Articolo 1 informatica e canali di diffusione del libro
1. Informatica e canali di diffusione del libro
Introduzione
E’ noto che la caratteristica principale della cosiddetta rivoluzione digitale è la
trasformazione di qualunque tipo di informazione in formato digitale, a prescindere
dal codice di partenza (suono, immagine o parola scritta), ed è altrettanto risaputo che
internet, ormai da alcuni anni, offre l’opportunità di mettersi in contatto
istantaneamente con chiunque e in qualsiasi luogo. Osservando i canali di diffusione
gratuita e a pagamento del prodotto libro (intendendo con “canali” sia i centri, gli
spazi dove sono fisicamente raccolti i libri, sia i mezzi di diffusione di massa) alla
luce delle modifiche causate proprio dalla rivoluzione digitale e da internet, è
possibile accorgersi che per essi si è andata attuando una sorta di duplicazione in
seguito alla quale possono esserne distinti tipi reali, vecchi e nuovi, e virtuali. Fra i
centri istituzionalmente dediti alla trasmissione della cultura attraverso i libri
possiamo elencare le biblioteche, la scuola, le università, club-fondazioni-
associazioni, gli archivi ed altri istituti culturali. Fra gli enti il cui scopo prioritario è
il ritorno/profitto economico vanno citate, per tutti, le librerie e le case editrici.
Canali gratuiti. Articolo sulle biblioteche
Le biblioteche
Tra i centri di diffusione del libro, le biblioteche probabilmente sono state
interessate per prime e maggiormente dai cambiamenti che la rivoluzione digitale ha
prodotto. Esse sono cambiate strutturalmente, ma sta cambiando anche la
considerazione che se ne ha, che oggi è soprattutto quella di un insieme di servizi di
back e front office tesi a garantire una fruizione sempre più comoda e capillare per
tutti. Non mancano iniziative come i bibliobus, sorta di biblioteche itineranti
organizzate perlopiù da alcuni comuni italiani o da privati cittadini, per raggiungere i
luoghi dove non ci sono libri, o le minibiblioteche istituite presso carceri, ospedali ed
asili nido. Degli anni duemila, poi, è il fenomeno dei cosiddetti Idea Store, grandi
2. strutture con orari d’apertura più ampi di quelli di una biblioteca tradizionale, nate
nell’area est di Londra, in cui si legge gratis e a pagamento, che sono a metà strada
fra la biblioteca e la libreria. Essi si propongono di soddisfare l’utenza per tutto ciò
che può riguardare il tempo libero e la cultura (corsi di formazione di ogni genere,
bar, bookshop, salotti per presentare o discutere di libri o film) e sono al centro del
dibattito biblioteconomico, tra chi li vede come un’evoluzione, seppure tarda, per la
biblioteca (già avvenuta da molto tempo per le librerie, che non si sono fatte problemi
ad adottare soluzioni che appartenevano alle biblioteche, allestendo ad esempio spazi
per le presentazioni di libri), e chi pensa che siano una moda priva di radici destinata
al fallimento.
In questo contesto i computer e internet hanno concesso alle biblioteche di
comunicare tra di loro, con l’esterno, e di lavorare insieme: basti pensare agli opac e
ai metaopac, cataloghi online di accesso pubblico, che consentono la consultazione a
distanza ad un numero potenzialmente infinito di utenti, e che hanno permesso ai
bibliotecari di catalogare con sforzi minori, e di recepire con più immediatezza il
feedback da parte dell’utenza (SBN- Sistema Bibliotecario Nazionale, è l’esempio da
tenere presente, in quanto evita sprechi di risorse e offre contenuti il più possibile
omogenei, accessibili a tutti). Vi è chi, come Sergio Dogliani, insegnante, direttore di
biblioteche e fra i fondatori degli Idea Store a Londra, pensa che la digitalizzazione
dei cataloghi dei fornitori e di quelli delle biblioteche li abbia resi simili nella
struttura, perché molte informazioni utili dei testi son presenti in entrambi secondo gli
stessi modelli descrittivi, e mette in evidenza come questo consenta alle biblioteche
inglesi di servirsi direttamente dei cataloghi dei fornitori, non impiegando più del
personale per aggiornare i propri cataloghi e spendendo invece più risorse per la
selezione e l’acquisto dei libri. In effetti anche in Italia il rapporto tra biblioteche e
fornitori sta cambiando, nel senso che questi ultimi non vengono più scelti dalle
biblioteche sulla base del miglior prezzo comparato alla velocità di fornitura, ma
sempre più in base ai servizi che essi possono offrire per le risorse elettroniche. Oggi,
poi, grazie al fatto che in biblioteca non ci sono più soltanto i libri di carta, ma
3. convivono collezioni sia in formato cartaceo che digitale, si è parlato di biblioteca
ibrida, laddove anche il prestito può essere digitale (es. medialibraryonline).
La biblioteca di sicuro, non passa al digitale solo per una più comoda gestione e
diffusione dei libri, ma anche per sostenere la “concorrenza”: le collezioni non
possono più essere solo di carta, perché l’attrazione esercitata da altri media, più o
meno nuovi, come la televisione, il cinema, la fotografia, Internet, i cellulari, i libri
elettronici è molto forte, e spinge le persone verso nuovi bisogni. Soprattutto le
giovani generazioni che fanno uso di canali telematici, hanno a disposizione un tipo
di informazione contemporaneamente personalizzata, di intrattenimento, di
comunicazione interpersonale, per cui anche la biblioteca deve adattarsi a queste
esigenze del pubblico. C’è da dire però che non mancano i problemi legati
all’introduzione delle nuove tecnologie in questi ambienti istituzionali. In Italia,
all’aumento delle opportunità di lettura (e-book, prestiti online ecc.), il pubblico dei
cosiddetti lettori forti non è cambiato. All’inizio lo scarso interesse da parte degli
italiani per gli e-book è stato motivato con il cosiddetto digital divide, la mancata
espansione capillare della banda larga, e con l’analfabetismo nei confronti degli
strumenti di comunicazione informatici definito cultural divide. Oggi la conoscenza
degli strumenti informatici è più diffusa e sono in molti a ritenere che più che
l’estensione del servizio, sia la variabilità nella qualità del collegamento, in
particolare la sua lentezza, ad ostacolare ancora il diffondersi dell’interesse per i libri
elettronici, oltre ad altri motivi, legati alle caratteristiche dei supporti. Le biblioteche
per arricchire le collezioni di nuovo materiale documentario, spesso devono
necessariamente acquisire testi già creati in formato elettronico, o pagare per una
licenza d’uso. Tradizionalmente, documenti diversi erano associati a media diversi,
ogni medium aveva i suoi particolari supporti, i suoi stili espressivi, le sue tecniche di
produzione, il suo particolare mercato, oggi, invece, con la convergenza al digitale,
c’è una tendenza all’omologazione tra i supporti (memorie di massa, rete), tra le
tecnologie di produzione e tra gli strumenti di gestione e lettura e così anche la
biblioteca, che era stata finora intesa come luogo tangibile che custodisce oggetti
4. tangibili, perché collegata, grazie alla sua condizione concreta, al libro in quanto tipo
di medium cartaceo, oggi sta cambiando la propria natura, passando da quella di
luogo fisico a quella di luogo virtuale, facendosi carico delle modifiche che tale
trasformazione comporta, divenendo anch’essa, un centro di diffusione del libro per
molti aspetti digitale. Esempio internazionale di tutto ciò è il progetto Google Book
Search, piattaforma del colosso informatico Google, nella quale sono stati
digitalizzati tantissimi testi di biblioteche di tutto il mondo dichiarati fuori commercio
dallo stesso motore di ricerca ( Google, sin dalla propria creazione nel 1998 era stato
affiancato ad un progetto di digitalizzazione di libri di alcune biblioteche che iniziò a
concretizzarsi a partire dal dicembre del 2004 con il nome di Google Print, poi
trasformato in Google Book Search, che si occupava di indicizzare solo alcune parti
di libri popolari come biografia, autore, introduzione, notizie di copertina insomma,
fornendo i link di rimando per l’acquisto, mentre oggi è possibile leggere per intero i
testi che non sono protetti da copyright o per i quali è stato raggiunto un accordo).
Non entrando nel merito dei problemi legati a quest’operazione, è certo che la
presenza dell’e-book in biblioteca non dovrebbe stupire più di tanto, visto che si tratta
di uno strumento che serve a leggere, al pari di altri, e che non è superfluo anche se
nuovo, ma necessario per fare in modo che l’utenza si aggiorni anche grazie alla
conoscenza delle tecnologie moderne, rappresentando quindi una sfida culturale per
le biblioteche, che devono imporsi come osservatorio dei comportamenti di lettura e
come punto di organizzazione del lettore. Proprio in virtù dei nuovi compiti di cui si
deve fare carico, la biblioteca d’oggi ha tante altre definizioni. E’ nata già da un po’
quella di ‘biblioteca virtuale’, intesa come spazio online che non corrisponde ad un
luogo fisico in cui raccogliere le collezioni, dove non c’è carta, né bibliotecari,
sostituiti nelle loro funzioni da software velocissimi chiamati agenti, che recuperano
testi ed informazioni da migliaia di siti internet. A questo tipo di biblioteca è però
sempre associato il rischio di disintermediazione bibliotecaria. Vi è poi quella di
‘biblioteca 2.0’, coniata nel 2005 da Michael Casey nel suo blog LibraryCrunch. In
questo modello, come sta accadendo anche per i blog, i wiki, e gli altri software di
5. reti partecipative dedicati allo stesso argomento, partendo dall’assunto secondo il
quale la conversazione è la chiave della conoscenza, l’utenza è coinvolta nei processi
di implementazione di alcuni servizi bibliotecari attraverso il feedback e la
partecipazione ad essa richiesti (ad esempio la catalogazione partecipata attraverso le
folksonomie, i cosiddetti tag). I motivi per i quali una biblioteca si avvale dei social
network sono di facile intuizione: fare marketing, avere a disposizione uno spazio per
postare foto e annunci di vario genere su attività, orari, novità nelle collezioni ecc.,
attivare un canale alternativo per offrire un servizio di reference asincrono e in
ultimo, ma non per importanza, mantenere una presenza istituzionale all’interno della
stessa rete sociale. Tutto ciò è indice del fatto che le caratteristiche della biblioteca
d’oggi sono in continua trasformazione e che per essa non può esistere una e una sola
definizione.
Per chi volesse avere uno sguardo di insieme di quanto esiste in Italia oltre all’SBN, a
livello nazionale ed istituzionale, può visitare: il sito dell’ICCU, l’Istituto Centrale
per il Catalogo Unico (nato nel 1975 come il Ministero per i Beni e le Attività
culturali), che, tra l’altro, cura l’SBN e l’Edit XVI (catalogo online di edizioni del
‘500); quello della BDI (Biblioteca Digitale Italiana), nata nel 2007 per raccogliere
le collezioni di archivi, biblioteche e musei, seguendo il fenomeno digitale della
convergenza di contenuti di varia natura; il portale Internet Culturale, che è un
metaopac che rimanda a vari cataloghi e siti e che riporta anche notizie di eventi
culturali imminenti.