Ecco un libro che fa appassionare di dati e analisi anche gli umanisti! Invito alla lettura di Fabio Piccigallo, Digital Analytics per e-commerce, Dario Flaccovio Editore, Palermo, 2018
Argo CMS – Come riusare manualmente contenuti all’interno di documenti distinti
Come raccogliere, processare e presentare dati per rendere meno incerte e rischiose le decisioni aziendali
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Come raccogliere, processare e presentare dati per rendere meno incerte e rischiose le decisioni aziendali
Novembre 2019
Come raccogliere, processare e presentare
dati per rendere meno incerte e rischiose
le decisioni aziendali
Ecco un libro che fa appassionare di dati e analisi anche gli umanisti! Invito alla
lettura di Fabio Piccigallo, Digital Analytics per e-commerce, Dario Flaccovio
Editore, Palermo, 2018
Tutti pazzi per i dati, ma… perché?
“Se conoscessi le caratteristiche che accomunano i clienti che negli anni scorsi hanno acquistato di più
durante il Black Friday, potrei mirare meglio la mia campagna marketing di quest’anno…”: questo è
l’esempio di una tipica domanda di business, rispetto alla quale dati oggettivi, analisi e interpretazione degli
stessi riducono il margine di incertezza e di rischio insito nel processo iterativo di formazione del giudizio,
decisione e azione.
Ecco perché non è fondamentale ammassare dati, ma raccogliere quelli funzionali a guidare strategie e
tattiche dell’azienda. Ogni dato raccolto deve avere un perché, e Fabio Piccigallo ci insegna proprio quali
dati raccogliere, con quali finalità, come elaborarli, mettendoli nelle condizioni di raccontare la loro storia e
di essere inglobati nel nostro percorso decisionale. Un ciclo che non raggiunge mai un punto fermo, ma che
alimenta di informazioni oggettive il processo di evoluzione continua dell’azienda.
Il metodo esposto da Fabio Piccigallo prevede tre fasi, anche se il libro si concentra soprattutto sulla prima:
1. Rendere il comportamento misurabile il comportamento delle persone che accedono alle nostre
presenze online e interagiscono con esse, raccogliendo ed elaborando i dati di tale misurazione. Per
comportamento intendiamo non solo le azioni esplicite, ma anche l’intuizione delle intenzioni a
esse sottese e delle pre-conoscenze ipotizzabili. In fondo, dice Fabio Piccigallo, si tratta di replicare
online, ciò che faremmo, se una persona entrasse nel nostro punto vendita fisico. I dati, che vanno
opportunamente integrati, provengono tipicamente dalle fonti di accesso al sito, dal sito/blog,
dall’e-shop, dal sistema gestionale e dal CRM aziendale, da strumenti che misurano le attività
offline e le interazioni fra off- e online
2. Usare strumenti di reportistica per visualizzare e raccontare i dati, rendendoli interpretabili e
trasformandoli così in informazioni azionabili
3. Assumere la narrazione dei dati come base per ridurre incertezza e rischio nel processo iterativo di
formulazione del giudizio, decisione e azione.
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Un po’ di pazienza… prima dei dati vengono gli indicatori
Come dicevamo, seguire il percorso della singola persona – dalle fonti di accesso al nostro sito/blog/e-shop,
durante le fasi di qualificazione, prima transizione e reiterazione dell’acquisto – serve a renderne misurabile
il comportamento attraverso indicatori.
Gli indicatori (i KPI – key performance indicator) sono caratterizzati da metriche (per esempio la Visita) e da
dimensioni (per esempio il Tempo), collocate in un determinato ambito di validità, che nel caso di Google
Analytics può essere:
• Hit, che può essere di tipo page view (che corrisponde al caricamento di una pagina web) o evento,
diverso dal caricamento di una pagina
• Sessione, frutto dell’elaborazione della concatenazione di hit
• Persona
• Contenuto o prodotto.
Scegliere preliminarmente gli indicatori giusti è fondamentale per disporre di dati validi da elaborare e
analizzare, ricavandone informazioni utili al supporto decisionale. La selezione dei KPI dovrebbe ispirarsi a:
• Buone pratiche universali (per esempio è buona pratica registrare il numero di sessioni, utenti e
pagine visualizzate; il numero medio delle pagine visualizzate; la frequenza di rimbalzo; la
distribuzione del traffico in base al tipo di dispositivo, ecc.)
• Specificità del settore in cui opera l’azienda
• Finalità strategiche e tattiche dell’azienda
• Fonti di accesso
• Tipi di interlocutori (buyer’s personae)
• Fasi del customer journey in relazione ai tipi di interlocutori.
A ogni fase del customer journey corrispondono KPI distinti, poiché nelle fasi di presa di contatto,
qualificazione, acquisto, fidelizzazione, ecc., i comportamenti (azioni e intenzioni) da tradurre in dati sono
distinti, così come sono distinti i contenuti con cui la persona tende a interagire tipicamente.
Gli indicatori sono tutti uguali? No, ogni fase del customer journey vuole i
suoi
Fabio Piccigallo distingue cinque fasi del customer journey.
Fase 1 – Esposizione al messaggio
La raccolta dati si concentra sulle fonti di accesso, presupponendo che la persona sia mossa da esigenze
informative in fase di pre- o post-vendita.
I KPI rilevanti sono soprattutto quelli relativi al traffico, per esempio:
• Click through rate
• Percentuale di traffico proveniente da mobile
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• Percentuale di nuovi visitatori (note: con la moltiplicazione dei dispositivi usati da ogni persona, un
cookie non corrisponde più a un utente; il visitatore ricorrente è più propenso alla conversione)
• Indicatori relativi a:
o SERP e SEO, cioè alla ricerca organica
o SEA, cioè alla pubblicità con Google AdWords
o Pubblicità non gestite con Google AdWords
o Presenze sui social network
o E-mail marketing.
Più avanti approfondiremo questi indicatori.
Fase 2 – Differenziazione e leadership
Nell’infosfera tutto è rappresentazione: l’azienda, il brand, i prodotti/servizi esistono solo in quanto
rappresentati da un insieme di informazioni create e distribuite dall’azienda e da parti terze (compresi gli
utenti stessi). Autorevolezza, credibilità e fiducia possono essere stabilite solo attraverso attività di content
marketing.
La raccolta dati si concentra su sito/blog/e-shop, presupponendo che la persona sia mossa da esigenze di
fruizione delle informazioni in fase di pre- o post-vendita.
I KPI rilevanti sono soprattutto quelli di engagement e di conversione non e-commerce, per esempio:
• Numero di pagine viste e numero di pagine viste per sessione, raggruppate preferibilmente per tipo
di pagina (home page; post sul blog; pagine di brand e generiche; pagine dedicate alle categorie
merceologiche e schede prodotto), perché ogni insieme ha finalità e indicatori distinti. (Nota: un
numero elevato di pagine viste per sessione può essere anche sintomatico della difficoltà di
reperire le informazioni necessarie, un dato da approfondire con l’aiuto di sondaggi e interviste
reali)
• Durata media della sessione (nota: la fine della sessione non genera hit – poiché l’utente carica una
pagina esterna al nostro sito –, e quindi l’ora del termine della sessione non è reale)
• Bounce rate (nota: Google Analytics assegna il valore 1 all’utente che non visualizza almeno due
pagine. Il dato può non essere rilevante se l’utente, senza abbandonare la pagina, può scatenare
una serie di eventi tracciabili)
• Iscrizione alla newsletter, download di documentazione tecnica o di prodotto, visione di un filmato,
compilazione di una richiesta di offerta (nota: si tratta di un indicatore importante soprattutto nel
settore B2B, quando non è data la possibilità di acquistare online)
• Numero di condivisioni e commenti.
Fase 3 – Considerazione e acquisizione
In questa fase, in cui l’azienda/il brand e i suoi prodotti/servizi diventano auspicabilmente rilevanti per la
persona, che inizia a prenderli in considerazione come soluzione alle sue esigenze, la raccolta dati si
concentra sulle fonti di accesso, presupponendo che la persona sia mossa da esigenze informative in fase di
pre-vendita.
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I KPI rilevanti sono analoghi a quelli della Fase 1, anche se intenzioni e pre-comprensione della persona
sono diverse, il che si riflette nella scelta di percorsi di ricerca, navigazione e fruizione dei contenuti più
votati all’approfondimento e già orientati alla transazione.
Fase 4 – Conversione e acquisto
La raccolta dati si concentra su sito/blog/e-shop, presupponendo che la persona sia intenzionata a
interagire con i prodotti/servizi in vista dell’acquisto.
I KPI rilevanti sono soprattutto quelli di vendita, distinti in indicatori relativi al prodotto/servizio, al processo
di acquisto e all’ordine vero e proprio:
• KPI sul prodotto:
o Numero di pagine viste, di condivisioni e di commenti sulle pagine delle classificazioni
merceologiche e sulle schede prodotto. (Nota: Fabio Piccigallo sottolinea, che in via
preliminare è necessario definire che cos’è un prodotto per Google Analytics. Il prodotto
che la persona aggiunge al carrello e quello che intendiamo tracciare potrebbero non
coincidere. Il prodotto aggiunto al carrello è percepito come un’entità unica e concreta,
mentre per Google Analytics il prodotto è l’insieme delle informazioni che lo
rappresentano. A volte, ai fini dell’analisi dei dati, è più rilevante tracciare la categoria
merceologica, anziché il singolo prodotto)
o Unità vendute, prezzo unitario, scontrino medio (nota: questi dati possono provenire anche
dal sistema gestionale dell’azienda)
• KPI sul processo di acquisto:
o Elenco dei prodotti: numero di visualizzazioni; relazione fra posizione del prodotto
all’interno della lista e click through rate
o Scheda prodotto: aggiunte al carrello in relazione al numero di visualizzazioni della scheda
e al numero di unità vendute
o Valore medio della sessione; aggiunte al carrello per sessione (nota: Fabio Piccigallo
sottolinea, che aggiungere un prodotto al carrello esprime un interesse forte per il
prodotto, non necessariamente l’intenzione di acquistarlo nell’immediato); tasso di
abbandono del carrello in seguito alla sua visualizzazione
• KPI sull’ordine: numero di ordini nuovi e di ritorno; ricavo totale; ROI; valore medio e mediano
dell’ordine; numero di ordini per cliente; tempo alla transazione (tempo che trascorre fra primo
contatto e primo acquisto, cioè tempo di conversione del lead in cliente); sessioni alla transazione
(che dipendono dal settore: nel B2B possono essere più numerose).
Fase 5 – Fidelizzazione
La fidelizzazione è una fase cruciale, poiché acquisire un cliente nuovo è più costoso, che indurre un cliente
esistente a reiterare l’acquisto, aumentando il suo customer lifetime value. Offerte speciali, programmi
fedeltà e anteprime su nuovi prodotti sono fra gli strumenti più usati per invitare il cliente a ritornare sul
nostro e-shop.
La raccolta dati si concentra su e-shop e sistema gestionale/CRM, presupponendo che la persona sia
intenzionata a reiterare l’acquisto.
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I KPI rilevanti sono quelli recenza e frequenza, ma altrettanto importante è la segmentazione dei clienti ed
eventualmente l’analisi associativa volta a caratterizzare acquisti ricorrenti.
I segmenti più interessanti non sono quelli naturali (per esempio su base geografica), ma quelli non
naturali, costruiti per rispondere a quesiti di business. Rientra in questo ambito la domanda con cui si apre
il post: “vorrei determinare le caratteristiche comuni utili a creare il segmento dei clienti che negli anni
passati hanno acquistato durante il Black Friday al fine orientare le attività di marketing dell’anno
corrente”. Le tecniche si segmentazione possono essere su base statistica o empirica (elaborando per ogni
cliente un punteggio basato su recenza, frequenza, capacità di spesa, ecc.), da impiegare in base al tipo di
quesito di business a cui è necessario rispondere.
Più in generale, la segmentazione è utile a:
• Definire le caratteristiche comuni ai clienti più profittevoli
• Calcolare la probabilità che un nuovo cliente sia profittevole
• Definire le azioni che possono aumentare il customer lifetime value, massimizzando il ROI
sull’acquisizione del cliente
• Individuare i clienti a rischio e attivare le azioni preventive che possono diminuire il churn rate.
Le analisi associative, volte a caratterizzare gli acquisti ricorrenti (analizzati dal punto di vista dei prodotti
e/o dei clienti), servono a calcolare la probabilità che determinati prodotti siano acquistati insieme, e quindi
siano complementari, in base a correlazioni non casuali, ma causali. Algoritmi associativi (come per
esempio l’algoritmo A priori) permettono di automatizzare le attività di upselling e remarketing di prodotti
complementari.
Fase per fase, ecco gli strumenti principali per raccogliere e processare i
dati
Ogni fase ha KPI distintivi e quindi anche software specializzati nel raccoglierne e processarne in dati, in
vista delle successive attività di data visualization e data storytelling finalizzate a ridurre incertezza e rischio
nell’ambito del processo iterativo di formazione del giudizio, decisione e azione.
Fasi 1 + 3 (Esposizione al messaggio + Considerazione e acquisizione)
Il primo obiettivo è l’analisi della SERP, per guidare le attività di SEO, usando Google Search Console e
Google Analytics. Nell’analizzare le fonti di accesso è opportuno tenere presenti questi elementi:
• Presenza di marcatori di intenzionalità, che esprimono intenzioni di informazione (“come faccio
a…”), di navigazione (“ho già visto la soluzione, ma non mi ricordo dove e uso Google per
ritrovarla”) e di acquisto (“cerco l’espressione chiave aggiungendo la parola Prezzo”)
• Distinzione fra ricerche di brand (indicative di un utente fidelizzato) e ricerche di prodotto
(indicative di una persona in fase di ricerca o considerazione)
• Dispositivo
• Localizzazione
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• Esecuzione di ricerche vocali in linguaggio naturale, diverse dalla concatenazione di parole chiave
con cui cerchiamo digitando per iscritto.
Nel caso di e-shop è opportuno escludere dai referral (cioè dall’elenco delle risorse che contengono i link
alle pagine del nostro sito su cui l’utente è atterrato) i gateway di pagamento (che, ad avvenuto
pagamento, rimandano automaticamente l’utente a una pagina dell’e-shop) (da Google Analytics >
Proprietà > Info sul monitoraggio > Elenco esclusioni referral).
Google Analytics (Acquisizione > Tutto il traffico > Canali) classifica la ricerca organica in base a:
• Lista di motori di ricerca (nota: è possibile impostare anche una nostra lista di motori di ricerca in
Google Analytics > Impostazioni monitoraggio > Motori di ricerca organica)
• Social network (Google Analytics > Acquisizione > Social network per raccogliere i dati relativi al
traffico proveniente dai social network)
• Fonti generiche, rappresentate dagli URL delle risorse che contengono i link alle pagine del nostro
sito su cui gli utenti sono atterrati.
Il secondo obiettivo è l’analisi della SEA, usando Google AdWords, che raccoglie i dati attraverso il
parametro GCLID – Google Click Identifier.
Nell’ambito delle campagne di Google AdWords è opportuno usare in Google Analytics > Impostazioni
canale > Gestisci termini correlati al brand per separare il generic paid serach (relativo a prodotti e
categorie merceologiche) dal branded paid search (relativo all’azienda e al brand).
Con Google Analytics è poi possibile raccogliere e processare dati su:
• Pubblicità non gestite con Google AdWords
• Social network
• E-mail marketing (nota: i parametri UTM – Urchin Tracking Module servono per aggiungere al link
della landing page della campagna un parametro identificativo, che permette a Google Analytics di
identificare la fonte come pubblicità a pagamento.
Come sottolinea Giulio Colnaghi nel suo libro Strategie e tecniche di marketing automation (Dario Flaccovio
Editore, Palermo, 2019), a cui dedichiamo un post a sé, l’e-mail marketing ha alcune metriche comuni con
fonti di accesso e sito/blog/e-shop e altre specifiche:
• Open rate
• Click through rate
• Bounce rate, relativo alle e-mail che il sistema non ha potuto consegnate
• Page view della landing page di destinazione dell’e-mail
• Download, sulla landing page, di risorse allegate
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• Velocity report. Rappresenta il tasso di crescita della lista, indicando anche la velocità con cui la
persona passa da contatto semplice a contatto qualificato, sales-ready
• Efficiency report. Definisce la capacità della lista di generare contatti qualificati, sales-ready.
Fabio Piccigallo insiste sull’opportunità di integrare Google Search Console, Google Analytics e Google
AdWords per analizzare e confrontare traffico organico e a pagamento al fine di razionalizzare gli
investimenti pubblicitari (per esempio nel caso in cui il contenuto/prodotto sia già presente fra i risultati
della ricerca organica) o di agire sulla SEO (supportando eventualmente nel breve periodo il
contenuto/prodotto con una campagna pubblicitaria a pagamento, dato che la SEO potrebbe richiedere
una finestra temporale medio-lunga per produrre i risultati desiderati).
Molto interessante è anche l’excursus che Fabio Piccigallo dedica al complesso argomento dei modelli di
attribuzione del traffico. Supposto è che la persona usi più canali prima di acquistare:
• Che peso ha ogni canale nel processo di acquisto?
• Ogni canale ha un ruolo strategico distinto?
• Adempie al ruolo assegnatogli, collaborando sinergicamente con gli altri canali?
Cercano di rispondere a queste domande i modelli matematici finalizzati ad attribuire a ogni canale un peso
statistico basandosi sul comportamento della persona in un determinato periodo, per esempio di 60 o 90
giorni (Google Analytics > Conversioni > Canalizzazioni multicanale > Conversioni indirette).
Fasi 2 + 4 (Differenziazione e leadership + Conversione e acquisto)
Google TagManager, Google Analytics e Google Analytics Enhanced E-commerce sono gli strumenti
principali per raccogliere e processare dati provenienti dall’e-shop.
Google TagManager è il software che permette di gestire ed eseguire in modo condizionale (legato cioè a
eventi) tutti gli script di tracciamento da attivare su un sito. I codici di tracciamento – di Google Analytics e
di eventuali altre applicazioni (per esempio di analisi comportamentale, come CrazyFrog e HotJar) –
servono per raccogliere e inviare i dati al software di destinazione, che provvede a salvarli e a processarli.
Google Analytics Enhanced E-commerce è il software che permette di raccogliere i dati necessari ad
analizzare il comportamento della persona lungo il percorso di acquisto, comprese le sue relazioni con
contenuti/prodotti. Le fasi che Google Analytics Enhanced E-commerce contempla sono:
• Esplorazione:
o Visualizzazione della lista dei prodotti, tenendone in considerazione la sequenza
o Clic sull’anteprima del prodotto all’interno della lista
o Visualizzazione della scheda prodotto
o Aggiunta del prodotto al carrello
• Check-out:
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o Visualizzazione del carrello (nota: è l’evento a cui si collegano di solito le campagne di
remarketing)
o Passi della procedura di check-out, diversi in base alle impostazioni dell’e-shop
• Transazione:
o Pagamento
o Invio dell’ordine al sistema gestionale.
Fabio Piccigallo sottolinea che il limite di Google Analytics Enhanced E-commerce sta nel fatto di
considerare il percorso di acquisto come unico e lineare, cosa che in realtà non è. Se l’e-shop prevede
percorsi distinti in base al tipo di utente (per esempio: utente non registrato; lead al primo acquisto; cliente
fidelizzato), allora è necessario scegliere, se monitorare solo gli elementi comuni a tutti i percorsi di
acquisto oppure creare segmenti di analisi distinti per tipo di utente, presupponendo di essere in grado di
riconoscere la persona come appartenente a un determinato insieme.
Fasi 4 + 5 (Conversione e acquisto + Fidelizzazione)
Le abitudini di acquisto dei clienti possono essere seguite e analizzate efficacemente usando gli strumenti
del sistema gestionale e del CRM aziendali.
Fabio Piccigallo suggerisce però, che l’integrazione fra sistema gestionale/CRM e Google Analytics, laddove
possibile, è vantaggiosa, poiché permette di arricchire la conoscenza del cliente con informazioni sulla fonte
di accesso e di conversione, nonché sulle dinamiche dell’acquisto.
E ora? Come mettiamo a frutto i dati?
Una volta raccolti e processati, i dati non sono ancora pronti per alimentare il processo iterativo di
formazione del giudizio, decisione e azione. Gli strumenti di reportistica, nonché le attività di data
visualization e data storytelling mirano proprio a “far parlare i dati”, rendendoli comprensibili e
interpretabili da chi li deve usare come supporto al decision making.
Fabio Piccigallo sottolinea che Google Analytics è uno strumento ottimo per raccogliere e processare i dati,
mentre come software di reportistica sono migliori Google Data Studio, Tableau o Microsoft Excel (nota:
esistono connettori alle Core Reporting API di Google Analytics per Excel e ad altre applicazioni, che
permettono di esportare direttamente i dati in questi formati).
Visualizzare i dati significa “mostrare per dimostrare”, significa fornire le chiavi di lettura (visuali e testuali)
necessarie al fruitore per costruire una storia che li comprenda, mettendoli in relazione e conferendo loro
un senso. Nella narrazione il dato, il “che cosa” e il “come”, si arricchiscono di un “perché”, che orienta
giudizio, decisione e azione.
Nella visualizzazione, Fabio Piccigallo raccomanda dunque non solo di gerarchizzare i dati e di limitarsi a
quelli essenziali, ma anche di contestualizzarli per arricchirli di senso e di aggiungere titoli e brevi testi
esplicativi per orientare l’interpretazione e prevenire ambiguità.
Quali dati visualizzare? Ecco qualche esempio:
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• Comparazioni lungo la linea del tempo
• Relazioni tra parte e tutto
• Variazioni di una metrica (per esempio il Ricavo) in base a un attributo (per esempio il Canale di
accesso)
• Correlazioni tra variabili (per esempio, in base al valore della variabile 1, calcolare la probabilità che
la variabile 2 assuma un determinato valore)
• Frequenza degli eventi.
Autore: Petra Dal Santo | dalsanto@keanet.it