Valore e Cultura nel fashion italiano: fare rete con le opportunità di finanziamento europee di Riccardo Peratoner durante la giornata #turismo #fashion #media2.0: il futuro è oggi svoltasi il 31 maggio 2014 a Torino nell'ambito del Digital Festival
1. Valore e Cultura nel fashion italiano: fare rete con le opportunità di finanziamento europee
Riccardo Peratoner, Co-Founder Novareckon
Il valore del fashion italiano
Moda e design sono un grande valore come numeri di fatturato in Italia: sui cinquanta miliardi all’anno, solo
con riferimento al comparto tessile e abbigliamento, senza considerare i settori collegati.
E’ un valore proprio in quanto si tratta di moda e design italiano; è italiano un terzo del lusso mondiale
secondo uno studio di Deloitte.
Si vuole italiano, si compra italiano. Per molti mercati il Made in Italy rappresenta quasi un secondo brand.
L’Italia della moda è così importante perché esiste una cultura italiana, quella dei grandi marchi che tutti ci
invidiano, ma anche quella della piccola manifattura, la maestria artigiana che diventa arte. La sartoria
napoletana, gli atelier lombardi e il loro collegamento con le arti minori, come l’oreficeria, le arti suntuarie o la
moda piemontese e il collegamento con la corte sabauda, un tempo, e il design tecnico, in seguito.
Quante Itali(e), una Italia.
La qualità del prodotto è fondamentale e il Made in Italy rappresenta le capacità di un sistema produttivo
radicato, di grandissima tradizione, oltre un'originalità stilistica e creativa che gli altri Paesi ci riconoscono.
Purtroppo il limite degli italiani è quello di essere troppo individualisti. In altro Paesi, magari, si discute
internamente, ma all'estero ci si presenta compatti. Tuttavia, l’incapacità di fare sistema non è un problema
solo della moda.
La cultura del fashion italiano
Troppo spesso parlare della cultura del Made in Italy per creare valore rischia di diventare un motto, uno
slogan politico, o peggio uno strumento per cui dall’estero si può contraffare la specificità italiana usando e
abusando del nome “made in Italy” o dei singoli brand.
L’unicità della moda italiana è frutto della sua storia; storia di istituzioni, di particolarismi che un tempo erano
ricchezza, ma anche stratificazione del vivere e dell’interagire italiano.
La parola “capitale umano” dovrebbe essere il cuore di una proposta culturale che non sia solo uno slogan, a
partire da alcune azioni quali:
▪ promuovere gli scambi, anche di studio, per attirare le migliori intelligenze nel settore del design; per
essere (o tornare ad essere) il luogo in cui si pensa e si crea;
▪ raccontare la cultura, che sono i monumenti, gli itinerari, ossia il territorio su cui si sviluppa l’eccellenza
manifatturiera italiana;
▪ attirare investimenti per l’innovazione a favore dei piccoli artigiani;
▪ tutelare, non solo attraverso i marchi singoli e di qualità, ma anche attraverso marchi che rappresentano
distretti in cui si lavora;
▪ sviluppare una formazione mirata, che sia il frutto del dialogo tra ricerca su procedure e materiali, e utilizzo
concreto degli stessi.
Il valore della cultura del fashion italiano: un approccio diverso
Per sviluppare la cultura del fashion è necessario che i soggetti pubblici e privati interessati dal settore e i
destinatari delle azioni di sistema si determinino a collaborare in senso strategico.
Per ottenere questo risultato sono necessari finanziamenti che permettano di sperimentare nuove soluzioni e
investano sul futuro, su una visione che vada oltre la convenienza economica immediata. Opportunità
interessanti vengono dai finanziamenti dell’Unione europea. Come è noto, purtroppo, in Italia i finanziamenti
ricevuti sono molto più bassi di quello che ci si potrebbe aspettare rispetto al contributo che l’Italia apporta
per la formazione del bilancio comunitario. Spesso, poi, si assiste a situazioni drammatiche: impossibilità di
spendere i soldi, errata rendicontazione, dispregio delle particolarità e dissipazione dell’entusiasmo di
soggetti finiscono per “dover spendere” invece che essere agevolati dal finanziamento.
Questo è anche dovuto ad una situazione oggettiva di mancanza di collegamento tra il mondo produttivo e le
botteghe del sapere, ovvero le Università.
L’approccio che si propone è diverso, e i risultati si iniziano a vedere: si deve partire dall’identificare l’asset
immateriale da valorizzare; poi si tratta di agire come intermediari di conoscenza per attivare il meglio dei
risultati tecnologici, della ricerca sociale, delle competenze accademiche italiane e estere. Il tutto è
fortemente orientato al servizio dell’uomo e della sua creatività, e si completa costruendo reti di
configurazione variabile orientate al perseguimento dei risultati.
In altre parole, un approccio da broker per il valore, ma a vantaggio della cultura, quale è il fashion italiano.