Come Fabio Piccigallo e David Aaker, anche Cole Nussbaumer Knaflic afferma il rapporto sinergico fra storie e dati, sottolineando la capacità delle storie di suscitare l’attenzione, coinvolgere, persuadere e ispirare, e illustrando sulla base di numerosi esempi pratici le strategie migliori per convertire i dati in informazioni azionabili. Invito alla lettura del libro di Cole Nussbaumer Knaflic, Storytelling with Data: A Data Visualization Guide for Business Professionals, Wiley, 2015 (pubblicato nel 2016 in italiano da Apogeo con il titolo di Data Storytelling. Generare valore dalla rappresentazione delle informazioni)
Argo CMS – Come riusare manualmente contenuti all’interno di documenti distinti
I dati non parlano da sé
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I dati non parlano da sé
Dicembre 2019
I dati non parlano da sé
Come Fabio Piccigallo e David Aaker, anche Cole Nussbaumer Knaflic afferma il
rapporto sinergico fra storie e dati, sottolineando la capacità delle storie di
suscitare l’attenzione, coinvolgere, persuadere e ispirare, e illustrando sulla base di
numerosi esempi pratici le strategie migliori per convertire i dati in informazioni
azionabili. Invito alla lettura del libro di Cole Nussbaumer Knaflic, Storytelling with
Data: A Data Visualization Guide for Business Professionals, Wiley, 2015 (pubblicato
nel 2016 in italiano da Apogeo con il titolo di Data Storytelling. Generare valore
dalla rappresentazione delle informazioni)
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Nel suo libro Digital Analytics per e-commerce (Dario Flaccovio Editore, Palermo, 2018) Fabio Piccigallo
sottolinea che raccogliere, processare e presentare i dati rappresentano tre fasi distinte delle attività di
analytics: ognuna ha un obiettivo peculiare e richiede competenze e strumenti specifici per essere portata a
termine efficacemente.
Mentre raccogliere e processare i dati sono attività svolte dietro le quinte, la presentazione è il momento in
cui l’autore/relatore condivide con il suo interlocutore tipico (uno o più) i risultati del lavoro svolto.
In questa fase l’autore/relatore mira a trasformare i dati in informazioni, cioè a visualizzare informazioni
quantitative in modo tale che raccontino efficacemente una storia rilevante per l’interlocutore,
arricchendone la conoscenza (ambito del sapere) e/o supportandone il percorso di formazione del giudizio,
decisione e azione (ambito del fare).
La forma di presentazione dei dati può essere un testo, una tabella o un grafico. Rientrano in questa sfera
anche le tabelle che troviamo nella documentazione tecnica e di prodotto, nei manuali di istruzioni e nei
cataloghi, e che mirano a permettere all’interlocutore di conoscere le caratteristiche di un oggetto,
confrontarlo con altri simili, scegliere quello rispondente alle sue esigenze e individuare eventuali oggetti
correlati.
Cole Nussbaumer Knaflic sostiene che i dati non parlino da sé, ma che vadano vestiti di una storia in grado
di donare loro un senso, trasformandoli così in informazioni destinate a interlocutori tipici, informazioni
che, in base alla finalità della comunicazione, siano eventualmente anche azionabili.
Per dare voce ai dati mediante la rappresentazione visuale è necessario tenere in considerazione sei
elementi chiave:
1. Analizzare caratteristiche ed esigenze informative e/o operative dell’interlocutore tipico
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2. Scegliere una forma di visualizzazione adeguata a dati e interlocutore
3. Isolare il rumore (gli elementi che aumentano lo sforzo cognitivo senza aggiungere informazioni)
dal segnale ed eliminarlo
4. Attirare l’attenzione dell’interlocutore sugli elementi fondamentali, usando attributi preattentivi e
stabilendo gerarchie
5. Lavorare come un designer
6. Raccontare esplicitamente una storia.
1. Analizzare caratteristiche ed esigenze informative e/o operative dell’interlocutore tipico
Comunicare significa parlare a un interlocutore specifico: conoscerne caratteristiche, esigenze e motivazioni
permette di selezionare i dati su cui costruire la storia che intendiamo condividere con lui, gettando le basi
di una comunicazione efficace.
In via preliminare occorre anche chiedersi:
• Che di relazione sussiste fra noi e l’interlocutore? Per esempio, è già una relazione di fiducia?
• Quali sono preconoscenze, competenze e pregiudizi dell’interlocutore, che possono influire sulla
ricezione del messaggio?
• Quali sono le nostre intenzioni nei confronti dell’interlocutore, ovvero che cosa desideriamo
indurlo ad apprendere o a fare? Le intenzioni vanno sempre esplicitate con call-to-action ed action
words opportune
• La comunicazione avviene in presenza o per iscritto? Ciò influenza il controllo che abbiamo sulla
fruizione delle informazioni e il livello di dettaglio necessario.
2. Scegliere una forma di visualizzazione adeguata a dati e interlocutore
Testo: adatto per comunicare 1 o 2 numeri. I numeri vanno sempre accompagnati da un breve testo
esplicativo e dall’eventuale call-to-action/action words.
Tabella: adatta a presentare una mole maggiore di dati, permette a ogni persona di concentrarsi sui valori
di suo interesse. L’autrice suggerisce di evitarle nelle presentazioni dal vivo, poiché l’uditorio tende a
distrarsi, concentrandosi sulla tabella anziché sul relatore.
Grafico: mentre testo e tabella interagiscono con il nostro sistema verbale, il grafico interagisce con quello
visuale, più rapido nel processare le informazioni. L’autrice consiglia l’uso di quattro tipi di grafici, basati su:
• Punti: adatti a visualizzare dati puntuali all’incrocio degli assi x e y
• Linee: adatte a visualizzare dati continui, come le sequenze temporali
• Barre: adatte a visualizzare dati organizzati in insiemi omogenei, come le categorie. I grafici a
cascata sono adatti a visualizzare in modo analitico dati parziali, per esempio appartenenti a una
serie temporale, evidenziandone la dinamica evolutiva. I grafici a barre orizzontali sono facili da
leggere, poiché la sequenza della informazioni segue l’ordine di lettura (da sinistra a destra,
dall’alto in basso, con un andamento a Z) e supportano anche la visualizzazione di etichette lunghe
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• Aree: sono meno facili da leggere, perché l’occhio umano non è bravo a convertire in modo preciso
spazi bidimensionali in valori quantitativi. Utilizzabili quando i valori da rappresentare sono molto
diversi fra loro, il loro punto di forza sta nel fatto che, grazie alla bidimensionalità, rendono più
compatta la visualizzazione.
L’autrice invita a usare tipologie di grafici note all’interlocutore tipico, poiché – riducendo la curva di
apprendimento – la persona può concentrare lo sforzo cognitivo sulla comprensione dell’informazione,
anziché sul funzionamento del grafico.
L’autrice consiglia di evitare:
• Grafici a torta e a donut (ad anello), che si basano su aree e lunghezze di archi, a cui l’occhio umano
fatica ad attribuire un valore quantitativo preciso. Questi grafici possono essere sostituiti da grafici
a barre orizzontali, esplicitando eventualmente il totale (che i grafici a torta/donut/anello
trasmettono immediatamente)
• Tridimensionalità e prospettiva, che possono portare a un’interpretazione non corretta dei dati
visualizzati, poiché gli elementi vicini/in basso appaiono più grandi di quelli lontani/in alto, a
prescindere dal valore che rappresentano
• Grafici a spaghetti, poiché danno un senso di disordine e non sono di facile lettura a causa degli
incroci fra le linee
• Posizionamento a destra di un secondo asse y, verticale. È preferibile collocare entrambi gli assi y a
sinistra, uno sopra l’altro, oppure evidenziare direttamente sul grafico i valori pertinenti al secondo
asse y usando marcatori ed etichette.
3. Isolare il rumore (gli elementi che aumentano lo sforzo cognitivo senza aggiungere informazioni) dal
segnale ed eliminarlo
L’autrice si rifà anzitutto alla psicologia della Gestalt, che ha indagato i principi della percezione visiva,
individuando i fattori che favoriscono l’unificazione di elementi del campo visivo in un tutto, in particolare:
• Vicinanza
• Somiglianza, per esempio per forma, dimensione, orientamento, colore
• Raggruppamento, contrassegnato per esempio da una linea o da uno sfondo
• Chiusura, in base al quale l’occhio umano tendono a vedere come chiuse figure che in realtà non lo
sono. Secondo questo principio è possibile per esempio eliminare il bordo e lo sfondo del grafico,
poiché gli elementi che lo compongono sono già percepiti come un unico insieme
• Connessione fisica.
Oltre alla ricerca dell’unificazione, per ridurre il rumore è opportuno adottare accorgimenti che aiutano a
dare ordine alle informazioni, facilitandone la lettura, per esempio:
• Allineare i contenuti, preferendo l’allineamento a destra o a sinistra rispetto a quello centrato
• Usare lo spazio bianco insieme ai principi della psicologia della Gestalt per creare raggruppamenti
senza aggiungere informazioni non necessarie. Come il silenzio, la pausa nel parlato e nella musica,
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lo spazio bianco crea un campo di attenzione e permette all’interlocutore di prendersi il tempo
necessario per elaborare le informazioni
• Contrastare graficamente solo l’elemento informativo principale rispetto agli altri per attirare su di
esso l’attenzione
• Rispettare dell’ordine di lettura
• Evitare diagonali e rotazioni, poiché danno un’idea di disordine e rendono meno facile la lettura.
Inoltre, per eliminare il rumore l’autrice consiglia di:
• Rimuovere bordi esterni e sfondo del grafico, usando lo spazio bianco per isolarlo dagli altri
elementi informativi presenti sulla pagina
• Eliminare la griglia del grafico/della tabella o assegnarle un colore molto tenue, se ciò è funzionale
a migliorare la leggibilità dei dati
• Se in un grafico a linee la linea esprime già in modo chiaro l’andamento dei dati, eliminare i
marcatori
• Non esplicitare l’origine degli assi e, se possibile, non ruotare le etichette
• Etichettare direttamente i dati, mantenendo la coerenza cromatica fra dato ed etichetta per
comunicarne la coappartenenza
• Sintetizzare dati che non è indispensabile dettagliare (spostando eventualmente in appendice la
serie completa) e usare le categorie per raggruppare tipi di dati omogenei.
4. Attirare l’attenzione dell’interlocutore sugli elementi fondamentali, usando attributi preattentivi e
stabilendo gerarchie
Oltre a eliminare il rumore, inteso come fonte di distrazione, è opportuno usare i cosiddetti attributi
preattentivi per attirare l’attenzione dell’interlocutore sulle informazioni principali e sulla sequenza di
fruizione ottimale delle stesse, ovvero sulla loro gerarchia.
Gli attributi preattentivi sono un livello di meta-dati sovrapposto ai contenuti, che contiene le istruzioni per
usare le informazioni, ovvero per decodificare in modo efficiente il messaggio comunicato.
Prima di illustrare l’uso strategico degli attributi preattentivi, l’autrice si sofferma sulle caratteristiche dei
nostri tre tipi di memoria:
• La memoria iconica si attiva in modo non consapevole per 3-8 secondi, nei quali decidiamo se un
elemento richiede o meno la nostra attenzione consapevole
• La memoria a breve termine può immagazzinare circa 4 elementi informativi per volte. Creare
insiemi omogenei di elementi informativi fra loro correlati (per esempio il dato e la sua etichetta),
permette di aumentare il volume di informazioni memorizzabili
• La ripetizione aiuta a far migrare progressivamente alla memoria lunga le informazioni: per
esempio è utile, nelle presentazioni, esplicitare in un sommario i punti salienti del racconto, poi
raccontare la storia vera e propria usando tabelle, grafici e testi, e infine ricapitolare informazioni
principali e/o azioni raccomandate… repetita juvant! Senza trascurare, che le immagini aiutano a
richiamare più velocemente le informazioni presenti nella memoria a lungo termine.
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I segnali preattentivi sollecitano la memoria iconica, facendo sì che determinati elementi attirino in una
determinata sequenza la nostra attenzione inconsapevole: questa è la condizione fondamentale per
elaborare in modo ottimale le informazioni, consapevolmente.
La mente umana è attratta dall’elemento (o da un gruppo di elementi non superiori al 10% del totale) che,
in un insieme, si discosta dagli altri (perché in origine ciò poteva rappresentare un segnale di pericolo) ed è
in grado di assegnare valori quantitativi a determinate caratteristiche, come dimensione, lunghezza,
intensità e posizione.
Nei testi possiamo usare in particolare i seguenti attributi preattentivi:
• Grassetto. Meno indicati sono il corsivo e il sottolineato, perché il corsivo ha un potere di attrazione
più debole del grassetto, mentre il sottolineato, aggiungendo un marcatore estraneo al testo, ne
riduce la leggibilità
• Colore e intensità del colore
• Dimensione
• Spazio bianco intorno a blocchi di testo omogenei.
Nei grafici possiamo usare in particolare i seguenti attributi preattentivi:
• Colore e intensità del colore. L’autrice consiglia di realizzare grafici in scala di grigio, usando un
colore (ed eventualmente le sue varie gradazioni) per attirare l’attenzione sulle informazioni più
rilevanti. Il colore suggerito è il blu: è visibile anche da chi è daltonico e spicca anche sulle stampe in
bianco e nero
• Dimensione
• Spessore delle linee
• Marcatori ed etichette, da applicare solo ai dati da evidenziare
• Rispetto dell’ordine di lettura.
Tutti gli attributi preattentivi vanno usati coerentemente, in modo tale che l’interlocutore ne possa
apprendere il significato all’inizio, riconoscendoli poi senza sforzo.
5. Lavorare come un designer
Nella realizzazione di grafici e tabelle, lavorare come un designer significa mirare alla piacevolezza
dell’insieme, avendo presenti soprattutto i concetti di affordance e accessibilità, che aiutano a progettare
oggetti informativi la cui forma segue la funzione che sono chiamati ad assolvere.
Per affordance si intende l’insieme dei dettagli di un oggetto che ne suggeriscono naturalmente l’uso (per
esempio il bottone invita a essere premuto, come la maniglia a essere ruotata, ecc.). Eliminare il rumore,
attirare l’attenzione e stabilire gerarchie migliora l’affordance degli oggetti informativi.
Obiettivo dell’accessibilità è fare sì che persone con preconoscenze e competenze diverse possano recepire
comunque in modo efficace la storia narrata mediante la visualizzazione dei dati. In questo ambito il testo
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svolge un ruolo fondamentale, poiché introduce, etichetta, spiega, rinforza il dato, evidenzia, raccomanda
e, in definitiva, rende esplicita la storia rappresentata dai dati.
6. Raccontare esplicitamente una storia
Visualizzando i dati, è necessario rendere palese la storia che desideriamo che essi raccontino, per non dare
adito a interpretazioni ambigue e rischiare che gli interlocutori giungano a conclusioni diverse da quelle che
intendiamo comunicare per stabilire un terreno comune di discussione.
Come farà David Aaker (Storie iconiche, Franco Angeli, Milano, 2019), anche l’autrice afferma il rapporto
sinergico fra storie e dati di fatto, sottolineando la capacità delle storie di suscitare l’attenzione,
coinvolgere, dare visibilità, presiedere alla formulazione del giudizio e persuadere, guidare decisioni e
azioni.
Ogni storia racconta come e perché la vita cambi. Basandosi sulla classica struttura narrativa tripartita,
tabelle e grafici possono coinvolgere l’interlocutore passando dalla pura esposizione dei dati alla
rappresentazione del racconto di un problema (squilibrio), della procedura seguita per risolverlo per
tentativi ed errori (tensione a un nuovo equilibrio) e della soluzione finale (nuovo equilibrio). La capacità di
coinvolgimento, persuasione e ispirazione della storia passa anche attraverso la sua assunzione delle leve
che possono motivare l’interlocutore tipico ad acquisire la conoscenza o a intraprendere l’azione che
costituiscono il fine della comunicazione.
La storia dona senso ai dati, trasformandoli in informazioni, eventualmente azionabili (in base alle finalità
della comunicazione).
Non solo la selezione dei dati, del modello di visualizzazione e degli attributi preattentivi dipende
dall’interlocutore tipico: anche la sequenza della narrazione va cucita su misura delle preconoscenze
dell’audience, della sua relazione con l’autore/relatore, delle esigenze e motivazioni, ecc. Per esempio
possiamo optare per l’ordine di esposizione logico/cronologico (problema, processo, soluzione) oppure
iniziare con la call-to-action derivata dalla soluzione proposta, ripercorrendo poi le tappe del processo di
risoluzione del problema: una strategia applicabile soprattutto se gli interlocutori hanno già fiducia
nell’autore/relatore e se l’azione è il loro obiettivo primario.
Autore: Petra Dal Santo | dalsanto@keanet.it