SlideShare a Scribd company logo
1 of 114
Download to read offline
LA GOVERNANCE LOCALE PARTECIPATA
MARIO D’ANDRETA
PROGRAMMA
La gestione della governance locale partecipata
 Presupposti
 Obiettivi
 Metodologia
 Strumenti e tecniche
 Fasi del processo
PREMESSA
 La governance locale partecipata si realizza attraverso il coinvolgimento attivo di tutti gli
stakeholder di un territorio (pubblici e privati, locali e centrali, for profit e senza scopo di lucro,
individuali e collettivi) alla progettazione e realizzazione dei beni e servizi utili al suo sviluppo
economico e sociale e al miglioramento della qualità della vita delle comunità che lo abitano.
 Essa si basa sulla valorizzazione della molteplicità di vedute e di interessi rappresentate da
questi differenti soggetti, quale risorsa fondamentale per realizzare forme di sviluppo equilibrato
e sostenibile, a partire dalle esigenze e potenzialità dei territori e dal presupposto della fiducia
reciproca quale fondamento per un lavoro comune di costruzione di scenari, obiettivi e strategie
condivisi.
PRESUPPOSTI
Il concetto di governance
Nato nel lessico della scienza politica, in particolar modo di scuola anglosassone, il termine viene per lo più utilizzato nella
originale forma inglese, per indicare una modalità di azione e di governo reticolare e sinergica, in grado di coinvolgere
tutte le componenti che determinano l’equilibrio complessivo di un dato sistema politico ed amministrativo: ciò in base
all’assunto che la più ampia partecipazione di attori altrimenti esclusi dai processi decisionali sia condizione di politiche
pubbliche più efficaci ed efficienti in quanto maggiormente rispondenti ai bisogni della comunità.
Nei casi di traduzione del termine, si parla per lo più di “sistema allargato di governo”, “governo multilivello”, “governo
multi-attore”, per sottolineare il coinvolgimento di processi e attori non sempre automaticamente ricompresi nella nozione
tradizionale di governo.
Il concetto di governance si distingue da quello di government, più strettamente ancorato al modello rappresentativo e
riferito alle relazioni che intercorrono tra le istituzioni formalmente preposte al governo di una comunità.
PRESUPPOSTI
Il concetto di governance
La governance è il processo con il quale vengono collettivamente risolti i problemi rispondendo ai bisogni dl
una comunità sociale.
Essa rappresenta un sistema innovativo di realizzazione del policy making, nel quale il processo di decisione
è la risultante di un’interazione tra soggetti diversi che condividono responsabilità di governo (soggetti
istituzionali, terzo settore, soggetti della società civile); un sistema di governo a rete, dove la guida delle
politiche ha una titolarità diffusa.
Nel Government, si ha invece un intervento topdown, nel quale il soggetto pubblico ha la titolarità esclusiva
di una politica pubblica all’interno di un sistema piramidale e gerarchico.
PRESUPPOSTI
Il concetto di governance
Si ha una buona governance quando nella comunità sociale le azioni del governo (come strumento istituzionale) si
integrano con quelle dei cittadini e le sostengono.
La governance si attua con processi di democrazia attiva che catalizzano e facilitano un processo continuo di
empowerrment e cambiamento. Essa si basa sull'integrazione di due ruoli distinti: quello di indirizzo programmatico
(governo) e quello di gestione e fornitura di servizi (strutture operative ed amministrative).
Un governo è strumento di buona governance quando applica principi per il coinvolgimento e la responsabilizzazione dei
cittadini: centralità del cliente-cittadino, capacità di creare visioni condivise sulle prospettive di sviluppo (anticipazione e
gestione proattiva dei cambiamenti), comportamenti amministrativi (missioni) coerenti con tali visioni, definizione di
risultati attesi e gestione snella per realizzarli, apprendimento continuo, apertura al mercato, partecipazione e non
gerarchia, conferimento di responsabilità e potere alle varie componenti del sistema sociale, perseguendo federalismo,
frattalismo, flessibilità ed apertura organizzativa (networking e partnership).
PRESUPPOSTI
Il libro bianco sulla governance Europea
Approvato dalla Commissione Europea il 25/7/2001
Propone una maggiore apertura nel processo di elaborazione delle politiche dell’Unione Europea ai cittadini,
alle istituzioni regionali e locali così da garantire una partecipazione più ampia e politicamente significativa
alla definizione e presentazione delle scelte di fondo, incoraggiando una maggiore apertura e
responsabilizzazione delle parti in causa.
PRESUPPOSTI
I principi della buona governance
 Apertura
capacità di spiegare con linguaggio accessibile e comprensibile ad un pubblico vasto che cosa si fa e in che cosa consistono le
decisioni che si adottano
 Partecipazione
un’ampia partecipazione consente di aumentare la fiducia sul risultato finale di una politica pubblica e sulle istituzioni da cui
una politica emana
 Responsabilità
chiarezza nella distribuzione di ruoli, compiti ed impegni nell’elaborazione ed attuazione delle politiche
 Proporzionalità
la scelta del livello sul quale la politica interviene (sovrazionale, zonale, comunale ecc.) e degli strumenti da utilizzare deve
essere proporzionata agli obiettivi perseguiti
 Sussidiarietà
esperienze innovative di cooperazione finalizzate alla costituzione di reti inter-istituzionali fra soggetti di pari livello istituzionale
(sussidiarietà orizzontale) o di diverso livello istituzionale (sussidiarietà orizzontale)
PRESUPPOSTI
Le specificità della governance locale
In primo luogo, l’Ente che opera a livello locale è quello che, rispetto ad altri, deve tenere conto del maggior
numero di altri livelli istituzionali nazionali e sovranazionali nello svolgimento delle proprie attività, come
prima citato. Esso è, inoltre, l’unico, tra i tanti che operano a livello locale, con una responsabilità politica
sottoposta al livello più contiguo possibile di scrutinio democratico.
La contiguità delle Amministrazioni locali con i cittadini o utenza finale, la pluralità di attori coinvolti dal
processo decisionale locale costituiti dalla società civile nelle sue diverse articolazioni, nonché la loro stessa
natura di erogatori prevalentemente diretti di servizi pubblici, pongono infatti in primo piano, ancor più che
per gli altri livelli istituzionali, il problema della qualità dei servizi e della soddisfazione degli utenti, cittadini
e imprese.
PRESUPPOSTI
Il paradigma dello sviluppo locale
L'espressione sviluppo locale è utilizzata per indicare una grande varietà di posizioni culturali, scientifiche e politiche; una diversità spesso
contraddittoria, di riferimenti teorici e metodologici; una molteplicità di pratiche e di esempi.
Lo sviluppo locale è un aumento qualitativo delle capacità del territorio di agire, reagire, programmare e gestire situazioni complesse. A livello di
popolazione locale lo sviluppo si individua in un aumento delle libertà personali dato dall'aumento della "capacitazione".
Per leggere lo sviluppo locale non possiamo guardare solo ad aspetti come il PIL pro-capite locale o alla crescita delle transazioni economiche, ma
bisogna guardare a complessi aspetti sociali e politici che si sviluppano sul territorio e determinano vantaggi competitivi che il solo mercato non
potrebbe realizzare. Attraverso la cooperazione fra attori e la creazione di reti di attori stabili nel tempo aumenta la capacità di visione e di azione.
"Lo sviluppo locale è dunque un processo di cooperazione e cambiamento [...] finalizzato a produrre beni collettivi locali (infrastrutture e servizi per la
comunità locale), in cui è di fondamentale importanza il ruolo degli attori locali per alimentare una strategia di valorizzazione delle risorse locali" (
Ciapetti, 2010)
Lo sviluppo locale si può generare spontaneamente, o può essere indotto dall'azione degli attori sul territorio: ad esempio esistono agenzie di sviluppo
pubbliche e private che offrono i loro servizi in questo campo.
In Italia lo sviluppo locale è stato promosso anche con le politiche dei Patti Territoriali, i Piani Strategici e altre iniziative di tipo regionale (PIT, POR
ecc.), e viene promosso attualmente attraverso i Gruppi di azione locale (GAL), che è un gruppo composto da soggetti pubblici e privati che elaborano
il piano di azione locale (PAL) e gestiscono i contributi finanziari erogati dall’Unione europea e dai fondi strutturali.
PRESUPPOSTI
Il principio di sussidiarietà
Il principio di sussidiarietà può essere definito come un criterio organizzativo degli enti istituzionali e di allocazione delle competenze in materia di erogazione dei
servizi, finalizzato a consentire il migliore esercizio delle funzioni pubbliche.
Esso viene assunto in una duplice accezione:
 verticale
Riferito all’attribuzione delle funzioni amministrative all’ente territoriale minore, con possibilità di surrogazione da parte degli enti territoriali via via superiori
nel caso in cui le capacità e le risorse dell’ente minore non permettano un pieno, efficace ed efficiente raggiungimento degli scopi prefissati.
 Orizzontale
Riferito a forme di collaborazione fra settore pubblico e settore privato, in base alle quali il primo agevola lo svolgimento di attività di interesse generale da
parte del secondo: ciò avviene essenzialmente su stipulazione di un rapporto convenzionale che provvede a regolare i rapporti fra pubblica amministrazione e
soggetto priva-to che svolge l’attività o eroga il servizio.
Il principio di sussidiarietà orizzontale si connette strettamente con quello di partecipazione. Sebbene si tratti di concetti formalmente distinti, partecipazione e
sussidiarietà sono entrambi riconducibili ai più generali principi di collaborazione e solidarietà. Nel modello della democrazia partecipativa la collaborazione dei
privati si limita al piano dei processi decisionali; nel modello della sussidiarietà la collaborazione si spinge fino al piano dell’attuazione concreta delle decisioni,
grazie alla promozione di forme di empowerment della società civile.
Il principio di sussidiarietà è stato attuato in Italia a partire dalle riforme amministrative degli anni ’90 ed infine sancito nella Carta costituzionale con la riforma del
2001. A livello regionale, esso trova oggi ulteriore riconoscimento nella gran parte degli statuti regionali e della relativa normativa di attuazione
PRESUPPOSTI
Il principio di inclusione
L’inclusione costituisce uno degli aspetti qualificanti della democrazia partecipativa, e consiste nella capacità di far
partecipare tutti coloro sui quali ricadono le conseguenze della decisione.
Il livello di inclusività è destinato ad incidere profondamente sull’efficacia e sugli esiti del processo partecipativo: più esso è
alto più si scongiura il rischio di esclusione di soggetti rilevanti ma con scarso potere di pressione nonché il rischio di
generalizzazione di opinioni non rappresentative ma convergenti con gli obiettivi del decisore tali da ridurre il conflitto
preventivo ma non quello successivo, potenzialmente legato all’ipotesi di intervento pubblico.
Affinché un processo partecipativo sia realmente inclusivo occorre effettuare una preliminare analisi di contesto circa i
soggetti coinvolti (effettivi e potenziali) e i relativi interessi in gioco.
Il criterio di selezione degli attori da includere non può fare riferimento alla giuridicità dell’interesse (che può ancora non
esserci) né alla rappresentatività dei soggetti (che rischia di spostare la partecipazione verso forme di difesa corporativa),
bensì al mero dato oggettivo della esposizione agli effetti della decisione pubblica in virtù del rap-porto che lega i soggetti al
territorio di riferimento
PRESUPPOSTI
Il concetto di capitale sociale
Il concetto di capitale sociale è stato introdotto a partire dagli anni ’80 nell’ambito degli studi che analizzano le dinamiche di
sviluppo della società: esso viene utilizzato per indicare l’insieme dei bagagli relazionali e valoriali che ciascun soggetto
costruisce nel corso della propria esistenza in una determinata società e quindi, più in generale, l’insieme delle relazioni
interpersonali formali ed informali che intercorrono fra gli individui, essenziali per il funzionamento di società complesse ed
altamente organizzate.
Il cuore della teoria del capitale sociale risiede nella constatazione che l’unione di soggetti dal bagaglio valoriale ed
esperienziale diverso rende possibile risolvere problemi collettivi, in quanto facilita l’azione coordinata degli individui e
migliora quindi l’efficienza della società nel suo insieme.
Sul capitale sociale come insieme di beni relazionali prodotti dai processi inclusivi fanno perno i concetti di amministrazione
condivisa e di democrazia partecipativa: lo scambio reciproco di relazioni non basate unicamente sull’utilità individuale può
generare un circolo virtuoso di esperienze, conoscenze e informazioni tale da rendere possibile il raggiungi-mento di scopi
altrimenti non perseguibili a livello individuale.
PRESUPPOSTI
La comunità locale
È un ambito a cui vengono oggi associate caratteristiche e potenzialità di un certo interesse in quanto livello più fertile per la
creazione di senso civico e di cittadinanza attiva. In particolare, la comunità locale è una dimensione che consente l’attivazione di
dinamiche relazionali in grado di conservare e rigenerare il tessuto sociale; che rende maggiormente praticabili processi partecipativi
e di collaborazione fra istituzioni e associazionismo; che può più facilmente innescare programmi di sviluppo locale anche in termini
economici, alimentando un sistema civico contraddistinto da fiducia, tolleranza e solidarietà.
Negli sviluppi più recenti la comunità, in contrapposizione alle grandi entità tradizionali come lo Stato, diventa motore di
sostenibilità.
La democrazia partecipativa ha il ruolo di valorizzare i saperi d’uso e l’intelligenza collettiva, indirizzando il produrre, l’abitare, il
consumare verso forme relazionali, solidali, pattizie e comunitarie, sviluppando reti civiche e forme di autogoverno responsabile
delle comunità locali.
L’individuazione della comunità di riferimento è un problema chiave nella definizione dello statuto giuridico dei beni comuni: la
comunità si definisce in ragione dei legami sociali di solidarietà che esistono o dovrebbero instaurarsi in relazione alla fruizione dei
beni comuni presenti nella comunità stessa; esiste quindi una relazione circolare per cui i primi sono costitutivi della seconda e
viceversa.
PRESUPPOSTI
Il concetto di partecipazione
Riconducibile al novero delle parole-mito, la cui capacità evocativa e simbolica è inversamente proporzionale alla delimitazione concettuale ed
empirica, il termine viene utilizzato per indicare varie forme e vari livelli di coinvolgimento dei membri di una collettività nel governo della
stessa, con possibilità di concorrere a determinare gli obiettivi principali della vita della collettività, il modello di convivenza verso cui tendere,
la destinazione delle risorse e la distribuzione dei costi e dei benefici.
Le modalità di partecipazione al governo della collettività si articolano in livelli di varia intensità, che si differenziano tra di loro per l’incidenza
del ruolo esercitato dai privati nell’ambito dei processi decisionali pubblici. Un elevato grado di partecipazione è tratto caratterizzante della
democrazia, intesa come forma e metodo di governo di collettività di qualsiasi tipo e scala. Scarsi livelli di partecipazione sono indicatori di
marginalità politica, economica e sociale.
Il coinvolgimento della società civile nella costruzione e implementazione delle politiche pubbliche costituisce oggi uno dei tratti fondamentali
della riflessione sulla democratizzazione delle istituzioni e la qualità dei processi decisionali. Il rilancio del tema della partecipazione discende
dalla constatazione che il processo di allargamento della democrazia nella società contemporanea non può avvenire soltanto attraverso
l’integrazione della democrazia rappresentativa con la democrazia diretta ma richiede una più decisa estensione della democratizzazione,
intesa come costante relazionamento delle istituzioni con la società civile. Si parla, in proposito, di democrazia sostanziale e di democrazia
sociale per indicare il passaggio della democrazia dalla sfera strettamente politica alla sfera sociale, ove l’individuo viene preso in
considerazione non soltanto come cittadino bensì nella molteplicità dei suoi status (malato, lavoratore, consumatore, immigrato, ecc.).
Nell’ordinamento italiano il principio di partecipazione trova esplicito riconoscimento nella Costituzione.
PRESUPPOSTI
La democrazia partecipativa
Per democrazia partecipativa si intende un modello in cui la partecipazione è assunta quale metodo di governo della cosa pubblica, in base a criteri di
inclusione, collaborazione e stabilità del confronto fra istituzioni e società civile: in particolare essa si configura come un’interazione entro procedure
pubbliche (amministrative, normative, di controllo) fra società e istituzioni, che mira, mediante forme collaborative di gestione dei conflitti, a produrre di
volta in volta un risultato unitario in funzione del miglior perseguimento dell’interesse generale.
Sebbene le origini della democrazia partecipativa vengano generalmente individuate nel contesto latinoamericano della fine del novecento, in Italia
l’espressione è già utilizzata a partire dalla fine degli anni ’60 per indicare il tipo di democrazia delineata dalla Carta costituzionale: un modello basato
sulla complementarietà degli istituti e delle dinamiche della democrazia rappresentativa, della democrazia diretta e della democrazia partecipativa, tale
da identificare la democrazia proclamata dall’art. 1 della Costituzione con la partecipazione permanente di tutti alla gestione della cosa pubblica.
Il modello su cui si basa la democrazia partecipativa non è quello della delega del potere né quello del suo esercizio esclusivo bensì quello della
collaborazione; l’obiettivo non è la rivendicazione del potere bensì un relazionamento costante fra soggetti pubblici e società civile, che dovrebbe
caratterizzare l’intero processo decisionale (programmazione, progettazione e analisi ex ante, attuazione e implementazione, valutazione dei risultati).
Sul piano dell’assetto politico-istituzionale la democrazia partecipativa deve tradursi in regole organizzative e procedurali, al fine di garantire la
correttezza ed efficacia dei processi partecipativi attivati e il soddisfacimento dei diritti di partecipazione dei soggetti coinvolti. La scarsa efficacia di
molte esperienze partecipative dipende ancora oggi, principalmente, dalla assenza di regole e di garanzie adeguate, ossia dalla scarsa percezione della
partecipazione quale oggetto e obiettivo di una politica pubblica ad hoc oltre che fase accessoria delle politiche di settore.
PRESUPPOSTI
Concertazione e partecipazione
Con il termine concertazione ci si riferisce ad una pratica di governo basata sul confronto e la partecipazione alle decisioni politiche
da parte delle organizzazioni rappresentative di interessi.
È un possibile livello di partecipazione basato sul confronto negoziale e la ricerca di accordi, rispetto ai quali le parti contraenti si
impegnano ad uniformare le scelte e i comportamenti di propria competenza. Mira a creare forme di partenariato stabile fra
istituzioni e stakeholder, attivando il confronto fra soggetti istituzionali, autonomie funzionali e soggetti privati per individuare
soluzioni a problemi generali o settoriali.
Pur trattandosi di una forma di partecipazione, la concertazione si differenzia dagli istituti della democrazia partecipativa
strettamente intesa:
 essa non ha scopo conoscitivo bensì politico, in quanto mira a consentire forme di mediazione sul contenuto della decisione;
 non è inclusiva, poiché si rivolge a categorie e gruppi sociali precostituiti;
 non riguarda l’intero processo decisionale ma si esaurisce nella fase iniziale dello stesso;
 non mira alla rilevazione del più ampio quadro di opinioni e informazioni in vista del soddisfacimento dell’interesse generale
bensì alla conciliazione di interessi antagonisti.
PRESUPPOSTI
La deliberazione pubblica
Il tema della deliberazione pubblica, strettamente connesso a quello delle arene deliberative, costituisce uno dei profili più
innovativi degli studi di scienza politica dell’ultimo ventennio.
Il significato del termine deliberazione, che nella lingua italiana richiama prettamente, ma erroneamente, l’idea di decisione,
deve ricercarsi nel lessico anglosassone, ove il verbo to deliberate viene utilizzato ponendo in risalto l’aspetto partecipativo
e consensuale rispetto al momento della mera decisione: quest’ultima, singola tappa di un processo più ampio, si qualifica
per il carattere dialogico del confronto.
In questi termini il valore della deliberazione sta nella comunicazione deliberativa caratterizzata da reciprocità, sincerità,
rispetto, finalità di mutua comprensione. Tale rilettura del concetto di deliberazione intende superare i limiti derivanti dalla
chiusura verso gli attori sociali, tipica del processo decisionale rappresentativo: le sperimentazioni di democrazia
deliberativa, diffusesi a partire dai paesi di cultura anglosassone e tedesca, rifiutano un modello decisionale standard,
valorizzando piuttosto l’elasticità e la duttilità del processo al fine di plasmarne le fasi e le tecniche sull’obiettivo da
raggiungere e sui bisogni da soddisfare.
PRESUPPOSTI
La democrazia deliberativa
Nell’ambito delle teorie che si rifanno alla partecipazione quale principio e metodo di governo delle democrazie complesse,
la teoria della democrazia deliberativa si basa specificamente sul carattere inclusivo e deliberativo dei processi decisionali: il
primo elemento assicura che tutti i soggetti potenzialmente interessati all’oggetto della deliberazione possano esservi
coinvolti; il secondo richiama il concetto di consenso razionale, quale esito di un processo deliberativo basato sullo scambio
di informazioni e di argomenti confortati da ragioni. Il metodo della democrazia deliberativa non si rifà al conteggio dei voti
tra posizioni precostituite, come nel principio di maggioranza, né alla negoziazione tra interessi dati, bensì alla discussione
basata su argomenti razionali tra tutti i soggetti coinvolti nell’arena deliberativa su un tema specifico.
Nell’interpretazione dominante la teoria della democrazia deliberativa, diffusasi a partire dal mondo anglo-americano della
seconda metà del secolo scorso, viene intesa come una forma di democrazia partecipativa, ma caratterizzata da un
perimetro più definito e circoscritto: in base al luogo in cui essa viene realizzata si distingue fra democrazia deliberativa a
forte istituzionalizzazione (le c.d. arene deliberative, dove i partecipanti si incontrano consapevoli di contribuire a quel
processo decisionale) e democrazia deliberativa a debole istituzionalizzazione (forme di relazione in contesti istituzionali non
specificamente dedicati).
PRESUPPOSTI
Le politiche pubbliche
Sistemi articolati e coerenti di scelte e di azioni condotte dal decisore pubblico, nella forma di atti normativi e/o provvedimenti amministrativi,
al fine di fornire una risposta efficace a problemi di rilevanza pubblica e/o collettiva.
La partecipazione alle politiche pubbliche, che può articolarsi in una molteplicità di forme e di fasi con finalità parzialmente diverse,
rappresenta il cuore della democrazia partecipativa, in quanto condizione della qualità e dell’efficacia dei relativi processi decisionali. Sotto
questo profilo, le politiche pubbliche possono definirsi come configurazioni istituzionalizzate di problemi, soluzioni, attori, partecipanti e
destinatari, nell’ambito delle quali l’innesto di processi partecipativi è reso necessario dalla crescente complessità e trasversalità delle
politiche stesse, considerando che:
 la legislazione è complicata dalle grandi trasformazioni nell’economia e nei rapporti tra pubblico e privato;
 le politiche non sono più riconducibili ad un unico attore istituzionale e presuppongono l’intervento di un insieme disparato di soggetti
pubblici e privati;
 il coinvolgimento di settori differenziati rende multiforme l’attività di individuazione dei bisogni e perciò determinante l’utilizzo delle
competenze esperienziali dei destinatari.
A livello regionale si registra una tendenza crescente a riconoscere la funzionalità della partecipazione rispetto all’efficacia delle politiche
pubbliche: molte leggi esplicitamente assumono la partecipazione come “metodo di relazione” o “criterio generale di sviluppo dei processi
decisionali”, o ancora come “strumento strategico per il governo” del settore, precisando come la stessa debba contraddistinguere le fasi
della programmazione, della attuazione e della valutazione degli effetti delle politiche.
PRESUPPOSTI
Le politiche partecipative
Possono intendersi come un metodo per decidere, attuare e valutare le politiche pubbliche, volto ad assicurare il carattere
inclusivo dei relativi processi decisionali: in questo caso la partecipazione viene in rilievo come strumento di governo delle
politiche di settore.
Possono anche intendersi come politiche pubbliche ad hoc, aventi come oggetto e obiettivo specifici la promozione della
partecipazione attraverso interventi mirati di tipo incentivante: in questo caso i settori di intervento sono generalmente
quelli della educazione alla cittadinanza, della formazione, dell’empowerment, della informazione e della comunicazione
pubblica.
Gli strumenti utilizzati in questi ambiti mirano a diffondere la conoscenza e la sperimentazione concreta delle tecniche
partecipative (es. laboratori, scuole di cittadinanza, ecc.).
PRESUPPOSTI
La partecipazione istituzionale
Coinvolgimento di soggetti di tipo istituzionale nei processi decisionali sottostanti le politiche pubbliche, realizzato secondo le logiche e
mediante gli strumenti della democrazia partecipativa.
Costituisce una forma di concretizzazione della teoria del federalismo cooperativo nonché del principio costituzionale di leale
collaborazione, che ha trovato esplicito riconoscimento in alcune regole finalizzate ad ispirare i reciproci rapporti tra stato, regioni, città
metropolitane, province e comuni.
La promozione di un agire congiunto fra istituzioni distinte, imposta dalla crescente pluralità degli attori istituzionali coinvolti nelle
politiche e dalla conseguente integrazione delle rispettive competenze, è funzionale ai principi di efficienza ed efficacia dell’azione
pubblica.
Principale strumento di partecipazione istituzionale è l’intesa, che tuttavia non costituisce l’unica forma possibile di raccordo. Il
protocollo d’intesa è strumento che si presta particolarmente a disciplinare i rapporti fra regione ed enti locali nell’attuazione di processi
partecipativi.
Nelle regioni che hanno adottato un’apposita normativa il ricorso al protocollo fa sì che gli enti locali siano indotti ad adeguarsi ad essa
pur mantenendo la propria autonomia organizzativa: in tale ambito esso è infatti associato alla previsione di incentivi, ai quali gli enti
locali possono accedere solo ove si impegnino ad adottare gli strumenti partecipativi previsti dalla normativa regionale. Questo modello
è stato adottato, ad esempio, dalla legge della Toscana sulla partecipazione e dalla legge del Lazio sul bilancio partecipativo.
PRESUPPOSTI
L’amministrazione condivisa
Modello di azione amministrativa che intende contrapporsi a quello tradizionale dell’amministrazione quale esercizio di un potere impositivo e
unilaterale, messo in discussione con la progressiva apertura del procedimento amministrativo (diritto di accesso, partecipazione al procedimento,
comunicazione pubblica, ecc.).
Il modello dell’amministrazione condivisa si fonda su una visione sostanzialmente paritaria del rapporto fra decisore e cittadino, pur nel
riconoscimento di compiti e responsabilità distinte, e sulla valorizzazione di strumenti di dialogo e collaborazione. Il dialogo e l’aspetto
comunicativo trovano riferimento nella disciplina delle attività di informazione e comunicazione pubblica.
L’aspetto più propriamente collaborativo trova fondamento nella teoria della amministrazione catalitica elaborata negli anni ’90: l’amministrazione
post-burocratica deve agire come una sorta di catalizzatore, non prendendo le decisioni in prima persona ma cercando di prenderle con altri o di
farle prendere da altri, ossia stimolando la partecipazione, l’iniziativa e la responsabilizzazione della società civile.
Questa prassi dell’amministrare può realizzarsi per iniziativa dell’amministrazione oppure dei cittadini:
 nella prima ipotesi è l’amministrazione che sollecita i cittadini ad affrontare insieme un problema di interesse generale, cui l’amministrazione
da sola non può dare soluzione oppure cui può dare una soluzione migliore alleandosi con i cittadini (v. ad es. la raccolta differenziata dei
rifiuti urbani);
 nella seconda ipotesi sono i cittadini che autonomamente si propongono all’amministrazione come alleati per perseguire insieme l’interesse
generale (v. ad es. le associazioni di volontariato che prestano servizi di carattere socio-sanitario). Tale seconda modalità trova oggi un
fondamento costituzionale esplicito nel principio di sussidiarietà orizzontale.
PRESUPPOSTI
La comunicazione pubblica
Con l’espressione comunicazione pubblica ci si riferisce ai contesto e agli strumenti che permettono ai diversi attori che intervengono nella sfera
pubblica di entrare in relazione tra loro e di confrontare punti di vista e valori per concorrere al comune obiettivo di realizzare l’interesse della
collettività.
Al pari dell’informazione pubblica, essa è ormai considerata una vera e propria funzione dei soggetti pubblici. A seconda dei soggetti che la attivano,
degli oggetti dei quali si occupa e delle finalità specifiche che si pone, la comunicazione pubblica può declinarsi in:
 comunicazione istituzionale
proviene dalle istituzioni pubbliche ed è finalizzata a renderne note le attività e le funzioni, a sostenerne l’identità e il punto di vista;
 comunicazione sociale
proviene da soggetti, pubblici o privati, che svolgano attività di interesse generale ed è incentrata su problematiche di carattere sociale;
 comunicazione politica
proviene istituzioni pubbliche e partiti politici ed è incentrata su argomenti controversi rispetto a cui si sostengono specifici punti di vista.
Nella prospettiva della democrazia partecipativa, la comunicazione istituzionale e la comunicazione sociale assumono rilievo in quanto precondizioni,
ossia strumenti preliminari indispensabili per consentire una effettiva partecipazione. Esse mirano infatti a realizzare forme di interlocuzione stabile fra le
istituzioni e i soggetti della società civile, volte a consentire l’ascolto dei cittadini e a sollecitare la loro partecipazione alle scelte che orientano le
politiche pubbliche.
PRESUPPOSTI
La facilitazione
La facilitazione di gruppo è un processo in cui una persona, unanimemente selezionata da tutti i membri del gruppo in quanto
neutrale e priva di autorità decisionale sulle questioni da trattare, conduce un’analisi ed interviene per aiutare il gruppo a migliorare
il modo in cui si identificano e risolvono i problemi, e si prendono le decisioni in modalità condivisa ed inclusiva.
Riguarda una serie di comportamenti finalizzati a migliorare il lavoro di gruppo in termini di efficacia sul piano dei contenuti,
soddisfazione sul piano delle relazioni, coerenza con i valori e le finalità delle persone che lo costituiscono; è quindi molto utile nei
contesti in cui una pluralità di attori è chiamata ad esplicitare opinioni, suggerimenti, proposte in merito ad un argomento.
In genere la facilitazione è attuata da una precisa figura, il facilitatore; ma a volte, nei gruppi che hanno esperienza, tale funzione
può essere attuata contemporaneamente, e secondo una prestabilita dinamica, da diversi membri interni al gruppo, o anche da tutti
i membri.
Esistono numerose tecniche di facilitazione, che è necessario adattare al contesto di riferimento, al livello di partecipazione che si
intende attivare, agli obiettivi da raggiungere. Tali tecniche devono essere inserite all’interno di un percorso, che per essere efficace
non può esaurirsi in un singolo incontro e deve curare nel dettaglio anche le fasi di analisi dei presupposti e di restituzione degli
esiti.
PRESUPPOSTI
Scala della partecipazione
PRESUPPOSTI
La consultazione
La consultazione rappresenta il livello di partecipazione in cui gli attori sono ascoltati e dovrebbero avere l’opportunità di influenzare le decisioni, tramite
le informazioni e le opinioni che forniscono. Essa consiste in una rilevazione metodologicamente rigorosa delle percezioni e delle valutazioni dei
destinatari degli interventi ipotizzati, circa le esigenze rilevanti e la natura, l’entità e la distribuzione socio-temporale e spaziale degli effetti della
decisione stessa, con particolare riferimento ai costi e ai benefici attesi.
In quanto istituto tipico di democrazia partecipativa, la consultazione deve :
 coinvolgere un ventaglio ampio e differenziato di soggetti, da individuare di volta in volta ad opera dell’istituzione procedente, in relazione
all’oggetto e alla complessità dell’intervento e alle diverse categorie di destinatari;
 caratterizzare l’intero processo decisionale, attraverso strumenti che assicurino un percorso circolare e progressivo delle informazioni, sia nella fase
ex ante del processo decisionale che in quella ex post di attuazione e valutazione degli effetti prodotti.
La consultazione diventa efficace se chi amministra con l’intenzione di promuovere politiche pubbliche di qualità ne utilizza le procedure per mirare alla
costruzione di processi decisionali realmente inclusivi, apprestando allo stesso tempo garanzie per assicurare un’adeguata considerazione dei risultati
della partecipazione.
Essa può sconfinare in dinamiche di tipo concertativo che, in quanto non inclusive, non consentono a ciascun soggetto interessato di contribuire alla
decisione arricchendo le informazioni utili alla valutazione, esprimendo il proprio punto di vista e proponendo idee per lo sviluppo di obiettivi e
alternative. Per altro verso, la consultazione può limitarsi all’indagine sistematica sulle esigenze dei cittadini (sondaggi, questionari, interviste, ecc.) e
all’ascolto passivo delle opinioni e delle proposte espresse (pubbliche audizioni, forum, consulte, ecc.); tali attività non assicurano però che le
preoccupazioni e le idee delle persone vengano prese in considerazione.
PRESUPPOSTI
La cooperazione
Nella sua forma originaria la cooperazione è una forma organizzata di solidarietà fra gli individui, basata sulla naturale
propensione dell’uomo ad associarsi per affrontare le difficoltà e gli ostacoli comuni.
La cooperazione può fornire importanti presupposti per la realizzazione di fini tipici della democrazia partecipativa: in
particolare per ciò che concerne le modalità di implementazione di determinati progetti e di attuazione del principio di
sussidiarietà, che richiedono di ampliare il bacino degli attori coinvolti, concepiti come parte fondamentale di un processo
decisionale e come soggetti meritevoli di inclusione sociale.
La Costituzione italiana fa riferimento alla cooperazione all’art. 45, ove afferma che «La Repubblica riconosce la funzione
sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata».
Tale principio pone la base anche per caratteristiche fondamentali delle imprese cooperative in relazione agli scopi per cui
nascono: capacità di offrire beni e servizi a costi più vantaggiosi di quelli di mercato; possibilità per chiunque lo voglia di
aderire ad una data cooperativa; possibilità di fruire dei servizi.
PRESUPPOSTI
La capacitazione
Il termine (dall’inglese capability, trad. lett. “qualità di essere capace”) viene utilizzato per indicare una sorta di “abilità di fare cose”. Esso si è
diffuso in particolare nell’ambito della riflessione sulla sostenibilità dei modelli di sviluppo locale, basata sulla valorizzazione dei c.d. saperi
d’uso e sulla costruzione di competenza: attraverso la cooperazione fra diversi attori e la creazione di opportunità e di network stabili nel
tempo aumenta la capacità di visione e azione del singolo e della comunità di riferimento.
L’utilizzo del termine capacitazione intende superare il riferimento alle capacità umane in senso stretto (in inglese abilities), richiamando
piuttosto l’idea delle capabilities, ovvero le capacità che la società può valorizzare e incrementare nell’individuo grazie a politiche pubbliche di
tipo abilitante (empowerment).
Il concetto di capacitazione assume un rilievo centrale nel modello della democrazia partecipativa, poiché ne sviluppa i caratteri di inclusività,
collaborazione, solidarietà ed eguaglianza sostanziale. In particolare, esso intende smascherare l’ambiguità che il termine libertà ha assunto
nelle democrazia contemporanee, ove gli individui possono trovarsi in situazioni di apparente libertà complessiva (nei paesi industrializzati
generalmente nessuno proibisce di fare alcunché, purché nell’ambito della legalità), ma non per questo vivere una condizione di piena
libertà: il paradosso delle democrazie contemporanee è, infatti, che gli individui vengono apparentemente lasciati liberi di agire, ma in realtà
essi versano in una condizione di estrema sprovvedutezza circa la propria capacità di scegliere sulla base di una volontà liberamente formata
e quindi di partecipare criticamente al processo di adozione delle scelte che li riguardano.
OBIETTIVI
Lo sviluppo di una visione e progettualità condivise
L’attivazione di un processo di governance locale partecipata mira alla creazione di un apposito setting
organizzativo volto allo sviluppo di una visione condivisa tra cittadini e portatori di interesse rispetto alle
politiche e progetti locali da realizzare, in modo che l’intervento possa rispondere al meglio alle esigenze del
territorio e dunque contribuire a migliorare la vita dei suoi cittadini.
Il percorso partecipativo mira inoltre a favorire il consolidamento delle reti sociali, incrementare il senso di
appartenenza dei cittadini alla propria comunità e di responsabilità rispetto alle sue trasformazioni.
OBIETTIVI
Lo sviluppo di una comunità competente
In tal senso l’adozione di un modello di governance locale partecipata consente di promuovere lo sviluppo di
una comunità consapevole dei propri bisogni e delle proprie risorse, in grado di ampliare gli spazi di
confronto, partecipazione, progettualità nel rispetto delle differenze e delle caratteristiche proprie dei soggetti
e delle istituzioni che vivono al suo interno.
I gruppi sociali possiedono le competenze e la motivazione per intraprendere attività volte al miglioramento
delle condizioni di vita.
OBIETTIVI
Questi obiettivi si possono declinare in tre macro-aree
Aumentare la qualità delle
decisioni
 Conoscenza, competenze ed
esperienza
 Affrontare la complessità
 Apprendimento reciproco
 Individuazione immediata di
conflittualità
 Valorizzazione della diversità
e della multi-settorialità
Democratizzare il processo
decisionale
 Governance orizzontale
 Orientare e non subire i cambiamenti
(sociali, ambientali, tecnologici, ecc.)
 Rappresentatività di opinioni e valori
 Fiducia verso i decisori
 Desiderio di intervenire in prima
persona
 Evitare le controversie a posteriori
Costruire coesione sociale
 Condivisione di valori
 Capitale sociale
 Senso di appartenenza
 Co-responsabilità
 Creazione di network
collaborativi, informativi e
fiduciari
 Raggiungimento del consenso
METODOLOGIA
Precondizioni della partecipazione
Oltre che dalla qualità dei processi decisionali, volte ad analizzare l’opportunità e l’adeguatezza delle soluzioni prescelte,
l’efficacia delle politiche pubbliche in generale, e delle politiche partecipative in particolare, dipende anche da un insieme di
condizioni esterne, riguardanti non l’oggetto delle politiche strettamente inteso, bensì il contesto in cui queste si calano.
A tal fine non basta soffermarsi sul processo decisionale in senso stretto, che dovrà comunque rispettare i canoni della
democrazia partecipativa, ma occorre cogliere l’apporto specifico derivante da strumenti e attività ulteriori, quali:
 informazione pubblica e comunicazione pubblica, senza le quali verrebbe meno la possibilità per le istituzioni di
interagire con i destinatari delle politiche;
 sensibilizzazione, ovvero attività volta alla capacitazione e all’empowerment della società civile;
 educazione alla cittadinanza e formazione, per la creazione di competenze funzionali alle esigenze ed alle sfide posti
dall’attuazione di interventi pubblici di qualità;
 alfabetizzazione informatica, per garantire l'accesso alle nuove tecnologie ed il superamento del divario digitale
METODOLOGIA
L’approccio bottom up
Bottom up e top down sono espressioni spesso usate per distinguere i metodi, gli interessi, le attività della comunità
(bottom up) da quelli di governo (top down). Un efficace processo partecipativo richiede entrambi.
Nella modalità bottom up un percorso di auto-organizzazione dal basso cresce fino a coinvolgere uno o più livelli
istituzionali, e ai partecipanti è offerta la possibilità di diventare protagonisti: proponendo i temi da mettere in agenda,
influendo sull’esito del processo, assumendo ruoli deliberativi.
Nella modalità top down l’iniziativa parte dal versante istituzionale per coinvolgere i cittadini e la società civile: il principale
rischio connesso a questa modalità è che il coinvolgimento dei cittadini si risolva in mere azioni informative o di ricerca del
consenso, mentre sarebbe necessario che le istituzioni e le amministrazioni locali riconoscessero effettivamente il valore
democratico e propositivo della partecipazione.
METODOLOGIA
L’individuazione del problema
Nei processi partecipativi la precoce individuazione dei problemi costituisce uno stimolo alla riflessione e alla
più efficace gestione del percorso.
I problemi si identificano con gli ostacoli, i costi, i conflitti, le incertezze che rendono difficile stabilire cosa
fare.
Difficilmente si riuscirà a trovare una soluzione adeguata se non si sta affrontando il problema giusto; è
pertanto cruciale continuare a chiedersi “È davvero questo il problema?”.
METODOLOGIA
La logica del processo
Si intende per processo un’attività o serie di attività che trasforma, conferendo valore, determinati input in
altrettanti output; ha un punto di inizio e un punto di fine, e comprende attività interfunzionali che utilizzano
risorse e generano valore aggiunto.
Pianificare e gestire un processo partecipativo implica conoscere le caratteristiche e le priorità degli attori
locali, sviluppare capacità di negoziazione e decisione, imparare ad approfittare degli eventi imprevisti,
ammettere flessibilità e riorientamento del progetto, apprendere strada facendo.
Non vanno tralasciati gli aspetti ed i vincoli quantitativi in termini di tempo, costi, risultati.
METODOLOGIA
Il processo decisionale
Deve intendersi come un processo circolare che include l’insieme delle decisioni finalizzate al governo delle politiche pubbliche.
Durante la prima fase vengono formulate, presentate, prese in esame e messe a confronto le diverse opzioni possibili, ma anche
interessi, strategie, progetti e idee. In questa fase la decisione coincide con lo scioglimento della riserva a favore di una di queste
opzioni, con conseguente conversione delle incertezze in certezza, tanto per i decisori quanto per i destinatari delle politiche.
Decidendo si seleziona una specifica versione della realtà che da quel momento in avanti si vuole realizzare, escludendo tutte le
altre soluzioni possibili, e quindi scartando ed accantonando le opzioni alternative che da queste ultime deriverebbero.
Per la delicatezza ed il rilievo di tale compito, non si può prescindere dall’utilizzo di ampi strumenti di analisi, valutazione e
consultazione, capaci di contribuire alla selezione di opzioni di qualità entro le quali operare la scelta ottimale inerente la politica in
gioco.
Il processo decisionale non dovrebbe peraltro arrestarsi alla scelta delle opzioni in campo: esso dovrebbe proseguire in una ulteriore
fase di valutazione degli effetti prodotti dall’intervento. In un circolo decisionale virtuoso gli esiti di questa seconda fase dovrebbero
a loro volta essere considerati quali elementi su cui fondare le decisioni di un eventuale successivo processo decisionale, volto ad
affrontare le problematiche emerse nell’attuazione della soluzione inizialmente prescelta.
METODOLOGIA
La progettazione partecipata
È una forma di progettazione che implica la considerazione di più punti di vista al fine di individuare la migliore soluzione possibile in
termini di piani, progetti e strategie.
Adottare tale approccio sin dalle prime fasi del processo di pianificazione significa chiedersi con chi, che cosa e perché si intenda
partecipare una decisione: ciò consente di identificare i limiti di processo, i presupposti per un percorso coerente ed efficace, gli
strumenti utili alla valutazione degli esiti.
Far interagire differenti capacità, competenze ed esperienze aiuta a rendere più gestibile la complessità sociale, se il riconoscimento
della diversità diviene pratica e il sapere diffuso diviene risorsa, all’interno di una prospettiva in cui tutti sono messi in condizione di
occuparsi del bene comune; l’intelligenza collettiva è, infatti, allenamento all’esercizio continuo di cittadinanza e sovranità. In un
contesto di questo tipo le posizioni contrastanti possono orientarsi verso interessi condivisi, e le idee di ciascuno possono comunque
essere espresse.
Progettare in maniera partecipata consente di creare condizioni di inclusione, le quali generano riconoscimento e senso di
responsabilità.
La cura del come si decide migliora la qualità del cosa si decide.
Riconoscere ai singoli un naturale diritto di ascolto consente di far emergere bisogni e punti di vista sommersi o meno rappresentati.
METODOLOGIA
Gli interessi delle parti
Caratteristica e problema comune dei processi decisionali è quello di non fermarsi al confronto delle posizioni
che le parti hanno deciso di rivendicare bensì di concentrarsi sui loro interessi, ossia su ciò che ha spinto le
parti ad assumere una determinata posizione.
Confrontarsi sulle posizioni può essere sufficiente quando si opera all’interno di sistemi semplici, ma nei
sistemi complessi è necessario aprire un dialogo sugli interessi.
Si tratta di una ricerca molto creativa, poiché per ogni interesse vi è di solito una molteplicità di posizioni
possibili, fra cui anche quella suscettibile di soddisfare tutti.
METODOLOGIA
La logica del progetto
Sforzo complesso, generalmente di durata inferiore ai tre anni, comportante compiti interrelati eseguiti da
varie organizzazioni, con obiettivi, schedulazioni e budget ben definiti.
Può essere pianificato, gestito, monitorato e valutato in modalità partecipata.
Comunicare lo stato di avanzamento e/o gli esiti di un progetto non significa attivare processi partecipativi.
METODOLOGIA
La logica del Project Cycle Management (PCM)
Insieme di strumenti e metodologie di gestione dei progetti integrati e multi-attore adottato nel 1992 dalla Commissione
Europea e riconosciuto come buona pratica internazionale.
La sequenza delle fasi di preparazione e realizzazione dei progetti è stata definita Ciclo del Progetto: comincia con
l’identificazione di un’idea da sviluppare in un piano di lavoro che possa essere realizzato e valutato; le possibili idee-
progetto sono individuate nel contesto di una strategia concordata tra le parti coinvolte; tutti gli attori coinvolti nel processo
sono consultati e le informazioni pertinenti rese disponibili, cosicché decisioni fondate possano essere prese nelle fasi chiave
della vita di un progetto.
È basato sul Logical Framework Approach e finalizzato a migliorare la qualità degli interventi in termini di rilevanza,
fattibilità ed efficacia rispetto alle politiche di contesto, utilizzando criteri e standard di valutazione della qualità dell’idea di
progetto, promuovendo approcci partecipativi, includendo l’analisi del rischio.
Partecipazione e owner-ship da parte dei beneficiari sono fattori di qualità determinanti.
METODOLOGIA
Regole sulla partecipazione
Uno dei principali ostacoli alla efficacia dei processi partecipativi risiede nella diffusa convinzione che tali processi non richiedano
specifiche previsioni normative ma, al contrario, debbano essere lasciati alla libera iniziativa dei vari attori: ciò al fine di non
ingessare entro schemi predefiniti le pluriformi dinamiche di confronto che possono attivarsi fra istituzioni e società civile.
In effetti, vi sono aspetti dei processi partecipativi per i quali non sono formalmente necessarie discipline giuridiche in senso stretto,
come la scelta dei soggetti da coinvolgere, delle fasi nelle quali attivare la partecipazione, delle tecniche di ascolto da utilizzare:
questi aspetti riguardano elementi che devono essere valutati caso per caso, sulla base delle specificità dell’intervento di cui si
discute.
La necessità di regolare giuridicamente gli istituti partecipativi attiene piuttosto alle precondizioni, ai livelli essenziali, alle procedure
e alle garanzie della partecipazione, condizioni di effettività del principio di partecipazione di cui all’art. 3, co. 2, Costituzione.
Il fatto che la democrazia partecipativa, diversamente da quella rappresentativa e da quella diretta, faccia riferimento ad una
pluralità di forme non predeterminate dalla Costituzione, non ne attenua il rapporto con le garanzie ma anzi rafforza la necessità di
regole per assicurarle: in quanto espressione di sovranità popolare esercitata in ausilio degli organi rappresentativi, la partecipazione
può infatti risultare utile ed efficace solo grazie alla previsione di apposite regole che, pur lasciando flessibili gli strumenti,
istituzionalizzino il metodo.
METODOLOGIA
Action planning
Con l’espressione action planning ci si riferisce al processo di pianificazione degli adempimenti che occorre
assicurare allorché si voglia progettare un percorso partecipativo: una volta definita la cornice strategica di un
intervento, esso aiuta a decidere quali passi è necessario intraprendere per raggiungere gli obiettivi condivisi,
indicando le scadenze, individuando i responsabili dei compiti da svolgere, stabilendo le risorse.
È opportuno attivare l’action planning una volta definiti gli aspetti legati alla pianificazione strategica.
METODOLOGIA
Pianificazione, programmazione e progettazione
Sebbene i concetti di pianificazione, programmazione e progettazione siano spesso usati come sinonimi, essi
si caratterizzano per il grado di dettaglio e la logica di operatività (crescenti da pianificazione a progettazione)
e per la visione d’insieme e l’organicità rispetto ai grandi obiettivi (decrescenti).
In ambito partecipativo è importante coniugare l’ottica progettuale, finalizzata al raggiungimento di obiettivi
misurabili entro termini dati, con l’ottica di processo, centrata sulla conoscenza delle esigenze e delle priorità
degli stakeholder coinvolti.
METODOLOGIA
Piano
Nello standard internazionale adottato dal Project Management Institute il piano di progetto o project plan si
colloca nella prima fase di pianificazione e costituisce il momento fondamentale in cui il progetto prende
forma.
Sostanzialmente esso è un documento ufficiale, soggetto ad approvazioni, con il quale si descrivono gli
obiettivi di progetto e gli elementi necessari per il loro raggiungimento.
METODOLOGIA
Il piano d’azione
Dall’inglese action plan, esso fornisce risposte alla domanda “Che cosa facciamo adesso?”.
Consiste in una lista di cose da fare con indicazione di chi se ne farà carico ed entro quali termini.
Nel corso di una processo partecipativo il piano d’azione dovrebbe essere il risultato di workshop o altre
riunioni dedicate.
METODOLOGIA
Il piano di consultazione
Nessuna metodologia di consultazione può considerarsi valida in assoluto, ed il processo che si intende mettere in atto va
strutturato in modo coerente e chiaro.
Elaborare un piano di gestione della consultazione, nel quale rendere noti le finalità, i metodi e i tempi dell’indagine, nonché
l’elenco dei soggetti destinatari ma anche dei referenti e dei responsabili istituzionali che gestiscono e monitorano il
processo, può aiutare a risolvere alcune criticità delle pratiche partecipative in uso
Al fine di minimizzare tali punti di debolezza, gli studiosi della materia già da tempo propongono di considerare e
distinguere fattori variabili e fattori costanti della consultazione: i primi si riferiscono alle fasi, ai soggetti e alle tecniche,
necessariamente flessibili in relazione alle specificità della regolazione proposta; i secondi rappresentano i principi-guida da
seguire nell’impostazione di un disegno organizzativo sistematico, coerente, in grado di produrre risultati empiricamente
fondati, cioè attendibili e controllabili.
Tali fattori costanti devono essere individuati nella programmazione e coerenza del percorso di consultazione, nella
proporzionalità delle risorse messe in campo, nella tempestività di attivazione e nella pubblicità da dare ai risultati.
METODOLOGIA
I limiti del processo
Quando si decide di attivare un processo partecipativo occorre innanzitutto definirne i limiti. Questi si
individuano analizzando il contesto di riferimento ed il tempo a disposizione, focalizzando che cosa si intende
partecipare, ragionando su come si intende procedere e facendo una ricognizione di chi si vorrebbe
coinvolgere.
I limiti vanno definiti nella fase preparatoria del percorso, durante la quale occorre chiarire quali sono le
risorse attivabili, come si intende monitorare le attività e valutare gli esiti.
È importante esplicitare e condividere le finalità del processo partecipativo; eventuali limitazioni possono
facilmente essere accettate se poste apertamente e onestamente, più di quanto lo siano aspettative tradite o
strumentalizzazioni svelate.
Confrontarsi sui limiti di contesto e di processo offre l’opportunità di decidere se mettersi in gioco e
confrontarsi, o procedere altrimenti.
METODOLOGIA
Limiti temporali del processo
La previsione di limiti di tempo ragionevoli è fra i requisiti minimi previsti dalla Commissione europea sin dal
2002 per migliorare la qualità del processo di consultazione delle parti interessate.
La regola principale è lasciare tempo sufficiente ai partecipanti alle consultazioni per prepararsi e pianificare i
loro contributi.
Nel fissare la durata delle consultazioni occorrerebbe mantenere un equilibrio ragionevole tra la necessità di
permettere l’elaborazione di contributi sufficientemente completi e quella di decidere in tempi brevi.
Nel pianificare i tempi della consultazione va considerato che i cittadini e le parti interessate devono essere
messi in condizione di elaborare contributi.
La Commissione europea considera ragionevole un tempo minimo di dodici settimane.
METODOLOGIA
I livelli di partecipazione
I livelli di partecipazione sono i diversi gradi di coinvolgimento proposto da chiunque stia avviando o gestendo un processo
partecipativo.
Le scale utilizzate come riferimento teorico e pratico sono molteplici, e quella presentata da Sherry Arnstein nel 1969 è tra
le più conosciute:
 manipolazione, terapia, informazione sono considerati “Non Partecipazione”;
 consultazione, rassicurazione, partenariato sono considerate “Tokenismo”;
 potere delegato e controllo da parte dei cittadini rappresentano forme di “Potere dei cittadini”.
A seconda del livello in cui ci si posiziona (es. informazione, consultazione, progettazione partecipata, empowerment, in una
scala a quattro livelli) vanno utilizzati specifici metodi di lavoro.
Nessuno livello è necessariamente migliore di un altro, dato che ciascuno può essere appropriato alle circostanze in cui ci si
trova ad operare; occorre però tenere presente che ciascun livello rappresenta diversi equilibri di controllo tra i diversi
interessi in gioco.
METODOLOGIA
La logica delle opzioni
L’assunto che “non c’è alternativa” è raramente vero. Le opzioni sono i diversi modi in cui è possibile
realizzare ciò che soddisfa gli interessi degli attori in campo, a patto che si sia disponibili ad individuare
soluzioni condivise ai problemi che si stanno affrontando.
Nei processi decisionali multi-attore capita spesso di dover scegliere nell’ambito di una serie di opzioni
predefinite, alternative tra di loro: se tali processi intendono essere inclusivi occorre ragionare insieme sui
criteri di scelta delle opzioni, piuttosto che sulle singole alternative.
METODOLOGIA
Gli ostacoli alla partecipazione
Nella costruzione di pratiche partecipative, ed ancor prima nella loro regolamentazione, le amministrazioni dovrebbero tenere adeguatamente
conto degli elementi che maggiormente ostacolano il consolidamento della cultura partecipativa e la concretezza dei relativi processi,
tentando di chiarirli e superarli al fine di rendere il metodo partecipativo coerente e stabile.
Il principale ostacolo attiene alla mancanza o debolezza delle regole e, quindi, delle garanzie. Gli altri ostacoli attengono principalmente:
 all’ampiezza del termine partecipazione, che rende necessario precisare le tipologie e le finalità degli strumenti partecipativi cui si intende
riferirsi;
 alla diversità degli approcci e dei relativi linguaggi (giuridico, sociologico, politico), rispetto ai quali occorre ricercare un lessico omogeneo
e condiviso;
 alla mancanza di conoscenza dei propri diritti partecipativi da parte delle categorie di soggetti a maggiore rischio di esclusione, per i quali
occorre prevedere adeguate politiche informative;
 alla sfiducia di grandi parti della società civile rispetto alla propria capacità/possibilità di influire sulle decisioni che li riguardano, che
rende necessario accrescere la trasparenza e l’accountability delle amministrazioni pubbliche;
 alla resistenza manifestata da molti amministratori, rispetto alla quale occorrono interventi di diffusione della conoscenza degli strumenti
partecipativi e delle loro potenzialità in termini di qualità ed efficacia delle scelte pubbliche;
 alla mancanza di professionalità adeguate, che rende necessaria la predisposizione di idonei percorsi formativi
METODOLOGIA
Accountability
Il termine inglese accountability, di difficile traduzione letterale, viene utilizzato per indicare la capacità delle
amministrazioni di rendere conto della correttezza del proprio operato e dei propri processi decisionali.
In base a questo principio, strettamente collegato a quello di trasparenza, ogni intervento regolativo, atto amministrativo o
politica pubblica deve provenire da un’autorità ben identificabile, che si configuri come responsabile della sua
implementazione e che sia quindi capace (ability) di darne conto e risponderne (account).
Condizione di una effettiva accountability è la creazione di un sistema valutativo delle politiche, delle norme e degli atti posti
in essere, che preveda –fra l’altro- l’individuazione di un responsabile per ogni policy, in grado di chiarire eventuali dubbi
circa la trasparenza della gestione e/o della legittimazione di un dato esito del processo decisionale.
Dalla possibilità di imputare ai titolari di responsabilità politiche gli effetti delle scelte operate (accountability) dovrebbe
discendere la consapevolezza del proprio ruolo nell’agire sociale (responsiveness).
METODOLOGIA
Dalla pianificazione gerarchico-piramidale a quella reticolare
Nell’ambito della pianificazione, al modello gerarchico-piramidale, si sono via via affiancati, nel corso degli ultimi anni, altri due modelli
di pianificazione:
 Il modello “bottom-up” o “dal basso” (valido in un ristretto ambito di intervento: un quartiere, una piazza), nel quale la comunità
locale promuove l’iniziativa del processo pianificatorio, sviluppato e poi attuato attraverso la cooperazione pubblico-privata, la
concertazione e la partecipazione.
 il “modello reticolare”, basato sulla mobilitazione della rete di relazioni esistente tra gli attori ed i portatori di interessi, permette di
mobilitare sia le risorse economico-finanziarie pubbliche e private di tali soggetti sia il loro potenziale conoscitivo, innovativo e
creativo: risorse umane, informazioni, know how, capacità di trovare soluzioni innovative ai problemi, superando, in tal modo, la ben
nota mancanza di mezzi e la rigidità procedimentale degli enti pubblici che svolgono le funzioni di governo del territorio. Il processo
pianificatorio reticolare si fonda sul coinvolgimento degli attori sociali, sulla realizzazione di azioni e politiche condivise, sulla
negoziazione e sulla partecipazione attiva della cittadinanza in una visione di definizione di progetti condivisi per la città.
Uno dei maggiori aspetti che contraddistingue la progettazione dello sviluppo locale è, pertanto, l’alto tasso di attività relazionali: gran
parte del lavoro viene svolto in una dimensione collettiva in cui project manager, animatori, tecnici ed attori del territorio interagiscono.
Favorire, quindi, le interazioni e stimolare la condivisione, è fra le più importanti capacità richieste a chi deve occuparsi della gestione
del progetto e richiede l’utilizzo di strategie adeguate ad affrontare la repentinità del cambiamento e l’imprevedibilità degli scenari.
METODOLOGIA
Le tecniche per la facilitazione dei processi partecipativi
Nei processi partecipativi il termine è utilizzato per indicare ogni dispositivo che aiuti a procedere: dalla seduta di brainstorming al complesso gioco di simulazione.
Le tecniche devono essere selezionate e adattate ai contesti e alle finalità del processo, tenendo presenti i seguenti criteri:
 tipologia dei soggetti da consultare;
 onerosità di realizzazione, con particolare riferimento ai tempi e ai costi;
 attendibilità e validità delle informazioni attese;
 utilità ed esaustività dei risultati.
Valutare correttamente questi aspetti è determinante ai fini di una consultazione efficace, dal momento che la scelta di una tecnica inadeguata può rilevarsi controproducente per
la qualità del processo decisionale, non soltanto per l’inutile dispendio di tempo e di risorse ma anche, e soprattutto, per il carattere non pertinente o addirittura fuorviante delle
informazioni rilevate.
Rispetto alle specificità delle singole tecniche e alle fasi nelle quali attivarle, si distingue fra
 tecniche per l’ascolto, che si basano su metodi che aiutano a capire come i problemi sono percepiti dagli stakeholder e dai comuni cittadini: distribuzione di materiale
informativo direttamente alle persone in situazioni di aggregazione; articoli su giornali locali, spot informativi sui media; interventi informativi e di scambio nell’ambito di
riunioni di specifici gruppi (es. brainstorming, focus group); strutture mobili; attivazione di punti di riferimento in loco; animazione territoriale.
 tecniche per l’interazione costruttiva, che si basano su metodi che aiutano i partecipanti ad interloquire fra di loro e a produrre conclusioni condivise, e prevedono l’uso di
strumenti basati sulla costruzione di scenari (Search conference, EASW), sulla simulazione (Planning for real), sull’autorganizzazione (Open space technology).
 tecniche per la risoluzione dei conflitti, che si basano su metodi volti ad agevolare la discussione rispetto a questioni controverse (giuria di cittadini, bilancio partecipativo).
Le tecniche sono utili per guidare il lavoro di consulenti, facilitatori e formatori ma non devono essere viste come soluzioni lampo: i metodi e le tecniche di facilitazione del lavoro di
gruppo e dei processi decisionali possono contribuire a rendere efficaci le relazioni di partenariato, a condizione che riescano a pro-muovere esiti deliberativi di qualità.
STRUMENTI
Strumenti e tecniche per la realizzazione del processo partecipativo
1. di coordinamento e conduzione: cabina di regia e facilitatori
2. di informazione e comunicazione: punti informativi, siti e database open
3. di ascolto e comprensione dei bisogni: punti di ascolto, interviste, questionari, forum, tavoli
sociali, consulte, forum telematici, focus group, camminate di quartiere, brainstorming, outreach,
animazione territoriale, ricerca-azione partecipata
4. di facilitazione dei processi decisionali (elaborazione di visioni e piani di azione condivisi
e risoluzione di conflitti): Open space technology (OST), European Awareness Scenario Workshop
(EASW), Planning for real, Metaplan, Goal oriented project planning (GOPP), Action planning, tavoli
tecnici, gruppi di lavoro/workshop, Sondaggio deliberativo (Deliberative polling), Search conference,
Consensus conference, Town meeting, giurie di cittadini, Dibattito pubblico, Conflict spectrum
STRUMENTI
1. Strumenti e tecniche di coordinamento e conduzione
Cabina di regia
Struttura di governo del processo composta da:
 Uno o più politici con incarichi amministrativi (giunte e assessori), aventi una funzione di
garanzia volta a tutelare la correttezza dello svolgimento delle attività ed assicurare un
seguito ai risultati del processo
 Uno o più dirigenti, aventi una funzione di leadership, volta a guidare il processo dall’interno
e favorire l’interazione tra gli stakeholder verso il raggiungimento di risultati condividi
STRUMENTI
1. Strumenti e tecniche di coordinamento e conduzione
Facilitatori
Professionisti, specializzati nel:
 disegnare i processi decisionali,
 coinvolgere gli attori rilevanti,
 favorire la partecipazione dei cittadini (quando è necessario),
 mettere gli attori in relazione tra di loro,
 stimolare il confronto,
 facilitare le interazioni tra le parti e aiutarle ad ascoltarsi,
 affrontare e gestire i conflitti,
 assistere i negoziati,
 favorire lo sviluppo di processi deliberativi,
 gestire le dinamiche di gruppo,
 tenere sotto ragionevole controllo lo sviluppo dei processi,
 aiutare le parti a redigere i testi degli accordi.
STRUMENTI
2. Strumenti e tecniche di informazione e comunicazione
Punti informativi
Luoghi fisici dove vengono fornite informazioni sulle attività in corso rispetto al processo partecipativo in
essere, sia in formato cartaceo che digitale
Siti e data base open
Strumenti digitali online per l’accesso alle informazioni e comunicazioni relative al processo partecipativo in
corso in formato Open Data (dati aperti liberamente accessibili a tutti, senza restrizioni di copyright, brevetti o
altre forme di controllo che ne limitino la riproduzione) e la realizzazione di alcune fasi del processo
deliberativo stesso (secondo la logica dell’Open Government, ormai ampiamente diffusa anche in Italia)
STRUMENTI
3. Strumenti e tecniche di ascolto e comprensione dei bisogni
Punti di ascolto
Luoghi presso i quali i cittadini, gli abitanti di un quartiere o di un determinato territorio, possono recarsi per
segnalare problemi, difficoltà, esigenze, proposte, soluzioni a determinati problemi ad operatori esperti.
Attraverso questi punti, si enfatizza la funzione di ascolto del territorio, ed è possibile raccogliere importanti
informazioni da e sul quartiere/città/ambito di riferimento, ma anche sviluppare un rapporto di fiducia tra
operatori e soggetti locali.
STRUMENTI
3. Strumenti e tecniche di ascolto e comprensione dei bisogni
Forum/tavoli sociali/consulte
Strumenti che prevedono il coinvolgimento degli attori locali in momenti di approfondimento
funzionali a progettare, monitorare, valutare e integrare il processo nel suo complesso e le singole
azioni individuate.
Forum telematici
Strumento di interazione e comunicazione via web che consente, a tutti coloro che sono interessati, di
partecipare alla discussione e/o all’approfondimento incontrandosi in uno spazio virtuale di dialogo.
Per partecipare al forum basta inviare un messaggio che viene immediatamente inserito on-line e al quale si
può rispondere liberamente, instaurando un dialogo tra i diversi partecipanti, seguendo regole di reciproco
rispetto che un moderatore ha il compito di monitorare e far rispettare.
STRUMENTI
3. Strumenti e tecniche di ascolto e comprensione dei bisogni
Interviste e questionari
Strumento che consentono di fotografare, in un dato momento, il punto di vista, le percezioni,
l’atteggiamento ed eventuali indicazioni e suggerimenti rispetto ad uno o più temi ed aspetti
rilevanti dell’ambito della ricerca.
Focus group
Tecnica di rilevazione per la ricerca sociale, basata sulla discussione all’interno di un piccolo gruppo di
persone, alla presenza di uno o più moderatori, focalizzata su un argomento che si vuole indagare in
profondità.
È finalizzata ad esplorare le opinioni su un argomento e le ragioni che ne sono alla base.
STRUMENTI
3. Strumenti e tecniche di ascolto e comprensione dei bisogni
Camminate di quartiere
Strumento di ascolto del territorio che valorizza la competenza degli abitanti riguardo all’ambiente in cui
abitano, lavorano o intessono reti di relazione e di socialità.
Si effettua in piccoli gruppi (massimo 15 persone), che guidano i professionisti (architetti, urbanisti, sociologi
ecc.) in un giro nell’area oggetto di interesse.
Mentre il gruppo cammina, si incrociano osservazioni, domande, apprezzamenti, desideri, in modo
assolutamente libero e rilassato, si raccolgono impressioni, stralci di storia del quartiere, problemi, esperienze
di vita quotidiana. I progettisti ascoltano e avanzano anche le loro osservazioni, sottolineando le potenzialità e
i punti di debolezza e stimolando gli interlocutori con sollecitazioni e domande, riferite sempre a ciò che si sta
osservando.
STRUMENTI
3. Strumenti e tecniche di ascolto e comprensione dei bisogni
Brainstorming
Metodo per lo sviluppo di soluzioni creative ai problemi in gruppo (massimo 15 persone).
Una volta messo a fuoco il problema e fissato un tempo limite per l’incontro, ciascuno esprimerà come
soluzione al problema la “prima idea che gli viene in mente”, in rapida sequenza e per associazione di idee.
Le soluzioni cosi individuate saranno sottoposte ad un processo sempre più affinato di rielaborazione, di
approfondimento, di revisione, da parte del gruppo, in modo da trasformare le idee iniziali in proposte sempre
più pratiche e fattibili.
La regola fondamentale del brainstorming è che i partecipanti non devono assolutamente esprimere giudizi
sulle idee proposte dagli altri. L’obiettivo è infatti quello di produrre nuove idee, mentre il giudizio introduce un
elemento difreno e induce atteggiamenti difensivi.
STRUMENTI
3. Strumenti e tecniche di ascolto e comprensione dei bisogni
Outreach
Pratica che consiste, letteralmente, nell’“andare fuori ad incontrare” gruppi di interesse locali e/o singole persone, nel proprio ambiente
e secondo propri tempi, per discutere di varie questioni e ascoltare i loro suggerimenti. Essa mira al coinvolgimento di testimoni
privilegiati, ovvero di soggetti che detengono conoscenze qualificate (saperi d’uso) su aspetti rilevanti del tema da indagare, e che per
questa ragione è fondamentale includere fin dall’inizio
Le amministrazioni sono tradizionalmente abituate ad aspettare che gli utenti arrivino da loro, presentando domande, istanze,
dichiarazioni, certificati. In questo caso si procede nel modo opposto: non è più il cittadino che si muove verso lo sportello, ma è lo
sportello (l’istituzione) che si muove verso il cittadino, per capirne realmente i problemi.
Gli strumenti e le modalità dell’outreach sono assai varie. Per esempio distribuzione di materiale informativo nelle case oppure
direttamente alle persone in situazioni di aggregazione (mercati, assemblee, negozi, ecc.); articoli su giornali locali, spot informativi su
radio e tv; interventi informativi e di scambio mirati nell’ambito di riunioni di specifici gruppi (ad esempio, una bocciofila, un centro
sportivo, un’associazione ricreativa); strutture mobili (caravan, camper, container) possono essere utilizzate come uffici mobili per
restituire anche a livello simbolico la presenza sul campo e garantire la possibilità di una consultazione iniziale. L’importante è il
concetto di andare fuori a cercare.
STRUMENTI
3. Strumenti e tecniche di ascolto e comprensione dei bisogni
Animazione territoriale
Con il termine animazione territoriale (o animazione sociale) si intende comunemente tutto ciò che va ad
incrementare il grado di sensibilizzazione e di partecipazione degli attori locali intorno a problemi comuni e
strategie che interessano l’area di appartenenza.
È altresì una modalità per giungere ad un buon grado di lettura e analisi del contesto locale secondo una
logica di tipo bottom up.
Secondo questa prospettiva, lo sviluppo socioeconomico passa attraverso un approccio progettato e gestito in
prima persona da attori pubblici e privati di un dato contesto (enti locali, rappresentanze degli interessi,
autonomie funzionali, terzo settore, ecc.)
STRUMENTI
3. Strumenti e tecniche di ascolto e comprensione dei bisogni
Ricerca-azione partecipata
Metodologia di indagine sociale svolta in collaborazione con i soggetti coinvolti in un problema allo scopo di promuovere la conoscenza,
l’apprendimento ed, in particolare, il cambiamento rispetto ad esso.
Essa costituisce un momento fondamentale di un processo di cambiamento, corrispondente alla “presa di coscienza” da parte dei
soggetti, protagonisti della comunità, delle loro condizioni, delle loro necessità, delle loro potenzialità, delle loro risorse, dei loro limiti,
dei loro valori e dei loro desideri.
In questo processo l’ideatore e il coordinatore dell’azione sociale non si considera esterno o distanziato dall’oggetto di ricerca, ma
partecipa come gli altri e contribuisce alla costruzione di un processo di narrazione dei vissuti ad un interlocutore (storytelling).
Lo schema della ricerca-azione partecipativa, secondo il modello procedurale di B. Cunningham (1976) si articola in tre sequenze
interconnesse, ognuna delle quali si conclude con un momento di riflessione/valutazione degli interventi del gruppo.
 La prima sequenza si riferisce alla formazione del gruppo di lavoro e al suo addestramento;
 la seconda ingloba l’analisi e la definizione del problema da parte del gruppo, la costruzione di strumenti e la formulazione di
un’ipotesi di azione.
 L’ultima sequenza comprende la definizione degli obiettivi, lo sviluppo di un piano di intervento e la diffusione dei risultati.
STRUMENTI
4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva
Open Space Technology (OST)
E’ uno strumento, inventato da H. Owen* (1997), adatto a coinvolgere 100-300 persone in eventi pubblici di
partecipazione che hanno lo scopo di far emergere liberamente temi, problemi e soluzioni.
Non ci sono relatori invitati a parlare e programmi predefiniti. L’incontro è organizzato sul principio che siano i
partecipanti, seduti in un ampio cerchio e informati di alcune semplici regole, a creare l’agenda della giornata.
Si articola in tre fasi, distribuite in un arco di tempo da uno a tre giorni:
 nella prima parte si discute in maniera informale, cominciando a conoscere i vari punti di vista;
 nella seconda parte si discute approfonditamente del tema in questione;
 nella terza parte si prendono le decisioni.
E’ particolarmente adatto per esplorare le criticità di una situazione all’avvio del processo partecipativo.
* Avendo notato che le persone si confrontano con molto più entusiasmo durante le pause caffè che non nelle fasi di lavoro, Owen fa l’ipotesi di
strutturare un'intera conferenza in modo che i partecipanti si sentano liberi di proporre gli argomenti e di discuterli solo se interessati ad essi.
STRUMENTI
4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva
European Awareness Scenario Workshop (EASW)
Ideato in Danimarca all’inizio degli anni ’90, adottato, promosso e diffuso dal programma “Innovazione” della Commissione Europea
nel 1994, l’EASW si articola in tre fasi fondamentali:
 lo sviluppo di scenari;
 la mappatura degli stakeholder e l’organizzazione locale;
 il workshop per lo sviluppo di visioni e l’elaborazione di idee.
Le prime due fasi sono di preparazione al workshop, gestito da facilitatori, e vi partecipano per lo più tecnici ed esperti sul tema
oggetto di indagine. L’elaborazione di visioni future e lo sviluppo di idee e azioni rappresentano le fasi fondamentali del lavoro.
Nella prima fase, viene richiesto ai partecipanti di ipotizzare visioni relative ad un futuro possibile nell’arco di dieci anni. In seduta
plenaria poi, ci si confronta al fine di valutare i differenti scenari; si individuano poi quattro gruppi tematici composti da persone
appartenenti a diverse categorie di attori e, attraverso le tecniche del brainstorming e di negoziazione, vengono proposte idee e
modalità di realizzazione delle visioni.
In sede di discussione assembleare, con una votazione, si individuano le cinque idee migliori e le modalità per realizzarle
STRUMENTI
4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva
Planning for real
Metodo per il coinvolgimento della comunità nella pianificazione urbanistica, che mira all’individuazione di priorità condivise e
all’elaborazione di piani d’azione.
Mediante l’utilizzo di un modello tridimensionale* dell’area di intervento (plastico o cartonato), che ne rappresenta gli elementi
caratteristici, gli abitanti sono chiamati a proporre i miglioramenti che ritengono necessari, posizionando su di esso delle carte-
opzioni che indicano possibili interventi da realizzare (la cui fattibilità e praticabilità – sia tecnica che politica - è stata verificata
attraverso un’indagine preliminare). È possibile, inoltre, segnalare alcuni suggerimenti per iscritto.
Per far si che i partecipanti abbiano una visione il più possibile completa delle principali questioni relative alla futura
trasformazione urbana (budget disponibile, esempi di soluzioni sperimentate altrove, vincoli e standard urbanistici, ecc.)
vengono utilizzati diversi strumenti informativi (pannelli a muro, copie di documentazioni, ecc.).
Al termine, lo staff tecnico esamina la distribuzione delle carte-opzioni nei diversi punti del plastico per stabilire le preferenze
dei cittadini e rilevare eventuali opzioni conflittuali.
*Il modello tridimensionale può anche essere realizzato insieme alla comunità locale, per favorire il suo coinvolgimento
STRUMENTI
4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva
Metaplan
Tecnica di facilitazione basata sulla visualizzazione, sviluppata in Germania, negli anni ‘70 di fratelli Wolfgang ed Eberhard Schnelle.
Consente di elaborare una visione comune e definire obiettivi, raccomandazioni e piani d’azione per la messa a fuoco di un problema specifico e
delle sue possibili soluzioni, a partire dalla raccolta delle opinioni dei partecipanti.
Si articola nelle seguenti fasi:
 Introduzione (preparazione del clima di lavoro, spiegazione del programma, descrizione della modalità di lavoro ed individuazione degli obiettivi)
 Lavoro individuale (i partecipanti scrivono le proprie idee su schede codificate per colore e forma, che vengono attaccate su apposite lavagne)
 Lavoro collettivo o in sottogruppi (discussione in plenaria o in sottogruppi organizzati per argomento, per la riorganizzazione delle idee)
 Condivisione dei risultati (rapida presentazione di ogni sottogruppo per consentire al gruppo intero di capire il quadro d’insieme)
 Attribuzione delle priorità (tramite votazione basata sull’utilizzo di piccoli adesivi colorati per esprimere le preferenze)
 Discussione in plenaria (20 minuti)
 Conclusione e riepilogo con stesura di un piano di azione
Il metodo può essere usato per facilitare l’interazione in grandi gruppi (50-200 persone), cosi come per facilitare piccoli team di gestione.
STRUMENTI
4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva
Goal oriented project planning (GOPP)
Metodo, ispirato al Quadro Logico, nato a partire dagli anni ‘60 da un insieme di tecniche e di strumenti elaborati nel quadro delle attività di
progettazione di enti e agenzie dedite alla cooperazione allo sviluppo. Esso facilita la pianificazione e il coordinamento di progetti attraverso una
chiara definizione degli obiettivi e si inquadra in un approccio integrato denominato PCM (Project Cycle Management) e diffuso nel 1993 dalla
Commissione Europea come standard di qualità nelle fasi di programmazione, gestione e valutazione di interventi complessi.
Il GOPP consente, attraverso attività di laboratorio e workshop gestiti da un animatore esterno al gruppo di progettazione, di coinvolgere gli attori
principali, in relazione al tema affrontato, al fine di definire in maniera concertata e condivisa sia i problemi che le soluzioni, con l’obiettivo di
costruire programmi e progetti che realmente possano fornire risposte alle esigenze e ai problemi dei beneficiari.
L’identificazione del progetto finale avviene in due fasi sequenziali - la fase di analisi e la fase di progettazione - che consentono di definire una
matrice progettuale (quadro logico) che riporta gli obiettivi generali e specifici, i risultati, le attività, gli indicatori e le condizioni esterne che
concorrono al raggiungimento degli obiettivi del progetto.
Da un punto di vista organizzativo il GOPP prevede il coinvolgimento di un numero limitato di persone, individuate tra gli attori-chiave che hanno un
ruolo cruciale per il successo di un progetto, e di un facilitatore, e può avere una durata di uno o più giorni. Si basa sull’utilizzo delle tecniche di
visualizzazione: i partecipanti, seduti a semicerchio, lavorano, dall’analisi dei problemi alla proposta di soluzioni, con dei cartoncini colorati sui quali
possono scrivere i loro suggerimenti secondo le fasi della metodologia, che vengono poi attaccati su grandi fogli di carta adesiva affiancati su una
parete. In tal modo le idee emerse nel corso del lavoro possono essere visualizzate da tutto il gruppo che può spostarle o aggregarle secondo le
esigenze.
STRUMENTI
4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva
Action planning
Metodo di progettazione partecipata di origine anglosassone, volto ad individuare i bisogni, definire i problemi in un determinato
contesto territoriale, attraverso il contributo della comunità locale, e arrivare a formulare le linee di intervento insieme a coloro che
conoscono i disagi perché li affrontano quotidianamente.
Il processo si articola in diverse fasi, a partire da domande di ampio respiro e la caratteristica essenziale è che tutte le opinioni e idee in
merito, vengono espresse da ciascun partecipante utilizzando personalmente dei post-it da attaccare su degli ampi cartelloni.
Si ricostruisce l’immagine che gli abitanti hanno del proprio contesto ambientale, evidenziandone gli attuali aspetti positivi e negativi. Poi
si invitano i partecipanti ad esprimere delle previsioni sui cambiamenti che interesseranno tale contesto, sugli effetti attesi, sia favorevoli
che svantaggiosi. Il passaggio finale è quello di individuare alcuni principi, o linee guida che possano permettere di assicurare il
raggiungimento degli effetti positivi e per prevenire quelli negativi.
Di solito sono necessarie almeno 3 o 4 sessioni di lavoro, articolate nel corso di uno o due mesi, per cominciare a definire un possibile
piano d’azione. L’Action Planning, così come altre tecniche di progettazione partecipata, rappresenta una valida alternativa alla
discussione di tipo assembleare, perché favorisce la partecipazione delle persone che sono meno inclini o meno preparate al dibattito
pubblico, consentendo ad ogni partecipante di esprimere le proprie idee e i propri suggerimenti in maniera semplice ,anonima, riflessiva
e molto libera.
STRUMENTI
4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva
Bilancio partecipativo
Metodo di risoluzione delle controverse mediante la discussione tra i diretti interessati, introdotto nella città brasiliana di Porto Alegre nei primi anni ’90 e poi
applicato in un centinaio di città in Brasile. Il successo dell’esperienza di Porto Alegre e la sua notorietà ha fatto sì che la proposta del bilancio partecipativo si sia
diffusa in numerose città in tutto il mondo.
Il bilancio partecipativo nasce dall’esigenza di ripartire in modo trasparente e equilibrato le spese in conto capitale previste dal bilancio del comune tra i quartieri
della città. Si tratta di una politica di tipo distributivo ovviamente conflittuale perché la somma da ripartire è fissa (ed è stabilita dell’amministrazione) e ognuno
dei quartieri in cui è suddivisa la città ha ovviamente interessi concorrenti rispetto agli altri.
Il problema viene risolto attraverso l’applicazione di un metodo multicriteri. Le spese di investimento sono ripartite ogni anno tra i quartieri sulla base di tre
criteri:
 numero di abitanti (si tratta di un dato oggettivo);
 carenza di servizi (valutazione fornita direttamente dagli uffici tecnici dell’amministrazione comunale, in rapporto al riscontro fornito dai cittadini);
 priorità tra i vari tipi di investimenti (rete stradale, scuole, servizi sanitari, spazi pubblici, ecc.) che viene stabilita da ogni singolo quartiere attraverso la
partecipazione dei cittadini.
Ogni anno l’amministrazione comunale decide quale peso assegnare a ognuno dei tre criteri.
Il processo del bilancio partecipativo inizia ogni anno in primavera e si conclude in autunno con l’approvazione del bilancio da parte del consiglio comunale. Tra
marzo e luglio si svolgono due tornate di assemblee di quartiere che indicano le priorità, ossia le opere e gli interventi cui deve essere data la precedenza. Le
assemblee sono precedute da riunioni informali. In autunno, quando ogni quartiere ha espresso le sue priorità, gli uffici tecnici del comune, applicando i tre
criteri e i rispettivi pesi, stabiliscono la ripartizione dei fondi tra i quartieri, indicando in quali settori devono essere impiegati.
STRUMENTI
4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva
Tavoli tecnici
Rappresentano luoghi di discussione ed approfondimento tecnico dei temi o dei progetti in discussione. Ad essi
partecipano normalmente esperti, funzionari e tutti coloro che hanno competenze specifiche sull’argomento
trattato. Vengono spesso istituiti nei processi inclusivi per controllare e verificare l’andamento del processo o
per apportare conoscente tecniche e procedurali al processo stesso.
Gruppi di lavoro/workshop
Rappresentano i luoghi in cui soggetti locali che svolgono attività legate al tema specifico di discussione si
incontrano per individuare interventi realizzabili ed efficaci a partire dalla disponibilità e dall’inter esse dei
soggetti coinvolti. Si tratta dunque di momenti prevalentemente di lavoro e non solo di discussione che per
poter essere efficaci devono coinvolgere un numero ristretto di attori (15-20), prevedere la figura di un
moderatore esperto di processi di facilitazione e del tema di progettazione.
STRUMENTI
4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva
Sondaggio deliberativo (Deliberative polling)
Ideato nel 1988 dal prof. Fishkin, isprirandosi alla democrazia ateniese e al sondaggio moderno di George Gallup, questo
metodo è sorto per adattare ad una società moderna le pratiche di democrazia degli antichi, dimostrando come i cittadini, se
hanno la possibilità e il tempo (Fishkin prevede una remunerazione per i partecipanti) per discutere tra loro e informarsi (ai
partecipanti viene fornito apposito materiale informativo e negli eventi è possibile interpellare politici o esperti di varie fazioni)
si formano un’idea, cambiano certe idee preconcette e spostano le proprie posizioni di opinione iniziali.
Dopo un primo sondaggio, esteso, si invita un sotto-campione a partecipare ad un evento, in cui si può discutere in gruppi e
fare domande ad esperti.
Dopodichè si sottopone nuovamente al sondaggio, il campione che ha partecipato all’evento. Questo secondo sondaggio
fornisce un orientamento ai decisori, più maturo e responsabile, e viene divulgato attraverso i media con funzioni di sostegno
alla eventuale decisione..
STRUMENTI
4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva
Search conference (conferenza di indagine)
Metodo elaborato dal teorico dei sistemi complessi Fred Emery, per la definizione di scenari futuri desiderabili, in gruppi di 35-40 persone.
Una search conference, che dura da due a tre giorni, si articola in cinque fasi
 Fase 1: Tendenze generali. I partecipanti elaborano un elenco di osservazioni relative ai mutamenti in atto nel mondo ad essi circostante, attraverso il metodo del
brainstorming. Tutte le osservazioni vengono riportate su fogli che vengono appesi ai muri della stanza, allo scopo di rappresentare il mondo comune dei partecipanti. Poi i
partecipanti si dividono in quattro gruppi e sulla base del lavoro svolto in precedenza incominciano a distinguere tra tendenze desiderabili e probabili. Ogni gruppo costruisce
in questo modo un proprio Possibile Scenario che in seguito illustra in riunione plenaria, dove i temi comuni vengono rilevati e combinati in due scenari complessivi, quello
relativo ai futuri probabili e quello relativo ai futuri desiderabili.
 Fase 2: Tendenze che influenzano il Possibile Scenario individuato nella Fase 1. Sempre attraverso il metodo del brainstorming, l’indagine si concentra sulle tendenze
desiderate e probabili che influenzano questo Scenario.
 Fase 3: L’evoluzione storica del Possibile Scenario. Perché e come è venuto a crearsi, qual è la sua forma attuale e quali i suoi punti di forza e di debolezza; l’obiettivo
è quello di arrivare ad una nozione condivisa di quello che il sistema effettivamente è e conoscerne la sua vera storia. A tal scopo è utile segnare gli eventi cronologici che
hanno influenzato il sistema tramite una rappresentazione tipo linea del tempo.
 Fase 4: La visione futura del Possibile Scenario. Ora il futuro del sistema possibile può essere disegnato usando le informazioni finora ottenute. La creatività viene
stimolata spingendo le persone prima a pensare soluzioni innovative e poi a valutarne la fattibilità. Questa attività viene svolta in piccoli gruppi che poi scambiano il loro
lavoro con gli altri gruppi. La fase si chiude con la discussione sui vari lavori ottenuti e con la produzione di uno scenario collettivo.
 Fase 5: Strategie. A questo punto quattro piccoli gruppi si concentrano sulla formulazione di strategie che possano portare a compimento la visione di futuro desiderabile.
La presentazione delle strategie ottenute viene effettuata da altri piccoli gruppi. Dopo aver epurato quelle considerate inadatte si apre un nuovo dibattito imperniato sulla
fattibilità delle strategie implementative ricordandosi delle tendenze del contesto d’azione individuate durante le fasi iniziali. L’ultimo passo prevede un’interrogazione rivolta
ad ogni singolo partecipante su come voglia impegnarsi nella vita di tutti i giorni per agevolare la riuscita del piano; con seguente redazione di un documento indicativo che
sia di riferimento per tutto il gruppo.
STRUMENTI
4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva
Consensus conference
Le Conferenze di consenso partono dall’idea di far dialogare tra loro teoria e prassi, dimostrando che i cosiddetti profani non esperti sono in grado di orientarsi
velocemente in contesti complicati e di prendere posizione in maniera qualificata. Esse hanno origine dalle cosiddette conferenze di esperti che sono state organizzate
negli Usa negli anni settanta per migliorare il sistema sanitario americano. Più tardi il metodo è stato ulteriormente sviluppato dal Danish Board of Technology (l’organo
tecnico di valutazione delle tecnologie istituito nel 1986 dal Parlamento danese) e dalla fine degli anni ottanta viene regolarmente impiegato con successo.
A una conferenza di consenso condotta seguendo il modello danese prendono parte da 10 a 30 cittadini interessati selezionati casualmente, che per età, sesso, livello di
istruzione e professione costituiscono uno spaccato il più possibile rappresentativo della popolazione, e che non sono esperti delle materie affrontate nella discussione.
Prima dell’avvio dei lavori i partecipanti si informano sulle questioni che saranno affrontate, attraverso il materiale informativo predisposto dagli esperti. Inoltre i
partecipanti si incontrano due volte prima dell’avvio della conferenza per ricevere ulteriori informazioni e per elaborare delle domande a cui dovrebbero rispondere gli
esperti nel corso della conferenza. Gli stessi partecipanti hanno la facoltà di designare o selezionare degli esperti della materia in discussione.
La conferenza in sé dura di regola tre giorni, secondo il seguente schema:
 Primo giorno: nel corso di una seduta pubblica i partecipanti ascoltano le prese di posizione degli esperti rispetto alle questioni individuate in precedenza. Alla sera si
valutano insieme le risposte e in caso di necessità si pongono ulteriori domande.
 Secondo giorno: gli esperti rispondono alle domande supplementari, ancora una volta in pubblico. Successivamente i cittadini si ritirano, discutono ed esprimono le
loro valutazioni sulle risposte ricevute dagli esperti ed elaborano il rapporto conclusivo che contiene le loro prese di posizione e le raccomandazioni (di regola decise in
maniera consensuale) e le motivazioni su cui sono fondate.
 Terzo giorno: il rapporto viene presentato all’assemblea generale. Agli esperti spetta di correggere eventuali errori materiali, ma senza interferire con il contenuto. A
conclusione del processo il rapporto viene presentato alla stampa e alla cittadinanza. tutti i partecipanti.
STRUMENTI
4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva
Town meeting
Ideato dall’associazione America Speaks sull’onda dei tradizionali town meeting statunitensi, l’Electronic Town
Meeting (e-TM) permette di coniugare i vantaggi della discussione per piccoli gruppi con quelli di un sondaggio
rivolto ad un ampio pubblico, offrendo le condizioni per riuscire a costruire un’agenda dei lavori in modo
progressivo, sottoponendo a televoto dell’assemblea le domande che la discussione ha prodotto.
A partire da una fase iniziale di lavoro in cui i partecipanti vengono informati grazie agli apporti di documenti
ed esperti, si passa ad una fase di discussione in piccoli gruppi; grazie all’aiuto di facilitatori, ogni gruppo
contribuisce all’elaborazione di un testo di discussione che viene sintetizzato e che costituisce la base per la
formulazione di domande o proposte da sottoporre all’attenzione del pubblico e sulle quali i partecipanti
possono esprimersi individualmente votando in tempo reale mediante appositi telecomandi.
Le potenzialità di questo modello per i processi di democrazia deliberativa sono ormai riconosciute a livello
internazionale, tanto che questa metodologia ha conosciuto un’ampia diffusione in vari contesti.
STRUMENTI
4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva
Giurie di cittadini
La giuria dei cittadini (Citizens Jury, nella definizione del Jefferson Center, che l’ha ideata nel 1974), detta anche giuria
civica, è uno strumento di partecipazione finalizzato a contribuire al processo decisionale con le opinioni informate e
ponderate di comuni cittadini.
Un gruppo di cittadini (tra 12 e 24), selezionati con un campionamento casuale, si riuniscono nell’arco di qualche
giornata (non più di 4 o 5, di solito durante i fine settimana) ed ascoltano testimoni e esperti, che esprimono tutti i
possibili punti di vista sul tema da analizzare. I giurati, che ricevono un compenso per la loro partecipazione, possono
rivolgere domande agli esperti e discutere quanto emerge dalle testimonianze. I lavori della giuria sono assistiti da uno
o più facilitatori neutrali.
Al termine delle audizioni la giuria formula le proprie raccomandazioni motivate, in grado di dar conto adeguatamente
delle posizioni e degli argomenti maturati nel corso del confronto.
Questa metodologia è adatta a contesti in cui occorre bilanciare interessi contrastanti e selezionare una o più soluzioni
alternative per un problema complesso; essa non sostituisce i normali processi di decisione democratica ma rafforza i
sistemi di rappresentanza esistenti.
STRUMENTI
4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva
Dibattito pubblico
Il dibattito pubblico è una modalità di coinvolgimento di cittadini e abitanti nella procedura di sviluppo di grandi
interventi che riguardano il territorio: garantisce una piena e trasparente informazione sull’intervento in corso di
progettazione a tutti i soggetti interessati, offrendo loro la possibilità di esprimere il proprio parere, sia come singoli sia
come gruppi organizzati.
Esso deve essere guidato, controllato e garantito da una commissione di esperti, che devono provenire da altri territori
e ambienti sociali e culturali, e possedere la competenza e autorevolezza per garantire a tale strumento la necessaria
credibilità.
Il dibattito pubblico consente di migliorare la qualità dei progetti grazie all’utilizzo di una maggiore quantità di
informazioni ed osservazioni che altrimenti sfuggirebbero, e contribuisce a legittimare e rendere efficaci le decisioni
pubbliche, favorendone l’accettabilità sociale ed eliminando i disagi e/o la conflittualità che possono generarsi durante
la fase di realizzazione di un grande progetto.
A livello legislativo il modello del dibattito pubblico è stato recepito dalla l.r. Toscana n. 69/2007, istitutiva della Autorità
per la garanzia e la promozione della partecipazione (ARP)
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata
La governance locale partecipata

More Related Content

What's hot

Cross culture communication
Cross culture communicationCross culture communication
Cross culture communication
Rythima Kalra
 
Negotiation Skills For Project Managers
Negotiation Skills For Project ManagersNegotiation Skills For Project Managers
Negotiation Skills For Project Managers
Mahmoud
 
Conflict management and negotiation
Conflict management and negotiationConflict management and negotiation
Conflict management and negotiation
C0ff33
 
The negotiation process
The negotiation processThe negotiation process
The negotiation process
Anwarmohamed
 

What's hot (20)

Cross culture communication
Cross culture communicationCross culture communication
Cross culture communication
 
NEGOTIATIONS IN BUSINESS
NEGOTIATIONS IN BUSINESS NEGOTIATIONS IN BUSINESS
NEGOTIATIONS IN BUSINESS
 
Negotiation
NegotiationNegotiation
Negotiation
 
Big Facilitation Skills Presentation
Big Facilitation Skills PresentationBig Facilitation Skills Presentation
Big Facilitation Skills Presentation
 
Negotiation
Negotiation Negotiation
Negotiation
 
Negotiation Skills For Project Managers
Negotiation Skills For Project ManagersNegotiation Skills For Project Managers
Negotiation Skills For Project Managers
 
Conflict management and negotiation
Conflict management and negotiationConflict management and negotiation
Conflict management and negotiation
 
The World Cafe
The World CafeThe World Cafe
The World Cafe
 
Mentoring Quotes
Mentoring QuotesMentoring Quotes
Mentoring Quotes
 
CULTURE DIVERSITY IN MULTI-NATIONAL COMPANIES
CULTURE DIVERSITY IN  MULTI-NATIONAL COMPANIESCULTURE DIVERSITY IN  MULTI-NATIONAL COMPANIES
CULTURE DIVERSITY IN MULTI-NATIONAL COMPANIES
 
Negotiation Skills: Principles Practice and Process
Negotiation Skills: Principles Practice and ProcessNegotiation Skills: Principles Practice and Process
Negotiation Skills: Principles Practice and Process
 
Negotiation: International Cross Cultural [SAV lecture]
Negotiation: International Cross Cultural [SAV lecture]Negotiation: International Cross Cultural [SAV lecture]
Negotiation: International Cross Cultural [SAV lecture]
 
Governance in public administration and public policy
Governance in public administration and public policyGovernance in public administration and public policy
Governance in public administration and public policy
 
The Art Of Negotiation
The Art Of NegotiationThe Art Of Negotiation
The Art Of Negotiation
 
An Introduction to Negotiation
An Introduction to NegotiationAn Introduction to Negotiation
An Introduction to Negotiation
 
Negotiation skills
Negotiation skillsNegotiation skills
Negotiation skills
 
Negotiation skills
Negotiation skillsNegotiation skills
Negotiation skills
 
international and cross-culture Negotiation
international and cross-culture Negotiationinternational and cross-culture Negotiation
international and cross-culture Negotiation
 
Mission Possible: Stakeholder Alignment
Mission Possible: Stakeholder AlignmentMission Possible: Stakeholder Alignment
Mission Possible: Stakeholder Alignment
 
The negotiation process
The negotiation processThe negotiation process
The negotiation process
 

Similar to La governance locale partecipata

E-democracy E-government
E-democracy E-governmentE-democracy E-government
E-democracy E-government
Vincenzo Calabrò
 
Sviluppo Locale Sostenibile E Fondi Strutturali 2010
Sviluppo Locale Sostenibile E Fondi Strutturali 2010Sviluppo Locale Sostenibile E Fondi Strutturali 2010
Sviluppo Locale Sostenibile E Fondi Strutturali 2010
Salvatore [Sasa'] Barresi
 
Il tema di FORUM PA 2012 in 10 parole
Il tema di FORUM PA 2012 in 10 paroleIl tema di FORUM PA 2012 in 10 parole
Il tema di FORUM PA 2012 in 10 parole
FPA
 
Convegno su Akzheimer e demenze. L'integrazione tra pubblico e privato
Convegno su Akzheimer e demenze. L'integrazione tra pubblico e privatoConvegno su Akzheimer e demenze. L'integrazione tra pubblico e privato
Convegno su Akzheimer e demenze. L'integrazione tra pubblico e privato
Alessandro Raggi
 
Bilancio Sociale di Mandato Comune Putignano 04 09
Bilancio Sociale di Mandato Comune Putignano 04 09Bilancio Sociale di Mandato Comune Putignano 04 09
Bilancio Sociale di Mandato Comune Putignano 04 09
Conetica
 
Bando Concorso Idee Piano Regolatore Sociale della Città di Torino
Bando Concorso Idee Piano Regolatore Sociale della Città di TorinoBando Concorso Idee Piano Regolatore Sociale della Città di Torino
Bando Concorso Idee Piano Regolatore Sociale della Città di Torino
STUDIO BARONI
 

Similar to La governance locale partecipata (20)

E-democracy E-government
E-democracy E-governmentE-democracy E-government
E-democracy E-government
 
Sviluppo Locale Sostenibile E Fondi Strutturali 2010
Sviluppo Locale Sostenibile E Fondi Strutturali 2010Sviluppo Locale Sostenibile E Fondi Strutturali 2010
Sviluppo Locale Sostenibile E Fondi Strutturali 2010
 
Il tema di FORUM PA 2012 in 10 parole
Il tema di FORUM PA 2012 in 10 paroleIl tema di FORUM PA 2012 in 10 parole
Il tema di FORUM PA 2012 in 10 parole
 
Riforma della partecipazione popolare
Riforma della partecipazione popolareRiforma della partecipazione popolare
Riforma della partecipazione popolare
 
Vite-lavori in comune come welfare di community: i processi partecipativi
Vite-lavori in comune come welfare di community: i processi partecipativiVite-lavori in comune come welfare di community: i processi partecipativi
Vite-lavori in comune come welfare di community: i processi partecipativi
 
Riforma della Partecipazione Popolare - Modifica dello Statuto di Pontecorvo ...
Riforma della Partecipazione Popolare - Modifica dello Statuto di Pontecorvo ...Riforma della Partecipazione Popolare - Modifica dello Statuto di Pontecorvo ...
Riforma della Partecipazione Popolare - Modifica dello Statuto di Pontecorvo ...
 
Fli per i comuni d italia
Fli per i comuni d italiaFli per i comuni d italia
Fli per i comuni d italia
 
Carta dei beni comuni
Carta dei beni comuniCarta dei beni comuni
Carta dei beni comuni
 
Protocollo E-S-P
Protocollo E-S-PProtocollo E-S-P
Protocollo E-S-P
 
Programma
ProgrammaProgramma
Programma
 
Stazione sostenibile nev 10 13
Stazione sostenibile nev 10 13Stazione sostenibile nev 10 13
Stazione sostenibile nev 10 13
 
Convegno su Akzheimer e demenze. L'integrazione tra pubblico e privato
Convegno su Akzheimer e demenze. L'integrazione tra pubblico e privatoConvegno su Akzheimer e demenze. L'integrazione tra pubblico e privato
Convegno su Akzheimer e demenze. L'integrazione tra pubblico e privato
 
Andamento living lab municip@zione
Andamento living lab municip@zioneAndamento living lab municip@zione
Andamento living lab municip@zione
 
Comunicare partecipazione. Uno studio per una strategia comunicativa integrat...
Comunicare partecipazione. Uno studio per una strategia comunicativa integrat...Comunicare partecipazione. Uno studio per una strategia comunicativa integrat...
Comunicare partecipazione. Uno studio per una strategia comunicativa integrat...
 
Pomeriggio di studio “Laboratori transfrontalieri di politiche sociali all’in...
Pomeriggio di studio “Laboratori transfrontalieri di politiche sociali all’in...Pomeriggio di studio “Laboratori transfrontalieri di politiche sociali all’in...
Pomeriggio di studio “Laboratori transfrontalieri di politiche sociali all’in...
 
Politiche sociali e formazione
Politiche sociali e formazionePolitiche sociali e formazione
Politiche sociali e formazione
 
Bilancio Sociale di Mandato Comune Putignano 04 09
Bilancio Sociale di Mandato Comune Putignano 04 09Bilancio Sociale di Mandato Comune Putignano 04 09
Bilancio Sociale di Mandato Comune Putignano 04 09
 
Risultati delle Politiche di Coesione europea
Risultati delle Politiche di Coesione europeaRisultati delle Politiche di Coesione europea
Risultati delle Politiche di Coesione europea
 
Bando Concorso Idee Piano Regolatore Sociale della Città di Torino
Bando Concorso Idee Piano Regolatore Sociale della Città di TorinoBando Concorso Idee Piano Regolatore Sociale della Città di Torino
Bando Concorso Idee Piano Regolatore Sociale della Città di Torino
 
DIECI REGOLE PER L'INTEGRAZIONE SOCIOSANITARIA
DIECI REGOLE PER L'INTEGRAZIONE SOCIOSANITARIADIECI REGOLE PER L'INTEGRAZIONE SOCIOSANITARIA
DIECI REGOLE PER L'INTEGRAZIONE SOCIOSANITARIA
 

More from mario d'andreta

Progettare il proprio sviluppo professionale
Progettare il proprio sviluppo professionaleProgettare il proprio sviluppo professionale
Progettare il proprio sviluppo professionale
mario d'andreta
 
Psicodinamica della formazione in osteopatia e posturologia
Psicodinamica della formazione in osteopatia e posturologiaPsicodinamica della formazione in osteopatia e posturologia
Psicodinamica della formazione in osteopatia e posturologia
mario d'andreta
 
Il miglioramento continuo della qualità
Il miglioramento continuo della qualitàIl miglioramento continuo della qualità
Il miglioramento continuo della qualità
mario d'andreta
 
Corso competenze per lo sviluppo professionale
Corso competenze per lo sviluppo professionaleCorso competenze per lo sviluppo professionale
Corso competenze per lo sviluppo professionale
mario d'andreta
 

More from mario d'andreta (17)

Sociocultultural and psychophysiological dimensions of souncscape perception
Sociocultultural and psychophysiological dimensions of souncscape perceptionSociocultultural and psychophysiological dimensions of souncscape perception
Sociocultultural and psychophysiological dimensions of souncscape perception
 
Modello sviluppo organizzativo reti di assistenza
Modello sviluppo organizzativo reti di assistenzaModello sviluppo organizzativo reti di assistenza
Modello sviluppo organizzativo reti di assistenza
 
Soddisfazione cliente e qualità totale
Soddisfazione cliente e qualità totale Soddisfazione cliente e qualità totale
Soddisfazione cliente e qualità totale
 
Progettare il proprio sviluppo professionale
Progettare il proprio sviluppo professionaleProgettare il proprio sviluppo professionale
Progettare il proprio sviluppo professionale
 
Cultura e clima nelle orgazzazioni
Cultura e clima nelle orgazzazioniCultura e clima nelle orgazzazioni
Cultura e clima nelle orgazzazioni
 
Psicodinamica della formazione in osteopatia e posturologia
Psicodinamica della formazione in osteopatia e posturologiaPsicodinamica della formazione in osteopatia e posturologia
Psicodinamica della formazione in osteopatia e posturologia
 
Il miglioramento continuo della qualità
Il miglioramento continuo della qualitàIl miglioramento continuo della qualità
Il miglioramento continuo della qualità
 
Dossier logistica integrata
Dossier logistica integrataDossier logistica integrata
Dossier logistica integrata
 
La progettazione della formazione
La progettazione della formazioneLa progettazione della formazione
La progettazione della formazione
 
Corso competenze per lo sviluppo professionale
Corso competenze per lo sviluppo professionaleCorso competenze per lo sviluppo professionale
Corso competenze per lo sviluppo professionale
 
Totem e tribù
Totem e tribùTotem e tribù
Totem e tribù
 
Hypothesis of research for the development of milan
Hypothesis of research for the development of milanHypothesis of research for the development of milan
Hypothesis of research for the development of milan
 
Il benessere organizzativo
Il benessere organizzativoIl benessere organizzativo
Il benessere organizzativo
 
La malattia. tra mente e corpo.
La malattia. tra mente e corpo.La malattia. tra mente e corpo.
La malattia. tra mente e corpo.
 
Valutazione prestazioni
Valutazione prestazioniValutazione prestazioni
Valutazione prestazioni
 
La formazione in osteopatia nell'ottica della qualità totale
La formazione in osteopatia nell'ottica della qualità totaleLa formazione in osteopatia nell'ottica della qualità totale
La formazione in osteopatia nell'ottica della qualità totale
 
Il contributo della psicologia allo sviluppo organizzativo
Il contributo della psicologia allo sviluppo organizzativoIl contributo della psicologia allo sviluppo organizzativo
Il contributo della psicologia allo sviluppo organizzativo
 

La governance locale partecipata

  • 1. LA GOVERNANCE LOCALE PARTECIPATA MARIO D’ANDRETA
  • 2. PROGRAMMA La gestione della governance locale partecipata  Presupposti  Obiettivi  Metodologia  Strumenti e tecniche  Fasi del processo
  • 3. PREMESSA  La governance locale partecipata si realizza attraverso il coinvolgimento attivo di tutti gli stakeholder di un territorio (pubblici e privati, locali e centrali, for profit e senza scopo di lucro, individuali e collettivi) alla progettazione e realizzazione dei beni e servizi utili al suo sviluppo economico e sociale e al miglioramento della qualità della vita delle comunità che lo abitano.  Essa si basa sulla valorizzazione della molteplicità di vedute e di interessi rappresentate da questi differenti soggetti, quale risorsa fondamentale per realizzare forme di sviluppo equilibrato e sostenibile, a partire dalle esigenze e potenzialità dei territori e dal presupposto della fiducia reciproca quale fondamento per un lavoro comune di costruzione di scenari, obiettivi e strategie condivisi.
  • 4. PRESUPPOSTI Il concetto di governance Nato nel lessico della scienza politica, in particolar modo di scuola anglosassone, il termine viene per lo più utilizzato nella originale forma inglese, per indicare una modalità di azione e di governo reticolare e sinergica, in grado di coinvolgere tutte le componenti che determinano l’equilibrio complessivo di un dato sistema politico ed amministrativo: ciò in base all’assunto che la più ampia partecipazione di attori altrimenti esclusi dai processi decisionali sia condizione di politiche pubbliche più efficaci ed efficienti in quanto maggiormente rispondenti ai bisogni della comunità. Nei casi di traduzione del termine, si parla per lo più di “sistema allargato di governo”, “governo multilivello”, “governo multi-attore”, per sottolineare il coinvolgimento di processi e attori non sempre automaticamente ricompresi nella nozione tradizionale di governo. Il concetto di governance si distingue da quello di government, più strettamente ancorato al modello rappresentativo e riferito alle relazioni che intercorrono tra le istituzioni formalmente preposte al governo di una comunità.
  • 5. PRESUPPOSTI Il concetto di governance La governance è il processo con il quale vengono collettivamente risolti i problemi rispondendo ai bisogni dl una comunità sociale. Essa rappresenta un sistema innovativo di realizzazione del policy making, nel quale il processo di decisione è la risultante di un’interazione tra soggetti diversi che condividono responsabilità di governo (soggetti istituzionali, terzo settore, soggetti della società civile); un sistema di governo a rete, dove la guida delle politiche ha una titolarità diffusa. Nel Government, si ha invece un intervento topdown, nel quale il soggetto pubblico ha la titolarità esclusiva di una politica pubblica all’interno di un sistema piramidale e gerarchico.
  • 6. PRESUPPOSTI Il concetto di governance Si ha una buona governance quando nella comunità sociale le azioni del governo (come strumento istituzionale) si integrano con quelle dei cittadini e le sostengono. La governance si attua con processi di democrazia attiva che catalizzano e facilitano un processo continuo di empowerrment e cambiamento. Essa si basa sull'integrazione di due ruoli distinti: quello di indirizzo programmatico (governo) e quello di gestione e fornitura di servizi (strutture operative ed amministrative). Un governo è strumento di buona governance quando applica principi per il coinvolgimento e la responsabilizzazione dei cittadini: centralità del cliente-cittadino, capacità di creare visioni condivise sulle prospettive di sviluppo (anticipazione e gestione proattiva dei cambiamenti), comportamenti amministrativi (missioni) coerenti con tali visioni, definizione di risultati attesi e gestione snella per realizzarli, apprendimento continuo, apertura al mercato, partecipazione e non gerarchia, conferimento di responsabilità e potere alle varie componenti del sistema sociale, perseguendo federalismo, frattalismo, flessibilità ed apertura organizzativa (networking e partnership).
  • 7. PRESUPPOSTI Il libro bianco sulla governance Europea Approvato dalla Commissione Europea il 25/7/2001 Propone una maggiore apertura nel processo di elaborazione delle politiche dell’Unione Europea ai cittadini, alle istituzioni regionali e locali così da garantire una partecipazione più ampia e politicamente significativa alla definizione e presentazione delle scelte di fondo, incoraggiando una maggiore apertura e responsabilizzazione delle parti in causa.
  • 8. PRESUPPOSTI I principi della buona governance  Apertura capacità di spiegare con linguaggio accessibile e comprensibile ad un pubblico vasto che cosa si fa e in che cosa consistono le decisioni che si adottano  Partecipazione un’ampia partecipazione consente di aumentare la fiducia sul risultato finale di una politica pubblica e sulle istituzioni da cui una politica emana  Responsabilità chiarezza nella distribuzione di ruoli, compiti ed impegni nell’elaborazione ed attuazione delle politiche  Proporzionalità la scelta del livello sul quale la politica interviene (sovrazionale, zonale, comunale ecc.) e degli strumenti da utilizzare deve essere proporzionata agli obiettivi perseguiti  Sussidiarietà esperienze innovative di cooperazione finalizzate alla costituzione di reti inter-istituzionali fra soggetti di pari livello istituzionale (sussidiarietà orizzontale) o di diverso livello istituzionale (sussidiarietà orizzontale)
  • 9. PRESUPPOSTI Le specificità della governance locale In primo luogo, l’Ente che opera a livello locale è quello che, rispetto ad altri, deve tenere conto del maggior numero di altri livelli istituzionali nazionali e sovranazionali nello svolgimento delle proprie attività, come prima citato. Esso è, inoltre, l’unico, tra i tanti che operano a livello locale, con una responsabilità politica sottoposta al livello più contiguo possibile di scrutinio democratico. La contiguità delle Amministrazioni locali con i cittadini o utenza finale, la pluralità di attori coinvolti dal processo decisionale locale costituiti dalla società civile nelle sue diverse articolazioni, nonché la loro stessa natura di erogatori prevalentemente diretti di servizi pubblici, pongono infatti in primo piano, ancor più che per gli altri livelli istituzionali, il problema della qualità dei servizi e della soddisfazione degli utenti, cittadini e imprese.
  • 10. PRESUPPOSTI Il paradigma dello sviluppo locale L'espressione sviluppo locale è utilizzata per indicare una grande varietà di posizioni culturali, scientifiche e politiche; una diversità spesso contraddittoria, di riferimenti teorici e metodologici; una molteplicità di pratiche e di esempi. Lo sviluppo locale è un aumento qualitativo delle capacità del territorio di agire, reagire, programmare e gestire situazioni complesse. A livello di popolazione locale lo sviluppo si individua in un aumento delle libertà personali dato dall'aumento della "capacitazione". Per leggere lo sviluppo locale non possiamo guardare solo ad aspetti come il PIL pro-capite locale o alla crescita delle transazioni economiche, ma bisogna guardare a complessi aspetti sociali e politici che si sviluppano sul territorio e determinano vantaggi competitivi che il solo mercato non potrebbe realizzare. Attraverso la cooperazione fra attori e la creazione di reti di attori stabili nel tempo aumenta la capacità di visione e di azione. "Lo sviluppo locale è dunque un processo di cooperazione e cambiamento [...] finalizzato a produrre beni collettivi locali (infrastrutture e servizi per la comunità locale), in cui è di fondamentale importanza il ruolo degli attori locali per alimentare una strategia di valorizzazione delle risorse locali" ( Ciapetti, 2010) Lo sviluppo locale si può generare spontaneamente, o può essere indotto dall'azione degli attori sul territorio: ad esempio esistono agenzie di sviluppo pubbliche e private che offrono i loro servizi in questo campo. In Italia lo sviluppo locale è stato promosso anche con le politiche dei Patti Territoriali, i Piani Strategici e altre iniziative di tipo regionale (PIT, POR ecc.), e viene promosso attualmente attraverso i Gruppi di azione locale (GAL), che è un gruppo composto da soggetti pubblici e privati che elaborano il piano di azione locale (PAL) e gestiscono i contributi finanziari erogati dall’Unione europea e dai fondi strutturali.
  • 11. PRESUPPOSTI Il principio di sussidiarietà Il principio di sussidiarietà può essere definito come un criterio organizzativo degli enti istituzionali e di allocazione delle competenze in materia di erogazione dei servizi, finalizzato a consentire il migliore esercizio delle funzioni pubbliche. Esso viene assunto in una duplice accezione:  verticale Riferito all’attribuzione delle funzioni amministrative all’ente territoriale minore, con possibilità di surrogazione da parte degli enti territoriali via via superiori nel caso in cui le capacità e le risorse dell’ente minore non permettano un pieno, efficace ed efficiente raggiungimento degli scopi prefissati.  Orizzontale Riferito a forme di collaborazione fra settore pubblico e settore privato, in base alle quali il primo agevola lo svolgimento di attività di interesse generale da parte del secondo: ciò avviene essenzialmente su stipulazione di un rapporto convenzionale che provvede a regolare i rapporti fra pubblica amministrazione e soggetto priva-to che svolge l’attività o eroga il servizio. Il principio di sussidiarietà orizzontale si connette strettamente con quello di partecipazione. Sebbene si tratti di concetti formalmente distinti, partecipazione e sussidiarietà sono entrambi riconducibili ai più generali principi di collaborazione e solidarietà. Nel modello della democrazia partecipativa la collaborazione dei privati si limita al piano dei processi decisionali; nel modello della sussidiarietà la collaborazione si spinge fino al piano dell’attuazione concreta delle decisioni, grazie alla promozione di forme di empowerment della società civile. Il principio di sussidiarietà è stato attuato in Italia a partire dalle riforme amministrative degli anni ’90 ed infine sancito nella Carta costituzionale con la riforma del 2001. A livello regionale, esso trova oggi ulteriore riconoscimento nella gran parte degli statuti regionali e della relativa normativa di attuazione
  • 12. PRESUPPOSTI Il principio di inclusione L’inclusione costituisce uno degli aspetti qualificanti della democrazia partecipativa, e consiste nella capacità di far partecipare tutti coloro sui quali ricadono le conseguenze della decisione. Il livello di inclusività è destinato ad incidere profondamente sull’efficacia e sugli esiti del processo partecipativo: più esso è alto più si scongiura il rischio di esclusione di soggetti rilevanti ma con scarso potere di pressione nonché il rischio di generalizzazione di opinioni non rappresentative ma convergenti con gli obiettivi del decisore tali da ridurre il conflitto preventivo ma non quello successivo, potenzialmente legato all’ipotesi di intervento pubblico. Affinché un processo partecipativo sia realmente inclusivo occorre effettuare una preliminare analisi di contesto circa i soggetti coinvolti (effettivi e potenziali) e i relativi interessi in gioco. Il criterio di selezione degli attori da includere non può fare riferimento alla giuridicità dell’interesse (che può ancora non esserci) né alla rappresentatività dei soggetti (che rischia di spostare la partecipazione verso forme di difesa corporativa), bensì al mero dato oggettivo della esposizione agli effetti della decisione pubblica in virtù del rap-porto che lega i soggetti al territorio di riferimento
  • 13. PRESUPPOSTI Il concetto di capitale sociale Il concetto di capitale sociale è stato introdotto a partire dagli anni ’80 nell’ambito degli studi che analizzano le dinamiche di sviluppo della società: esso viene utilizzato per indicare l’insieme dei bagagli relazionali e valoriali che ciascun soggetto costruisce nel corso della propria esistenza in una determinata società e quindi, più in generale, l’insieme delle relazioni interpersonali formali ed informali che intercorrono fra gli individui, essenziali per il funzionamento di società complesse ed altamente organizzate. Il cuore della teoria del capitale sociale risiede nella constatazione che l’unione di soggetti dal bagaglio valoriale ed esperienziale diverso rende possibile risolvere problemi collettivi, in quanto facilita l’azione coordinata degli individui e migliora quindi l’efficienza della società nel suo insieme. Sul capitale sociale come insieme di beni relazionali prodotti dai processi inclusivi fanno perno i concetti di amministrazione condivisa e di democrazia partecipativa: lo scambio reciproco di relazioni non basate unicamente sull’utilità individuale può generare un circolo virtuoso di esperienze, conoscenze e informazioni tale da rendere possibile il raggiungi-mento di scopi altrimenti non perseguibili a livello individuale.
  • 14. PRESUPPOSTI La comunità locale È un ambito a cui vengono oggi associate caratteristiche e potenzialità di un certo interesse in quanto livello più fertile per la creazione di senso civico e di cittadinanza attiva. In particolare, la comunità locale è una dimensione che consente l’attivazione di dinamiche relazionali in grado di conservare e rigenerare il tessuto sociale; che rende maggiormente praticabili processi partecipativi e di collaborazione fra istituzioni e associazionismo; che può più facilmente innescare programmi di sviluppo locale anche in termini economici, alimentando un sistema civico contraddistinto da fiducia, tolleranza e solidarietà. Negli sviluppi più recenti la comunità, in contrapposizione alle grandi entità tradizionali come lo Stato, diventa motore di sostenibilità. La democrazia partecipativa ha il ruolo di valorizzare i saperi d’uso e l’intelligenza collettiva, indirizzando il produrre, l’abitare, il consumare verso forme relazionali, solidali, pattizie e comunitarie, sviluppando reti civiche e forme di autogoverno responsabile delle comunità locali. L’individuazione della comunità di riferimento è un problema chiave nella definizione dello statuto giuridico dei beni comuni: la comunità si definisce in ragione dei legami sociali di solidarietà che esistono o dovrebbero instaurarsi in relazione alla fruizione dei beni comuni presenti nella comunità stessa; esiste quindi una relazione circolare per cui i primi sono costitutivi della seconda e viceversa.
  • 15. PRESUPPOSTI Il concetto di partecipazione Riconducibile al novero delle parole-mito, la cui capacità evocativa e simbolica è inversamente proporzionale alla delimitazione concettuale ed empirica, il termine viene utilizzato per indicare varie forme e vari livelli di coinvolgimento dei membri di una collettività nel governo della stessa, con possibilità di concorrere a determinare gli obiettivi principali della vita della collettività, il modello di convivenza verso cui tendere, la destinazione delle risorse e la distribuzione dei costi e dei benefici. Le modalità di partecipazione al governo della collettività si articolano in livelli di varia intensità, che si differenziano tra di loro per l’incidenza del ruolo esercitato dai privati nell’ambito dei processi decisionali pubblici. Un elevato grado di partecipazione è tratto caratterizzante della democrazia, intesa come forma e metodo di governo di collettività di qualsiasi tipo e scala. Scarsi livelli di partecipazione sono indicatori di marginalità politica, economica e sociale. Il coinvolgimento della società civile nella costruzione e implementazione delle politiche pubbliche costituisce oggi uno dei tratti fondamentali della riflessione sulla democratizzazione delle istituzioni e la qualità dei processi decisionali. Il rilancio del tema della partecipazione discende dalla constatazione che il processo di allargamento della democrazia nella società contemporanea non può avvenire soltanto attraverso l’integrazione della democrazia rappresentativa con la democrazia diretta ma richiede una più decisa estensione della democratizzazione, intesa come costante relazionamento delle istituzioni con la società civile. Si parla, in proposito, di democrazia sostanziale e di democrazia sociale per indicare il passaggio della democrazia dalla sfera strettamente politica alla sfera sociale, ove l’individuo viene preso in considerazione non soltanto come cittadino bensì nella molteplicità dei suoi status (malato, lavoratore, consumatore, immigrato, ecc.). Nell’ordinamento italiano il principio di partecipazione trova esplicito riconoscimento nella Costituzione.
  • 16. PRESUPPOSTI La democrazia partecipativa Per democrazia partecipativa si intende un modello in cui la partecipazione è assunta quale metodo di governo della cosa pubblica, in base a criteri di inclusione, collaborazione e stabilità del confronto fra istituzioni e società civile: in particolare essa si configura come un’interazione entro procedure pubbliche (amministrative, normative, di controllo) fra società e istituzioni, che mira, mediante forme collaborative di gestione dei conflitti, a produrre di volta in volta un risultato unitario in funzione del miglior perseguimento dell’interesse generale. Sebbene le origini della democrazia partecipativa vengano generalmente individuate nel contesto latinoamericano della fine del novecento, in Italia l’espressione è già utilizzata a partire dalla fine degli anni ’60 per indicare il tipo di democrazia delineata dalla Carta costituzionale: un modello basato sulla complementarietà degli istituti e delle dinamiche della democrazia rappresentativa, della democrazia diretta e della democrazia partecipativa, tale da identificare la democrazia proclamata dall’art. 1 della Costituzione con la partecipazione permanente di tutti alla gestione della cosa pubblica. Il modello su cui si basa la democrazia partecipativa non è quello della delega del potere né quello del suo esercizio esclusivo bensì quello della collaborazione; l’obiettivo non è la rivendicazione del potere bensì un relazionamento costante fra soggetti pubblici e società civile, che dovrebbe caratterizzare l’intero processo decisionale (programmazione, progettazione e analisi ex ante, attuazione e implementazione, valutazione dei risultati). Sul piano dell’assetto politico-istituzionale la democrazia partecipativa deve tradursi in regole organizzative e procedurali, al fine di garantire la correttezza ed efficacia dei processi partecipativi attivati e il soddisfacimento dei diritti di partecipazione dei soggetti coinvolti. La scarsa efficacia di molte esperienze partecipative dipende ancora oggi, principalmente, dalla assenza di regole e di garanzie adeguate, ossia dalla scarsa percezione della partecipazione quale oggetto e obiettivo di una politica pubblica ad hoc oltre che fase accessoria delle politiche di settore.
  • 17. PRESUPPOSTI Concertazione e partecipazione Con il termine concertazione ci si riferisce ad una pratica di governo basata sul confronto e la partecipazione alle decisioni politiche da parte delle organizzazioni rappresentative di interessi. È un possibile livello di partecipazione basato sul confronto negoziale e la ricerca di accordi, rispetto ai quali le parti contraenti si impegnano ad uniformare le scelte e i comportamenti di propria competenza. Mira a creare forme di partenariato stabile fra istituzioni e stakeholder, attivando il confronto fra soggetti istituzionali, autonomie funzionali e soggetti privati per individuare soluzioni a problemi generali o settoriali. Pur trattandosi di una forma di partecipazione, la concertazione si differenzia dagli istituti della democrazia partecipativa strettamente intesa:  essa non ha scopo conoscitivo bensì politico, in quanto mira a consentire forme di mediazione sul contenuto della decisione;  non è inclusiva, poiché si rivolge a categorie e gruppi sociali precostituiti;  non riguarda l’intero processo decisionale ma si esaurisce nella fase iniziale dello stesso;  non mira alla rilevazione del più ampio quadro di opinioni e informazioni in vista del soddisfacimento dell’interesse generale bensì alla conciliazione di interessi antagonisti.
  • 18. PRESUPPOSTI La deliberazione pubblica Il tema della deliberazione pubblica, strettamente connesso a quello delle arene deliberative, costituisce uno dei profili più innovativi degli studi di scienza politica dell’ultimo ventennio. Il significato del termine deliberazione, che nella lingua italiana richiama prettamente, ma erroneamente, l’idea di decisione, deve ricercarsi nel lessico anglosassone, ove il verbo to deliberate viene utilizzato ponendo in risalto l’aspetto partecipativo e consensuale rispetto al momento della mera decisione: quest’ultima, singola tappa di un processo più ampio, si qualifica per il carattere dialogico del confronto. In questi termini il valore della deliberazione sta nella comunicazione deliberativa caratterizzata da reciprocità, sincerità, rispetto, finalità di mutua comprensione. Tale rilettura del concetto di deliberazione intende superare i limiti derivanti dalla chiusura verso gli attori sociali, tipica del processo decisionale rappresentativo: le sperimentazioni di democrazia deliberativa, diffusesi a partire dai paesi di cultura anglosassone e tedesca, rifiutano un modello decisionale standard, valorizzando piuttosto l’elasticità e la duttilità del processo al fine di plasmarne le fasi e le tecniche sull’obiettivo da raggiungere e sui bisogni da soddisfare.
  • 19. PRESUPPOSTI La democrazia deliberativa Nell’ambito delle teorie che si rifanno alla partecipazione quale principio e metodo di governo delle democrazie complesse, la teoria della democrazia deliberativa si basa specificamente sul carattere inclusivo e deliberativo dei processi decisionali: il primo elemento assicura che tutti i soggetti potenzialmente interessati all’oggetto della deliberazione possano esservi coinvolti; il secondo richiama il concetto di consenso razionale, quale esito di un processo deliberativo basato sullo scambio di informazioni e di argomenti confortati da ragioni. Il metodo della democrazia deliberativa non si rifà al conteggio dei voti tra posizioni precostituite, come nel principio di maggioranza, né alla negoziazione tra interessi dati, bensì alla discussione basata su argomenti razionali tra tutti i soggetti coinvolti nell’arena deliberativa su un tema specifico. Nell’interpretazione dominante la teoria della democrazia deliberativa, diffusasi a partire dal mondo anglo-americano della seconda metà del secolo scorso, viene intesa come una forma di democrazia partecipativa, ma caratterizzata da un perimetro più definito e circoscritto: in base al luogo in cui essa viene realizzata si distingue fra democrazia deliberativa a forte istituzionalizzazione (le c.d. arene deliberative, dove i partecipanti si incontrano consapevoli di contribuire a quel processo decisionale) e democrazia deliberativa a debole istituzionalizzazione (forme di relazione in contesti istituzionali non specificamente dedicati).
  • 20. PRESUPPOSTI Le politiche pubbliche Sistemi articolati e coerenti di scelte e di azioni condotte dal decisore pubblico, nella forma di atti normativi e/o provvedimenti amministrativi, al fine di fornire una risposta efficace a problemi di rilevanza pubblica e/o collettiva. La partecipazione alle politiche pubbliche, che può articolarsi in una molteplicità di forme e di fasi con finalità parzialmente diverse, rappresenta il cuore della democrazia partecipativa, in quanto condizione della qualità e dell’efficacia dei relativi processi decisionali. Sotto questo profilo, le politiche pubbliche possono definirsi come configurazioni istituzionalizzate di problemi, soluzioni, attori, partecipanti e destinatari, nell’ambito delle quali l’innesto di processi partecipativi è reso necessario dalla crescente complessità e trasversalità delle politiche stesse, considerando che:  la legislazione è complicata dalle grandi trasformazioni nell’economia e nei rapporti tra pubblico e privato;  le politiche non sono più riconducibili ad un unico attore istituzionale e presuppongono l’intervento di un insieme disparato di soggetti pubblici e privati;  il coinvolgimento di settori differenziati rende multiforme l’attività di individuazione dei bisogni e perciò determinante l’utilizzo delle competenze esperienziali dei destinatari. A livello regionale si registra una tendenza crescente a riconoscere la funzionalità della partecipazione rispetto all’efficacia delle politiche pubbliche: molte leggi esplicitamente assumono la partecipazione come “metodo di relazione” o “criterio generale di sviluppo dei processi decisionali”, o ancora come “strumento strategico per il governo” del settore, precisando come la stessa debba contraddistinguere le fasi della programmazione, della attuazione e della valutazione degli effetti delle politiche.
  • 21. PRESUPPOSTI Le politiche partecipative Possono intendersi come un metodo per decidere, attuare e valutare le politiche pubbliche, volto ad assicurare il carattere inclusivo dei relativi processi decisionali: in questo caso la partecipazione viene in rilievo come strumento di governo delle politiche di settore. Possono anche intendersi come politiche pubbliche ad hoc, aventi come oggetto e obiettivo specifici la promozione della partecipazione attraverso interventi mirati di tipo incentivante: in questo caso i settori di intervento sono generalmente quelli della educazione alla cittadinanza, della formazione, dell’empowerment, della informazione e della comunicazione pubblica. Gli strumenti utilizzati in questi ambiti mirano a diffondere la conoscenza e la sperimentazione concreta delle tecniche partecipative (es. laboratori, scuole di cittadinanza, ecc.).
  • 22. PRESUPPOSTI La partecipazione istituzionale Coinvolgimento di soggetti di tipo istituzionale nei processi decisionali sottostanti le politiche pubbliche, realizzato secondo le logiche e mediante gli strumenti della democrazia partecipativa. Costituisce una forma di concretizzazione della teoria del federalismo cooperativo nonché del principio costituzionale di leale collaborazione, che ha trovato esplicito riconoscimento in alcune regole finalizzate ad ispirare i reciproci rapporti tra stato, regioni, città metropolitane, province e comuni. La promozione di un agire congiunto fra istituzioni distinte, imposta dalla crescente pluralità degli attori istituzionali coinvolti nelle politiche e dalla conseguente integrazione delle rispettive competenze, è funzionale ai principi di efficienza ed efficacia dell’azione pubblica. Principale strumento di partecipazione istituzionale è l’intesa, che tuttavia non costituisce l’unica forma possibile di raccordo. Il protocollo d’intesa è strumento che si presta particolarmente a disciplinare i rapporti fra regione ed enti locali nell’attuazione di processi partecipativi. Nelle regioni che hanno adottato un’apposita normativa il ricorso al protocollo fa sì che gli enti locali siano indotti ad adeguarsi ad essa pur mantenendo la propria autonomia organizzativa: in tale ambito esso è infatti associato alla previsione di incentivi, ai quali gli enti locali possono accedere solo ove si impegnino ad adottare gli strumenti partecipativi previsti dalla normativa regionale. Questo modello è stato adottato, ad esempio, dalla legge della Toscana sulla partecipazione e dalla legge del Lazio sul bilancio partecipativo.
  • 23. PRESUPPOSTI L’amministrazione condivisa Modello di azione amministrativa che intende contrapporsi a quello tradizionale dell’amministrazione quale esercizio di un potere impositivo e unilaterale, messo in discussione con la progressiva apertura del procedimento amministrativo (diritto di accesso, partecipazione al procedimento, comunicazione pubblica, ecc.). Il modello dell’amministrazione condivisa si fonda su una visione sostanzialmente paritaria del rapporto fra decisore e cittadino, pur nel riconoscimento di compiti e responsabilità distinte, e sulla valorizzazione di strumenti di dialogo e collaborazione. Il dialogo e l’aspetto comunicativo trovano riferimento nella disciplina delle attività di informazione e comunicazione pubblica. L’aspetto più propriamente collaborativo trova fondamento nella teoria della amministrazione catalitica elaborata negli anni ’90: l’amministrazione post-burocratica deve agire come una sorta di catalizzatore, non prendendo le decisioni in prima persona ma cercando di prenderle con altri o di farle prendere da altri, ossia stimolando la partecipazione, l’iniziativa e la responsabilizzazione della società civile. Questa prassi dell’amministrare può realizzarsi per iniziativa dell’amministrazione oppure dei cittadini:  nella prima ipotesi è l’amministrazione che sollecita i cittadini ad affrontare insieme un problema di interesse generale, cui l’amministrazione da sola non può dare soluzione oppure cui può dare una soluzione migliore alleandosi con i cittadini (v. ad es. la raccolta differenziata dei rifiuti urbani);  nella seconda ipotesi sono i cittadini che autonomamente si propongono all’amministrazione come alleati per perseguire insieme l’interesse generale (v. ad es. le associazioni di volontariato che prestano servizi di carattere socio-sanitario). Tale seconda modalità trova oggi un fondamento costituzionale esplicito nel principio di sussidiarietà orizzontale.
  • 24. PRESUPPOSTI La comunicazione pubblica Con l’espressione comunicazione pubblica ci si riferisce ai contesto e agli strumenti che permettono ai diversi attori che intervengono nella sfera pubblica di entrare in relazione tra loro e di confrontare punti di vista e valori per concorrere al comune obiettivo di realizzare l’interesse della collettività. Al pari dell’informazione pubblica, essa è ormai considerata una vera e propria funzione dei soggetti pubblici. A seconda dei soggetti che la attivano, degli oggetti dei quali si occupa e delle finalità specifiche che si pone, la comunicazione pubblica può declinarsi in:  comunicazione istituzionale proviene dalle istituzioni pubbliche ed è finalizzata a renderne note le attività e le funzioni, a sostenerne l’identità e il punto di vista;  comunicazione sociale proviene da soggetti, pubblici o privati, che svolgano attività di interesse generale ed è incentrata su problematiche di carattere sociale;  comunicazione politica proviene istituzioni pubbliche e partiti politici ed è incentrata su argomenti controversi rispetto a cui si sostengono specifici punti di vista. Nella prospettiva della democrazia partecipativa, la comunicazione istituzionale e la comunicazione sociale assumono rilievo in quanto precondizioni, ossia strumenti preliminari indispensabili per consentire una effettiva partecipazione. Esse mirano infatti a realizzare forme di interlocuzione stabile fra le istituzioni e i soggetti della società civile, volte a consentire l’ascolto dei cittadini e a sollecitare la loro partecipazione alle scelte che orientano le politiche pubbliche.
  • 25. PRESUPPOSTI La facilitazione La facilitazione di gruppo è un processo in cui una persona, unanimemente selezionata da tutti i membri del gruppo in quanto neutrale e priva di autorità decisionale sulle questioni da trattare, conduce un’analisi ed interviene per aiutare il gruppo a migliorare il modo in cui si identificano e risolvono i problemi, e si prendono le decisioni in modalità condivisa ed inclusiva. Riguarda una serie di comportamenti finalizzati a migliorare il lavoro di gruppo in termini di efficacia sul piano dei contenuti, soddisfazione sul piano delle relazioni, coerenza con i valori e le finalità delle persone che lo costituiscono; è quindi molto utile nei contesti in cui una pluralità di attori è chiamata ad esplicitare opinioni, suggerimenti, proposte in merito ad un argomento. In genere la facilitazione è attuata da una precisa figura, il facilitatore; ma a volte, nei gruppi che hanno esperienza, tale funzione può essere attuata contemporaneamente, e secondo una prestabilita dinamica, da diversi membri interni al gruppo, o anche da tutti i membri. Esistono numerose tecniche di facilitazione, che è necessario adattare al contesto di riferimento, al livello di partecipazione che si intende attivare, agli obiettivi da raggiungere. Tali tecniche devono essere inserite all’interno di un percorso, che per essere efficace non può esaurirsi in un singolo incontro e deve curare nel dettaglio anche le fasi di analisi dei presupposti e di restituzione degli esiti.
  • 27. PRESUPPOSTI La consultazione La consultazione rappresenta il livello di partecipazione in cui gli attori sono ascoltati e dovrebbero avere l’opportunità di influenzare le decisioni, tramite le informazioni e le opinioni che forniscono. Essa consiste in una rilevazione metodologicamente rigorosa delle percezioni e delle valutazioni dei destinatari degli interventi ipotizzati, circa le esigenze rilevanti e la natura, l’entità e la distribuzione socio-temporale e spaziale degli effetti della decisione stessa, con particolare riferimento ai costi e ai benefici attesi. In quanto istituto tipico di democrazia partecipativa, la consultazione deve :  coinvolgere un ventaglio ampio e differenziato di soggetti, da individuare di volta in volta ad opera dell’istituzione procedente, in relazione all’oggetto e alla complessità dell’intervento e alle diverse categorie di destinatari;  caratterizzare l’intero processo decisionale, attraverso strumenti che assicurino un percorso circolare e progressivo delle informazioni, sia nella fase ex ante del processo decisionale che in quella ex post di attuazione e valutazione degli effetti prodotti. La consultazione diventa efficace se chi amministra con l’intenzione di promuovere politiche pubbliche di qualità ne utilizza le procedure per mirare alla costruzione di processi decisionali realmente inclusivi, apprestando allo stesso tempo garanzie per assicurare un’adeguata considerazione dei risultati della partecipazione. Essa può sconfinare in dinamiche di tipo concertativo che, in quanto non inclusive, non consentono a ciascun soggetto interessato di contribuire alla decisione arricchendo le informazioni utili alla valutazione, esprimendo il proprio punto di vista e proponendo idee per lo sviluppo di obiettivi e alternative. Per altro verso, la consultazione può limitarsi all’indagine sistematica sulle esigenze dei cittadini (sondaggi, questionari, interviste, ecc.) e all’ascolto passivo delle opinioni e delle proposte espresse (pubbliche audizioni, forum, consulte, ecc.); tali attività non assicurano però che le preoccupazioni e le idee delle persone vengano prese in considerazione.
  • 28. PRESUPPOSTI La cooperazione Nella sua forma originaria la cooperazione è una forma organizzata di solidarietà fra gli individui, basata sulla naturale propensione dell’uomo ad associarsi per affrontare le difficoltà e gli ostacoli comuni. La cooperazione può fornire importanti presupposti per la realizzazione di fini tipici della democrazia partecipativa: in particolare per ciò che concerne le modalità di implementazione di determinati progetti e di attuazione del principio di sussidiarietà, che richiedono di ampliare il bacino degli attori coinvolti, concepiti come parte fondamentale di un processo decisionale e come soggetti meritevoli di inclusione sociale. La Costituzione italiana fa riferimento alla cooperazione all’art. 45, ove afferma che «La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata». Tale principio pone la base anche per caratteristiche fondamentali delle imprese cooperative in relazione agli scopi per cui nascono: capacità di offrire beni e servizi a costi più vantaggiosi di quelli di mercato; possibilità per chiunque lo voglia di aderire ad una data cooperativa; possibilità di fruire dei servizi.
  • 29. PRESUPPOSTI La capacitazione Il termine (dall’inglese capability, trad. lett. “qualità di essere capace”) viene utilizzato per indicare una sorta di “abilità di fare cose”. Esso si è diffuso in particolare nell’ambito della riflessione sulla sostenibilità dei modelli di sviluppo locale, basata sulla valorizzazione dei c.d. saperi d’uso e sulla costruzione di competenza: attraverso la cooperazione fra diversi attori e la creazione di opportunità e di network stabili nel tempo aumenta la capacità di visione e azione del singolo e della comunità di riferimento. L’utilizzo del termine capacitazione intende superare il riferimento alle capacità umane in senso stretto (in inglese abilities), richiamando piuttosto l’idea delle capabilities, ovvero le capacità che la società può valorizzare e incrementare nell’individuo grazie a politiche pubbliche di tipo abilitante (empowerment). Il concetto di capacitazione assume un rilievo centrale nel modello della democrazia partecipativa, poiché ne sviluppa i caratteri di inclusività, collaborazione, solidarietà ed eguaglianza sostanziale. In particolare, esso intende smascherare l’ambiguità che il termine libertà ha assunto nelle democrazia contemporanee, ove gli individui possono trovarsi in situazioni di apparente libertà complessiva (nei paesi industrializzati generalmente nessuno proibisce di fare alcunché, purché nell’ambito della legalità), ma non per questo vivere una condizione di piena libertà: il paradosso delle democrazie contemporanee è, infatti, che gli individui vengono apparentemente lasciati liberi di agire, ma in realtà essi versano in una condizione di estrema sprovvedutezza circa la propria capacità di scegliere sulla base di una volontà liberamente formata e quindi di partecipare criticamente al processo di adozione delle scelte che li riguardano.
  • 30. OBIETTIVI Lo sviluppo di una visione e progettualità condivise L’attivazione di un processo di governance locale partecipata mira alla creazione di un apposito setting organizzativo volto allo sviluppo di una visione condivisa tra cittadini e portatori di interesse rispetto alle politiche e progetti locali da realizzare, in modo che l’intervento possa rispondere al meglio alle esigenze del territorio e dunque contribuire a migliorare la vita dei suoi cittadini. Il percorso partecipativo mira inoltre a favorire il consolidamento delle reti sociali, incrementare il senso di appartenenza dei cittadini alla propria comunità e di responsabilità rispetto alle sue trasformazioni.
  • 31. OBIETTIVI Lo sviluppo di una comunità competente In tal senso l’adozione di un modello di governance locale partecipata consente di promuovere lo sviluppo di una comunità consapevole dei propri bisogni e delle proprie risorse, in grado di ampliare gli spazi di confronto, partecipazione, progettualità nel rispetto delle differenze e delle caratteristiche proprie dei soggetti e delle istituzioni che vivono al suo interno. I gruppi sociali possiedono le competenze e la motivazione per intraprendere attività volte al miglioramento delle condizioni di vita.
  • 32. OBIETTIVI Questi obiettivi si possono declinare in tre macro-aree Aumentare la qualità delle decisioni  Conoscenza, competenze ed esperienza  Affrontare la complessità  Apprendimento reciproco  Individuazione immediata di conflittualità  Valorizzazione della diversità e della multi-settorialità Democratizzare il processo decisionale  Governance orizzontale  Orientare e non subire i cambiamenti (sociali, ambientali, tecnologici, ecc.)  Rappresentatività di opinioni e valori  Fiducia verso i decisori  Desiderio di intervenire in prima persona  Evitare le controversie a posteriori Costruire coesione sociale  Condivisione di valori  Capitale sociale  Senso di appartenenza  Co-responsabilità  Creazione di network collaborativi, informativi e fiduciari  Raggiungimento del consenso
  • 33. METODOLOGIA Precondizioni della partecipazione Oltre che dalla qualità dei processi decisionali, volte ad analizzare l’opportunità e l’adeguatezza delle soluzioni prescelte, l’efficacia delle politiche pubbliche in generale, e delle politiche partecipative in particolare, dipende anche da un insieme di condizioni esterne, riguardanti non l’oggetto delle politiche strettamente inteso, bensì il contesto in cui queste si calano. A tal fine non basta soffermarsi sul processo decisionale in senso stretto, che dovrà comunque rispettare i canoni della democrazia partecipativa, ma occorre cogliere l’apporto specifico derivante da strumenti e attività ulteriori, quali:  informazione pubblica e comunicazione pubblica, senza le quali verrebbe meno la possibilità per le istituzioni di interagire con i destinatari delle politiche;  sensibilizzazione, ovvero attività volta alla capacitazione e all’empowerment della società civile;  educazione alla cittadinanza e formazione, per la creazione di competenze funzionali alle esigenze ed alle sfide posti dall’attuazione di interventi pubblici di qualità;  alfabetizzazione informatica, per garantire l'accesso alle nuove tecnologie ed il superamento del divario digitale
  • 34. METODOLOGIA L’approccio bottom up Bottom up e top down sono espressioni spesso usate per distinguere i metodi, gli interessi, le attività della comunità (bottom up) da quelli di governo (top down). Un efficace processo partecipativo richiede entrambi. Nella modalità bottom up un percorso di auto-organizzazione dal basso cresce fino a coinvolgere uno o più livelli istituzionali, e ai partecipanti è offerta la possibilità di diventare protagonisti: proponendo i temi da mettere in agenda, influendo sull’esito del processo, assumendo ruoli deliberativi. Nella modalità top down l’iniziativa parte dal versante istituzionale per coinvolgere i cittadini e la società civile: il principale rischio connesso a questa modalità è che il coinvolgimento dei cittadini si risolva in mere azioni informative o di ricerca del consenso, mentre sarebbe necessario che le istituzioni e le amministrazioni locali riconoscessero effettivamente il valore democratico e propositivo della partecipazione.
  • 35. METODOLOGIA L’individuazione del problema Nei processi partecipativi la precoce individuazione dei problemi costituisce uno stimolo alla riflessione e alla più efficace gestione del percorso. I problemi si identificano con gli ostacoli, i costi, i conflitti, le incertezze che rendono difficile stabilire cosa fare. Difficilmente si riuscirà a trovare una soluzione adeguata se non si sta affrontando il problema giusto; è pertanto cruciale continuare a chiedersi “È davvero questo il problema?”.
  • 36. METODOLOGIA La logica del processo Si intende per processo un’attività o serie di attività che trasforma, conferendo valore, determinati input in altrettanti output; ha un punto di inizio e un punto di fine, e comprende attività interfunzionali che utilizzano risorse e generano valore aggiunto. Pianificare e gestire un processo partecipativo implica conoscere le caratteristiche e le priorità degli attori locali, sviluppare capacità di negoziazione e decisione, imparare ad approfittare degli eventi imprevisti, ammettere flessibilità e riorientamento del progetto, apprendere strada facendo. Non vanno tralasciati gli aspetti ed i vincoli quantitativi in termini di tempo, costi, risultati.
  • 37. METODOLOGIA Il processo decisionale Deve intendersi come un processo circolare che include l’insieme delle decisioni finalizzate al governo delle politiche pubbliche. Durante la prima fase vengono formulate, presentate, prese in esame e messe a confronto le diverse opzioni possibili, ma anche interessi, strategie, progetti e idee. In questa fase la decisione coincide con lo scioglimento della riserva a favore di una di queste opzioni, con conseguente conversione delle incertezze in certezza, tanto per i decisori quanto per i destinatari delle politiche. Decidendo si seleziona una specifica versione della realtà che da quel momento in avanti si vuole realizzare, escludendo tutte le altre soluzioni possibili, e quindi scartando ed accantonando le opzioni alternative che da queste ultime deriverebbero. Per la delicatezza ed il rilievo di tale compito, non si può prescindere dall’utilizzo di ampi strumenti di analisi, valutazione e consultazione, capaci di contribuire alla selezione di opzioni di qualità entro le quali operare la scelta ottimale inerente la politica in gioco. Il processo decisionale non dovrebbe peraltro arrestarsi alla scelta delle opzioni in campo: esso dovrebbe proseguire in una ulteriore fase di valutazione degli effetti prodotti dall’intervento. In un circolo decisionale virtuoso gli esiti di questa seconda fase dovrebbero a loro volta essere considerati quali elementi su cui fondare le decisioni di un eventuale successivo processo decisionale, volto ad affrontare le problematiche emerse nell’attuazione della soluzione inizialmente prescelta.
  • 38. METODOLOGIA La progettazione partecipata È una forma di progettazione che implica la considerazione di più punti di vista al fine di individuare la migliore soluzione possibile in termini di piani, progetti e strategie. Adottare tale approccio sin dalle prime fasi del processo di pianificazione significa chiedersi con chi, che cosa e perché si intenda partecipare una decisione: ciò consente di identificare i limiti di processo, i presupposti per un percorso coerente ed efficace, gli strumenti utili alla valutazione degli esiti. Far interagire differenti capacità, competenze ed esperienze aiuta a rendere più gestibile la complessità sociale, se il riconoscimento della diversità diviene pratica e il sapere diffuso diviene risorsa, all’interno di una prospettiva in cui tutti sono messi in condizione di occuparsi del bene comune; l’intelligenza collettiva è, infatti, allenamento all’esercizio continuo di cittadinanza e sovranità. In un contesto di questo tipo le posizioni contrastanti possono orientarsi verso interessi condivisi, e le idee di ciascuno possono comunque essere espresse. Progettare in maniera partecipata consente di creare condizioni di inclusione, le quali generano riconoscimento e senso di responsabilità. La cura del come si decide migliora la qualità del cosa si decide. Riconoscere ai singoli un naturale diritto di ascolto consente di far emergere bisogni e punti di vista sommersi o meno rappresentati.
  • 39. METODOLOGIA Gli interessi delle parti Caratteristica e problema comune dei processi decisionali è quello di non fermarsi al confronto delle posizioni che le parti hanno deciso di rivendicare bensì di concentrarsi sui loro interessi, ossia su ciò che ha spinto le parti ad assumere una determinata posizione. Confrontarsi sulle posizioni può essere sufficiente quando si opera all’interno di sistemi semplici, ma nei sistemi complessi è necessario aprire un dialogo sugli interessi. Si tratta di una ricerca molto creativa, poiché per ogni interesse vi è di solito una molteplicità di posizioni possibili, fra cui anche quella suscettibile di soddisfare tutti.
  • 40. METODOLOGIA La logica del progetto Sforzo complesso, generalmente di durata inferiore ai tre anni, comportante compiti interrelati eseguiti da varie organizzazioni, con obiettivi, schedulazioni e budget ben definiti. Può essere pianificato, gestito, monitorato e valutato in modalità partecipata. Comunicare lo stato di avanzamento e/o gli esiti di un progetto non significa attivare processi partecipativi.
  • 41. METODOLOGIA La logica del Project Cycle Management (PCM) Insieme di strumenti e metodologie di gestione dei progetti integrati e multi-attore adottato nel 1992 dalla Commissione Europea e riconosciuto come buona pratica internazionale. La sequenza delle fasi di preparazione e realizzazione dei progetti è stata definita Ciclo del Progetto: comincia con l’identificazione di un’idea da sviluppare in un piano di lavoro che possa essere realizzato e valutato; le possibili idee- progetto sono individuate nel contesto di una strategia concordata tra le parti coinvolte; tutti gli attori coinvolti nel processo sono consultati e le informazioni pertinenti rese disponibili, cosicché decisioni fondate possano essere prese nelle fasi chiave della vita di un progetto. È basato sul Logical Framework Approach e finalizzato a migliorare la qualità degli interventi in termini di rilevanza, fattibilità ed efficacia rispetto alle politiche di contesto, utilizzando criteri e standard di valutazione della qualità dell’idea di progetto, promuovendo approcci partecipativi, includendo l’analisi del rischio. Partecipazione e owner-ship da parte dei beneficiari sono fattori di qualità determinanti.
  • 42. METODOLOGIA Regole sulla partecipazione Uno dei principali ostacoli alla efficacia dei processi partecipativi risiede nella diffusa convinzione che tali processi non richiedano specifiche previsioni normative ma, al contrario, debbano essere lasciati alla libera iniziativa dei vari attori: ciò al fine di non ingessare entro schemi predefiniti le pluriformi dinamiche di confronto che possono attivarsi fra istituzioni e società civile. In effetti, vi sono aspetti dei processi partecipativi per i quali non sono formalmente necessarie discipline giuridiche in senso stretto, come la scelta dei soggetti da coinvolgere, delle fasi nelle quali attivare la partecipazione, delle tecniche di ascolto da utilizzare: questi aspetti riguardano elementi che devono essere valutati caso per caso, sulla base delle specificità dell’intervento di cui si discute. La necessità di regolare giuridicamente gli istituti partecipativi attiene piuttosto alle precondizioni, ai livelli essenziali, alle procedure e alle garanzie della partecipazione, condizioni di effettività del principio di partecipazione di cui all’art. 3, co. 2, Costituzione. Il fatto che la democrazia partecipativa, diversamente da quella rappresentativa e da quella diretta, faccia riferimento ad una pluralità di forme non predeterminate dalla Costituzione, non ne attenua il rapporto con le garanzie ma anzi rafforza la necessità di regole per assicurarle: in quanto espressione di sovranità popolare esercitata in ausilio degli organi rappresentativi, la partecipazione può infatti risultare utile ed efficace solo grazie alla previsione di apposite regole che, pur lasciando flessibili gli strumenti, istituzionalizzino il metodo.
  • 43. METODOLOGIA Action planning Con l’espressione action planning ci si riferisce al processo di pianificazione degli adempimenti che occorre assicurare allorché si voglia progettare un percorso partecipativo: una volta definita la cornice strategica di un intervento, esso aiuta a decidere quali passi è necessario intraprendere per raggiungere gli obiettivi condivisi, indicando le scadenze, individuando i responsabili dei compiti da svolgere, stabilendo le risorse. È opportuno attivare l’action planning una volta definiti gli aspetti legati alla pianificazione strategica.
  • 44. METODOLOGIA Pianificazione, programmazione e progettazione Sebbene i concetti di pianificazione, programmazione e progettazione siano spesso usati come sinonimi, essi si caratterizzano per il grado di dettaglio e la logica di operatività (crescenti da pianificazione a progettazione) e per la visione d’insieme e l’organicità rispetto ai grandi obiettivi (decrescenti). In ambito partecipativo è importante coniugare l’ottica progettuale, finalizzata al raggiungimento di obiettivi misurabili entro termini dati, con l’ottica di processo, centrata sulla conoscenza delle esigenze e delle priorità degli stakeholder coinvolti.
  • 45. METODOLOGIA Piano Nello standard internazionale adottato dal Project Management Institute il piano di progetto o project plan si colloca nella prima fase di pianificazione e costituisce il momento fondamentale in cui il progetto prende forma. Sostanzialmente esso è un documento ufficiale, soggetto ad approvazioni, con il quale si descrivono gli obiettivi di progetto e gli elementi necessari per il loro raggiungimento.
  • 46. METODOLOGIA Il piano d’azione Dall’inglese action plan, esso fornisce risposte alla domanda “Che cosa facciamo adesso?”. Consiste in una lista di cose da fare con indicazione di chi se ne farà carico ed entro quali termini. Nel corso di una processo partecipativo il piano d’azione dovrebbe essere il risultato di workshop o altre riunioni dedicate.
  • 47. METODOLOGIA Il piano di consultazione Nessuna metodologia di consultazione può considerarsi valida in assoluto, ed il processo che si intende mettere in atto va strutturato in modo coerente e chiaro. Elaborare un piano di gestione della consultazione, nel quale rendere noti le finalità, i metodi e i tempi dell’indagine, nonché l’elenco dei soggetti destinatari ma anche dei referenti e dei responsabili istituzionali che gestiscono e monitorano il processo, può aiutare a risolvere alcune criticità delle pratiche partecipative in uso Al fine di minimizzare tali punti di debolezza, gli studiosi della materia già da tempo propongono di considerare e distinguere fattori variabili e fattori costanti della consultazione: i primi si riferiscono alle fasi, ai soggetti e alle tecniche, necessariamente flessibili in relazione alle specificità della regolazione proposta; i secondi rappresentano i principi-guida da seguire nell’impostazione di un disegno organizzativo sistematico, coerente, in grado di produrre risultati empiricamente fondati, cioè attendibili e controllabili. Tali fattori costanti devono essere individuati nella programmazione e coerenza del percorso di consultazione, nella proporzionalità delle risorse messe in campo, nella tempestività di attivazione e nella pubblicità da dare ai risultati.
  • 48. METODOLOGIA I limiti del processo Quando si decide di attivare un processo partecipativo occorre innanzitutto definirne i limiti. Questi si individuano analizzando il contesto di riferimento ed il tempo a disposizione, focalizzando che cosa si intende partecipare, ragionando su come si intende procedere e facendo una ricognizione di chi si vorrebbe coinvolgere. I limiti vanno definiti nella fase preparatoria del percorso, durante la quale occorre chiarire quali sono le risorse attivabili, come si intende monitorare le attività e valutare gli esiti. È importante esplicitare e condividere le finalità del processo partecipativo; eventuali limitazioni possono facilmente essere accettate se poste apertamente e onestamente, più di quanto lo siano aspettative tradite o strumentalizzazioni svelate. Confrontarsi sui limiti di contesto e di processo offre l’opportunità di decidere se mettersi in gioco e confrontarsi, o procedere altrimenti.
  • 49. METODOLOGIA Limiti temporali del processo La previsione di limiti di tempo ragionevoli è fra i requisiti minimi previsti dalla Commissione europea sin dal 2002 per migliorare la qualità del processo di consultazione delle parti interessate. La regola principale è lasciare tempo sufficiente ai partecipanti alle consultazioni per prepararsi e pianificare i loro contributi. Nel fissare la durata delle consultazioni occorrerebbe mantenere un equilibrio ragionevole tra la necessità di permettere l’elaborazione di contributi sufficientemente completi e quella di decidere in tempi brevi. Nel pianificare i tempi della consultazione va considerato che i cittadini e le parti interessate devono essere messi in condizione di elaborare contributi. La Commissione europea considera ragionevole un tempo minimo di dodici settimane.
  • 50. METODOLOGIA I livelli di partecipazione I livelli di partecipazione sono i diversi gradi di coinvolgimento proposto da chiunque stia avviando o gestendo un processo partecipativo. Le scale utilizzate come riferimento teorico e pratico sono molteplici, e quella presentata da Sherry Arnstein nel 1969 è tra le più conosciute:  manipolazione, terapia, informazione sono considerati “Non Partecipazione”;  consultazione, rassicurazione, partenariato sono considerate “Tokenismo”;  potere delegato e controllo da parte dei cittadini rappresentano forme di “Potere dei cittadini”. A seconda del livello in cui ci si posiziona (es. informazione, consultazione, progettazione partecipata, empowerment, in una scala a quattro livelli) vanno utilizzati specifici metodi di lavoro. Nessuno livello è necessariamente migliore di un altro, dato che ciascuno può essere appropriato alle circostanze in cui ci si trova ad operare; occorre però tenere presente che ciascun livello rappresenta diversi equilibri di controllo tra i diversi interessi in gioco.
  • 51. METODOLOGIA La logica delle opzioni L’assunto che “non c’è alternativa” è raramente vero. Le opzioni sono i diversi modi in cui è possibile realizzare ciò che soddisfa gli interessi degli attori in campo, a patto che si sia disponibili ad individuare soluzioni condivise ai problemi che si stanno affrontando. Nei processi decisionali multi-attore capita spesso di dover scegliere nell’ambito di una serie di opzioni predefinite, alternative tra di loro: se tali processi intendono essere inclusivi occorre ragionare insieme sui criteri di scelta delle opzioni, piuttosto che sulle singole alternative.
  • 52. METODOLOGIA Gli ostacoli alla partecipazione Nella costruzione di pratiche partecipative, ed ancor prima nella loro regolamentazione, le amministrazioni dovrebbero tenere adeguatamente conto degli elementi che maggiormente ostacolano il consolidamento della cultura partecipativa e la concretezza dei relativi processi, tentando di chiarirli e superarli al fine di rendere il metodo partecipativo coerente e stabile. Il principale ostacolo attiene alla mancanza o debolezza delle regole e, quindi, delle garanzie. Gli altri ostacoli attengono principalmente:  all’ampiezza del termine partecipazione, che rende necessario precisare le tipologie e le finalità degli strumenti partecipativi cui si intende riferirsi;  alla diversità degli approcci e dei relativi linguaggi (giuridico, sociologico, politico), rispetto ai quali occorre ricercare un lessico omogeneo e condiviso;  alla mancanza di conoscenza dei propri diritti partecipativi da parte delle categorie di soggetti a maggiore rischio di esclusione, per i quali occorre prevedere adeguate politiche informative;  alla sfiducia di grandi parti della società civile rispetto alla propria capacità/possibilità di influire sulle decisioni che li riguardano, che rende necessario accrescere la trasparenza e l’accountability delle amministrazioni pubbliche;  alla resistenza manifestata da molti amministratori, rispetto alla quale occorrono interventi di diffusione della conoscenza degli strumenti partecipativi e delle loro potenzialità in termini di qualità ed efficacia delle scelte pubbliche;  alla mancanza di professionalità adeguate, che rende necessaria la predisposizione di idonei percorsi formativi
  • 53. METODOLOGIA Accountability Il termine inglese accountability, di difficile traduzione letterale, viene utilizzato per indicare la capacità delle amministrazioni di rendere conto della correttezza del proprio operato e dei propri processi decisionali. In base a questo principio, strettamente collegato a quello di trasparenza, ogni intervento regolativo, atto amministrativo o politica pubblica deve provenire da un’autorità ben identificabile, che si configuri come responsabile della sua implementazione e che sia quindi capace (ability) di darne conto e risponderne (account). Condizione di una effettiva accountability è la creazione di un sistema valutativo delle politiche, delle norme e degli atti posti in essere, che preveda –fra l’altro- l’individuazione di un responsabile per ogni policy, in grado di chiarire eventuali dubbi circa la trasparenza della gestione e/o della legittimazione di un dato esito del processo decisionale. Dalla possibilità di imputare ai titolari di responsabilità politiche gli effetti delle scelte operate (accountability) dovrebbe discendere la consapevolezza del proprio ruolo nell’agire sociale (responsiveness).
  • 54. METODOLOGIA Dalla pianificazione gerarchico-piramidale a quella reticolare Nell’ambito della pianificazione, al modello gerarchico-piramidale, si sono via via affiancati, nel corso degli ultimi anni, altri due modelli di pianificazione:  Il modello “bottom-up” o “dal basso” (valido in un ristretto ambito di intervento: un quartiere, una piazza), nel quale la comunità locale promuove l’iniziativa del processo pianificatorio, sviluppato e poi attuato attraverso la cooperazione pubblico-privata, la concertazione e la partecipazione.  il “modello reticolare”, basato sulla mobilitazione della rete di relazioni esistente tra gli attori ed i portatori di interessi, permette di mobilitare sia le risorse economico-finanziarie pubbliche e private di tali soggetti sia il loro potenziale conoscitivo, innovativo e creativo: risorse umane, informazioni, know how, capacità di trovare soluzioni innovative ai problemi, superando, in tal modo, la ben nota mancanza di mezzi e la rigidità procedimentale degli enti pubblici che svolgono le funzioni di governo del territorio. Il processo pianificatorio reticolare si fonda sul coinvolgimento degli attori sociali, sulla realizzazione di azioni e politiche condivise, sulla negoziazione e sulla partecipazione attiva della cittadinanza in una visione di definizione di progetti condivisi per la città. Uno dei maggiori aspetti che contraddistingue la progettazione dello sviluppo locale è, pertanto, l’alto tasso di attività relazionali: gran parte del lavoro viene svolto in una dimensione collettiva in cui project manager, animatori, tecnici ed attori del territorio interagiscono. Favorire, quindi, le interazioni e stimolare la condivisione, è fra le più importanti capacità richieste a chi deve occuparsi della gestione del progetto e richiede l’utilizzo di strategie adeguate ad affrontare la repentinità del cambiamento e l’imprevedibilità degli scenari.
  • 55. METODOLOGIA Le tecniche per la facilitazione dei processi partecipativi Nei processi partecipativi il termine è utilizzato per indicare ogni dispositivo che aiuti a procedere: dalla seduta di brainstorming al complesso gioco di simulazione. Le tecniche devono essere selezionate e adattate ai contesti e alle finalità del processo, tenendo presenti i seguenti criteri:  tipologia dei soggetti da consultare;  onerosità di realizzazione, con particolare riferimento ai tempi e ai costi;  attendibilità e validità delle informazioni attese;  utilità ed esaustività dei risultati. Valutare correttamente questi aspetti è determinante ai fini di una consultazione efficace, dal momento che la scelta di una tecnica inadeguata può rilevarsi controproducente per la qualità del processo decisionale, non soltanto per l’inutile dispendio di tempo e di risorse ma anche, e soprattutto, per il carattere non pertinente o addirittura fuorviante delle informazioni rilevate. Rispetto alle specificità delle singole tecniche e alle fasi nelle quali attivarle, si distingue fra  tecniche per l’ascolto, che si basano su metodi che aiutano a capire come i problemi sono percepiti dagli stakeholder e dai comuni cittadini: distribuzione di materiale informativo direttamente alle persone in situazioni di aggregazione; articoli su giornali locali, spot informativi sui media; interventi informativi e di scambio nell’ambito di riunioni di specifici gruppi (es. brainstorming, focus group); strutture mobili; attivazione di punti di riferimento in loco; animazione territoriale.  tecniche per l’interazione costruttiva, che si basano su metodi che aiutano i partecipanti ad interloquire fra di loro e a produrre conclusioni condivise, e prevedono l’uso di strumenti basati sulla costruzione di scenari (Search conference, EASW), sulla simulazione (Planning for real), sull’autorganizzazione (Open space technology).  tecniche per la risoluzione dei conflitti, che si basano su metodi volti ad agevolare la discussione rispetto a questioni controverse (giuria di cittadini, bilancio partecipativo). Le tecniche sono utili per guidare il lavoro di consulenti, facilitatori e formatori ma non devono essere viste come soluzioni lampo: i metodi e le tecniche di facilitazione del lavoro di gruppo e dei processi decisionali possono contribuire a rendere efficaci le relazioni di partenariato, a condizione che riescano a pro-muovere esiti deliberativi di qualità.
  • 56. STRUMENTI Strumenti e tecniche per la realizzazione del processo partecipativo 1. di coordinamento e conduzione: cabina di regia e facilitatori 2. di informazione e comunicazione: punti informativi, siti e database open 3. di ascolto e comprensione dei bisogni: punti di ascolto, interviste, questionari, forum, tavoli sociali, consulte, forum telematici, focus group, camminate di quartiere, brainstorming, outreach, animazione territoriale, ricerca-azione partecipata 4. di facilitazione dei processi decisionali (elaborazione di visioni e piani di azione condivisi e risoluzione di conflitti): Open space technology (OST), European Awareness Scenario Workshop (EASW), Planning for real, Metaplan, Goal oriented project planning (GOPP), Action planning, tavoli tecnici, gruppi di lavoro/workshop, Sondaggio deliberativo (Deliberative polling), Search conference, Consensus conference, Town meeting, giurie di cittadini, Dibattito pubblico, Conflict spectrum
  • 57. STRUMENTI 1. Strumenti e tecniche di coordinamento e conduzione Cabina di regia Struttura di governo del processo composta da:  Uno o più politici con incarichi amministrativi (giunte e assessori), aventi una funzione di garanzia volta a tutelare la correttezza dello svolgimento delle attività ed assicurare un seguito ai risultati del processo  Uno o più dirigenti, aventi una funzione di leadership, volta a guidare il processo dall’interno e favorire l’interazione tra gli stakeholder verso il raggiungimento di risultati condividi
  • 58. STRUMENTI 1. Strumenti e tecniche di coordinamento e conduzione Facilitatori Professionisti, specializzati nel:  disegnare i processi decisionali,  coinvolgere gli attori rilevanti,  favorire la partecipazione dei cittadini (quando è necessario),  mettere gli attori in relazione tra di loro,  stimolare il confronto,  facilitare le interazioni tra le parti e aiutarle ad ascoltarsi,  affrontare e gestire i conflitti,  assistere i negoziati,  favorire lo sviluppo di processi deliberativi,  gestire le dinamiche di gruppo,  tenere sotto ragionevole controllo lo sviluppo dei processi,  aiutare le parti a redigere i testi degli accordi.
  • 59. STRUMENTI 2. Strumenti e tecniche di informazione e comunicazione Punti informativi Luoghi fisici dove vengono fornite informazioni sulle attività in corso rispetto al processo partecipativo in essere, sia in formato cartaceo che digitale Siti e data base open Strumenti digitali online per l’accesso alle informazioni e comunicazioni relative al processo partecipativo in corso in formato Open Data (dati aperti liberamente accessibili a tutti, senza restrizioni di copyright, brevetti o altre forme di controllo che ne limitino la riproduzione) e la realizzazione di alcune fasi del processo deliberativo stesso (secondo la logica dell’Open Government, ormai ampiamente diffusa anche in Italia)
  • 60. STRUMENTI 3. Strumenti e tecniche di ascolto e comprensione dei bisogni Punti di ascolto Luoghi presso i quali i cittadini, gli abitanti di un quartiere o di un determinato territorio, possono recarsi per segnalare problemi, difficoltà, esigenze, proposte, soluzioni a determinati problemi ad operatori esperti. Attraverso questi punti, si enfatizza la funzione di ascolto del territorio, ed è possibile raccogliere importanti informazioni da e sul quartiere/città/ambito di riferimento, ma anche sviluppare un rapporto di fiducia tra operatori e soggetti locali.
  • 61. STRUMENTI 3. Strumenti e tecniche di ascolto e comprensione dei bisogni Forum/tavoli sociali/consulte Strumenti che prevedono il coinvolgimento degli attori locali in momenti di approfondimento funzionali a progettare, monitorare, valutare e integrare il processo nel suo complesso e le singole azioni individuate. Forum telematici Strumento di interazione e comunicazione via web che consente, a tutti coloro che sono interessati, di partecipare alla discussione e/o all’approfondimento incontrandosi in uno spazio virtuale di dialogo. Per partecipare al forum basta inviare un messaggio che viene immediatamente inserito on-line e al quale si può rispondere liberamente, instaurando un dialogo tra i diversi partecipanti, seguendo regole di reciproco rispetto che un moderatore ha il compito di monitorare e far rispettare.
  • 62. STRUMENTI 3. Strumenti e tecniche di ascolto e comprensione dei bisogni Interviste e questionari Strumento che consentono di fotografare, in un dato momento, il punto di vista, le percezioni, l’atteggiamento ed eventuali indicazioni e suggerimenti rispetto ad uno o più temi ed aspetti rilevanti dell’ambito della ricerca. Focus group Tecnica di rilevazione per la ricerca sociale, basata sulla discussione all’interno di un piccolo gruppo di persone, alla presenza di uno o più moderatori, focalizzata su un argomento che si vuole indagare in profondità. È finalizzata ad esplorare le opinioni su un argomento e le ragioni che ne sono alla base.
  • 63. STRUMENTI 3. Strumenti e tecniche di ascolto e comprensione dei bisogni Camminate di quartiere Strumento di ascolto del territorio che valorizza la competenza degli abitanti riguardo all’ambiente in cui abitano, lavorano o intessono reti di relazione e di socialità. Si effettua in piccoli gruppi (massimo 15 persone), che guidano i professionisti (architetti, urbanisti, sociologi ecc.) in un giro nell’area oggetto di interesse. Mentre il gruppo cammina, si incrociano osservazioni, domande, apprezzamenti, desideri, in modo assolutamente libero e rilassato, si raccolgono impressioni, stralci di storia del quartiere, problemi, esperienze di vita quotidiana. I progettisti ascoltano e avanzano anche le loro osservazioni, sottolineando le potenzialità e i punti di debolezza e stimolando gli interlocutori con sollecitazioni e domande, riferite sempre a ciò che si sta osservando.
  • 64. STRUMENTI 3. Strumenti e tecniche di ascolto e comprensione dei bisogni Brainstorming Metodo per lo sviluppo di soluzioni creative ai problemi in gruppo (massimo 15 persone). Una volta messo a fuoco il problema e fissato un tempo limite per l’incontro, ciascuno esprimerà come soluzione al problema la “prima idea che gli viene in mente”, in rapida sequenza e per associazione di idee. Le soluzioni cosi individuate saranno sottoposte ad un processo sempre più affinato di rielaborazione, di approfondimento, di revisione, da parte del gruppo, in modo da trasformare le idee iniziali in proposte sempre più pratiche e fattibili. La regola fondamentale del brainstorming è che i partecipanti non devono assolutamente esprimere giudizi sulle idee proposte dagli altri. L’obiettivo è infatti quello di produrre nuove idee, mentre il giudizio introduce un elemento difreno e induce atteggiamenti difensivi.
  • 65. STRUMENTI 3. Strumenti e tecniche di ascolto e comprensione dei bisogni Outreach Pratica che consiste, letteralmente, nell’“andare fuori ad incontrare” gruppi di interesse locali e/o singole persone, nel proprio ambiente e secondo propri tempi, per discutere di varie questioni e ascoltare i loro suggerimenti. Essa mira al coinvolgimento di testimoni privilegiati, ovvero di soggetti che detengono conoscenze qualificate (saperi d’uso) su aspetti rilevanti del tema da indagare, e che per questa ragione è fondamentale includere fin dall’inizio Le amministrazioni sono tradizionalmente abituate ad aspettare che gli utenti arrivino da loro, presentando domande, istanze, dichiarazioni, certificati. In questo caso si procede nel modo opposto: non è più il cittadino che si muove verso lo sportello, ma è lo sportello (l’istituzione) che si muove verso il cittadino, per capirne realmente i problemi. Gli strumenti e le modalità dell’outreach sono assai varie. Per esempio distribuzione di materiale informativo nelle case oppure direttamente alle persone in situazioni di aggregazione (mercati, assemblee, negozi, ecc.); articoli su giornali locali, spot informativi su radio e tv; interventi informativi e di scambio mirati nell’ambito di riunioni di specifici gruppi (ad esempio, una bocciofila, un centro sportivo, un’associazione ricreativa); strutture mobili (caravan, camper, container) possono essere utilizzate come uffici mobili per restituire anche a livello simbolico la presenza sul campo e garantire la possibilità di una consultazione iniziale. L’importante è il concetto di andare fuori a cercare.
  • 66. STRUMENTI 3. Strumenti e tecniche di ascolto e comprensione dei bisogni Animazione territoriale Con il termine animazione territoriale (o animazione sociale) si intende comunemente tutto ciò che va ad incrementare il grado di sensibilizzazione e di partecipazione degli attori locali intorno a problemi comuni e strategie che interessano l’area di appartenenza. È altresì una modalità per giungere ad un buon grado di lettura e analisi del contesto locale secondo una logica di tipo bottom up. Secondo questa prospettiva, lo sviluppo socioeconomico passa attraverso un approccio progettato e gestito in prima persona da attori pubblici e privati di un dato contesto (enti locali, rappresentanze degli interessi, autonomie funzionali, terzo settore, ecc.)
  • 67. STRUMENTI 3. Strumenti e tecniche di ascolto e comprensione dei bisogni Ricerca-azione partecipata Metodologia di indagine sociale svolta in collaborazione con i soggetti coinvolti in un problema allo scopo di promuovere la conoscenza, l’apprendimento ed, in particolare, il cambiamento rispetto ad esso. Essa costituisce un momento fondamentale di un processo di cambiamento, corrispondente alla “presa di coscienza” da parte dei soggetti, protagonisti della comunità, delle loro condizioni, delle loro necessità, delle loro potenzialità, delle loro risorse, dei loro limiti, dei loro valori e dei loro desideri. In questo processo l’ideatore e il coordinatore dell’azione sociale non si considera esterno o distanziato dall’oggetto di ricerca, ma partecipa come gli altri e contribuisce alla costruzione di un processo di narrazione dei vissuti ad un interlocutore (storytelling). Lo schema della ricerca-azione partecipativa, secondo il modello procedurale di B. Cunningham (1976) si articola in tre sequenze interconnesse, ognuna delle quali si conclude con un momento di riflessione/valutazione degli interventi del gruppo.  La prima sequenza si riferisce alla formazione del gruppo di lavoro e al suo addestramento;  la seconda ingloba l’analisi e la definizione del problema da parte del gruppo, la costruzione di strumenti e la formulazione di un’ipotesi di azione.  L’ultima sequenza comprende la definizione degli obiettivi, lo sviluppo di un piano di intervento e la diffusione dei risultati.
  • 68. STRUMENTI 4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva Open Space Technology (OST) E’ uno strumento, inventato da H. Owen* (1997), adatto a coinvolgere 100-300 persone in eventi pubblici di partecipazione che hanno lo scopo di far emergere liberamente temi, problemi e soluzioni. Non ci sono relatori invitati a parlare e programmi predefiniti. L’incontro è organizzato sul principio che siano i partecipanti, seduti in un ampio cerchio e informati di alcune semplici regole, a creare l’agenda della giornata. Si articola in tre fasi, distribuite in un arco di tempo da uno a tre giorni:  nella prima parte si discute in maniera informale, cominciando a conoscere i vari punti di vista;  nella seconda parte si discute approfonditamente del tema in questione;  nella terza parte si prendono le decisioni. E’ particolarmente adatto per esplorare le criticità di una situazione all’avvio del processo partecipativo. * Avendo notato che le persone si confrontano con molto più entusiasmo durante le pause caffè che non nelle fasi di lavoro, Owen fa l’ipotesi di strutturare un'intera conferenza in modo che i partecipanti si sentano liberi di proporre gli argomenti e di discuterli solo se interessati ad essi.
  • 69. STRUMENTI 4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva European Awareness Scenario Workshop (EASW) Ideato in Danimarca all’inizio degli anni ’90, adottato, promosso e diffuso dal programma “Innovazione” della Commissione Europea nel 1994, l’EASW si articola in tre fasi fondamentali:  lo sviluppo di scenari;  la mappatura degli stakeholder e l’organizzazione locale;  il workshop per lo sviluppo di visioni e l’elaborazione di idee. Le prime due fasi sono di preparazione al workshop, gestito da facilitatori, e vi partecipano per lo più tecnici ed esperti sul tema oggetto di indagine. L’elaborazione di visioni future e lo sviluppo di idee e azioni rappresentano le fasi fondamentali del lavoro. Nella prima fase, viene richiesto ai partecipanti di ipotizzare visioni relative ad un futuro possibile nell’arco di dieci anni. In seduta plenaria poi, ci si confronta al fine di valutare i differenti scenari; si individuano poi quattro gruppi tematici composti da persone appartenenti a diverse categorie di attori e, attraverso le tecniche del brainstorming e di negoziazione, vengono proposte idee e modalità di realizzazione delle visioni. In sede di discussione assembleare, con una votazione, si individuano le cinque idee migliori e le modalità per realizzarle
  • 70. STRUMENTI 4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva Planning for real Metodo per il coinvolgimento della comunità nella pianificazione urbanistica, che mira all’individuazione di priorità condivise e all’elaborazione di piani d’azione. Mediante l’utilizzo di un modello tridimensionale* dell’area di intervento (plastico o cartonato), che ne rappresenta gli elementi caratteristici, gli abitanti sono chiamati a proporre i miglioramenti che ritengono necessari, posizionando su di esso delle carte- opzioni che indicano possibili interventi da realizzare (la cui fattibilità e praticabilità – sia tecnica che politica - è stata verificata attraverso un’indagine preliminare). È possibile, inoltre, segnalare alcuni suggerimenti per iscritto. Per far si che i partecipanti abbiano una visione il più possibile completa delle principali questioni relative alla futura trasformazione urbana (budget disponibile, esempi di soluzioni sperimentate altrove, vincoli e standard urbanistici, ecc.) vengono utilizzati diversi strumenti informativi (pannelli a muro, copie di documentazioni, ecc.). Al termine, lo staff tecnico esamina la distribuzione delle carte-opzioni nei diversi punti del plastico per stabilire le preferenze dei cittadini e rilevare eventuali opzioni conflittuali. *Il modello tridimensionale può anche essere realizzato insieme alla comunità locale, per favorire il suo coinvolgimento
  • 71. STRUMENTI 4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva Metaplan Tecnica di facilitazione basata sulla visualizzazione, sviluppata in Germania, negli anni ‘70 di fratelli Wolfgang ed Eberhard Schnelle. Consente di elaborare una visione comune e definire obiettivi, raccomandazioni e piani d’azione per la messa a fuoco di un problema specifico e delle sue possibili soluzioni, a partire dalla raccolta delle opinioni dei partecipanti. Si articola nelle seguenti fasi:  Introduzione (preparazione del clima di lavoro, spiegazione del programma, descrizione della modalità di lavoro ed individuazione degli obiettivi)  Lavoro individuale (i partecipanti scrivono le proprie idee su schede codificate per colore e forma, che vengono attaccate su apposite lavagne)  Lavoro collettivo o in sottogruppi (discussione in plenaria o in sottogruppi organizzati per argomento, per la riorganizzazione delle idee)  Condivisione dei risultati (rapida presentazione di ogni sottogruppo per consentire al gruppo intero di capire il quadro d’insieme)  Attribuzione delle priorità (tramite votazione basata sull’utilizzo di piccoli adesivi colorati per esprimere le preferenze)  Discussione in plenaria (20 minuti)  Conclusione e riepilogo con stesura di un piano di azione Il metodo può essere usato per facilitare l’interazione in grandi gruppi (50-200 persone), cosi come per facilitare piccoli team di gestione.
  • 72. STRUMENTI 4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva Goal oriented project planning (GOPP) Metodo, ispirato al Quadro Logico, nato a partire dagli anni ‘60 da un insieme di tecniche e di strumenti elaborati nel quadro delle attività di progettazione di enti e agenzie dedite alla cooperazione allo sviluppo. Esso facilita la pianificazione e il coordinamento di progetti attraverso una chiara definizione degli obiettivi e si inquadra in un approccio integrato denominato PCM (Project Cycle Management) e diffuso nel 1993 dalla Commissione Europea come standard di qualità nelle fasi di programmazione, gestione e valutazione di interventi complessi. Il GOPP consente, attraverso attività di laboratorio e workshop gestiti da un animatore esterno al gruppo di progettazione, di coinvolgere gli attori principali, in relazione al tema affrontato, al fine di definire in maniera concertata e condivisa sia i problemi che le soluzioni, con l’obiettivo di costruire programmi e progetti che realmente possano fornire risposte alle esigenze e ai problemi dei beneficiari. L’identificazione del progetto finale avviene in due fasi sequenziali - la fase di analisi e la fase di progettazione - che consentono di definire una matrice progettuale (quadro logico) che riporta gli obiettivi generali e specifici, i risultati, le attività, gli indicatori e le condizioni esterne che concorrono al raggiungimento degli obiettivi del progetto. Da un punto di vista organizzativo il GOPP prevede il coinvolgimento di un numero limitato di persone, individuate tra gli attori-chiave che hanno un ruolo cruciale per il successo di un progetto, e di un facilitatore, e può avere una durata di uno o più giorni. Si basa sull’utilizzo delle tecniche di visualizzazione: i partecipanti, seduti a semicerchio, lavorano, dall’analisi dei problemi alla proposta di soluzioni, con dei cartoncini colorati sui quali possono scrivere i loro suggerimenti secondo le fasi della metodologia, che vengono poi attaccati su grandi fogli di carta adesiva affiancati su una parete. In tal modo le idee emerse nel corso del lavoro possono essere visualizzate da tutto il gruppo che può spostarle o aggregarle secondo le esigenze.
  • 73. STRUMENTI 4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva Action planning Metodo di progettazione partecipata di origine anglosassone, volto ad individuare i bisogni, definire i problemi in un determinato contesto territoriale, attraverso il contributo della comunità locale, e arrivare a formulare le linee di intervento insieme a coloro che conoscono i disagi perché li affrontano quotidianamente. Il processo si articola in diverse fasi, a partire da domande di ampio respiro e la caratteristica essenziale è che tutte le opinioni e idee in merito, vengono espresse da ciascun partecipante utilizzando personalmente dei post-it da attaccare su degli ampi cartelloni. Si ricostruisce l’immagine che gli abitanti hanno del proprio contesto ambientale, evidenziandone gli attuali aspetti positivi e negativi. Poi si invitano i partecipanti ad esprimere delle previsioni sui cambiamenti che interesseranno tale contesto, sugli effetti attesi, sia favorevoli che svantaggiosi. Il passaggio finale è quello di individuare alcuni principi, o linee guida che possano permettere di assicurare il raggiungimento degli effetti positivi e per prevenire quelli negativi. Di solito sono necessarie almeno 3 o 4 sessioni di lavoro, articolate nel corso di uno o due mesi, per cominciare a definire un possibile piano d’azione. L’Action Planning, così come altre tecniche di progettazione partecipata, rappresenta una valida alternativa alla discussione di tipo assembleare, perché favorisce la partecipazione delle persone che sono meno inclini o meno preparate al dibattito pubblico, consentendo ad ogni partecipante di esprimere le proprie idee e i propri suggerimenti in maniera semplice ,anonima, riflessiva e molto libera.
  • 74. STRUMENTI 4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva Bilancio partecipativo Metodo di risoluzione delle controverse mediante la discussione tra i diretti interessati, introdotto nella città brasiliana di Porto Alegre nei primi anni ’90 e poi applicato in un centinaio di città in Brasile. Il successo dell’esperienza di Porto Alegre e la sua notorietà ha fatto sì che la proposta del bilancio partecipativo si sia diffusa in numerose città in tutto il mondo. Il bilancio partecipativo nasce dall’esigenza di ripartire in modo trasparente e equilibrato le spese in conto capitale previste dal bilancio del comune tra i quartieri della città. Si tratta di una politica di tipo distributivo ovviamente conflittuale perché la somma da ripartire è fissa (ed è stabilita dell’amministrazione) e ognuno dei quartieri in cui è suddivisa la città ha ovviamente interessi concorrenti rispetto agli altri. Il problema viene risolto attraverso l’applicazione di un metodo multicriteri. Le spese di investimento sono ripartite ogni anno tra i quartieri sulla base di tre criteri:  numero di abitanti (si tratta di un dato oggettivo);  carenza di servizi (valutazione fornita direttamente dagli uffici tecnici dell’amministrazione comunale, in rapporto al riscontro fornito dai cittadini);  priorità tra i vari tipi di investimenti (rete stradale, scuole, servizi sanitari, spazi pubblici, ecc.) che viene stabilita da ogni singolo quartiere attraverso la partecipazione dei cittadini. Ogni anno l’amministrazione comunale decide quale peso assegnare a ognuno dei tre criteri. Il processo del bilancio partecipativo inizia ogni anno in primavera e si conclude in autunno con l’approvazione del bilancio da parte del consiglio comunale. Tra marzo e luglio si svolgono due tornate di assemblee di quartiere che indicano le priorità, ossia le opere e gli interventi cui deve essere data la precedenza. Le assemblee sono precedute da riunioni informali. In autunno, quando ogni quartiere ha espresso le sue priorità, gli uffici tecnici del comune, applicando i tre criteri e i rispettivi pesi, stabiliscono la ripartizione dei fondi tra i quartieri, indicando in quali settori devono essere impiegati.
  • 75. STRUMENTI 4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva Tavoli tecnici Rappresentano luoghi di discussione ed approfondimento tecnico dei temi o dei progetti in discussione. Ad essi partecipano normalmente esperti, funzionari e tutti coloro che hanno competenze specifiche sull’argomento trattato. Vengono spesso istituiti nei processi inclusivi per controllare e verificare l’andamento del processo o per apportare conoscente tecniche e procedurali al processo stesso. Gruppi di lavoro/workshop Rappresentano i luoghi in cui soggetti locali che svolgono attività legate al tema specifico di discussione si incontrano per individuare interventi realizzabili ed efficaci a partire dalla disponibilità e dall’inter esse dei soggetti coinvolti. Si tratta dunque di momenti prevalentemente di lavoro e non solo di discussione che per poter essere efficaci devono coinvolgere un numero ristretto di attori (15-20), prevedere la figura di un moderatore esperto di processi di facilitazione e del tema di progettazione.
  • 76. STRUMENTI 4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva Sondaggio deliberativo (Deliberative polling) Ideato nel 1988 dal prof. Fishkin, isprirandosi alla democrazia ateniese e al sondaggio moderno di George Gallup, questo metodo è sorto per adattare ad una società moderna le pratiche di democrazia degli antichi, dimostrando come i cittadini, se hanno la possibilità e il tempo (Fishkin prevede una remunerazione per i partecipanti) per discutere tra loro e informarsi (ai partecipanti viene fornito apposito materiale informativo e negli eventi è possibile interpellare politici o esperti di varie fazioni) si formano un’idea, cambiano certe idee preconcette e spostano le proprie posizioni di opinione iniziali. Dopo un primo sondaggio, esteso, si invita un sotto-campione a partecipare ad un evento, in cui si può discutere in gruppi e fare domande ad esperti. Dopodichè si sottopone nuovamente al sondaggio, il campione che ha partecipato all’evento. Questo secondo sondaggio fornisce un orientamento ai decisori, più maturo e responsabile, e viene divulgato attraverso i media con funzioni di sostegno alla eventuale decisione..
  • 77. STRUMENTI 4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva Search conference (conferenza di indagine) Metodo elaborato dal teorico dei sistemi complessi Fred Emery, per la definizione di scenari futuri desiderabili, in gruppi di 35-40 persone. Una search conference, che dura da due a tre giorni, si articola in cinque fasi  Fase 1: Tendenze generali. I partecipanti elaborano un elenco di osservazioni relative ai mutamenti in atto nel mondo ad essi circostante, attraverso il metodo del brainstorming. Tutte le osservazioni vengono riportate su fogli che vengono appesi ai muri della stanza, allo scopo di rappresentare il mondo comune dei partecipanti. Poi i partecipanti si dividono in quattro gruppi e sulla base del lavoro svolto in precedenza incominciano a distinguere tra tendenze desiderabili e probabili. Ogni gruppo costruisce in questo modo un proprio Possibile Scenario che in seguito illustra in riunione plenaria, dove i temi comuni vengono rilevati e combinati in due scenari complessivi, quello relativo ai futuri probabili e quello relativo ai futuri desiderabili.  Fase 2: Tendenze che influenzano il Possibile Scenario individuato nella Fase 1. Sempre attraverso il metodo del brainstorming, l’indagine si concentra sulle tendenze desiderate e probabili che influenzano questo Scenario.  Fase 3: L’evoluzione storica del Possibile Scenario. Perché e come è venuto a crearsi, qual è la sua forma attuale e quali i suoi punti di forza e di debolezza; l’obiettivo è quello di arrivare ad una nozione condivisa di quello che il sistema effettivamente è e conoscerne la sua vera storia. A tal scopo è utile segnare gli eventi cronologici che hanno influenzato il sistema tramite una rappresentazione tipo linea del tempo.  Fase 4: La visione futura del Possibile Scenario. Ora il futuro del sistema possibile può essere disegnato usando le informazioni finora ottenute. La creatività viene stimolata spingendo le persone prima a pensare soluzioni innovative e poi a valutarne la fattibilità. Questa attività viene svolta in piccoli gruppi che poi scambiano il loro lavoro con gli altri gruppi. La fase si chiude con la discussione sui vari lavori ottenuti e con la produzione di uno scenario collettivo.  Fase 5: Strategie. A questo punto quattro piccoli gruppi si concentrano sulla formulazione di strategie che possano portare a compimento la visione di futuro desiderabile. La presentazione delle strategie ottenute viene effettuata da altri piccoli gruppi. Dopo aver epurato quelle considerate inadatte si apre un nuovo dibattito imperniato sulla fattibilità delle strategie implementative ricordandosi delle tendenze del contesto d’azione individuate durante le fasi iniziali. L’ultimo passo prevede un’interrogazione rivolta ad ogni singolo partecipante su come voglia impegnarsi nella vita di tutti i giorni per agevolare la riuscita del piano; con seguente redazione di un documento indicativo che sia di riferimento per tutto il gruppo.
  • 78. STRUMENTI 4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva Consensus conference Le Conferenze di consenso partono dall’idea di far dialogare tra loro teoria e prassi, dimostrando che i cosiddetti profani non esperti sono in grado di orientarsi velocemente in contesti complicati e di prendere posizione in maniera qualificata. Esse hanno origine dalle cosiddette conferenze di esperti che sono state organizzate negli Usa negli anni settanta per migliorare il sistema sanitario americano. Più tardi il metodo è stato ulteriormente sviluppato dal Danish Board of Technology (l’organo tecnico di valutazione delle tecnologie istituito nel 1986 dal Parlamento danese) e dalla fine degli anni ottanta viene regolarmente impiegato con successo. A una conferenza di consenso condotta seguendo il modello danese prendono parte da 10 a 30 cittadini interessati selezionati casualmente, che per età, sesso, livello di istruzione e professione costituiscono uno spaccato il più possibile rappresentativo della popolazione, e che non sono esperti delle materie affrontate nella discussione. Prima dell’avvio dei lavori i partecipanti si informano sulle questioni che saranno affrontate, attraverso il materiale informativo predisposto dagli esperti. Inoltre i partecipanti si incontrano due volte prima dell’avvio della conferenza per ricevere ulteriori informazioni e per elaborare delle domande a cui dovrebbero rispondere gli esperti nel corso della conferenza. Gli stessi partecipanti hanno la facoltà di designare o selezionare degli esperti della materia in discussione. La conferenza in sé dura di regola tre giorni, secondo il seguente schema:  Primo giorno: nel corso di una seduta pubblica i partecipanti ascoltano le prese di posizione degli esperti rispetto alle questioni individuate in precedenza. Alla sera si valutano insieme le risposte e in caso di necessità si pongono ulteriori domande.  Secondo giorno: gli esperti rispondono alle domande supplementari, ancora una volta in pubblico. Successivamente i cittadini si ritirano, discutono ed esprimono le loro valutazioni sulle risposte ricevute dagli esperti ed elaborano il rapporto conclusivo che contiene le loro prese di posizione e le raccomandazioni (di regola decise in maniera consensuale) e le motivazioni su cui sono fondate.  Terzo giorno: il rapporto viene presentato all’assemblea generale. Agli esperti spetta di correggere eventuali errori materiali, ma senza interferire con il contenuto. A conclusione del processo il rapporto viene presentato alla stampa e alla cittadinanza. tutti i partecipanti.
  • 79. STRUMENTI 4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva Town meeting Ideato dall’associazione America Speaks sull’onda dei tradizionali town meeting statunitensi, l’Electronic Town Meeting (e-TM) permette di coniugare i vantaggi della discussione per piccoli gruppi con quelli di un sondaggio rivolto ad un ampio pubblico, offrendo le condizioni per riuscire a costruire un’agenda dei lavori in modo progressivo, sottoponendo a televoto dell’assemblea le domande che la discussione ha prodotto. A partire da una fase iniziale di lavoro in cui i partecipanti vengono informati grazie agli apporti di documenti ed esperti, si passa ad una fase di discussione in piccoli gruppi; grazie all’aiuto di facilitatori, ogni gruppo contribuisce all’elaborazione di un testo di discussione che viene sintetizzato e che costituisce la base per la formulazione di domande o proposte da sottoporre all’attenzione del pubblico e sulle quali i partecipanti possono esprimersi individualmente votando in tempo reale mediante appositi telecomandi. Le potenzialità di questo modello per i processi di democrazia deliberativa sono ormai riconosciute a livello internazionale, tanto che questa metodologia ha conosciuto un’ampia diffusione in vari contesti.
  • 80. STRUMENTI 4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva Giurie di cittadini La giuria dei cittadini (Citizens Jury, nella definizione del Jefferson Center, che l’ha ideata nel 1974), detta anche giuria civica, è uno strumento di partecipazione finalizzato a contribuire al processo decisionale con le opinioni informate e ponderate di comuni cittadini. Un gruppo di cittadini (tra 12 e 24), selezionati con un campionamento casuale, si riuniscono nell’arco di qualche giornata (non più di 4 o 5, di solito durante i fine settimana) ed ascoltano testimoni e esperti, che esprimono tutti i possibili punti di vista sul tema da analizzare. I giurati, che ricevono un compenso per la loro partecipazione, possono rivolgere domande agli esperti e discutere quanto emerge dalle testimonianze. I lavori della giuria sono assistiti da uno o più facilitatori neutrali. Al termine delle audizioni la giuria formula le proprie raccomandazioni motivate, in grado di dar conto adeguatamente delle posizioni e degli argomenti maturati nel corso del confronto. Questa metodologia è adatta a contesti in cui occorre bilanciare interessi contrastanti e selezionare una o più soluzioni alternative per un problema complesso; essa non sostituisce i normali processi di decisione democratica ma rafforza i sistemi di rappresentanza esistenti.
  • 81. STRUMENTI 4. Strumenti e tecniche per l’interazione costruttiva Dibattito pubblico Il dibattito pubblico è una modalità di coinvolgimento di cittadini e abitanti nella procedura di sviluppo di grandi interventi che riguardano il territorio: garantisce una piena e trasparente informazione sull’intervento in corso di progettazione a tutti i soggetti interessati, offrendo loro la possibilità di esprimere il proprio parere, sia come singoli sia come gruppi organizzati. Esso deve essere guidato, controllato e garantito da una commissione di esperti, che devono provenire da altri territori e ambienti sociali e culturali, e possedere la competenza e autorevolezza per garantire a tale strumento la necessaria credibilità. Il dibattito pubblico consente di migliorare la qualità dei progetti grazie all’utilizzo di una maggiore quantità di informazioni ed osservazioni che altrimenti sfuggirebbero, e contribuisce a legittimare e rendere efficaci le decisioni pubbliche, favorendone l’accettabilità sociale ed eliminando i disagi e/o la conflittualità che possono generarsi durante la fase di realizzazione di un grande progetto. A livello legislativo il modello del dibattito pubblico è stato recepito dalla l.r. Toscana n. 69/2007, istitutiva della Autorità per la garanzia e la promozione della partecipazione (ARP)