73…………….sc……..gass…………17.71 1979………………..”……………..”……1,744…………..”…………”……………12.70 1980………………..”……………..l”…..1.30……………”…………”…………….2.80 Non capiamo perché non sono stati riportati anche i dati degli anni precedenti cioè dal 1964 al 1978. Si afferma, poi, che in centrale, dal '63 all'80 sono stati immagazzinati circa 3267 mc di rifiuti solidi radioattivi per un totale di 26IIO curie. Si tratta di prodotti di fissione. L'Enel dice che trattasi principalmente di Co60, ma, come nota il Petteruti non è escluso che ci siano tracce di elementi transuranici come il plutonio. Nella ricerca notiamo poi che il punto di misura gamma più alto del territorio di studio è Sessa Aurunca con 30,2 microcurie/ora: ciò viene imputato dai tecnici Enea alla costituzione ecologica riguardante l'apparato vulcanico di Roccamonfina. Si nota anche che (IO) “...per i limoni le tracce di Co60 ritrovate appaiono collegate alle forme di irrigazione praticate per tali colture ...” e che “,..i valori ritrovati, comunque, risultano in accordo con quelli delle reti nazionali.”. Nel latte, nelle carni è nell'erba non è stata riscontrata alcuna contaminazione. Nei pesci della zona litoranea si è riscontrato CsI37 nei limiti, Co60 anche nei limiti. Come negli studi su Trino Vercellese, Latina e Caorso il Cnen/Enea non rileva contaminazioni al di sopra delle limitazioni di legge.
  • 14. 4- Soglia, dosi e rischio La legislazione italiana, riguardo la radioattività, delinea il concetto di “concentrazione massima ammissibile”. Tale CMA è di 0,0001 microcurie/cm-cubo per i lavoratori professionalmente esposti, di 0,000003 microcurie/cm-cubo per la popolazione. Ciò però riguarda il CeI37 ed il Co60. Per altri radionuclidi la CMA varia (DPR 13.2.64 - DPR 14.7.70, 2.2.71 e 6.6.68), per alcuni si arriva ad una CMA di 0,0000000000001 microcurie/cm-cubo. Tenendo presente queste cifre, per chi ha seguito questo lavoro, risulta che in talune circostanze questi valori sono stati superati. Ciò, alla luce del buon senso (e della matematica), indica l'esistenza di un “rischio”. Ma andiamo con ordine. LA CMA potrebbe intendersi anche come 'soglia', un limite, cioè, oltre il quale c'è pericolo. Organismi internazionali come l'ICRP (Pubbl. 26 Oxford ‘77 ecc.) invece di CMA parlano di “dose equivalente efficace”, “detrimento da radiazione” e “fattore di rischio”. Quest'ultimo viene considerato “per organi”, con un fattore di rischio formulabile in relazione al peso e ad altri indicatori. Dal 1925 in poi(6)fa notare il Prof. T. Fortuna (Università di Palermo- catt. Fisica) la CMA è sta nel tempo dimezzata varie volte. Anche lo stesso ICRP talvolta modifica restrittivamente le sue “raccomandazioni”. Ciò porta coscientemente a considerare i valori- limite assegnati con una certa relatività. Altra considerazione da fare, poi, è che la legislazione collega il rischio al beneficio (nel caso della nostra centrale non riusciamo a vedere benefici di alcun tipo) ma, nota il Fortuna, si tratta di un rapporto eterogeneo, rapporto che sarebbe giustificato in campo sanitario (assorb. raggi X- indagine eziologica) e non certo quando sono interessate intere popolazioni rispetto al campo elettronucleare. Per tornare al concetto di dose, per ciò che riguarda gli effetti delle radiazioni sull'organismo, abbiamo che ogni anno possiamo assorbire max 5 rem. A tale proposito, però, lo studio eseguito da Evans, Buckton, Hamilton e Carothers (Radiation induced cromosome aberration in nuclear-dockward workers -Nature 1979) sui cantieri navali inglesi (9) mostra in modo deciso che la “soglia” di 5 rem/anno è troppo alta, perché si riscontrano danni nutagenici anche in lavoratori esposti a dosi inferiori. Inoltre, viene osservato(Lombardi- Boccia-Martorana-Degressi-Rizzoni)(9)che “il limite di 5 rem/anno stabilito (ICRP)...non assicura affatto una protezione reale, esso si basa su ipotesi e non su certezze suffragate da risultati sperimentali”.
  • 15. Si fa notare poi che “...qualunque analisi basata sul vecchio concetto di ‘dose’ è riduttiva, dovendosi tener conto della dinamica dei radionuclidi, della loro concentrazione puntuale, dei tempi e degli spazi istantanei, della velocità degli scambi cellulari ed il diverso comportamento chimico dei vari elementi.” (3) Per quanto riguarda, ancora, il concetto di ‘soglia’ si fa notare (3) che “...non ha senso parlare di soglia dato che elementi ra- dioattivi diversi si accumulano in maniera diversa nei diversi organi degli esseri viventi”. Infine (6) (9) “...non si può definire in modo assoluto una soglia al di sotto della quale non vi sia il rischio: non si è mai stati in grado di scoprire cioè un livello di radiazione che non produca danno biologico, quindi qualunque esposizione alle radiazioni ha un qualche effetto”. Per quanto riguarda, poi, il problema delle ‘piccole dosi’ Tiezzi /Laschi (3) osservano che: 1) “non esiste soglia-valore limite- al di sotto della quale non si hanno effetti per l'azione cancerogena delle radiazioni. Cioè solo il livello zero di radiazioni è indiscutibilmente privo di conseguenze sanitarie (e quindi, diciamo noi, molte “certezze” pubblicamente espresse sono relative); 2) le piccole dosi frazionate nel tempo cono più pericolose della somma di tali dosi somministrate in una volta sola. Ciò è dovuto all'accumulo di danni riparati male, per l'intervento dei processi riparativi soggetti ad errore da parte delle cellule che hanno ricevuto la piccola dose: il danno provocato nelle strutture molecolari delle cellule irradiate non viene riparato perché non viene ‘visto’ dal proprio sistema enzimatico di controllo e di riparazione. Cosi, ad esempio, la rottura o l'alterazione nella catena del DNA passa inosservata e viene trasmessa all'organismo come ‘naturale’...le dosi più basse determinano danni fisiologici e genetici quali il rallentamento della crescita, la diminuzione della resistenza alle sostanze tossiche, la diminuzione delle difese immunitarie, l’accorciamento della vita, l'insorgenza di tumori anche a grande distanza cronologica dal periodo di contaminazione”. Dal punto di vista metodologico Tiezzi e Laschi (3) scrivono che “.. quel poco che esiste (e, diciamo noi, anche le indagini Enea non esauriscono certo il problema) fa riferimento a studi condotti su campioni numericamente ridotti e quindi poco significativi; oppure si tratta di effetti delle alte dosi estrapolati alle piccole dosi: procedimento matematicamente discutibile già di per sé...in particolare il Prof. Land del National Cancer Institute of Bethesda –USA- ha dimostrato che “le stime di rischio effettuate dipendono più dal modello matematico che non dai dati stessi...”. Tutto ciò dimostra la pericolosità delle piccole dosi, pericolosità da esaminare anche alla luce del fatto che esistono individui il cui organismo non reagisce alle radiazioni, alte o basse che siano, ciò che si traduce in mutazioni cellulari o in trasformazione di cellule sane in cellule cancerogene (no repair capacity)- Tiezzi-Laschi rif. 5° Congr. Intern. Radiop. Israele I960 (3). Ulteriore distinzione, infine, cui è utile accennare è quella tra “...'esposizioni accidentali” che riguardano per lo più esposizioni ad alte dosi -e su cui esiste una ampia e documentata letteratura- ed esposizioni non accidentali dovute a bassi dosaggi prolungati nel tempo e con effetti cumulativi, ed è proprio questo tipo di esposizione
  • 16. quella cui sono sottoposti i lavoratori e le popolazioni”- Lombardi ecc. (9).
  • 17. 5- Smantellamento La centrale, dunque, è ferma dal 1976. Il problema è il suo smantellamento: una operazione per cui, al momento, c'è solo qualche progetto e qualche inizio lavori. Per la centrale del Garigliano sono circolate molte voci o illazioni, noi, per attenerci ai fatti, ci riferiamo a quella,che a nostro avviso, è l'unica dichiarazione ufficiale dell'Enel in nostro possesso: l'intervista -articolo del 28.6.82- Panorama. Va premesso che lo smantellamento di una centrale nucleare è una questione che riveste anche un valore politico oltre che tecnico. Ciò tenendo conto di due fatti; il primo è che alcuni Stati negano il permesso per la costruzione di centrali nucleari se non sono già previste, in partenza, in modo concreto e soddisfacente le procedure per lo smantellamento; il secondo è che il tipo di procedura usata per lo smantellamento indica la capacità o meno di gestire il nucleare in questa fase (una soluzione drastica sarebbe chiaramente una connotazione fallimentare). Quindi dobbiamo vedere cosa è capace di fare l'Enel, considerando i costi ed i rischi di questo ulteriore “esperimento”. L'Enel, per bocca di F. Galli, direttore del settore produzione-trasmissione dichiara che è stato messo a punto un piano in quattro fasi. Nella prima fase, per sicurezza, si estrarranno dal reattore alcune barre di uranio. Poi si trasporterà tutto il materiale fissile presso la centrale di stoccaggio di Saluggia. Per questi trasporti, dice poi, A. Bertini, direttore del settore impianti nucleari, si adopereranno contenitori di acciaio di 40 cm di spessore con resistenza termica 800° e resistenza a caduta da 9 mt. I camion viaggeranno a 30 Km/h di velocità con scorta (è d'obbligo augurarsi che i contenitori non gocciolino come è già accaduto). La terza fase, della durata di 3/4 anni, sarà relativa all'affogamento di resine e fanghi radioattivi in blocchi di calcestruzzo che, mediante una nave speciale, verranno affondati in fosse oceaniche. Lo smontaggio di tutte le strutture del reattore, che sono altamente radioattive, sarà l'ultima fase. A questo punto l'Enel fa un conto: si stima che la radioattività totale nella centrale sia di 2000 rem/h. Dato che ogni operaio può assorbire 5 rem/h sarebbero necessari n° 400 operai: trop_ pi. Allora, dice l'Enel, conviene chiudere la centrale per 15 anni in modo che la radioattività scenda a 400 rem/h. Poi nell'anno 2000 le strutture radioattive dovrebbero fare la stessa fine delle resine e dei fanghi. Noi a tutt'oggi (1985) non sappiamo se tale programma è definitivo, se è in corso di attuazione o se è tutto fermo. Certo è che, a detta di esperti come G. Mattioli e M. Scalia , esso non è tecnicamente credibile
  • 18. nelle fasi 3 e 4. Del resto una soluzione del genere è rifiutata dagli esperti internazionali. E, d'altra parte, non si può pensare a soluzioni tipo: annegamento della centrale in una colata di cemento rinnovabile ogni (8) 50/100 anni. Costerebbe troppo e sarebbe una sconfitta politica per l'Enel. Questo per quanto riguarda lo smantellamento dal punto di vista progettuale. Esistono, però, altri problemi. Il primo riguarda il destino e lo stoccaggio attuale in centrale dei residui di media attività la cui quantità è considerevole. Non sappiamo se sia già cominciata la fase 2 del programma di cui sopra, in ogni caso tali residui costituiscono un grosso potenziale di pericolosità. È possibile che si aspetti qualche nuovo procedimento per il loro smaltimento (vetrificazione ecc.), in ogni caso c'è da tener presente che la soluzione prospettata è quella che veniva usata negli USA per le sezioni di sottomarini nucleari in disarmo prima che venisse sospesa a seguito delle istanze dei movimenti di difesa dell'ambiente. Un secondo problema, che si collega al primo, riguarda la sicurezza dell'impianto dal punto di vista sismico e di protezione rispetto alle alluvioni. In una lettera del Sindaco di Sessa A. al Comitato di Salute Pubblica (5) si dice che sono state installate allo scopo pompe di deflusso. Per la situazione sismica il problema non è stato posto all'Enel dagli Enti Locali e quindi non abbiamo informazioni. Si sa, però, che(1) è stato ammesso dal Cnen il fatto che la centrale non è munita di strutture antisismiche. Non sappiamo, anche, se è stata avviata la realizzazione di diaframmi nel terreno per evitare la fuoruscita di acqua contaminata (9) (1). Un terzo ordine di problemi riguarda l'accessibilità della centrale dal punto di vista della pubblica sicurezza. Tale problema, visto che per alcuni decenni nella centrale vi sarà materiale radioattivo, va considerato anche da tale punto di vista. Un interrogativo in tale senso era stato posto da G. Cortellessa e ripreso dal Tibaldi (5) nel senso che vi può essere pericolo per la popolazione nel caso che la centrale fosse colpita da un proiettile di artiglieria o, aggiungiamo noi, divenisse oggetto di un atto terroristico, o in caso di furto (oggi il mercato nero dell'uranio è più lucroso di quello della droga). Oggi ci si può avvicinare fino alla recinzione perimetrale e sorvolare la centrale senza problemi. Da tutto ciò si deduce che il fermo della centrale ha chiuso solo un capitolo. La storia continua e, speriamo, senza problemi. Certo che il futuro della centrale costituisce un interrogativo non da poco: un futuro in cui ci siamo anche noi, per cui vorremmo saperne di più. prima di esperimenti e/o incidenti. Intanto nell'81 la stampa -Paggio (9)- ha riportato il fatto che, malgrado il fermo, il personale della centrale è ancora al completo, si percepiscono gli straordinari e si fanno corsi d'inglese...
  • 19. 6- Le istituzioni Accettata a scatola chiusa nel '62, con uno prova, di funzionamento di soli quattro giorni a pieno regime (5), la centrale del Garigliano è importante dal punto di vista sociologico perché può essere considerata come il simbolo di un progresso senza sviluppo. Essa è stata definita, “...un fallimento completo ed un casO clamoroso dal punto di vista tecnico ed economico” -Paggio (9)- ed anche il simbolo di una contraddizione sociopolitica, come altre iniziative di quegli anni famosi del “boom”. Come abbiamo mostrato altrove (Mondo-oggi '82, L'illusione e la maschera '77, Critica Meridionale '74) tra la fine degli anni cinquanta e la metà degli anni sessanta la nostra cultura politica (locale e non) non aveva molto chiari i concetti di ‘vocazione del territorio’ e di ‘linee di sviluppo’ (oltre a molti altri), per cui, senza un piano articolato è sorta qualche industria di beni di consumo, c'è stata una devastante speculazione edilizia, e fu costruita la centrale. In realtà tutto fu determinato da due fatti: (8) a)la borghesia parassitarla della, zona aurunca, in quel periodo particolarmente forte politicamente, decolla verso grosse iniziative economiche (edilizia, credito, industria ecc.); b)qualunque iniziativa che comportasse occupazione era bene accolta perché era una buona occasione per gestire proficuamente il clientelismo. Questo per delineare un quadro della situazione in cui si inserì l'installazione della centrale. Situazione comune ad altre località del Mezzogiorno con la responsabilità, diretta o indiretta, di tutti i partiti politici. Ma veniamo al nostro tema specifico. 1) L'Enea è il Comitato Nazionale per la Ricerca e lo Sviluppo del- l'Energia Nucleare e delle Energie Alternative. In realtà è il vecchio Cnen il cui massimo Dirigente viene nominato direttamente dal ministro competente e ciò per dare autonomia all'Ente. Come è già stato fatto notare (I) (5) (9) l'Enea è, quindi l'Ente che promuove lo sviluppo del nucleare ed è, nello stesso tempo, il ‘controllore’ degli impianti nucleari. Queste funzione antinomica è una tipica anomalia Italiana. Negli USA (dove la produzione energetica è in mano ai privati ma dove chi sbaglia paga e gli esperimenti vengono fatti con denaro privato) la situazione è diversa ed i controlli sulla radioprotezione sono incrociati e quando c'è contestazione c'è qualcuno che viene chiamato a decidere (vedere il caso della Duquesne Light Co. -indagine Sternglass (7)- De Groot). Il fattto è che la situazione Enea/Enel, a nostro avviso, si configura come un aspetto della “tecnostruttura” di cui parla J. K. Galbraith (Il nuovo stato industriale 1968). Si tratta,
  • 20. cioè di una struttura di potere tecnico-economico pubblico e privato fornita di innervazioni politiche. A questa tecnostruttura non sono estranee forme di arroganza secondo un costume ed una certa tradizione storica… Ciò viene evidenziato anche in studi di sociologia- politica per cui “...queste forme di controllo esercitate dal capitale per non perdere il proprio dominio sui decentramenti in corso, si manifestano con maggiore evidenza in due aree particolari: quella delle scienze ecologico-ambientali e quelle delle scienze dell'uomo. E non a caso. Esse infatti sono derogate in maniera diretta e significativa all'organizzazione della produzione, ai modi ed alle forme concrete mediante le quali il lavoro si trasforma in oggetti e merci...” -G. De Luca (9)-. È nell'interesse di tale tecno/struttura che -relativamente al nucleare- non si sollevi il minimo problema in senso radioprotezionistico. In merito a ciò esiste, ormai, una letteratura esauriente (Tiezzi, Pazio, De Santis, Bettini ecc.). 2) Da tutto quanto esposto finora emerge, a nostro parere, la ne- cessità di un confronto scientifico che metta a punto delle certezze e delle garanzie. Si legge: “...Rimangono nel caso del Garigliano e per i siti nucleari in generale, i problemi classici della radioprotezione e della radioecologia, quelli cioè di risalire alla precisa correlazione causa- effetto tra la riscontrata presenza di nuclidi radioattivi determinati dalle reti ambientali (peraltro gestite da Enea e Cnen) ed effetti degenerativi e dismetabolici che essi possono indurre negli organismi stessi a bassi prolungati e diversificati dosaggi di radioattività in prevalenza in una situazione ambientale sulla quale i fenomeni di diffusione e riconcentrazione ed il sinergismo tra nuclidi radioattivi e sostanze chimiche da una parte e dall'altra i meccanismi del riparo biologico, giocano una combinazione di effetti ancora difficilmente prevedibili; questo nonostante un -trentennio di sperimentazione radioecologica effettuata a livello mondiale sia in laboratorio che, pur- troppo, sul territorio. Una risposta probabilistica è data dall'approccio epidemiologico: con il ritardo di chi si occupa dei problemi ad effetto avvenuto, a livello istituzionale l'amaro compito viene rilanciato sulle USL che dovranno reperire competenze che gli stessi medici non sono sempre capaci di offrire.”- Cristaldi-Petteruti (9). Intanto si nota come delle tre istituzioni locali-USL, Pretura e Comune quello che in modo concreto ha fornito informazioni ed ha consentito a tecnici ‘esterni’ di controllare certe situazioni è stata la Pretura che, su esposto dell'Avv. Tibaldi, ha realizzato, di fatto, una indagine conoscitiva che (5) ha messo in evidenza carenze tecniche che hanno provocato commenti ironici...(5). Di fatto le USL non hanno né strumenti né personale (come ammesso (5)dal Laboratorio di Igiene e Profilassi di Latina il 12.10.79) per organizzare campagne radioecologiche. Per quanto riguarda i Comuni si è del parere che le procedure burocratiche, varie difficoltà e plausibili ragioni, inficiano la possibilità di avviare processi di confronto scientifico sulla problematica nucleare locale. Resta la Magistratura, paradossalmente. 3) Fondamentale, così, in rapporto a quanto constatato finora, il ruolo di formazioni spontanee, di associazioni e/o gruppi che, superando la scarsa, storica, coscienza civica e la disinformazione generalizzata si pongono come forze di “scienza critica” o di contestazione rispetto a decisioni o situazioni che vanno a scapito della popolazione stessa. Queste formazioni sopperiscono a funzioni proprie dei partiti politici
  • 21. (opposizione e non) proprio perché svincolate da obblighi e convenienze di vario tipo. Cosi il Comitato di Salute pubblica di Sessa A.-Castelforte ha svolto e svolge un ruolo importante nel senso che, ad esempio, non ci sarebbe ora una problematica nucleare se tale Comitato non avesse sollevato il problema, appunto. Facendo qualche riserva sulla tecnica informativa (tipi di messaggi e veicolazione) è innegabile non riconoscere al CSP il merito: -di creare una letteratura di base sulla questione; -di “stanare” con varie iniziative le Istituzioni; -di richiamare, a livello nazionale, l'attenzione sul problema; -di coinvolgere altri gruppi e/o organizzazioni che si occupano di ecologia sul caso locale. In particolare l'Avv. Tibaldi ha interessato, con propri esposti: la Pretura di Sessa A., quella di Minturno, le procure della Repubblica di Latina, Roma, Milano, il Sinodo mondiale delle Chiese, il Presidente della Repubblica ed il ministro dell'Industria. 4) La mancanza di un centro di ‘medicina nucleare’, di presidi ospedalieri particolarmente attrezzati: ciò costituisce una carenza notevole in rapporto al fatto che nella centrale vi sono attività connesse con la radioattività. La necessità di un 'adeguato' piano di emergenza è anche una precisa necessità della legge (1) (DPR 13.2.64 n.185). 5) Esiste (1O) un centro di sorveglianza ambientale dell'Enel funzionante dal I960. Esso ha 13 stazioni fisse, 6 punti di prelievo e 5 punti di controllo. Quindi è l'unico centro in possesso della documentazione relativa agli eventuali livelli di contaminazione degli ecosistemi. Nei suoi archivi, quindi dovrebbero trovarsi tabulati e grafici relativi al periodo 1964/78. Indipendentemente dagli studi dell'Enea, in caso di un confronto scientifico serio potrebbero risultare interessanti i dati registrati da tale rete di sorveglianza ambientale . 6) Per quanto riguarda lo smantellamento, poi, questa sarebbe una buona occasione per le istituzioni locali per chiedere quali siano i piani dell'Enel a tale riguardo. Si tratta pur sempre di sperimentazioni con rischio per la popolazione. 7) Ogni anno l'Enel presenta all’Euratom la relazione annuale relativa alla radioprotezione. Per gli anni '76, '77, '73 (A. Farulla -Cytogenetic research on circulating lymphocytes of subjects professionally exposed to thè hazard of ionizing radiation in a nuclear power plant station) sono stati presentati studi relativi anche ai lavoratori della centrale del Garigliano. In questi lavori vengono esaminati 50 lavoratori di età 30/51 anni, con una esposizione di 7/12 anni e con dosi totali di 8/35 rem. Lo studio non rileva in questi lavoratori patologia di sorta. Alcuni studiosi (Lombardi, Boccia, Martorana, Degressi, Rizzoni) (9) hanno comparato la metodologia usata in questi lavori con quella delle ricerche di Evans, Buchton, Harmilton e Carothers (1979). A tale proposito sono state rilevate carenze nei lavori italiani. Carenze che vanno dal numero dei rilevamenti al numero dei soggetti che è scarso. Inoltre 1'analisi statistica dell'Enel è di prima approssimazione e non vi sono misurazioni a “tempo zero” come controllo. In conclusione, per lo studio Enel si nota che (9) “... alla mancanza di una analisi approfondita si accompagna una diversione verso obiettivi scientifici completamente inadatti a dare una risposta in relazione al rischio di radiazione... la differenza qualitativa del lavoro inglese rispetto a quelli
  • 22. italiani si ha soprattutto sul tipo di metodologia usata, il che ha comportato un insufficiente livello di omogeneità metodologica...” In conclusione non si vuole, con queste note, aprire nuove polemiche ma indicare, come fatto già da altri -Cortellessa (6)-, la necessità di uno sforzo generalizzato per arrivare a situazioni aggiornate e non liquidatorie. In tal senso pensiamo che un contributo interessante possa venire dallo studio di C. Melania Cavelli relativo ad una mappa delle località critiche per effluenti liquidi e gassosi originati dalla centrale (5). Questo studio potrebbe essere la base per indagini mirate. In ogni caso in questa problematica sembrano delinearsi, assurdamente, due tipi di scienza: una critica ed una ufficiale. A tale proposito due osservazioni: -è sempre il cittadino che alle fine ci rimette; -è possibile che i dubbi di oggi possano comportare domani responsabilità di vario tipo.
  • 23. NOTA BIBLIOGRAFICA Riferimenti per lavori non indicati direttamente nel testo (1) A. Petteruti, La mostruosità nucleare, 1981 (2) ENEA, Un esempio di analisi ecologica del sistema marino costiero da Capo Circeo all’isola d’Ischia, 1983 (3) E. Tiezzi F. Laschi, Relazione Università di Siena, 23.7.84 (4) Notiziario CNEN 2.2.82 (5) C. M. Tibaldi, Lettere ai giudici sulla centrale atomica del Garigliano, 1983 (6) Contatto radio, Trasmissioni Luglio/agosto 1984 (7) H.G. Taub, Keeping Healthy in a polluted world, 1977 (8) P. Stanziale A. Calenzo E. Coppa, L'Illusione e la Maschera, 1977 (9) Sapere, 7/1981 (10) ENEA, Centrale nucleare del Garigliano- Campagna radioecologica di controllo del territorio, settembre-ottobre 1980 © by P. Stanziale 1985